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Giustizia: Cassazione lo assolve dopo 11 anni in carcere
La Repubblica, 19 ottobre 2005
Era stato condannato a trent’anni per concorso in omicidio volontario ma, dopo undici anni passati dietro le sbarre, è stato assolto. È la storia di Giuseppe Lastella, barese di 41 anni, che dopo nove giudizi, una sentenza definitiva ed il processo di revisione, si è visto riconoscere dalla Corte di Cassazione l’assoluzione perché "estraneo ai fatti". La vicenda cominciò nell’aprile del 1990, quando nei pressi di Cosenza il pregiudicato Domenico Chironna, che si scoprì poi essere coinvolto in un traffico di stupefacenti, fu ucciso in un agguato sull’autostrada Salerno - Reggio Calabria. Chironna prima di morire fece il nome dei suoi aggressori, indicando anche Lastella. La vicenda, così, si è trascinata per undici anni tra processi, appelli e annullamenti di sentenze. Giuseppe Lastella, rinviato a giudizio, fu processato a Cosenza in Corte d’Assise ma fu assolto. Poi ci fu l’appello del Pm e il processo di secondo grado davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, che si concluse con la condanna a trent’anni di reclusione. La sentenza, subito impugnata in Cassazione, arrivò alla Corte d’Assise di Reggio Calabria che confermò la condanna. Nel dicembre del 2001 i difensori di Lastella presentarono alla Corte di Appello di Catanzaro una richiesta di revisione del processo, sulla base di nuove testimonianze. La domanda, inizialmente respinta, approdò di nuovo in Cassazione, che dispose il processo di revisione davanti alla Corte d’Appello di Salerno. Qui i due presunti complici di Lastella dichiararono che questi era completamente estraneo all’uccisione di Chironna e così, nell’aprile dello scorso anno, la Corte d’Assise d’Appello di Salerno concluse il giudizio di revisione dichiarando l’innocenza di Lastella. Ancora una volta la sentenza venne impugnata, ma l’11 ottobre scorso è arrivata la decisione dei supremi giudici: assoluzione definitiva. La Corte di Cassazione, così, ha messo la parola fine alla vicenda riconoscendo una volta per tutte l’estraneità dell’imputato ai fatti contestati. Lastella ora si accinge a chiedere un sostanzioso risarcimento per ingiusta detenzione. Civitavecchia: Prc; carcere di Aurelia, situazione preoccupante
Civionline, 19 ottobre 2005
L’onorevole Elettra Deiana ha visitato anche quest’anno l’istituto penitenziario civitavecchiese, riscontrando gravi anomali. È ancora una volta negativo il giudizio espresso dall’onorevole Elettra Deiana in merito alla situazione del carcere di Aurelia. Anche quest’anno il deputato di Rifondazione Comunista ha fatto visita all’istituto penitenziario cittadino, riscontrando gravi carenze anche dal punto di vista strutturale. Non basta più infatti il sovraffollamento (i detenuti sono quasi il doppio di quelli consentiti) e la carenza di agenti penitenziari (mancherebbero circa 100 unità), ora agli ultimi piani sono apparse anche alcune infiltrazioni di acqua e la situazione igienico sanitaria resta grave. "In un contesto del genere – ha detto l’onorevole Deiana – i detenuti si trovano a scontare, oltre alla pena che è inflitta loro dalla legge, anche quella, ingiustificata, dovuta alle carenze del sistema". Il deputato spiega che tra le principali anomalie riscontrate nell’istituto ci sono anche l’assenza di docce all’interno delle celle (a dispetto di quanto stabilito dalle direttive europee) ed anche la mancanza di personale specializzato, come quello medico e paramedico, oltre ad una grave carenza di psicologi e psichiatri. "Basti pensare – aggiunge il deputato – che tra le 23 e le 7 del mattino non c’è personale paramedico in servizio. Inoltre non esistono, spazi dedicati alla socializzazione o alla cultura, né figure professionali come i mediatori culturali, che sono tanto più importanti se si pensa che