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Droghe: il coraggio di dire la verità, articolo di Sergio Segio
La Repubblica, 9 settembre 2005
Dopo la morte del quattordicenne di largo Murani, il commento più ferrato e pertinente è venuto da Vittorio Rizzi, capo della squadra mobile milanese: "Occorrono risposte sociali, e non solo di polizia. Non si possono chiudere le tabaccherie o i grandi magazzini". Ma Rizzi ha il coraggio di parlare anche di "riduzione del danno", ovverosia di quelle politiche fondate su prevenzione, strutture a "bassa soglia", unità di strada che, con l’attuale governo, sono state messe al bando, a favore di un ritorno alle comunità (possibilmente chiuse, modello San Patrignano) come panacea di ogni dipendenza o consumo proibito. Una posizione, questa di Rizzi, che potrebbe apparire paradossale, in un quadro normativo che, quasi per intero, predilige la risposta repressiva al problema delle droghe. L’illusione che basti proibire per allontanare (o esorcizzare?) il problema viene – drammaticamente, come in questo caso – riportata alla realtà quando si scopre che "droga" sono anche il gas, le colle, i solventi, gli anestetici per cavalli, per non dire l’alcool, il tabacco. Vale a dire sostanze presenti nell’uso quotidiano o totalmente accettate (se non incentivate e pubblicizzate) dalla cultura e costumi correnti. Peraltro, il capo della mobile milanese dice anche un’altra verità, generalmente nascosta: i casi di morte per aver inalato gas a scopo di "sballo" non sono infrequenti nelle carceri. Ma, il più delle volte, questi decessi vengono pudicamente ascritti alla voce "suicidio". E si capisce il perché: il suicidio di un detenuto non provoca particolari emozioni e allarmi, tanto da essere raramente registrato dalle cronache, a differenza dalle morti per overdose dentro le celle, che per definizione dovrebbero essere "drug free", diversamente verrebbe meno uno dei pilastri della filosofia proibizionista, quella del "meglio in carcere che a drogarsi". Così, di fronte a casi come quello del ragazzo milanese morto, qualche nodo di questa difficile e annosa questione irrompe di prepotenza nella riflessione, salvo poi essere immediatamente ricacciato indietro nella tranquillizzante retorica della nuova emergenza, delle "nuove droghe" (ma sono decenni che si usa questa definizione), della crisi delle comunità, dei nuovi investimenti da farsi nella punizione e nella repressione. E così si ricomincia da capo, in attesa del nuovo caso, dell’ennesimo ragazzo che muore in solitudine su una panchina, delle ennesime lacrime di coccodrillo di un sistema educativo deresponsabilizzato e soprattutto disinformato e di un mondo degli adulti che evita accuratamente di domandarsi se questa "fame chimica" dei giovani non venga per caso incentivata dai modelli competitivi, tesi solo ai soldi e al successo, da aspirazioni e comportamenti poveri di senso che quel mondo distrattamente spaccia tutti i giorni a piene mani. Roma: i Verdi denunciano lo stato di degrado delle carceri
Il Tempo, 9 settembre 2005
Suicidi in aumento, condizioni igieniche precarIe, sovraffollamento: queste le piaghe che gli istituti carcerari del Lazio debbono sopportare a causa di una mancanza atavica di strutture e soprattutto di controlli. A denunciare uno stato di gravi mancanze sono i Verdi del Lazio, con le parole del consigliere regionale Peppe Mariani: "Al di là delle deleghe, della collegialità e del coordinamento – spiega Mariani – ritengo sia un dovere per chi rappresenta la collettività verificare personalmente le condizioni di vivibilità negli istituti penitenziari e ascoltare la voce di quanti sono ai margini della società e rischiano di non essere recuperati. Noi Verdi – assicura il consigliere Mariani – proseguiremo le visite nelle carceri". Il progetto proposto dal consigliere è quello di realizzare un osservatorio sulle carceri che includa agenti penitenziari, sindacati, operai del settore e detenuti al fine di affrontare concretamente e definitivamente le esigenze di un universo, quello carcerario, che vive una condizione di estrema difficoltà. Alla protesta dei Verdi si unisce la visita che l’assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri, l’assessore viterbese Giuseppe Picchiarelli e il presidente dell’associazione "Antigone" Patrizio Gonnella hanno effettuato lo scorso 30 agosto presso il carcere di "Mammagialla" di Viterbo. "Abbiamo rilevato - ha osservato Nieri - un quadro estremamente critico. Il complesso viterbese, che può contare su 285 posti letto, adesso ospita 680 detenuti. La struttura oltretutto consta di edifici molto grandi ma mal utilizzati. Tutte le celle sono predisposte per due persone con un letto a castello, così che lo spazio per vivere e per muoversi è molto ristretto". A seguito della visita, inoltre, sarebbero state riscontrate difficoltà nell’assistenza ai detenuti. "È necessario - ha detto Nieri - che il Consiglio regionale del Lazio discuta al più presto la proposta di legge depositata dal gruppo di Rifondazione Comunista, che prevede il passaggio della medicina penitenziaria alle competenze della Asl". Nieri inoltre ha annunciato le visite agli istituti carcerari di Cassino e di Frosinone entro il mese di settembre. Avellino: Montoro Inferiore, il Comune che "rieduca" i detenuti
