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Il primato delle presenze carcerarie di tutti i tempi di Adriano Sofri
Il Foglio, 28 settembre 2005
Non so se nel momento in cui scrivo il 60millesimo detenuto abbia già varcato la soglia di una galera italiana, o stia per farlo. Temo che la sciatteria delle nostre istituzioni l’abbia fatto accomodare - o stia per farlo. Prendergli le impronte, fotografarlo per diritto e profilo sinistro e profilo destro, svuotargli le tasche, mettergli addosso un cuscino di gommapiuma gialla coi buchi - come il groviera - e, se va bene, due lenzuola d’ordinanza quasi pulite, una scodella di plastica e via: senza una ripresa televisiva, un’intervista, una domanda penetrante. "Che cosa si prova a battere il primato delle presenze carcerarie di tutti i tempi?". È probabile del resto che non sia italiano. Insomma: abbiamo questo record. Smagliante, se si pensa all’impennata travolgente: in poco più di un decennio, addirittura raddoppiati, i detenuti in Italia. Quale altro settore dell’economia nazionale può vantare un simile sviluppo? Ho controllato sul De Agostini: 60.000 detenuti reclusi (poi ce ne sono due volte tanti che scontano in altre forme una pena o un’attesa) fanno più della popolazione di Cuneo o di Siena o di Matera. Come Savona o Benevento. Immaginate di abolire la dispersione delle carceri italiane, e concentrarle tutte in un luogo: avreste una città come Crotone o Caltanissetta fatta per intero di celle anguste soffocanti mortificanti, e dentro uomini buttati via. Ci sarebbe finalmente una meta istruttiva e divertente per le gite scolastiche, col divieto di noccioline. Dunque: il record. Sta continuando il digiuno cominciato da Corleone, cui hanno aderito a turno molti altri, esponenti politici toscani, il gruppo Abele, Antigone, associazioni di detenuti e di volontari, singoli. Ha il pregio, questo digiuno, di proporsi obiettivi circoscritti, dal momento che nessuno può illudersi oggi che ci sia un’intenzione più che derisoria di affrontare la questione generale dell’amnistia. L’apertura del Giardino degli Incontri a Sollicciano, poetico dono del vecchio grande Michelacci, che si trascina da anni; e poi un dibattito in parlamento (al quale il presidente Casini si sarebbe impegnato) che decida almeno dell’istituzione del garante nazionale per i detenuti, del diritto dei sindaci alla visita in carcere, e della cosiddetta "affettività". Tutti disegni di legge pronti da anni, magari già esaminati in commissione, e lasciati andare a male. Intanto sono scaduti i tempi massimi - cinque anni! - per la realizzazione del nuovo, e già invecchiato, regolamento penitenziario, senza che nessuna delle sue prescrizioni sia stata rispettata. Ma volete che il parlamento, con quello che va succedendo, trovi il tempo per occuparsi dei detenuti primatisti di affollamento e di Aids e di epatite e di tentati suicidi e riusciti e di ogni mutilazione? Tutt’al più lo troverà per votare davvero la cosiddetta Cirielli, che, Previti o no, porterà in galera a occhi chiusi qualche altra decina di migliaia di disgraziati recidivi. È singolare come un vento di rovina si impadronisca a volte delle cose e le travolga, al di là delle intenzioni. Non passa giorno senza un serio e lucido convegno sullo stato delle carceri - uno, promosso dai radicali, sul "carcere illegale", si è appena svolto a Roma, uno a Venezia del volontariato penitenziario. Altri sono imminenti, su temi preziosi come i giornali delle carceri, o le biblioteche. Oggi a Monza si apre un imponente convegno dei medici penitenziari e dell’università milanese della Bicocca, su una questione delicata e, si deve dire, vitale, come le gravi malattie dei detenuti e i criteri della loro incompatibilità con la detenzione. Vi parteciperanno, oltre a specialisti clinici e giuristi, medici penitenziari e magistrati delle Procure e della Sorveglianza, dalla cui interazione, che non di rado è nei fatti una opposizione sorda o aperta, dipende il destino di chi al travaglio della cella deve aggiungere la croce della malattia grave e della disperazione, la paura della morte nell’abbandono e la tentazione del suicidio. È appena uscito un ingente volume di Giuffrè dedicato a "Esecuzione penale e tossicodipendenza", altro tema cruciale per la demografia carceraria e il suo record. Curato da Sebastiano Ardita, il magistrato responsabile del cosiddetto "trattamento" dei detenuti per il ministero della Giustizia, dunque con contributi di autori indipendenti e scientificamente prestigiosi ma con un’autorevolezza ufficiale, anch’esso finisce (o comincia, anche) col proporsi dove sia possibile un’alternativa alla pena della reclusione, e, quando alla reclusione si arrivi, di far prevalere il sostegno psicologico, medico e umano sull’afflizione punitiva o l’abbandono nell’emarginazione e nell’incuria. "Umanizzazione della pena e sicurezza sociale possono e devono percorrere la stessa strada". Ho citato alla rinfusa parole dette e scritte di questi giorni, e altre ne potrei citare, assai differenti fra loro, ma tutte ispirate a un allarme perfino angoscioso sulla deriva inerte che ammucchia corpi umani - e giovani, per lo più, e malati e feriti e umiliati, per lo più - in gabbie ripugnanti, fosse comuni per simil-vivi. In qualunque campo della vita pubblica corrente guardiate, non troverete neanche col lanternino una corrispondenza delle convinzioni e dei fini proclamati con i fatti. Ma in nessun altro la degradazione sembra scivolare via come nel record trionfale e insieme provvisorio della galera: e le buone parole dei convegni, dei medici e dei magistrati, dei volontari e dei preti, dei direttori e dei sindacalisti, stanno a quella realtà di rovina come la mano di un bambino che voglia stringere il mare, e versarlo nel suo secchiello giallo. Giustizia: sull’ex Cirielli anche il Colle ha forti dubbi
Il Messaggero, 28 settembre 2005
L’ex Cirielli torna alla Camera per l’approvazione definitiva dopo la pausa estiva, ma sulla legge - definita anche salva-Previti perché potrebbe beneficiarne l’esponente di Forza Italia - si addensano le polemiche e restano forti i dubbi del Quirinale, che potrebbe non promulgarla per fondati sospetti d’incostituzionalità. Beninteso, il Quirinale per ora non pronuncia, si astiene da qualsiasi commento e aspetta che la legge, che taglia i termini della prescrizione, sia approvata nella versione definitiva in sede parlamentare. Alla Camera, infatti, sono sempre possibili emendamenti da parte della maggioranza anche se il ministro Castelli ha affermato che nel testo sono stati accolti tutti i rilievi dell’ufficio giuridico del Colle. In realtà, come si è detto, i dubbi rimangono e sono molto forti. Riguardano alcuni articoli, come quello sul differimento dei termini della prescrizione, oggetto di un attento esame dello staff giuridico del Colle guidato da Salvatore Sechi. C’è inoltre l’opinione di molti costituzionalisti che hanno definito la legge "criminogena" cioè tale da "agevolare le tattiche dilatorie" della difesa senza prevede un’adeguata sospensione della prescrizione a tutela dell’efficienza del processo. Negli incontri pre-estivi, Carlo Azeglio Ciampi aveva ripetutamente sollecitato Silvio Berlusconi a far apportare congrui cambiamenti alla legge, avvertendo che in caso contrario la legge sarebbe stata "impromulgabile". Contro il disegno di legge della ex Cirielli insorge anche l’Associazione nazionale magistrati che - in una tavola rotonda - parla di "decine di migliaia di processi" (da 40 mila a 70 mila) a rischio di prescrizione in appello per quella che viene definita un’"amnistia mascherata" destinata a vanificare "il lavoro di anni". Eppure - secondo l’Anm - il Parlamento "sta legiferando al buio" senza conoscere l’impatto delle norme al suo esame. "Il ministro Castelli ha tutti i mezzi tecnici per poter avere i dati se non ci riesce vuol dire che non c’è la volontà politica di averli", denuncia il leader dell’Anm Riviezzo. "Il governo si rifiuta di comunicare i dati in suo possesso - incalza, da parte sua, il diessino Brutti - è una scelta assai grave". Ma a Via Arenula respingono le accuse. Viterbo: il carcere è sovraffollato oltre ogni limite