circa il 50% della popolazione carceraria ad Aurelia è composta da extracomunitari, appartenenti a 40 etnie differenti. Infine c’è da considerare la presenza di detenuti con patologie particolari o particolarmente violenti, che oggi, con una soluzione che definisco "domestica", sono raggruppati in una sola ala del complesso, cosa che certo non facilita il loro recupero". Una situazione estremamente pesante, dunque, ritenuta paradigmatica di quella del sistema carcerario della nazione, aggravatasi in questi ultimi anni, a causa della disattenzione di questo governo, e che spinge i detenuti nel profondo baratro dell’alienazione. "Così – conclude il deputato di Rifondazione – si tradiscono gli scopi del carcere, stabiliti dall’ordinamento, ed in primis dalla costituzione, che sancisce il fine rieducativo, ancor prima che punitivo, della detenzione". "Come se tutto ciò non bastasse – le fa eco l’ex consigliere del Prc Simona Ricotti, recatasi anche lei in visita al carcere – c’è anche la questione trasporti, che abbiamo già più volte sollevato. Dei quasi 600 detenuti infatti solo una trentina sono locali. E rendere il carcere irraggiungibile con i mezzi pubblici significa di fatto impedire ai parenti di tutti gli altri di far loro visita. Di questa situazione – precisa – investiremo al più presto il commissario straordinario ed il presidente della società dei trasporti". Ricotti prosegue rimarcando le enormi differenze che esistono tra il carcere di via Tarquinia e quello di Aurelia, ricordando anche i tre casi (due suicidi ed un tentato suicidio) che ultimamente hanno investito quest’ultimo. "Se si vuole evitare che si ripetano eventi del genere – conclude – bisogna non solo migliorare le condizioni generali di vita all’interno del carcere, ma anche risolvere una volta per tutte il nodo del sovraffollamento e della carenza di organico, non solo per la polizia penitenziaria, ma anche per il personale specializzato".
I dati
Nel carcere di Aurelia i detenuti sono in tutti 548 (ma l’istituto potrebbe contenerne non più di 300). Appena la metà sono italiani, mentre gli altri sono per lo più extracomunitari, appartenenti a 40 etnie differenti. Glia agenti in servizio sono 243, ma 46 sono distaccati per diverse ragioni. Persino il recente incremento di 18 unità di personale deciso dall’amministrazione penitenziaria è stato quasi vanificato dai 14 trasferimenti che sono seguiti. Del personale fanno parte anche 2 psicologi che coprono in tutto circa 70 ore mensili e 2 psichiatri per un totale di 60 ore mensili. Tra i 548 detenuti ci sono circa 150 tossicodipendenti, 1 bambino (ma l’estate scorsa si è arrivati anche a 10) e 28 donne (nei mesi scorsi sono state anche 70), mentre 5 detenuti lavorano fuori dal carcere e sono in regime di semilibertà. La Spezia: Sappe denuncia; situazione critica e sovraffollamento
Secolo XIX, 19 ottobre 2005
Crescente sovraffollamento della popolazione detenuta e condizioni precarie dell’istituto delle carceri di via Fontevivo La denuncia arriva dal Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria che, attraverso il segretario provinciale, Emanuele Frasca sottolinea la situazione critica in cui si trova a lavorare il personale che presta servizio nella casa circondariale spezzina. "Dal mese di giugno ad oggi c’è stato un incremento di 30 detenuti - spiega il Sappe - pur avendo cercato, attraverso il dialogo, e senza prese di posizione drastiche, di illustrare in sede regionale le condizioni dell’istituto. Tutto ciò considerato che l’istituto stesso ha una capienza di 130 detenuti con una tolleranza massima di 150, in condizioni di sicurezza ottimali. Oggi, in condizioni di sicurezza precaria, ci sono 190 reclusi". Se non verranno trasferiti almeno cinquanta detenuti il sindacato autonomo chiederà un incontro con prefetto non escludendo manifestazioni di protesta. I dati della popolazione detenuta