Il Mattino, 9 settembre 2005
Dal comune di Montoro Inferiore un segnale importante verso la riabilitazione dei condannati a pene detentive brevi. Tra i primi in Italia, gli amministratori montoresi hanno dato il via libera affinché, chi lo richiede al giudice, possa espletare la condanna in favore della collettività. La possibilità è concessa dall’attuale normativa penale ai condannati con pena sospesa non superiore a un anno. Due le tipologie di attività che vedranno interessati coloro i quali vorranno avvalersi della legge: lo spazzamento di strade comunali e la piccola manutenzione ordinaria di aree a verde. Come sia possibile lo spiega il sindaco Salvatore Carratù: "Siamo partiti dal concetto che la pena non deve divenire semplice sinonimo di segregazione, umiliazione, abbrutimento, scuola di insicurezza, disagio ed addirittura nuova delinquenza, al contrario tramite essa si deve anche tentare di recuperare il soggetto, come è scritto nella Costituzione, che all’articolo 27, riprendendo la lezione di Cesare Beccaria, recita: la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Insomma, riducendo la recidiva diminuiscono i reati e diminuendo i reati aumenta la sicurezza pubblica". Ad ispirare la delibera che pone il comune all’avanguardia su questo fronte è stato il vice sindaco Nicola Montone che spiega il meccanismo legislativo. "Il giudice di pace può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità solo su richiesta dell’imputato. Questo non può essere inferiore a dieci giorni, e superiore a sei mesi e consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso enti pubblici o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato". Roma: finanziamenti regionali per il reinserimento dei detenuti
Il Messaggero, 9 settembre 2005
Prima, l’istituzione del reparto pilota per reclusi negli ospedali di Belcolle di Viterbo e Pertini di Roma. Ora, uno stanziamento di 400 mila euro proposto alla giunta Marrazzo dall’assessore agli affari istituzionali, Regino Brachetti, per progetti di reinserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti. E gli ospiti di Mammagialla partono favoriti poiché, da anni ormai, hanno una loro cooperativa agricola funzionante e seguita dai volontari del Gavac di cui è presidente Salvatore Zafarana. "Questo provvedimento - commenta Brachetti - è un ulteriore contributo della Regione all’adeguamento del sistema carcerario del Lazio ai principi di civiltà giuridica, che si fondano sul rispetto della persona, a prescindere dal suo status, anche se i problemi del settore sono molti e gravi e necessitano di una politica concertata tra i vari livelli istituzionali coinvolti". Nella delibera si parla di finanziamenti fino a 30.000 euro a cooperative che avviino progetti finalizzati al reinserimento sociale dei detenuti e degli ex detenuti, attraverso una occupazione stabile. "L’obiettivo – riprende l’assessore - viene perseguito mediante la ricerca di una condizione indispensabile per ridurre il pericolo di nuovi comportamenti a rischio da parte di chi ha scontato o sta scontando una pena, ovvero la determinazione di una situazione di impiego duraturo". Napoli: il Comune di Pompei dà voce ai figli dei detenuti
Avvenire, 9 settembre 2005
Ispirandosi al beato Bartolo Longo, Carlo Liberati, vescovo-prelato di Pompei e delegato della Conferenza episcopale campana per la pastorale carceraria, ha voluto organizzare per i figli dei detenuti un campo estivo di vacanza. Grazie alla disponibilità di Francesco Alfano, vescovo di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia, il seminario di Sant’Andrea di Conza ha accolto 25 ragazzi e ragazze, dai 6 ai 14 anni, provenienti da varie città delle province di Napoli ed Avellino; alcuni dai difficili quartieri di Scampìa e Secondigliano alla periferia di Napoli. Per una settimana i ragazzi hanno avuto modo di socializzare, di riscoprire, attraverso il gioco e il divertimento, la bellezza e l’importanza dello stare insieme. Soprattutto hanno cominciato a riconoscere i veri valori della vita, del rispetto di sé e degli altri. Il senso di questo primo campo estivo, conclusosi in questi giorni, è così stato sintetizzato da monsignor Liberati: "Far capire che la vita è dono di Dio. Per tutti. E per tutti c’è una chiamata del Signore. Oggi questi ragazzi sono gli ultimi, nessuno si prende cura