Osservatorio Parlamentare

 

Interrogazioni e interpellanze al Ministro della Giustizia

 

Zanotti, Abbondanzieri, Adduce, Amici, Bellini, Benvenuto, Bielli, Bolognesi, Bonito, Calzolaio, Capitelli, Carboni, Cazzaro, Cennamo, Chiaromonte, Cialente, Coluccini, Cordoni, Diana, Fumagalli, Gambini, Giacco, Giulietti, Grignaffini, Grillini, Kessler, Labate, Raffaella Mariani, Mariotti, Maurandi, Motta, Ottone, Panattoni, Pinotti, Pisa, Preda, Quartiani, Ruzzante, Sandi, Sasso, Sereni, Siniscalchi, Tidei, Tolotti, Trupia, Vigni e Zunino - Seduta del 21 luglio 2005

 

Premesso che:

la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla da sempre tra il 4 per cento e il 5 per cento del totale, non superando mai questa soglia;

le donne detenute in Italia si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all’interno di carceri maschili;

circa 70 bambini al di sotto dei tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, tanto in prigioni interamente femminili quanto in sezioni ospitate all’interno di prigioni maschili;

le donne detenute devono in media scontare pene di lunghezze molto inferiore a quelle degli uomini, la maggior parte non superando i cinque anni;

l’Ordinamento Penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili, come ad esempio gli asili nido là dove l’istituto o la sezione ospiti gestanti o madri con bambini;

l’associazione Antigone ha reso noti, attraverso una pubblicazione e alcuni seminari, i risultati di una ricerca transnazionale cui l’associazione stessa ha preso parte sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dalla quale emergono i seguenti punti:

nonostante l’esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei, sovraffollamento determinato in massima parte dalle presenze maschili e tuttavia subito anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili;

le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere - prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità - per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini;

la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all’interno di prigioni maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane. Tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all’interno degli istituti maschili e contenendo l’intera popolazione detenuta femminile nelle poche prigioni interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal luogo di residenza del proprio nucleo familiare -:

se il Governo non ritenga necessario istituire un apposito Ufficio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.

 

Chiaromonte - Seduta del 19 luglio 2005

 

Premesso che:

la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla da sempre tra il 4 per cento e il 5 per cento del totale, non superando mai questa soglia;

le donne detenute in Italia si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all’interno di carceri maschili;

circa 70 bambini al di sotto del tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, tanto in prigioni interamente femminili quanto in sezioni ospitate all’interno di prigioni maschili;

le donne detenute devono in media scontare pene di lunghezza molto inferiore a quelle degli uomini, la maggior parte non superando i cinque anni;

l’ordinamento penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili, come ad esempio gli asili nido là dove l’istituto o la sezione ospiti gestanti o madri con bambini;

l’associazione Antigone ha reso noti, attraverso una pubblicazione e alcuni seminari, i risultati di una ricerca transnazionale cui l’associazione stessa ha preso parte sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dalla quale emergono i seguenti punti:

nonostante l’esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei, sovraffollamento determinato in massima parte dalle presenze maschili e tuttavia subito anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili;

le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere - prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità - per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini;

la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all’interno di prigioni maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane. Tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all’interno degli istituti maschili e contenendo l’intera popolazione detenuta femminile nelle poche prigioni interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal luogo di residenza del proprio nucleo famigliare -:

se non ritenga necessario istituire un apposito ufficio del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.

 

Zanotti - Seduta del 19 luglio 2005

 

Premesso che:

in data 18 aprile 2005 l’Amministrazione Provinciale di Bologna ha riunito la 5a commissione consiliare Sanità, Servizi Sociali, per una udienza conoscitiva sul tema della salute mentale nella Casa Circondariale di Bologna;

durante tale udienza il Direttore Sanitario della Casa Circondariale di Bologna, ha informato della imminente istituzione nel carcere bolognese di un reparto di osservazione psichiatrica ai sensi dell’articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230;

tale struttura, per ammissione dello stesso Direttore Sanitario, risulta essere inidonea al tipo di intervento sanitario e assistenziale di cui hanno bisogno le persone detenute in situazione di particolare disagio psichico ed emotivo;

in data 30 giugno 2005 la Casa circondariale di Bologna, con lettera a firma del Direttore Sanitario e della Direttrice della Casa circondariale, annuncia alla Direzione Generale dell’Azienda USL di Bologna l’entrata in funzione all’interno della Casa Circondariale di Bologna di un reparto di osservazione psichiatrica di cui all’articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000. Tale reparto è operativo dal giorno 4 giugno 2005 e attualmente ospita due detenuti -:

quali iniziative si intendano assumere per verificare la idoneità dei locali che ospitano il reparto di osservazione psichiatrica e per verificare altresì le condizioni di appropriatezza sanitaria anche attraverso la valutazione del personale medico ed infermieristico che opera all’interno del reparto di osservazione psichiatrica per stabilire se sia adeguato qualitativamente e quantitativamente, per formazione ed esperienza professionale, a garanzia della salute mentale e fisica della popolazione carceraria ivi ricoverata.