a Villa Andreino riguardano nel dettaglio, 48 in attesa di giudizio, 19 appellanti, 7 ricorrenti, 109 definitivi, 8 assenti temporanei (permessi). All’interno della struttura penitenziaria c’è un’autentica Babele con detenuti di diciannove diverse nazionalità. Eccolo il dettaglio dei reclusi: 1 della Costa D’Avorio, 13 albanesi, 5 argentini, 1 ecuadoregno, 1 colombiano, 1 dominicano, 12 algerini, 2 spagnoli, 2 francesi, 2 croati, 1 indiano, 2 libanesi, 29 marocchini, 1 moldavo, 3 romeni, 1 slovacco, 14 tunisini, 3 jugoslavi: I più numerosi sono, ovviamente gli italiani con novanta presenze. Modena: alla Casa di Lavoro di Saliceta gli agenti sono esasperati
Modena 2000, 19 ottobre 2005
Gli agenti di Polizia Penitenziaria della Casa di Lavoro di Saliceta S. Giuliano, a Modena, hanno proclamato lo stato di agitazione a seguito del mancato rispetto degli accordi relativi all’organizzazione del lavoro da parte della direzione. A nulla sono serviti i numerosi tentativi fatti dai Sindacati di settore Fp-Cgil, Uil Penitenziari, Sappe, Sinappe, Fsa per risolvere le problematiche esistenti all’interno della Casa di lavoro di Saliceta. Anche il confronto con il provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria non ha portato gli effetti auspicati, visto che lo stesso non ha tenuto fede agli impegni assunti. La protesta dei lavoratori del corpo di Polizia Penitenziaria scaturisce dalla discutibile gestione dell’istituto da parte della direzione. Esistono norme e regolamenti per l’attività di polizia penitenziaria il cui fine è quello di garantire la sicurezza ed la contestuale partecipazione per il recupero dei detenuti. Purtroppo la disattenzione delle suddette norme sembra sia diventata una prassi consolidata, al punto che il conflitto con l’attuale direzione è diventato una costante. I lavoratori rivendicano il rispetto del proprio ruolo, la difesa della propria professionalità ma, soprattutto, chiedono che siano ristabilite tutte le regole che consentono agli stessi di poter svolgere con serenità il proprio lavoro. L’attività di recupero è una garanzia per tutti i detenuti che va esercitata attraverso il rispetto dei ruoli di tutti coloro che operano all’interno dell’istituto. Non sembra che oggi l’attuale direzione sia impegnata per assicurare le suddette condizioni. Per sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi all’interno della casa di lavoro di Saliceta San Giuliano, le Organizzazioni Sindacali della Polizia Penitenziaria insieme ai lavoratori, promuovono per domani, mercoledì 19 ottobre, un presidio dalle ore 10 alle 13 in via Panni nei pressi dell’Istituto. Lodi: in ospedale torna la "stanza di sicurezza" per i detenuti
Il Cittadino, 19 ottobre 2005
È stato dimesso lunedì pomeriggio dall’ospedale Maggiore ed è tornato in carcere Ahmed Elmitwalli Al Mansour, l’egiziano che nella mattinata aveva tenuto sotto scacco il nosocomio lodigiano per quasi cinque ore, dopo essersi barricato in bagno e seduto sul cornicione rimanendo sospeso nel vuoto a venti metri d’altezza. I medici dell’ospedale hanno accertato che il 31enne extracomunitario non ha avuto problemi in seguito all’ingestione di alcune lamette da barba una settimana dopo aver ricevuto la sentenza di condanna a otto mesi di carcere dal tribunale di Lodi. A quanto pare, una radiografia avrebbe confermato l’esistenza di tre lamette nel suo intestino e forse anche di alcune graffette da disegno. Le lamette, tuttavia, non gli hanno causato alcun taglio agli organi interni e sarebbero pronte a essere espulse naturalmente. Un fatto abbastanza sorprendente, se non fosse che Al Mansour aveva combinato una cosa simile anche in passato. Sarebbe dunque una sorta di "fachiro", capace di inghiottire organi taglienti o appuntiti senza mai correre rischi. Ieri mattina, inoltre, si è tenuta all’Asl di Lodi una riunione fra il direttore generale Guido Broich, il