di loro, sono abbandonati a se stessi. Come fece a suo tempo il beato Bartolo Longo, accogliendoli e dando loro un futuro, anche noi oggi dobbiamo aiutarli a crescere in un modo diverso, ad allontanarsi dalla spirale della violenza e a costruirsi una nuova vita, basata sull’amore cristiano e sul rispetto reciproco". "Hanno così capito - ha aggiunto il vescovo - che anche nella loro difficile condizione, devono ringraziare Dio per il dono della vita. Se ci siamo riusciti è merito della collaborazione di molte persone". Tra queste tanti volontari, i cappellani del carcere di Poggioreale, padre Tullio Mengon, don Gianni De Ronchi, e don Antonio Cimmino della diocesi di Aversa. Tutti si sono detti soddisfatti dell’iniziativa che ha indicato un cammino per dare nuova speranza ai carcerati e alle loro famiglie. Pescara: alla Casa Circondariale un nuovo sciopero bianco
Il Tempo, 9 settembre 2005
Un secondo sciopero bianco, con astensione alla mensa di servizio: è stato proclamato dalle organizzazioni sindacali confederali e autonome della Polizia penitenziaria della casa circondariale di Pescara (Cgil-Fp, Cisl, Osapp, Sappe, Sialpe-Asia, Ugl e Fsa), per protestare contro "le condizioni di lavoro inaccettabili per il personale - si legge in una nota a firma congiunta - all’interno della struttura". I lavoratori avevano già effettuato una analoga manifestazione lo scorso 29 agosto, che aveva fatto registrare una altissima adesione. Ora c’è questa nuova minaccia di sciopero, che però potrebbe anche rientrare: il Provveditore regionale per l’Abruzzo e Molise per l’Amministrazione penitenziaria, ha infatti convocato i rappresentanti sindacali per lunedì prossimo: se in quella sede dovessero arrivare assicurazioni sul miglioramento delle condizioni di lavoro, i sindacati hanno manifestato la loro disponibilità a far rientrare la protesta. Giustizia: cresciuti di trenta volte i delitti dentro la famiglia
Corriere della Sera, 9 settembre 2005
Ferdinando Carretta, che sterminò la sua famiglia nel 1989 a Parma, dal febbraio 2004 ha ottenuto la semilibertà e quindi il diritto di uscire dall’ospedale psichiatrico giudiziario. Un tempo sarebbe stato un sepolto vivo in uno di quelli che si chiamavano "manicomi criminali". Dal 1975, anno della riforma penitenziaria, sono stati ribattezzati Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). In Italia sono 6 con circa mille "ospiti": Castiglione delle Stiviere (Mantova), Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino (Toscana), Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). A detta degli studiosi ed esperti, se si eccettua la realtà di Castiglione delle Stiviere, che ospita soprattutto donne, gli altri sono "un orrendo ibrido tra carcere e manicomio". Gli Opg rappresentano, infatti, la fusione dei due momenti differenti di istituzione penale: il carcere (giuridico penale) e il manicomio (assistenziale - psichiatrico). Negli ultimi anni accolgono, sempre più frequentemente, mamme che uccidono i figlioletti, figli che sterminano i genitori, mogli che eliminano i mariti, fidanzati che massacrano la ragazza. I delitti nell’ambito familiare sembrano moltiplicarsi, in dieci anni sono cresciuti di 30 volte. Secondo l’Eurispes, dal 2000 al 2002 ne sono stati denunciati 180, mentre nei primi 4 mesi del 2003 gli omicidi in matrimoni, convivenze, fidanzamenti, o parenti di vario grado che hanno colpito bambini o neonati, sono stati 49. Trapani: beni confiscati alla mafia per centro di accoglienza
La Sicilia, 9 settembre 2005
Un centro di prima accoglienza in un immobile confiscato alla mafia e concesso in comodato dal Comune alla Fondazione San Vito Onlus che lo gestirà in collaborazione con la Caritas foraniale di Marsala-Petrosino e la "Partita del cuore". È quello che verrà inaugurato il 15 settembre in via della Gioventù e che è stato denominato "Antonio D’Amico". All’inaugurazione interverrà anche il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Calogero la Piana. "Il centro - dice don Francesco Fiorino, presidente della Fondazione San Vito - vuole essere un segno di ripristino della legalità, che noi abbiamo arredato e rimesso a posto per accogliere un numero massimo di sei, sette persone. C’è bisogno del supporto anche degli altri enti e magari dei privati per mandarlo avanti, così come chiediamo ogni volta che ci apprestiamo ad utilizzare per scopi sociali altri centri della provincia. Per la gestione e l’ospitalità di queste persone - aggiunge - ci sarà il nostro personale con in più una figura che avrà la possibilità del reinserimento sociale, avendo noi, come Fondazione, un accordo con un Centro sociale adulti del ministero della Giustizia per il reinserimento delle persone che vengono dal circuito penitenziario o che hanno subito delle pene. Si tratta della cosiddetta Borsa lavoro". La convenzione tra il Comune e la Fondazione San Vito è stata siglata quest’estate e adesso Don Francesco conta anche di iniziare una collaborazione con l’associazione "Amici del terzo Mondo" che sempre in Via della Gioventù ha la nuova sede, in altri locali confiscati. "Tra i nostri programmi - dice - c’è la creazione di un centro di ascolto e sostegno per gli immigrati e un lavoro di sinergia anche con il centro italiano femminile che sempre lì avrà una sede". Giustizia: intercettazioni terrorismo, avvisato chi non è indagato