Il Tempo, 28 settembre 2005
Settecento detenuti, un sovraffollamento costante del 40%, una carenza di personale di 140 unità (400 addetti su un organico di 540). Gravi carenze anche sotto l’aspetto sanitario: le 44 ore settimanali di servizio sanitario bastano appena a somministrare le cure ai 400 reclusi in terapia. Questa, in sintesi, la situazione del carcere di Mammagialla, illustrata dal direttore Pierpaolo D’Andria all’assessore regionale agli Affari istituzionali Regino Brachetti, nel corso della sua visita alla casa circondariale, accompagnato dall’assessore provinciale Angelo Corsetti. Il direttore ha spiegato a Brachetti che i problemi di Mammagialla sono dovuti anche al fatto che deve accogliere continuamente gli sfollamenti delle altre carceri regionali: "Evidentemente - ha sottolineato - ci vengono inviati i detenuti più problematici sia dal punto di vista comportamentale che sanitario". "La nostra attenzione - ha spiegato Brachetti - è rivolta sia ai detenuti che al personale. Credo, infatti, che per umanizzare la vita carceraria, bisogna curare anche la formazione della polizia penitenziaria. Puntiamo non solo a creare corsi finalizzati al reinserimento dei detenuti, ma anche alla formazione del personale". Brachetti ha anche chiesto al direttore di partecipare al lavoro di una commissione regionale che si occuperà del diritto alla salute dei detenuti, nonché di contribuire alla stesura della legge regionale sulle carceri. Dopo aver visitato l’infermeria del carcere, Brachetti ha continuato il suo giro, con un incontro in Prefettura con i responsabili delle diverse forze dell’ordine. L’assessore si è poi recato negli uffici territoriali della Regione ed ha annunciato l’intenzione di creare una struttura ad hoc nella quale sarà possibile incontrare periodicamente assessori e tecnici dell’amministrazione. Giustizia: Castelli soddisfatto per accordo polizia penitenziaria
Agi, 28 settembre 2005
Soddisfazione per l’accordo raggiunto tra alcuni sindacati di polizia penitenziaria e il sottosegretario delegato Luigi Vitali, è stato espressa dal ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Prendo atto con soddisfazione - sottolinea - dell’esito del confronto. Evidentemente quando ci si confronta sui contenuti, con reciproca disponibilità, i risultati non possono che essere positivi. Spiace constatare che non tutti hanno voluto cogliere tale opportunità, mettendo peraltro in discussione la legittimazione di Vitali. In proposito - continua Castelli - ricordo che con provvedimento del 28 aprile 2005 a Vitali è stata conferita la delega alla polizia penitenziaria, delega esercitata fin dall’inizio con capacità e pienezza di poteri". Benevento: un saggio-concerto dei detenuti di Arienzo
Il Mattino, 28 settembre 2005
Nel rispetto dell’attenzione verso il sociale, l’amministrazione comunale di Benevento patrocina il concerto che i detenuti della casa circondariale di Arienzo terranno giovedì alle 11 al teatro comunale. Da tempo l’amministrazione D’Alessandro, tramite l’assessorato alla Cultura, segue con attenzione le attività delle fasce più deboli della popolazione: basti ricordare l’apertura al sociale di Città Spettacolo ed il tradizionale appuntamento con il "Natale Azzurro" dell’Unicef. Questa volta, dopo l’esperimento dei detenuti di contrada Capodimonte, apre il Comunale a "Canto...dentro", saggio dei detenuti allievi del corso di educazione musicale del carcere di Arienzo. "La partecipazione e la solidarietà sono principi che vanno praticati e non solo enunciati - ha sottolineato l’assessore Nazzareno Orlando nel corso della conferenza di presentazione dello spettacolo - per questo motivo, dopo la collaborazione con la casa circondariale di Benevento, abbiamo subito aderito con entusiasmo all’invito pervenutoci da Arienzo per presentare a Benevento il saggio musicale dei detenuti. La cultura, infatti - ha concluso Orlando - deve essere mezzo di reinserimento sociale". Il lavoro che sarà presentato al Comunale, nell’interpretazione di sei detenuti del carcere di Arienzo e di un minore detenuto presso l’Istituto penale di Airola, rientra - come ha spiegato la direttrice del carcere di Arienzo Carmen Campi - nell’ambito di un programma trattamentale iniziato cinque anni fa. Il saggio, illustrato dal maestro Franco Capozzi direttore del corso di educazione musicale della casa circondariale di Arienzo, propone canzoni del repertorio musicale leggero italiano e napoletano. Lo spettacolo si svolge in collaborazione con il Centro dei Servizi Amministrativi di Benevento che si è attivato per consentire ad alcune scolaresche di assistere al saggio. Civitavecchia: il detenuto polacco si è ucciso per il rimorso
Corriere della Sera, 28 settembre 2005
Dal carcere sarebbe uscito ieri. Mancava poco per gustare di nuovo l’aria fresca che arriva dal porto di Civitavecchia. Il mare non è lontano, dalla casa circondariale si sente l’odore. Ma le ultime ore in cella per Adam Milewski, 40 anni, cittadino polacco, operaio, residente da molti anni a Passo Scuro, sono state le peggiori. Il ricordo è ritornato: la sera del 27 giugno scorso quando alla guida della sua Fiesta ha ucciso Paola Carta, 31 anni, ciclista. Un’immagine che doveva tormentarlo da tempo, e Adam ha deciso che non aveva nessuna voglia di tornare libero, "non si può essere sereni con un peso così sulla coscienza", e poche ore prima della fine della pena si è impiccato nella sua cella con un cappio, realizzato con la cintura dell’accappatoio e con i lacci delle sue scarpe. Tre mesi dura la custodia preventiva per l’omicidio colposo e l’omissione di soccorso e tre mesi erano passati. E lui non aveva curato i rapporti con l’avvocato d’ufficio, non aveva chiesto la revoca della custodia cautelare, non sembrava molto interessato alla libertà. "Aveva spesso mal di testa e non parlava molto", avrebbe raccontato il suo compagno di cella, un detenuto italiano. Il suo ultimo gesto era premeditato, ci stava riflettendo da tempo. Lunedì mattina ha annunciato alle guardie penitenziarie che avrebbe rinunciato all’ora d’aria, voleva restare in cella. Nessuno si è insospettito, ha