direttore dell’azienda ospedaliera Piergiorgio Spaggiari e il capo della squadra mobile della questura di Lodi Alessandro Battista, che già aveva coordinato con il questore l’intervento della polizia durante il tentativo di suicidio di Al Mansour all’ospedale. "Su richiesta del questore - dice Spaggiari - è stato deciso di riutilizzare la vecchia camera di sicurezza al sesto piano che in passato veniva usata per i detenuti ricoverati in ospedale prima di essere chiusa qualche anno fa, e di aggiungere le sbarre alle finestre. In ogni caso ci sono strutture ospedaliere come il San Paolo di Milano che hanno aree apposite per i detenuti, così come una circolare ministeriale imponeva alle carceri di dotarsi di sezioni attrezzate per i detenuti che hanno bisogno di cure". Homeless: il resoconto della "Notte dei senza dimora" 2005
Redattore Sociale, 19 ottobre 2005
I resoconti da alcune delle 12 città che hanno ospitato la "Notte dei senza dimora" sono tutti positivi. Migliaia di persone hanno partecipato agli eventi e in decine hanno affrontato la notte in sacco a pelo. Piazza Italia si è svegliata bene. I resoconti da alcune delle 12 città che hanno ospitato l’edizione 2005 della Notte dei senza dimora sono tutti positivi. Migliaia di persone hanno partecipato agli eventi delle diverse serate (dibattiti, concerti, spettacoli con artisti di strada) e decine di coraggiosi hanno affrontato tutta la notte in sacco a pelo. In attesa delle notti in piazza di Rimini e Grosseto, in programma sabato 22 ottobre, ecco com’è andata a Milano, Roma, Bologna, Como, Bergamo, Vicenza, Pisa e Bolzano.
Milano. C’erano circa 300 persone ieri sera nella centrale piazza Santo Stefano, nei pressi di via Larga, a poca distanza dal Duomo. Alle 18.30 una quarantina di persone ha assistito alla tavola rotonda "Milano senza dimora: come lotta contro la povertà la capitale economica d’Italia?", condotta da Miriam Giovanzana (Terre di mezzo) con Angelo Menegatti, direttore del Servizio sociale adulti del Comune di Milano, Paolo Pezzana (Fio.psd), don Roberto Davanzo (Caritas ambrosiana) e il giornalista Piero Colaprico (La Repubblica). Poi la piazza si è via via riempita di giovani e passanti, che hanno potuto bere vin brulé, ballare con la musica dei Barboonband e del gruppo "Giù il cappello", visionare i cortometraggi a tema sociale di "esterni", acquistare i libri di Terre di mezzo e conoscere le realtà delle associazioni Insieme nelle Terre di mezzo, City Angels, Ronda della Carità e Croce Rossa. La festa è proseguita fino alla mezzanotte: 71 le persone che hanno dormito sui ciottoli della piazza.
Roma. "Stavolta la buona sorte ci ha assistito - dice Sabina Eleonori di Insieme nelle Terre di mezzo-. L’anno scorso c’erano stati grandine e vento, quest’anno c’era una bella luna piena". Sfondo ideale per la Notte romana dei senza dimora, inaugurata alla presenza del responsabile dei Senza dimora del Comune e ospitata nella grande piazza della Stazione Ostiense, dove la Croce Rossa ha cucinato un pasto caldo per circa 350 persone: "la tavolata era lunga 40 metri, ma non bastava a contenere tutti", racconta Sabina Eleonori. Dopo cena, spazio al divertimento con i percussionisti giapponesi, un quartetto di sassofoni, un gruppo di giovani emergenti, i trampolieri di Materia viva e gli artisti della Scuola di circo di Roma. In 25 hanno partecipato alla notte in sacco a pelo, tra cui un frate responsabile del Servizio mensa per i senza dimora e due persone che voluto festeggiare il loro compleanno sotto le stelle. Vicino a loro il popolo dei senza dimora dell’Ostiense, 150 persone circa che ogni notte dormono nei paraggi, tra cui minori stranieri non accompagnati. Al mattino pane e marmellata per tutti, anche per i pendolari in arrivo all’Ostiense. "Non abbiamo potuto scaldare il caffélatte -conclude Sabina-: durante la notte il fornellone ci ha abbandonato".