Repubblica, 9 settembre 2005
Il governo ci ripensa: anche per i reati di terrorismo, oltre che per quelli di mafia e minacce a mezzo telefono, le intercettazioni potranno durare più di tre mesi. E ancora: le persone intercettate ma che non risultano indagate dovranno essere avvisate di essere sotto controllo. Sono queste alcune delle principali novità contenute nella bozza del testo sulle intercettazioni che domani approda in consiglio dei ministri. Si tratta di un’ulteriore versione rispetto alle due precedenti: 14 articoli in tutto rispetto ai 6-8 delle precedenti stesure. Ecco, in sintesi, le novità contenute nella bozza di provvedimento (quasi certamente un decreto legge) del governo. Obbligo di astensione del pm. Il magistrato che "rilascia dichiarazioni sul procedimento che gli è stato affidato, avrà l’obbligo di astenersi dalle udienze". Nel caso in cui, invece, il pm si macchi della colpa di rivelare il contenuto di atti coperti dal segreto di ufficio,quali le intercettazioni, allora potrà essere sostituito. Quest’ultima misura era già prevista nella seconda bozza del provvedimento. Obbligo di avvisare i non indagati. A meno che non si tratti di reati gravissimi quali ad esempio mafia, terrorismo e pedofilia, il pm dovrà avvisare le persone che non risultino indagate in procedimenti connessi o collegati di essere sotto controllo. In non indagati potranno ottenere copia delle registrazioni dei colloqui che li riguardano e potranno chiederne l’eventuale distruzione qualora risultino "irrilevanti ai fini investigativi". Ammende e non carcere per i giornalisti. I giornalisti che pubblicano il contenuto di intercettazioni coperte da segreto rischiano non più il carcere come previsto in una prima bozza, ma solo ammende più salate: da 500 a mille euro anzichè dai 51 ai 258 euro previsti attualmente dal codice. Nell’ultima versione del provvedimento non si parla più di sospensione dalla professione per tre mesi che avrebbe potuto decidere il consiglio dell’ordine dei giornalisti. Un funzionario al servizio intercettazione. Viene indicata una nuova figura, quella del funzionario "responsabile del servizio intercettazione", designato dal procuratore della Repubblica, che avrà il compito di tenere il registro riservato delle intercettazioni e l’archivio riservato nel quale sono custoditi i verbali e i supporti. Le nuove regole. Cambia completamente la procedura per le intercettazioni, ora regolata dall’articolo 268 del codice di procedura penale, che viene pressoché riscritto in toto. I verbali e i supporti delle registrazioni dovranno essere custoditi in un "archivio riservato" nel quale saranno indicati gli estremi del provvedimento e gli estremi di ogni comunicazione registrata compreso una trascrizione sommaria del contenuto della conversazione. Proibito il rilascio di copia dei verbali, dei supporti e dei decreti: i difensori potranno solo prenderne visione e ascoltare. Pene severe per le "gole profonde". I pubblici ufficiali che rivelano il contenuto delle intercettazioni rischiano il carcere da 1 a 4 anni (mentre nella penultima bozza la condanna era da due a sei anni). Attualmente il codice prevede da sei mesi a tre anni. Empoli: estate… al fresco!, concerto finale il 13 settembre
Comunicato stampa, 9 settembre 2005
Le donne detenute prepareranno una sfilata di abiti cuciti da loro stesse. Anche per la manifestazione Estate…al fresco! che dal giugno scorso si sta svolgendo nel giardino della Casa Circondariale femminile a custodia attenuata di Empoli, cala il sipario. Le ultime band musicali si esibiranno mercoledì 13 settembre. Sul palco, gli W.O.M.M., Sbanda e i Clima-X. Chiunque voglia partecipare, deve prenotarsi agli indirizzi ragazzefuori@virgilio.it, tel. 0571 757626 oppure a info@segnalidifumo.net, tel. 0571.80516. Non sarà solo una serata di musica. Sarà anche uno scambio di esperienze, di modi di vivere la detenzione. Invitati speciali sono alcuni ospiti dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Lo stesso direttore dell’Istituto dell’Opg, Franco Scarpa, presente alla penultima serata, ha sottolineato quanto sia importante lo scambio di esperienze e conoscenze. Altra sorpresa della serata. Su una passerella del tutto improvvisata ma accattivante sfileranno le donne del Pozzale, stiliste in proprio degli abiti che quella sera indosseranno, creati nel laboratorio di sartoria. Il progetto denominato Rosaspina è finanziato dal Circondario Empolese-Valdelsa. Le donne sono state affiancate e sostenute dai docenti Giuseppe Fraudatario e Lorenza Borgioli. Un ringraziamento alla Cna e Promomoda per il contributo organizzativo e ad alcune confezioni ed esercizi commerciali dell’empolese che hanno donato materiali e macchinari utilizzati nelle attività. Rieti: 6 mesi di pena, niente permesso per morte figlia e nipotino