fatto credere di sentirsi poco bene, il compagno di detenzione è andato a passeggiare, Adam era solo, nessuno lo ha potuto fermare. Ha preso un foglio, ha scritto velocemente quattro, cinque righe, indirizzate a don Salvatore Costanzo, il cappellano del carcere. Poche parole per chiedere perdono al religioso, suo confidente e consolatore, per il gesto che un cattolico non dovrebbe mai compiere; per chiedere perdono ai familiari della giovane donna uccisa. E per esprimere un desiderio, l’ultimo: "L’Italia è la mia nuova patria, vorrei restare qui, vorrei essere sepolto dove vivevo". Il detenuto, con cui divideva la giornata, è tornato dietro le sbarre e lo ha trovato senza vita, con il foglietto vicino al corpo. Una morte inspiegabile - si è pensato in un primo momento - per un detenuto che stava per uscire. Tanto che la magistratura ha affidato i primi rilievi ai carabinieri, non alla polizia penitenziaria come accade spesso in questi casi. Ma il biglietto non ha lasciato dubbi sulla volontà suicida dell’uomo. "Le grate in qualche modo lo proteggevano, rendevano il suo peso più sopportabile, mentre tornare in strada doveva pesargli parecchio. Lui era inserito nella comunità in cui viveva, per questo uscire, incontrare magari i parenti della donna che aveva ucciso, è stato per lui insopportabile", spiegano gli investigatori. Adam investì Paola alle otto della sera, con ogni probabilità era ubriaco, scappò lasciandola a terra, in fin di vita. La sua auto fu scoperta dai carabinieri alle tre di notte nascosta in una siepe. La parte anteriore portava i segni evidenti di un urto violento, il polacco fu subito rintracciato, era confuso, "non ricordo nulla", disse ai militari che lo interrogarono. Il test etilico dette esito negativo, ma erano passate sette ore dall’incidente. Il carcere di Borgata Aurelia è uno dei penitenziari in Italia dove si registra il maggior numero di suicidi e tentati suicidi. Toccherà all’ambasciata di Polonia trovare un posto per il corpo del connazionale che vuole restare in Italia. Vicino al mare. Is Arenas: paradiso per i ministri, inferno per gli agenti...
La Nuova Sardegna, 28 settembre 2005
Scoppia la rivolta degli agenti di polizia penitenziaria della casa di reclusione di Is Arenas. Gli organici ridotti all’osso e i conseguenti turni massacranti hanno fatto scattare la protesta dei novanta agenti e dei sindacati che li rappresentano. Il ministro Castelli è avvisato. Il paradiso estivo del ministro della Giustizia, che nella spiaggia della colonia penale trascorre le sue vacanze pernottando nella suite direzionale della struttura carceraria, sarebbe quindi un inferno per chi vi lavora. Agenti e sindacati di categoria (Cgil-Fp, Sappe, Sialpe e Sinape) la definiscono "una grave e drammatica situazione di disagio e di malessere" e minacciano di tramutare lo stato di agitazione in una manifestazione di piazza se da parte del ministro Castelli e del provveditore regionale Massidda non ci saranno a breve risposte adeguate. L’elenco dei disagi è lungo, ma alla fine questi si riconducono tutti alla carenza di personale che, a detta dei sindacati, "sta pregiudicando pesantemente la possibilità di usufruire dei fondamentali e più elementari diritti dei lavoratori". L’organico è sulla carta di circa novanta unità, ma a conti fatti in servizio effettivo risultano poco più della metà. Quelli che sono andati in pensione negli ultimi anni, una trentina, non sono mai stati sostituiti, una quindicina usufruiscono di tre giorni di permesso sulla legge 104, altri sono impegnati regolarmente in corsi di formazione nella scuola di Monastir, quattro o cinque sono giornalmente al nucleo traduzioni o in piantonamenti, qualcuno è in convalescenza da lungo tempo e infine, tanto per dare la botta finale, tredici agenti sono a Roma per la festa nazionale della polizia penitenziaria. A Is Arenas quindi sono rimasti davvero in pochi, a fronte di una popolazione carceraria di circa cento detenuti. A dare la giusta misura dei problemi interni è la mancanza di personale femminile all’interno della struttura carceraria. Nella colonia penale c’è una sola agente, assolutamente insufficiente a garantire i servizi a cui è preposta. Non potendo essere sostituita in caso di assenza, le sue mansioni vengono praticamente sospese. "Si pensi in particolare - denunciano i sindacati - alla impossibilità di effettuare le perquisizioni dei familiari di detenuti di sesso femminile. Quando non c’è la collega passano dritte, con il solo controllo del metal detector". E le sostanze stupefacenti? Passano, purtroppo. Cagliari: con il carcere l’impresa diventa solidale…
La Nuova Sardegna, 28 settembre 2005
"Il cammello passerà attraverso la cruna dell’ago", non per un gioco virtuale sul versetto della Bibbia a proposito dei ricchi impossibilitati a entrare nel regno dei cieli, ma per il progetto nato ieri nella comunità "La Collina" dopo mesi di impegno di un gruppo composito. Per la prima volta succederà che un’associazione di categoria di imprenditori (l’Apisarda) lavorerà per allargare il concetto di etica d’impresa fino ai confini della solidarietà sociale mettendo a disposizione dei detenuti di Cagliari, Quartucciu e Iglesias la più efficace possibilità di riscatto: un lavoro. Non sarà un’apertura qualunque e casuale. Sull’altro fronte, quello dei detenuti, un gruppo di professionisti condurrà uno screening nelle carceri e promuoverà azioni di orientamento per capire cosa hanno alle spalle, cosa sognano nel chiuso della cella e che cosa, nella realtà, i detenuti saranno in condizione di fare dopo, per esempio, un corso di formazione professionale. L’amministrazione penitenziaria collaborerà attivamente, assieme al tribunale per i minori, al magistrato di sorveglianza e ai comuni di Parteolla e Basso Campidano. In 2 anni, l’obbiettivo è mettere al lavoro almeno 30 detenuti e, soprattutto, elaborare un modello di azione perché le carceri italiane comincino a professionalizzare il recupero di oltre 110 mila persone. Certo non è la prima volta che si parla di promuovere il recupero sociale dei detenuti attraverso il lavoro e di coinvolgere il mondo delle imprese in questo. La novità importante che le istituzioni intendono esplorare è la trasformazione dell’intervento singolo, volontaristico, estemporaneo in un protocollo di azioni continuate, dove si sa cosa fare e a chi chiederlo dall’esatto momento in cui per un detenuto si profila la possibilità di accedere a misure alternative alla carcerazione piena. Un modello in Sardegna già esiste, è la comunità La Collina del cappellano dell’istituto minorile di Quartucciu, don Ettore Cannavera, ma anche ieri mattina il sacerdote ribadiva che la metodica loro è "artigianale", imperniata sui contatti personali di Cannavera e degli operatori e sulla fiducia che questa struttura ha saputo infondere nella magistratura e negli operatori carcerari. Ci sono altre decine di detenuti che potrebbero cominciare a costruirsi un’alternativa alla recidiva, il rischio presente nell’80 per cento dei casi che, una volta usciti, si torni in galera (per lo stesso reato o altri, non fa differenza). Trovare un lavoro stabile (e prepararsi