Bologna. Serata tranquilla anche nel capoluogo emiliano, dove un centinaio di persone si è presentato all’appuntamento in via Libia. Un pasto caldo per tutti, abiti usati a chi ne faceva richiesta e una cioccolata calda prima di tornare per strada, accompagnati dalla musica rom dei Romeno Fantastic, gruppo di immigrati regolari ospitati nel centro di prima accoglienza di Villa Salus. Hanno partecipato Massimo Battisti, presidente della Consulta permanente per la lotta all’esclusione sociale e Antonio Mumolo dell’associazione Avvocati di strada.
Como. "Nel pomeriggio è passata tanta gente - dice Daniele Sampietro dell’associazione Incroci-. C’erano sempre 150-200 persone ferme a guardare, a prendere volantini, a mangiare le torte. Al momento dei dibattiti la partecipazione è scesa a 50-60 persone e 13 coraggiosi si sono fermati a dormire. Hanno partecipato anche senza dimora che assistiamo quotidianamente, sia nel pomeriggio che alla sera: sono venuti per ballare e parlare un po’ con noi".
Bergamo. "La notte è andata bene - commenta Beppe Traina dell’associazione Migrantes -. C’è stata una buona partecipazione nelle prime ore della serata in cui abbiamo avuto momenti di aggregazione musico-teatrali legati alla figura del senza dimora e un gruppo di trampolieri che ha presentato uno spettacolo di animazione". Tra le 70 e le 100 persone sono state presenti in piazza fino a mezzanotte, 18 hanno resistito fino al mattino. Da segnalare la partecipazione del Comune di Bergamo: "C’era buona parte dell’amministrazione comunale, tra cui il sindaco", dice Traina.
Vicenza. Uno spettacolo teatrale dell’associazione papa Giovanni XXIII, una fiaccolata per le vie del centro, canti e preghiere nel Campo Marzio alla luce delle candele. Sono gli ingredienti della Notte senza dimora di Vicenza: "C’erano molti giovani - dice don Agostino Zenere, coordinatore della realtà caritative della città per la grave marginalità -. Trenta di loro hanno passato la notte all’aperto, cantando in cerchio fino alle 3 del mattino raccontando agli altri il senso della loro partecipazione. Metà di loro hanno fatto colazione con i senza dimora presso il centro "Il mezzanino". Per il primo anno la Notte di Vicenza era patrocinata dal Comune.
Pisa. "Non abbiamo fatto la notte in sacco a pelo perché è mancata l’adesione sia dalle associazioni che dagli utenti, anche perché a Pisa c’è un dormitorio che risponde bene alle esigenze dei senza dimora", dice Massimo Ceriale. In compenso i pisani hanno organizzato una grande cena al Circolo Arci "Alberone" a cui hanno partecipato oltre 160 persone, tra cui molti senza dimora, che hanno partecipato attivamente all’organizzazione della serata. "Hanno invitato anche gli inagganciabili - dice Ceriale -: il loro contributo è stato essenziale".