Garante regionale dei detenuti, 9 settembre 2005
A soli sei mesi dal fine pena, previsto per aprile 2006, ha visto respinta dal magistrato di sorveglianza di Rieti la richiesta di un permesso straordinario per poter far fronte a una grande tragedia: quella di aver perso, in un incidente stradale, la figlia e una nipotina appena nata. Protagonista della vicenda, denunciata dal Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, un detenuto romano di 49 anni, Roberto A., detenuto nel carcere di Rieti. Mercoledì scorso l’uomo ha ricevuto dagli agenti di polizia penitenziaria la terribile notizia che la figlia, incinta, era morta in seguito a un grave incidente stradale a Roma. I medici del policlinico Gemelli, dove la donna era stata portata, hanno fatto nascere la bambina che portava in grembo per tentare di salvarla. Ma anche la neonata questa notte è morta. "Per far fronte a questa tragedia il detenuto ha avuto, subito dopo la morte della figlia, un permesso di 12 ore di cui, in pratica, solo sei usufruite se si tolgono quelle utilizzate per andare da Rieti a Roma e viceversa - ha detto Marroni - Non si è voluto tener conto di quanto era accaduto e che il detenuto è rinchiuso a Rieti mentre i suoi familiari sono a Roma". A quanto risulta all’Ufficio del Garante Regionale dei diritti dei detenuti, per altro, Roberto A. sta scontando una pena per rapina aggravata che scade il prossimo mese di aprile e in carcere ha avuto, per tutto questo tempo, un atteggiamento ineccepibile. "Per questi motivi - ha detto Marroni, che ha anche tentato di mettersi in contatto con il giudice di Sorveglianza - aver negato a questo detenuto la possibilità di vivere il proprio dolore mi sembra una misura insopportabilmente abnorme. Queste cose accadono quando le istituzioni, in questo caso la magistratura di sorveglianza, affrontano con spirito burocratico questione che invece avrebbero bisogno di ben altra sensibilità". Benevento: il recupero dei detenuti nei piani della Regione
Il Mattino, 9 settembre 2005
Gli interventi sociali dell’assessore regionale Rosa D’Amelio hanno preso le mosse dalla realtà vissuta dai detenuti nel carcere di Sant’Angelo dei Lombardi. L’obiettivo è realizzare azioni concrete per favorire la rieducazione e il reinserimento sociale delle persone che presso l’istituto altirpino devono scontare una pena. Ieri mattina la prima di una serie di visite programmate presso i penitenziari campani. L’assessore D’Amelio ha avviato la raccolta di elementi utili a mettere in atto interventi più coordinati ed efficaci fra Regione Campania e politiche dei singoli istituti carcerari. La struttura santangiolese, aperta di recente, ospita una popolazione di 180 detenuti. Durante l’incontro sono state esposte all’assessore alcune problematiche e progetti rieducativi. "Ho raccolto tutte le istanze che mi sono state presentate - afferma la delegata di Bassolino - mi sono resa conto di persona che presso la struttura di Sant’Angelo dei Lombardi ci sono tutti i presupposti per operare bene e al meglio a favore delle persone che devono scontare una condanna, creando iniziative nei settori dell’agricoltura e dell’artigianato. Ci sono ampi spazi esterni dove potere realizzare progetti legati all’agricoltura mentre all’interno c’è piena disponibilità di spazi per laboratori artigianali e teatrali. Inoltre è mia intenzione avere al più presto un confronto col Provveditore e con i dirigenti di tutte le strutture penitenziarie". Nel corso della mattinata di ieri, Rosetta D’Amelio ha incontrato alcuni detenuti impegnati in due corsi professionali della Regione Campania, rispettivamente laboratori di cucina e sartoria. Le visite nelle carceri campane proseguiranno nei prossimi giorni, per ottenere ulteriori indicazioni sulle iniziative da assumere. Ragusa: l’Associazione Papillon denuncia disservizi in carcere
La Sicilia, 9 settembre 2005