per questo) quando ancora si sta scontando la pena crea una condizione assolutamente favorevole: finita la pena, si è già inseriti in un contesto lavorativo e umano ormai collaudato e "ciò che cambia - ha spiegato Cannavera anche in altre occasioni - è soltanto l’alloggio, non più il carcere o la comunità, ma la casa propria". L’idea è venuta a Fabrizio Floris, associato di Sos (Servizi all’occupazione e allo sviluppo), adesso coordinatore generale del progetto che si chiama Laboris e che riceverà un finanziamento dall’Unione europea e una quota anche dall’assessorato regionale al lavoro. Laboris, ieri mattina, nella biblioteca della comunità La Collina è entrato ufficialmente anche in un altro progetto europeo, Caravel, cui partecipano gruppi di operatori della Gran Bretagna, del Portogallo e del Belgio tutti attivi sul tema recupero sociale dei detenuti. In due anni arriveranno 930 mila euro, che serviranno per mettere in campo tutte le azioni e le professionalità necessarie per sostenere da un lato i detenuti e dall’altro le imprese. Spiegava ieri Gilberto Marras coordinatore del centro studi e ricerche di Apisarda: "Genericamente un imprenditore sa che esistono sgravi fiscali quando si assumono persone svantaggiate, ma l’obbiettivo vero nostro in questo progetto è l’acquisizione di un maggior grado di responsabilità sociale. Perché è diffusa la convinzione che non basti un incentivo per accogliere in azienda per esempio un detenuto, bisogna essere capaci di accoglierlo. Promuoveremo subito uno studio specifico sulla propensione delle imprese a includere persone come i carcerati. Servirà da un lato per conoscere il problema dall’altro per motivare gli imprenditori verso questa scelta. La meta finale può essere portarli a fare il bilancio sociale, che è una sorta di analisi di ciò che si investe in qualità ambientale, in lotta all’emarginazione sociale ecc. l’ultimo traguardo emerso nella riflessione sull’etica di impresa. Assieme a Isfor Api, il nostro ente di formazione professionale - ha spiegato ancora Marras - lavoreremo sia sulla domanda di lavoro, cioè le figure che gli imprenditori cercano, sia sull’offerta, che è quel che i detenuti saranno in condizione di fare". Il gruppo coordinato da Sos entrerà nelle carceri di Cagliari e Iglesias e al minorile di Quartucciu: "Dobbiamo fare lo screening di tutti i detenuti che hanno i requisiti di legge per accedere alle misure alternative al carcere e, comunque, per essere ammessi ai progetti di recupero - spiega Paola Pau di Sos. Intendiamo individuare un centinaio di detenuti cui rivolgere un’azione di orientamento che valuti sia le loro eventuali competenze sia quel che pensano di dover fare o di voler fare. I dati si incroceranno con l’attività di Apisarda e Isfor organizzerà i corsi di formazione che si renderanno necessari". L’intera attività sarà seguita da un comitato di gestione composto dai rappresentanti delle sei entità partecipanti al progetto. Ci sarà la supervisione della Regione e ieri non è mancata all’appuntamento l’assessore al lavoro Maddalena Salerno, che ha illustrato leggi e bandi sul tema lavoro per le categorie svantaggiate e ha salutato con gran favore la scommessa di Laboris. Tempio Pausania: Rotonda, vertice decisivo fra sette giorni
La nuova Sardegna, 28 settembre 2005
La risoluzione del caso della "Rotonda" può attendere. La sua trattazione al ministero della Giustizia è stata rinviata di una settimana. Era prevista per ieri pomeriggio. Ma impegni del Guardasigilli Roberto Castelli hanno reso impossibile il suo incontro con i sindaci di Tempio Antonello Pintus e di Olbia Settimo Nizzi e la presidente della provincia Pietrina Murrighile intenzionati a chiedere la sospensione del decreto di chiusura - di fatto già operativo ormai da una settimana - della Casa circondariale di Tempio. Della questione si parlerà comunque nel corso di un prossimo incontro, da tenersi con ogni probabilità o martedì o mercoledì prossimi. Il rinvio di una settimana non manca di esser visto positivamente. Non senza speranza nell’ottenimento di un qualche successo nel tentativo di rinviare la definita interdizione della "Rotonda", accelerata invece dal decreto del ministro e giunta creare tanti disagi a detenuti e loro familiari oltre che rendere più difficoltosa l’amministrazione della giustizia in Gallura. Ne sono convinti alcuni amministratori comunali tempiesi che in questi ultimi giorni hanno attivato - puntando sulla contingente consonanza politica e governativa - gli opportuni canali nelle persone del ministro dell’Interno Beppe Pisanu e del sottosegretario alla Difesa Salvatore Cicu per raggiungere il ministro leghista Castelli. "Il ministro dell’Interno - riferisce il forzista Franco Anziani, assessore comunale - ha parlato a lungo al telefono in mia presenza col ministro Castelli prospettandogli ancora una volta la questione della "Rotonda" e la possibilità di eseguirvi subito quegli interventi utili a migliorarne temporaneamente le condizioni. Di qui l’appuntamento ai primi giorni della prossima settimana". Ancona: 600mila euro l’anno per vigilare un carcere chiuso
Il Messaggero, 28 settembre 2005
Carcere di Barcaglione: una spesa di 600mila euro l’anno per la sola vigilanza della struttura. La denuncia arriva dall’onorevole Eugenio Duca che ieri, nel corso dell’incontro tra i parlamentari e il sindaco Sturani in Comune, ha lamentato gli sprechi legati al nuovo penitenziario. "A fronte di tante richieste di opere da finanziare - ha sottolineato il parlamentare - vorremmo che almeno una fosse completata prima della fine della legislatura. Si tratta del penitenziario di Barcaglione, per la cui custodia si spendono ben 600.000 euro ogni anno. E parlo della sola vigilanza della struttura, con l’impiego di forze dell’ordine per scongiurare furti o danneggiamenti all’interno". Uno scandalo, lo definisce Duca. Parlamentare che auspica appunto lo stanziamento, da parte del governo, dei fondi necessari per rendere operativa la struttura al Barcaglione. Giustizia: manifestazione a Roma degli agenti Cgil Cisl e Uil
La Provincia di Como, 28 settembre 2005
Protesteranno oggi in piazza a Roma, e ci sarà anche una folta delegazione di poliziotti penitenziari comaschi della Cisl Fps, per riportare l’attenzione sul sistema penitenziario italiano. Secondo Cisl, Cgil Uil Sag-Unsa e Osapp: "Al costante aumento dei detenuti, all’apertura di nuovi penitenziari non corrispondono adeguate misure che riguardano gli agenti. E alla crisi del sistema, l’Amministrazione risponde con contrazione degli organici". Milano: detenuti regalano una scultura a favore dei trapianti
Corriere della Sera, 28 settembre 2005