 

Pisapia - Seduta del 18 luglio 2005

 

Premesso che:

in data 23 dicembre 1985, a Cagliari, nel corso di un tentativo di rapina, venne ucciso il titolare di un super market, Giovanni Battista Pinna;

il successivo 29 dicembre, venne arrestato, e portato nel carcere di Oristano, con l’accusa di aver ucciso il Pinna (e per i reati collegati di tentata rapina aggravata e detenzione abusiva di armi), uno studente di 24 anni, Aldo Scardella;

dopo l’arresto - e malgrado quanto previsto dalla legge - ad Aldo Scardella non fu data la possibilità di informare i familiari dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti, né del luogo ove fosse detenuto;

in data 2 luglio 1986, Aldo Scardella, dopo aver trascorso sei mesi in isolamento, senza aver incontrato i parenti e il difensore, fu trovato impiccato nella sua cella nel carcere Buoncammino di Cagliari, ove - dal carcere di Oristano - era stato trasferito il 24 aprile dello stesso anno;

le indagini sulla morte dello Scardella si conclusero, ritenendo la morte dovuta a suicidio;

nel 1996, a seguito di nuove indagini, per l’omicidio del quale era stato accusato Aldo Scardella sono state processate e condannate con sentenza passata in giudicato nel 2002 due persone (Walter Camba e Adriano Peddio);

da tale processo è emerso in maniera inequivocabile la totale estraneità dello Scardella sia rispetto all’omicidio, sia rispetto agli altri reati per cui era stato tratto in arresto;

come sostenuto dalla famiglia di Aldo Scardella - che, con varie istanze, si è rivolta alla magistratura senza però riuscire ad ottenere informazioni soddisfacenti - vi sarebbero, in realtà, aspetti poco chiari nell’ambito della grave vicenda che ha visto coinvolto il loro congiunto;

in particolare - al di là della estrema fragilità indiziaria degli elementi che avevano determinato il suo arresto - l’autopsia disposta dalla magistratura avrebbe evidenziato una palese incongruenza: sarebbero state infatti rilevate tracce di metadone nel corpo dello Scardella, pur non avendo questi fatto uso di droghe, e nonostante le stesse cartelle cliniche del carcere non prevedessero nei suoi confronti alcuna terapia a base di metadone;

inoltre, nel 1989, un detenuto - vicino di cella di Aldo Scardella al momento del suicidio - avrebbe riferito all’Autorità Giudiziaria di essersi accordato con lui per un finto suicidio, al fine di indurre l’autorità di vigilanza all’assegnazione di un piantone per alleviarlo dalla condizione di isolamento;

proprio in considerazione delle anomalie che caratterizzerebbero tale vicenda giudiziaria, la famiglia Scardella, oltre a nutrire forti dubbi rispetto alla circostanza del suicidio "volontario" del loro congiunto, ritiene che vi siano state tutta una serie di circostanze che avrebbero minato la resistenza psicologica di Aldo Scardella, inducendolo quindi all’atto autolesionistico che ne ha determinato la morte -:

quali siano le informazioni e le valutazioni del Ministro sui fatti riferiti in premessa;

quali siano i motivi per i quali ai familiari (nonché al difensore) di Aldo Scardella non è stata data la possibilità, dopo l’arresto, non solo di avere colloqui con il loro congiunto, ma anche di conoscere il luogo ove fosse detenuto;

se non ritenga necessario e urgente assumere idonee iniziative per fare la dovuta chiarezza sulla grave vicenda giudiziaria di Aldo Scardella e, in particolare, per accertare finalmente le circostanze che lo avrebbero indotto al suicidio.

 

Deiana - Seduta del 18 luglio 2005

 

Premesso che:

la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla da sempre tra il 4 per cento e il 5 per cento del totale, non superando mai questa soglia;

le donne detenute in Italia si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all’interno di carceri maschili;

circa 70 bambini al di sotto dei tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, tanto in prigioni interamente femminili quanto in sezioni ospitate all’interno di prigioni maschili;

le donne detenute devono in media scontare pene di lunghezza molto inferiore a quelle degli uomini, la maggior parte non superando i cinque anni;

l’ordinamento penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili, come ad esempio gli asili nido là dove l’istituto o la sezione ospiti gestanti o madri con bambini;

l’associazione Antigone ha reso noti, attraverso una pubblicazione e alcuni seminari, i risultati di una ricerca transnazionale cui l’associazione stessa ha preso parte sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dalla quale emergono i seguenti punti:

nonostante l’esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei, sovraffollamento determinato in massima parte dalle presenze maschili e tuttavia subìto anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili;

le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere - prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità - per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini;

la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all’interno di prigioni maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane. Tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all’interno degli istituti maschili e contenendo l’intera popolazione detenuta femminile nelle poche prigioni interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal luogo di residenza del proprio nucleo famigliare -:

se il Governo non ritenga necessario istituire un apposito ufficio del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.

 

 

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