Con una lunga nota fatta pervenire in redazione, il rappresentante regionale dell’associazione "Papillon", di Caltanissetta, per la difesa dei diritti dei detenuti, Alfredo Maffi, denuncia "ll degrado che i compagni detenuti nel carcere di Ragusa subiscono giornalmente". Con la nota si elenca una serie di presunte disfunzioni che vanno dalle "stanze fatiscenti dove i detenuti passano la gran parte del tempo, con finestre coperte ancora da bocche di lupo", alle "docce che vengono consentite soltanto tre volte la settimana", alla mancanza di medicine specifiche ("trovi a disposizione i soliti medicinali unisex, dal Voltaren alla pillola per tutti i dolori"). E poi Alfredo Maffi rivolge i suoi strali al magistrato di sorveglianza secondo il quale "al carcere di Ragusa vi sono due categorie di detenuti, quelli di serie A e quelli di serie B, a proposito della concessione dei benefici". E ancora: "Al carcere di Ragusa il così detto trattamento rieducativo è inesistente". Una raffica di accuse, quella proveniente dal coordinatore regionale di "Papillon", che non poteva passare sottosilenzio. Ne abbiamo parlato con il direttore della casa circondariale di contrada Pendente e il dott. Aldo Tiralongo non si sottrae minimamente ad esaminare le accuse ("certamente speciose") del Maffi. "Una sola verità in tutta la sfilza delle carenze - dice -: quella delle docce. Abbiamo avuto dei problemi che abbiamo prontamente affrontato, ordinando i relativi lavori di ripristino, iniziati, purtroppo, con qualche ritardo. Lavori che però ora procedono speditamente tanto che dovrebbero essere ultimati a giorni. Di tutto ciò ne ho parlato con una delegazione di detenuti : ho spiegato come stavano le cose e ho pregato di pazientare. Il tutto in un clima di assoluta comprensione. Inesistente il trattamento rieducativo? Nulla di più falso. Nel settore la nostra casa circondariale può essere considerata una vera e propria isola felice,così come parlano i fatti". Verbania: spiega le vele la barca restaurata dai detenuti
Ansa, 9 settembre 2005
In meno di un mese hanno lavorato duro, quasi dodici ore al giorno, sotto la guida di due esperti maestri d’ascia lungo i passeggi del carcere di Verbania. Alla fine la barca che alcuni consideravano un relitto ormai irrecuperabile è tornata a essere quasi nuova grazie al lavoro di otto detenuti e domani veleggerà sul lago Maggiore, spiegando una vela con sopra scritto "Oradaria". Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra, non intende mancare a quello che ritiene il primo esperimento di apertura di un cantiere all’interno delle carceri. Un cantiere che ha come obiettivo la creazione di opportunità di lavoro e di reinserimento sociale per coloro che prima o poi lasceranno il carcere. L’imbarcazione a vela, lunga 10 metri, è stata portata nell’istituto di Verbania lo scorso 14 agosto: il relitto, acquistato dal comune di Arona da un privato, era stato notato dagli stessi detenuti che in dicembre avevano partecipato all’iniziativa del Dap di ripristino delle spiagge e del verde della zona. Tra gli otto detenuti che hanno lavorato a tempo pieno alla ristrutturazione della barca ce ne è uno, Tomasto T., colombiano 25 anni, che la settimana scorsa ha beneficiato dell’indultino. Il giovane, però, con alle spalle una condanna per traffico di stupefacenti, ha voluto terminare il suo lavoro. Così - spiegano Vincenzo Lo Cascio e Marco Santoro, i due poliziotti penitenziari autori di questo e altri progetti Dap per la risocializzazione dei detenuti - a Tomasto è stato consentito di tornare in carcere, come volontario, per finire di sistemare la barca. Domani ci sarà anche lui, ad Arona, assieme ad altri cinque detenuti italiani e a due nordafricani, per vedere veleggiare "Oradaria". L’imbarcazione sarà donata alla Protezione Civile locale, ma in futuro non si esclude che potrà essere utilizzata per corsi di vela ai detenuti. Droghe: nuovo allarme a Milano per lo "sniffing" che uccide
La Stampa, 9 settembre 2005
Morto su una panchina, come un ragazzino delle favelas del Brasile, sniffando gas butano da una bomboletta di ricarica per accendini. Solo che è successo a Milano, in una piazzetta di zona Città Studi, quartiere residenziale, e la vittima è un quattordicenne come tanti: bravino a scuola, educato in casa, figlio unico di stimati professionisti, coccolato. A stroncarlo sarebbe stato un mix micidiale tra uno spinello - probabilmente con elevato tasso di principio attivo (THC) - e l’inalazione del gas dalle bombolette che gli sono state trovate in tasca semivuote. Il pm Carlo Nocerino ha disposto l’autopsia e l’esame tossicologico. Ma in città è comunque allarme rosso. Perché il caso del quattordicenne, finora unico nel triste panorama delle morti per droga, metterebbe in luce l’esistenza di un fenomeno per ora solo sospettato o rilevato nelle carceri: lo "sniffing", l’uso cioè di droghe povere, facilmente reperibili, non vietate (si può sniffare dalla colla alla lacca per capelli) e per questo diffuse tra le classi meno abbienti, tra gli ultimi degli ultimi. O tra i ragazzini, come il giovane morto l’altra notte e per il quale i genitori non riescono a darsi pace: "Non avremmo mai immaginato - hanno ripetuto in lacrime agli agenti -, al massimo