Un’idea e una collaborazione nate per sostenere l’Admo, l’Associazione donatori di midollo osseo. Il risultato è una scultura realizzata dai detenuti del carcere di Busto Arsizio dal titolo "La valenza mondiale del trapianto di midollo osseo". Verrà collocata all’aeroporto di Malpensa, al Terminal 1, e inaugurata il 6 ottobre. "Due giovani artisti, Simone Massara e Diego Petoletti -, racconta Luigi Malini, coordinatore regionale dell’Admo - sono venuti da me con l’idea di creare un’opera per sensibilizzare la gente al bisogno di donatori". "Abbiamo deciso di coinvolgere i detenuti - aggiunge Simone Massara -, per dare la possibilità a chi ha sbagliato di fare qualcosa di utile". I due scultori hanno lavorato per sei mesi dentro la Casa circondariale insieme a cinque carcerati. La scultura è in ferro e sasso, si estende su una superficie di 25 metri quadrati ed è alta quasi tre metri. Rappresenta due emisferi su cui poggiano un donatore e un ricevente, allacciati tra loro da un filo. Perché Malpensa? "È il simbolo del collegamento tra i continenti - spiega Malini -, lo stesso del sistema delle donazioni. Vogliamo collocare una statua uguale in altri quattro punti del mondo". Bologna: al Ser.T. 6.500 alcolisti e 5.300 tossicodipendenti
Redattore Sociale, 28 settembre 2005
Aumentano gli alcolisti e i tossicodipendenti che si rivolgono ai Ser.T. Il loro identikit è sempre più caratterizzato da un’età tra i 35 e i 50 anni, bassa scolarità e situazione di marginalità sociale. E il dato preoccupante è il fatto che "sniffare" viene considerata una modalità d’assunzione innocua. Sono alcuni dei dati che emergono dal "Rapporto droga 2004" elaborato dall’Osservatorio epidemiologico metropolitano dipendenze patologiche dell’Ausl di Bologna. L’abuso di alcol riguarda, secondo le stime, circa 6.500 persone. Tra di loro aumentano quelle che si rivolgono ai Sert: 913 nel 2004 contro 808 dell’anno precedente, a fronte di una diminuzione dei ricoveri in ospedale (da 1.014 sono scesi a 998). L’età media degli alcolisti è di 49 anni, il 23% è costituito da donne e il 7,5% da stranieri. Per quanto riguarda l’abuso di droghe, invece, si stima che i soggetti che hanno avuto problemi di vario tipo per l’utilizzo di sostanze pesanti siano circa 5.800. L’età media, tra i 3.169 casi studiati, è di 34 anni e uno su cinque è stato in carcere o segnalato dalle forze dell’ordine. Il 16% è senza fissa dimora. I consumatori di oppiacei, cocaina e benzodiazepine seguiti dai Sert sono stati 2.508, contro i 2.397 del 2003. Tra questi, quattro su dieci sono seguiti dal Servizio per le tossicodipendenze almeno dal 2001. Sono passate da 215 a 249 le richieste di aiuto all’Unità mobile, così come è cresciuto il numero di tossicodipendenti che hanno avuto un’esperienza di carcere (da 445 a 522). Altro dato significativo è la crescita del numero di persone ricoverate in ospedale a causa dell’assunzione di stupefacenti (da 295 a 323). Diminuiscono invece (da 965 a 613) le segnalazioni dei Nuclei operativi territoriali della Prefettura. Nel rapporto viene rilevata inoltre una diminuzione delle presenze in comunità terapeutica (da 416 a 395). In linea con le tendenze delineate negli ultimi anni dagli studi epidemiologici italiani ed europei, non smette di crescere il consumo di cocaina. Il 40% dei tossicodipendenti oggetto del rapporto ne ha fatto uso nel 2004. Tra i residenti nella provincia di Bologna, invece, almeno due persone su mille hanno avuto problemi legati all’uso di cocaina. In aggiunta diventa sempre più frequente, come spiega il responsabile dell’Osservatorio Raimondo Maria Pavarin, "il fenomeno della poliassunzione, cioè l’uso contemporaneo di cocaina, altri tipi di droga e alcol, che crea una miscela devastante" che coinvolge il 43% del campione studiato. "In particolare si nota come, una volta diventati consumatori di cocaina, si comincia spesso a consumare anche eroina con la stessa modalità d’assunzione. Questo - continua Pavarin - è dovuto al fatto che ‘sniffarè viene considerata una modalità d’assunzione innocua e si pensa che tale rimanga anche quando si usa eroina". Da non dimenticare, poi, l’incidenza dell’uso di droghe nella contrazione di virus quali l’Hiv e l’epatite C. Rispetto al 2003, sono risultati stabili i casi di Hiv mentre sono cresciuti quelli di epatite. Per quanto riguarda, infine, la distribuzione geografica del fenomeno droga rilevata nel rapporto dell’Ausl, è in aumento il numero di tossicodipendenti che provengono da fuori dell’area metropolitana, da fuori regione e dei disoccupati. Tra i soggetti inclusi nello studio solo il 25% di loro ha il diploma di scuola media superiore. Giustizia: polizia penitenziaria, protesta e festa nello stesso giorno
Comunicato Stampa, 28 settembre 2005
La protesta di diverse sigle sindacali, tra le quali la Cisl-Fps, organizzazione alla quale è affiliato il Si.Di.Pe. (Sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari), tra l’altro ampiamente preannunciata, non deve essere intesa come una provocazione da celebrare nel giorno della "Festa del Corpo della Polizia Penitenziaria". Essa rappresenta, invece, l’allarme preoccupato di quanti, operatori penitenziari stentino a trovare risposte nell’azione del Dap. Il Sidipe pur rilevando come, in questa legislatura, sia stato fatto più di quanto realizzato nelle precedenti (leggasi concorsi per contratti a tempo determinato per Educatori e Collaboratori Amministrativo - contabili, concorsi per contratto a tempo indeterminato per le stesse figure professionali, rilancio dell’edilizia penitenziaria con l’apertura di nuove strutture, conforto reale e sostegno del Pres. Tinebra al Ddl Meduri sulla riforma della dirigenza penitenziaria, divenuto poi legge il 13 luglio scorso…), non può astenersi dal rilevare come non sempre l’azione riformatrice invocata dal Ministro abbia trovato reali e convinti interpreti nell’alta intellighenzia amministrativa del Dap, talché la sensazione è che il solo Tinebra, insieme con il Vicecapo del Dipartimento Di Somma e pochi altri, percepissero realmente tale fondamentale esigenza. Una obiettiva e razionale distribuzione delle risorse umane, una ponderata e coerente previsione del fabbisogno del personale diversificato tra le diverse professionalità penitenziarie per il prossimo triennio e per il tempo a venire, l’esigenza primaria ed irrinunciabile di assegnare le risorse umane negli istituti penitenziari e nei servizi sul territorio, contestualmente alla previsione di un’organizzazione a livello centrale meno elefantiaca e più snella, continuano ad essere condizioni indispensabili ed irrinunciabili, tanto più se si vuole perseguire un ponderato traguardo di decentramento di funzioni di gestione. Ad esse si accompagna l’esigenza di un rapporto leale, aperto, di reciproca fiducia ed attenzione verso le parti sindacali, instaurando per davvero la cultura del confronto e della partecipazione con i rappresentanti dei lavoratori, il che significa ricercare costantemente trasparenza e non perseguire la strada del compromesso, semmai con alcuni, per cui i sindacati non devono essere percepiti come elementi di disturbo e con i quali si possono concludere "componenda", bensì devono essere interpretati come i naturali interlocutori con il mondo del lavoro penitenziario ed il loro interesse che tutto funzioni per il meglio non è diverso o secondo rispetto a quello del Governo, del Ministro, del Dap. E che ci sia tale esigenza è rilevabile dal crescendo del numero dei detenuti e dalla disperazione che ne deriva, ove non si provvederà urgentemente al reperimento ed all’allocazione delle necessarie risorse umane e strutturali.