qualche sigaretta fumata di nascosto...". Invece il giovane rischia di diventare, se le perizie daranno sostanza ai sospetti, la prima vittima delle droghe del duemila: non più eroina, ma pericolose mescolanze tra cocaina e alcol, tra spinelli e gas da bombolette. Una tendenza che all’estero, soprattutto nel Terzo Mondo ma anche nel Nord Europa, miete migliaia di vite proprio tra i giovani e che purtroppo si sta diffondendo molto velocemente anche da noi. Lo "sniffing" provoca euforia e allucinazioni, ma dura poco e viene ripetuto con frequenza. All’apparenza un gioco innocente, in realtà, spiega il professor Franco Lodi, responsabile dell’Istituto di medicina legale, "anche una sola sniffata può provocare fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco, soprattutto se associata, come spesso avviene, ad altri tipi di droghe. Anche gli stessi spinelli che oggi presentano un principio attivo del 20-30 per cento più alto di una volta". Numeri per ora non ce ne sono. "Che io ricordi - conclude il professor Lodi - l’unico caso di decesso da sniffing lo abbiamo riscontrato qualche tempo fa nel carcere di San Vittore". Per quanto riguarda il giovane morto in largo Murani, le indagini sono state affidate alla Squadra Mobile che sta cercando di capire chi può aver venduto lo spinello che mescolato al gas ha provocato la morte del ragazzo. "Non so se si possa già parlare di un fenomeno - spiega il dirigente Vittorio Rizzi - per noi questo è, apparentemente, il primo caso del genere sebbene si tratti di una questione conosciuta e per la quale esiste ampia letteratura. Ma se per le droghe tradizionali si possono seguire delle piste, questo tipo di sostanze può invece sfuggire a qualsiasi tipo di monitoraggio: facili da reperire, si possono acquistare ovunque, spesso non lasciano tracce. Se verrà confermato, si tratta di un caso che sebbene isolato appare gravissimo perché lo sniffing riguarda proprio il disagio giovanile e in particolare i ragazzini di quella fascia d’età che va dai 14 ai 16 anni. Per questo verrà trattato con il massimo rigore". Rimedi? I soliti: il dialogo con i ragazzi. "Quella dei quattordicenni è un’età molto esposta - dice don Gino Rigoldi, storico animatore di comunità per il disagio -, non sono più bambini ma nemmeno adulti e cedono facilmente ad ogni richiamo. Bisogna parlare, parlare e parlare in famiglia". Povere e incontrollabili: è allarme per le nuove droghe
Panorama, 9 settembre 2005
Sono sostanze comunissime e facili da reperire: colle o ricariche per accendini. E sono da sniffare per uno stordimento temporaneo. Ma anche rischiose se assunte insieme ad altri stupefacenti, come cocaina o ecstasy. Il caso del 14enne di Milano, morto dopo aver sniffato gas butano, riapre la riflessione sull’uso delle droghe "non convenzionali" tra i teenager. Di solito l’ultimo fatto di cronaca a far luce su una lunga e tragica serie di casi. Storie personali, drammi separati, casi singoli. E solo a metterli assieme si fa statistica e si dà l’allarme. È successo così anche intorno alla vienda di Daniele, il liceale quattordicenne di Milano, trovato due giorni fa agonizzante in un parco accanto a due bombolette vuote di butano per accendini, e morto poco dopo in ospedale. I risultati dell’autopsia evidenziano gli esiti classici di un’asfissia che potrebbe essere stata provocata dal gas: un quadro anato-patologico che confermerebbe l’avvenuta pratica del cosiddetto "sniffing".
"Povere" e "incontrollabili"
Il papà di Daniele è dentista, la mamma impiegata. Il ragazzo non aveva problemi: andava bene a scuola, i genitori non gli avevano mai fatto mancare nulla. Ora intorno al suo caso si riapre la riflessione sull’uso diffuso delle droghe "non convenzionali" tra i teenager. Che fanno paura: sono "povere" e "incontrollabili". "Povere" perché sono comunissime sostanze (trielina e acqua ragia, colla, vernici - soprattutto spray - e gas di ricariche per accendini), da sniffare per uno stordimento temporaneo. Spesso, per aumentare sballo e rischio, sono assunte insieme ad altri stupefacenti, come cocaina o ecstasy. Incontrollabili perché non esiste spaccio, non esistono statistiche, non esiste prevenzione: vengono inalate da ragazzini, come facevano negli Anni 80 i ninos de rua, i ragazzi di strada brasiliani. "Lo sniffing, l’inalazione di sostanze normalmente in commercio, è un fenomeno dilagante e sfuggente, dalle proporzioni incalcolabili - dice il capo della squadra Mobile milanese Vittorio Rizzi. Perché è l’unico tipo di droga la cui produzione e la cui vendita non costituiscono alcun reato". Le droghe povere più pericolose di tutte sono i solventi organici (come quello che ha usato Daniele) molto diffusi tra gli adolescenti. Il butano per ricaricare gli accendini, i detersivi a base acida, le colle, specialmente quelle industriali.