Il Segretario Nazionale, Enrico Sbriglia Roma: da Garante dei detenuti solidarietà a lavoratori penitenziari
Ufficio del garante regionale dei detenuti, 28 settembre 2005
Il Garante regionale dei diritti detenuti Angiolo Marroni ha espresso la propria solidarietà ai lavoratori penitenziari impegnati nella manifestazione nazionale di Roma organizzata da Cisl Fps, Cgil Funzione Pubblica, Uil Pubblica Amministrazione, Sap e Osapp. I lavoratori chiedono, fra l’altro, al Governo e all’Amministrazione penitenziaria misure urgenti per contenere il sovraffollamento nelle carceri, un piano straordinario di investimenti nell’assistenza sanitaria e per la vivibilità delle carceri, l’assunzione di 500 agenti ausiliari, di educatori, assistenti sociali, contabili e psicologi che hanno ultimato i propri concorsi e l’adeguamento delle piante organiche della polizia penitenziaria alle reali esigenze lavorative. "I lavoratori penitenziari chiedono cose sacrosante - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - ed è per questo che è difficile non stare dalla loro parte. Loro sono fra i protagonisti del trattamento, sono la prima linea, quelli che stanno in carcere 24 ore al giorno e che sono più a contatto con i detenuti. Se vogliamo davvero che il carcere non sia più un mondo di diritti negati, dobbiamo prestare ascolto a quello che questi lavoratori rivendicano. Farò quanto in mio potere per sostenere, nelle sedi adeguate, le rivendicazioni dei sindacati degli agenti di polizia penitenziaria che sono il grido di allarme di un mondo che sta, sempre più velocemente, arrivando al collasso". Infermieri penitenziari: la situazione della medicina è penosa
Redattore Sociale, 28 settembre 2005
Da qualche giorno il dr. Margara, Garante dei diritti dei detenuti e delle detenute di Firenze, al quale in segno di solidarietà si sono aggiunte diverse personalità, sta attuando lo sciopero della fame per attirare l’attenzione sulla drammatica situazione nelle carceri. Solidarizziamo in pieno con l’azione del dr. Margara e crediamo che sia utile ribadire la penosa situazione in cui versa la medicina penitenziaria". A parlare è il Sai, il Sindacato autonomo degli infermieri, che cita i motivi alla base della situazione. Lo fa con un appello a firma del Segretario nazionale, Marco Poggi, e del vice segretario Sandro Quaglia. "Mancanza di progettualità assistenziale che noi infermieri chiediamo da anni – si legge nella nota/appello del Sai -; mancanza di corsi di aggiornamento per gli infermieri penitenziari che chiediamo da anni; disinteresse assoluto su qualsiasi tematica assistenziale presentata al Ministro della Giustizia; silenzio ed assoluta mancanza di volontà sul passaggio della medicina penitenziaria alle AA.SS.LL. per un assurdo arroccamento a salvaguardia dei medici incaricati e dei loro privilegi; depauperamento costante delle somme assegnate alle aree sanitarie degli istituti di pena; assoluto disprezzo della professionalità e dignità degli infermieri". Continuano gli infermieri penitenziari: "Molto altro ci sarebbe da scrivere ed è anche per questo e non solo per una mera protesta sindacale che dal 5 al 7 ottobre il segretario nazionale ed il suo vice faranno un presidio permanente davanti al Dap in Largo Luigi Daga 2 a Roma con sciopero della fame e della sete per vedere di sensibilizzare, chi già per dovere istituzionale dovrebbe esserlo, sulla gravità del problema e per un democratico confronto per il suo superamento". "In funzione di quanto sopra – conclude il Sai -, facciamo appello a tutte le istituzioni, ai politici, ai colleghi, e a tutte le persone comuni ancora credono che un mondo democratico fatto di umanità e civiltà e a tutti coloro che credono nella validità della nostra costituzione e a coloro che hanno nella loro convinzione che lo stato ha il dovere di punire ma non il diritto di vendicarsi e per una pena che sia realmente espiativa e non affittiva. Pertanto ribadiamo la richiesta di una vostra adesione al nostro appello tramite telefonino ai numeri 3488473294; 3395936403 o per mail a saisind@libero.it; poggimarco2@libero.it; sandroquaglia@virgilio.it". Giustizia: Castelli; no amnistie ed indulti, ma certezza della pena
Adnkronos, 28 settembre 2005
Il numero dei detenuti negli ultimi dieci anni è cresciuto di un terzo, passando dai 45 mila del 1996 ai 60 mila di oggi, anche perché al ricorso periodico ad amnistie e indulti si è preferito far prevalere la certezza della pena. Ma nelle carceri italiane, è diminuito il numero dei suicidi e dei decessi naturali nonché quello delle evasioni. Sono questi i dati fondamentali sul pianeta carceri che il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha illustrato parlando davanti al Colosseo - alla presenza tra gli altri del Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi e del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - in occasione della festa del Corpo di polizia penitenziaria. Giustizia: Castelli; bilancio positivo per polizia penitenziaria
Apcom, 28 settembre 2005
"Gli agenti non operano più soltanto dietro le mura degli istituti, ma sono investiti di un ruolo aperto al mondo esterno, coerentemente alla convinzione che il dettato dell’articolo 27 della Costituzione si realizza con un carcere il più possibile aperto alla società". È quanto ha detto il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, intervenuto oggi alla Festa della Polizia penitenziaria, a Roma, cui partecipano il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra, gli esponenti del governo e dei responsabili delle Forze dell’ordine. "In questi anni, difficili e complessi - ha aggiunto Castelli - abbiamo vissuto ed operato stretti, da un lato, dalla domanda sempre più pressante che nasce dal Paese di maggiore giustizia e maggiore sicurezza, dalle difficoltà di bilancio, dalla necessità di garantire un livello dignitoso di vita ai detenuti, e, dall’altro, dalla volontà, non solo politica, ma anche e soprattutto emotiva, di esaltare sempre più l’immagine del Corpo". Il maggior problema che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha dovuto affrontare in questa legislatura, ha proseguito Castelli, è stato "l’inesorabile e costante aumento di popolazione detenuta". Si è infatti passati, dai 45 mila detenuti del 1996 agli attuali 60 mila. "Il governo - ha proseguito Castelli - è stato consapevole di questo trend e non si è fatto cogliere impreparato. Abbiamo infatti accelerato la costruzione di nuovi penitenziari, varando un piano di notevole impegno, sia progettuale e finanziario". Secondo Castelli, i tempi tecnici "permangono tuttavia superiore all’arco della legislatura" per portare a termine le opere previste. "Se oggi possiamo affermare con orgoglio che il sistema ha retto e ancora regge - ha continuato il ministro - dobbiamo anche pubblicamente dire che ciò è accaduto anche grazie alla professionalità e all’abnegazione del personale". Anche "alcune fredde cifre", ha aggiunto il ministro, "confermano quanto dico". Il ministro ha citato alcuni dati, tra cui il calo del numero dei suicidi in carcere che dopo aver toccato una punta dell’1,5 per mille nel 1987 sono scesi all’1,25 per mille nel 2001 alle 0,92 per mille nel 2004. Giustizia: Manconi contro Castelli, i dati sui suicidi sono falsi
Vita, 28 settembre 2005
Manconi: i dati di Castelli sui suicidi in carcere sono falsi. E al di là dei numeri, perché non dire che nel 2003 i suicidi in carcere sono stati 18 volte più di quelli fuori? Sui suicidi in carcere "Castelli dichiara dati falsi": lo afferma Luigi Manconi, responsabile nazionale Diritti Civili dei Democratici di Sinistra, riferendosi all’intervento del ministro della Giustizia alla Festa della Polizia Penitenziaria. "Se avessi quella stessa vocazione alla contabilità macabra, in cui si esercita futilmente il ministro della Giustizia - dice Manconi - potrei dimostrare agevolmente che i dati effettivi, relativi ai suicidi in carcere, sono assai diversi da quelli che egli ha voluto snocciolare. Castelli fa riferimento, infatti, a un dato relativo al 2004, tuttora provvisorio e parziale, omettendo di ricordare che nell’anno precedente il tasso di suicidio era risultato superiore a quello del 2002". L’esponente diessino ritiene "irresponsabile continuare a disputare su questo piano: piuttosto, vorrei ricordare che, per esempio nel 2003, nelle carceri affollate e sovraffollate (circa il 72% del totale) si è registrato un tasso di suicidio diciotto volte superiore a quello rilevato all’interno della popolazione nazionale". Giustizia: Tinebra; situazione affollamento preoccupante
Adnkronos, 28 settembre 2005
"Immigrazione, droga, povertà, costituiscono la cifra dominante delle esistenze che affollano in maniera preoccupante le nostre carceri". A sottolinearlo - nel discorso d’apertura della Festa del Corpo della Polizia Penitenziaria sul piazzale del Colosseo - è il capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra. "Il fine della pena - ricorda - è tendere alla rieducazione del condannato: la sicurezza e il trattamento non possono prescindere l’uno dall’altro". Giustizia: lettera del candidato dei senza volto su carceri e Cpt
Melting Pot, 28 settembre 2005
Martedì 27 settembre 2005 a Roma, Bologna, Parma, Reggio Emilia, Rimini, Trieste, Napoli e Milano il candidato dei senza volto si è presentato davanti alle carceri per chiedere che anche la popolazione invisibile dei detenuti possa votare alle Primarie dell’Unione, istituendo quindi dei seggi elettorali nelle strutture di reclusione, come le case circondariali e i centri dei detenzione per migranti (Cpt). "Oggi 27 settembre siamo davanti alle carceri di Roma, di Napoli, di Venezia, di Milano, di Trieste, di Bologna e di tante altre città. Con il passamontagna arcobaleno per esser visti, per rendere visibile ciò che rimane sommerso, sconosciuto, taciuto. Siamo sotto le carceri per chiedere amnistia e indulto generalizzati e depenalizzazione dei reati sociali. Siamo qui per ribadire che la questione dell’amnistia e dell’indulto è una delle questioni primarie che un futuro governo di centrosinistra non potrà eludere. Siamo di fronte ad una situazione di emergenza e come soluzione il ministro Castelli invoca la costruzione di più carceri, trasformando un problema sociale in un problema di edilizia. Noi sappiamo che il problema delle carceri si risolve prima di tutto spostando fuori dal sistema penitenziale tossicodipendenza ed immigrazione. La popolazione carceraria e i suoi diritti sono invisibili, in una società dove la pena viene usata come strumento di compensazione dei vuoti di democrazia. Problema chiaro questo, a chi in questi anni, in forme diverse, si è battuto contro la guerra e per un’altra globalizzazione, per i diritti di cittadinanza e per i diritti sociali. Sono oltre 8.000 i procedimenti giudiziari aperti. Procedimenti che coinvolgono attivisti, società civile, sindacalisti, immigrati. Battaglie che hanno trasformato il senso comune e l’opinione, che hanno obbligato ad un riorientamento complessivo quasi tutte le forze politiche del centro sinistra che si apprestano a governare il paese e che, in alcuni contesti locali, già governano. Emblematica da questo punto di vista la questione dei Cpt, altro nodo fondamentale nella critica delle strutture detentive. Sono infatti di questi giorni le notizie di nuovi maltrattamenti dentro il cpt di Bologna. Ed è di questi giorni la notizia di un nuovo sciopero della fame da parte dei migranti rinchiusi in via Mattei. Una iniziativa che trova tutto il nostro appoggio e tutta la nostra solidarietà. I Cpt, istituiti dalla legge Turco-Napolitano, sono stati da subito, fin dal ‘98, oggetto della contestazione vivace da parte dei movimenti. L’11 giugno di quest’anno a Bari, Vendola, governatore della Puglia, convoca un grande forum degli amministratori regionali per chiedere la chiusura dei Cpt. Due settimane dopo 6 attivisti vengono condannati, in secondo grado, a un anno di reclusione per aver determinato, con l’azione diretta e mettendo in gioco il proprio corpo, la chiusura del Cpt di Trieste (‘98). Il 13 dicembre, invece presso il Tribunale di Bologna inizierà il processo che vede imputate 57 persone che giustamente e nel silenzio della stragrande maggioranza delle forze di sinistra hanno smontato nel 2002 il lager di via Mattei. Casi emblematici appunto che parlano del carattere malato della democrazia italiana. Una democrazia incapace di accogliere le istanze diffuse di cambiamento che vengono dal basso, sorda alle domande sociali che chiedono maggiori diritti. Una democrazia che seguendo il leit motiv americano e inglese (o semplicemente rispolverando la vecchia lezione degli anni ‘70) vede nell’emergenza e nelle politiche sicuritarie l’unico modo di affrontare il conflitto sociale. Situazione ulteriormente aggravata dalla guerra globale permanente: terrorismo e conflitto sociale, nel paradigma securitario, tendono a coincidere, facendo delle libertà democratiche e del diritto al dissenso un optional superfluo, peggio ancora dannoso, da eliminare. Amnistia, indulto e depenalizzazione dei reati sociali e minori per ripensare la democrazia e la libertà. Una democrazia aperta e plurale, dinamica, dove l’illegalità e la disobbedienza di fronte a leggi ingiuste e illegittime siano risorse produttive di cambiamento. Oggi siamo davanti alle carceri per chiedere che vengano istituiti al loro interno i seggi delle primarie. Affinché tutta la popolazione carceraria possa esprimersi e reclamare i propri diritti, affinché la richiesta di amnistia e indulto superi le barriere e rompa il silenzio assordante della politica italiana". Giustizia: al via la battaglia finale sulla "ex-Cirielli"