Milano come Rio
"Il cosiddetto fenomeno dello sniffing, ossia l’inalazione di solventi, colle o gas per accendini e bombolette da campeggio - spiega Marcello Chiarotti, tossicologo forense dell’ università Cattolica di Roma - è riportato tra i giovanissimi in tutto in Nord America ed è presente anche da noi. Nel caso del teenager deceduto a Milano, occorrerà attendere gli esiti delle indagini, per verificare la presenza di tracce di idrocarburi nel sangue e dimostrare così un’eventuale effetto letale del gas, unito ad altre droghe - continua l’esperto. In realtà non esiste molta documentazione su questo fenomeno perché non è sempre facile rintracciare sostanze volatili". Tuttavia in Italia "ci sono stati altri precedenti documentati - precisa Chiarotti - in particolare nelle carceri". Lo sballo dura relativamente poco, provoca euforia, "ma anche un effetto a livello di sistema nervoso centrale che può essere cardiotossico e potenziato dall’assunzione concomitante di droghe convenzionali - insiste il tossicologo - in genere il gas viene confinato in sacchetti di plastica e inalato quindi in ambiente povero di ossigeno. Ricariche per accendini a gas butano, piccole bombolette da campeggio, solventi e colle: si sniffano sostanze che costano poco e sono assai facili da reperire".
In solitudine
Il caso del 14enne metterebbe a nudo un altro comportamento ritenuto in aumento tra i giovani, ossia il drogarsi in solitudine, anche per strada, come ha rilevato l’ultimo rapporto sulle tossicodipendenze che evidenzia un drastico aumento dei baby-consumatori, che possono avere il primo contatto con gli stupefacenti anche a 11 anni. La droga ha perso infatti quell’effetto socializzante dei decenni passati, per assumere una connotazione più strettamente individuale. Inoltre, non ci si riduce più il corpo bucato come un colapasta: eroina e cocaina vengono in genere fumate. A questo trend si aggiunge anche l’aumento della concentrazione di principio attivo negli spinelli (hashish e marijuana, sono anche le droghe più diffuse): il THC per esempio è ormai 4-5 volte più concentrato che nel passato, anche fino al 15-16%.
Le forme dello sballo
Secondo un rapporto dell’Eurispes del 2004, il consumo di stupefacenti, associato anche all’alcool, interessa un adolescente su quattro (28%). Oltre ad ecstasy, anfetamine, ketamine, da qualche tempo è tornato in auge lo "shaboo": arriva dalle Filippine e si presenta sotto forma di cristalli di sale. Shaboo deriva dal nome di un profumo filippino, ma per molti è semplicemente "ice", ghiaccio. Napoli è una centrale di stoccaggio, la testa di ponte per invadere l’Italia. Anche questa droga viene fumata con carta stagnola: sono i vapori che sballano. Mentre si fuma si sente uno strano rumore: uno scricchiolio, appunto come di ghiaccio che si rompe. Tantissimi anche i consumatori di kobrett, ovvero eroina da fumare. Il suo effetto è moltiplicato perché si tratta di eroina base che inalata dà una resa maggiore.
Fuma "‘a buttigliella" e poi sballa
A Napoli la chiamano "‘a buttigliella". I poliziotti l’hanno trovata per la prima volta in vendita nel rione bunker di Taverna del Ferro, a San Giovanni a Teduccio, ex quartiere operaio della città. È qui che la spacciano le sentinelle della camorra, fra loro anche casalinghe: guadagnano 300 euro a settimana. La "buttigliella" è una micidiale mistura di cocaina, bicarbonato di sodio e acidi (prevalentemente lsd) fumata in un modo particolare. Si prende una bottiglietta di acqua minerale, svuotata di un terzo. La si tappa con la carta stagnola che poi viene bucata. La pallina di droga viene messa sulla bottiglietta, accesa, il fumo inalato. L’effetto-sballo è immediato perché la cocaina è quella base, non cloridrata, e quando viene fumata fa andare fuori di testa subito. Una dose di questa droga costa da 15 a 25 euro, è alla portata di tutti e i clan la stanno esportando nel resto del Paese perché redditizia: chi finisce in questo giro ha bisogno di otto-nove dosi al giorno. Piace molto alle donne. Il primo sequestro consistente è stato effettuato qualche settimana fa a San Giovanni a Teduccio: 11 chili di coca, acidi e bicarbonato pronti per confezionare tante buttiglielle. In piazza Garibaldi una mistura simile, con molti più acidi e pochissima cocaina, viene spacciata dagli albanesi che hanno ricevuto l’appalto dalla camorra locale: è stata ribattezzata "‘o pallone 'e Maradona". Può avere effetti devastanti sul sistema neurovegetativo.
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