L’Arena di Verona, 28 settembre 2005
"Uno scandalo". Il giorno dopo l’assoluzione del premier Berlusconi al processo All Iberian è il leader dei Ds Fassino ad attaccare la Casa delle libertà e a riaprire lo scontro sulla giustizia. Ma è il presidente della Margherita, Francesco Rutelli, a portare alla Camera - nel dibattito dopo l’intervento di Berlusconi su Siniscalco - lo sdegno sulle troppe leggi ad personam varate dalla maggioranza di centrodestra. E a bollare pesantemente il prossimo colpo di mano della Casa delle libertà: varare entro fine ottobre la legge ex-Cirielli - ribattezzata "salva-Previti" - che pur di salvare l’ex ministro della Difesa rischia di trasformarsi, dicono i magistrati, in una Caporetto giudiziaria. "Quante decine di migliaia di provvedimenti di scarcerazione ci saranno?" chiede con voce indignata Rutelli, mentre al Senato Massimo Brutti (Ds) sollecita il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, a fornire al Parlamento, che quella legge deve varare, le cifre dell’impatto che avrebbe sui processi in corso. "Quante decine di migliaia di provvedimenti verranno cancellati? Volete darci queste cifre?", insiste il presidente dei Dl, puntando il dito su un "un esecutivo deciso nel difendere l’interesse di pochi". È tutto il centrosinistra ad alzare il livello dello scontro, mentre il centrodestra fa quadrato attorno a Berlusconi. Per Piero Fassino "le leggi ad personam creano sfiducia nelle istituzioni". Dello stesso parere Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori: "checché se ne dica la legge è servita al premier per affrontare le sue esigenze processuali". Romano Prodi, intanto, ha dato mandato ai suoi legali di valutare la possibilità di una querela contro l’onorevole Cicchitto, per la dichiarazione rilasciata dal vice coordinatore di Forza Italia, secondo il quale "la legge sull’abuso in atti di ufficio fu modificata dal centro-sinistra e sulla base di quella modifica fu bloccata l’azione giudiziaria nei confronti di Prodi". Il Professore ha precisato che "nel caso della vicenda Cirio-Bertolli-De Rica la verità accertata dall’autorità giudiziaria dimostra l’assoluta infondatezza di tali affermazioni": il giudice, infatti, "pronunciò la sentenza di non luogo a procedere con la più ampia formula di proscioglimento (il fatto non sussiste) a seguito di udienza preliminare". Varese: nuovo carcere, l’azienda "respinta" chiede i danni
Varese News, 28 settembre 2005
Oltre 10 milioni di euro di risarcimento danni, circa venti miliardi delle vecchie lire. È questa la cifra che l’azienda che si è vista "sfuggire" l’appalto del carcere di Varese ha chiesto alla M.PS. Leasing & Factoring Spa (Monte dei Paschi di Siena) e alla Locat spa. L’azienda "rimasta a bocca asciutta" si chiama SVE S.p.A. di Roma, e fa parte del Consorzio Svemark con sede a Padova specializzato nella realizzazione di celle prefabbricate in acciaio. La premessa è questa. Una delle premesse. Ce ne potrebbero essere almeno altre dieci. Da qualunque parte la si guardi la faccenda della realizzazione delle carceri, tutte non solo quelle di Varese e Pordenone che viaggiano in coppia, fa storcere il naso. Non sono solo le inchieste di un autorevole settimanale quale l’Espresso a rivelare i risvolti "misteriosi" che si celano dietro gli appalti per la realizzazione dei penitenziari. Ora, nero su bianco, c’è un atto di citazione che dice molte più cose di un’inchiesta giornalistica. Procedendo con ordine. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel marzo del 2004 pubblica due bandi di gara per la realizzazione di due nuovi istituti penitenziari, Varese, con un costo di 43.282.000 euro e Pordenone di 32.462.000 euro (nell’immagine il progetto della SVE spa mai presentato). Per realizzarli il Ministero della Giustizia impone il Leasing immobiliare vale a dire, in parole molto povere: il finanziatore si presenta alla gara già con un’impresa di costruzione; uno ci mette i soldi, l’altro le braccia. Alla gara partecipano sei banche: la Banca Centrale per il leasing-Italease Spa Milano; la Banca Opi, Banca per la Finanza delle Opere Pubbliche Roma; Intesa Leasing Spa Milano; Ing Operleasing Spa di Brescia; Bnl Locafit Milano; la M.P.S Leasing & Factoring. Nell’atto di citazione presentato dall’avvocato Paolo Borioni al Tribunale civile di Roma si legge quello che, secondo la SVE S.p.A., è accaduto nei mesi seguenti. La Società SVE - che intende proporre e costruire le stanze dei detenuti in acciaio con un sistema collaudato negli Stati Uniti - prende accordi con il Monte dei Paschi di Siena per partecipare alla gara d’appalto e realizzare così il carcere di Varese in moduli d’acciaio invece che in cemento. La SVE S.p.A. prepara tutto ciò che nel bando di gara viene richiesto: uno studio accurato, con rilevazioni nel parco Sud di Varese e simulazione al computer del progetto realizzato. La documentazione deve essere pronta e consegnata entro novembre 2004. Ma nel frattempo succede qualcosa. Che non sfugge a nessuno: la stampa locale riporta che tutte le banche si sono ritirate e solo la Ing Lease - Operleasing Spa con l’impresa Pizzarotti è rimasta in gara. Le altre l’hanno abbandonata. L’atto di citazione presentato da SVE S.p.A. parla di "una riunione d’urgenza convocata dall’Assilea, l’Associazione Italiana Leasing, di cui fanno parte tutte le banche invitate alle due gare per Varese e Pordenone, al fine di valutare condotte comuni". Impossibile sapere che cosa sia accaduto nella riunione, il cui esito è però un "fuggi-fuggi" generale. Tranne che per la Ing Lease e la Pizzarotti. La SVE S.p.A. a quel punto, avvertita da Monte dei Paschi di Siena della decisione di ritirarsi solo due giorni prima della scadenza dei termini, così dice la citazione, non può fare altro che adeguarsi alla decisioni prese. Ma non dopo aver chiesto un cospicuo risarcimento dei danni. Ancora due aspetti "curiosi" della vicenda. Il primo: secondo l’avvocato della SVE S.p.A. l’offerta presentata dalla Ing Lease è del 20 per cento più alta del valore posto a base d’asta ( il carcere verrebbe a costare quindi 51.940.000 euro invece di 43.282.000); il secondo: il progetto della SVE S.p.A. è stato sequestrato dal Nucleo Tutela Mercati della Guardia di Finanza. "Giallo" a parte resta il silenzio attorno al quale è avvolto il progetto per il carcere di Varese: della proposta di Ing Lease e di Pizzarotti (lo ricordiamo: l’unica in gara), non si sa nulla e considerato che a novembre scadono i tempi per la scelta del vincitore tutto fa pensare che qualche intoppo stia frenando il Ministero. Di che natura sia non è dato saperlo. La burocrazia? A questo punto è una risposta che soddisfa a metà.
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