Bolzano. "È andata meglio di quello che ci aspettavamo, saranno passate più di 600 persone -dice Hervien Papa dell’associazione Volontarius-. Abbiamo trasferito nella piazza del municipio il servizio che il camper della Croce Rossa propone nei giardini della Stazione, offrendo minestra, yogurt, e torte. Hanno partecipato una quarantina di senza dimora". La serata è proseguita con la musica etnica del gruppo ‘Alma terrà, poi tutti a dormire: chi a casa loro, chi nel dormitorio pubblico "per comunitari", specifica Hervien Papa. Già, perché a Bolzano non esiste un luogo aperto tutto l’anno per ospitare i senza dimora immigrati: "In inverno il Comune apre gli spogliatoi del Palasport, ma ora si sta cercando qualcosa di meglio", conclude Papa. Tratta: oltre 6.000 le vittime assistite tra il 2000 ed il 2004
Redattore Sociale, 19 ottobre 2005
"Insieme contro la schiavitù contemporanea": un appello ed anche il tema delle "Giornate Europee di lotta contro il traffico di esseri umani" che si aprono domani a Firenze. L’iniziativa è promossa da Emmaus Internazionale e Emmaus Europa, in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze e con il Patrocinio della Regione Toscana e del Comune di Firenze. L’obiettivo è quello di elaborare proposte e alternative sui temi della prevenzione, accoglienza e reinserimento delle vittime a partire dal confronto tra operatori ed istituzioni, a livello internazionale e territoriale. Saranno presenti il Fondatore Movimento Emmaus Abbé Pierre, don Oreste Benzi (Ass. Papa Giovanni XXIII), rappresentanti di Gruppi Emmaus provenienti da 20 paesi Europei e dall’Asia, America Latina e Africa e delle principali associazioni nazionali ed internazionali di tutta Europa impegnate su questo fronte. "Come organizzazione pan-europea, Emmaus Internazionale è in una posizione privilegiata per agire contro il traffico di persone, indirizzandosi verso i paesi di origine, transito e destinazione delle vittime del traffico - spiega l’associazione -. Tale questione è di vitale importanza per Emmaus Internazionale, ed è una tematica chiave sulla sua agenda per la salvaguardia dei diritti umani". Per questo motivo Emmaus ha chiamato in questi 3 giorni di workshop organizzazioni territoriali, che metteranno sul tavolo le loro esperienze e conoscenze dirette, organizzazioni internazionali che daranno una valutazione del problema e della sua complessità da una prospettiva diversa da quella locale e le autorità politiche (Parlamento Europeo, governi, Alto Commissariato per i Diritti umani delle Nazioni Unite, ed altri), che parleranno delle politiche attuali dei propri e delle misure esistenti. Il fenomeno infatti ha toccato proporzioni allarmanti: secondo il "Rapporto annuale sulle vittime del traffico nell’Europa Sud-Orientale", prodotto dal Regional Clearing Point, tra il gennaio 2000 al dicembre 2004 sono state 6.225 le vittime aiutate nell’Europa Sud-Orientale, ma si tratta di un dato che sottostima il fenomeno secondo lo stesso rapporto. È aumentato soprattutto il numero dei minori e di uomini trafficati per fini di sfruttamento lavorativo, per accattonaggio, delinquenza e adozioni: in Albania sono uomini il 70% delle vittime e analogamente accade in Romania, Moldavia, e, seppur con una minor estensione, in Bulgaria e nelle province del Kossovo (Serbia e Montenegro), paesi questi da cui proviene l’89% delle vittime aiutate nel 2004. Il rapporto evidenzia anche un aumento nel numero di vittime provenienti da Croazia, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Serbia e Montenegro, fino ad oggi paesi di transito e destinazione. È ancora l’Ucraina il primo paese di origine per le vittime del traffico verso i paesi dell’Europa Sud-Orientale con un aumento nel numero delle vittime provenienti da paesi lontani come Cina, Iraq, Mongolia, Libano, Armenia e Uzbekistan, mentre il traffico interno è in aumento nei paesi come Serbia, Montenegro Romania e Bulgaria, i quali in alcuni casi costituiscono il primo passo verso il traffico internazionale. La tre giorni si apre domani, dopo i saluti di rito, con la presentazione della situazione generale del fenomeno del traffico di esseri umani in Europa (ore 14) e su questo fronte importanti saranno le testimonianze di alcune vittime della tratta. Tra i momenti più significativi, giovedì 20 nella mattina quattro laboratori paralleli (sensibilizzazione ed iniziative sociali ed economiche di prevenzione, accoglienza ed assistenza per le vittime, alternative economiche e sociali "correttive" o di reinserzione, azioni di pressione pubblica e politica per ottenere nuovi statuti giuridici, nonché la ratifica delle convenzioni internazionali in materia) e venerdì 21, giorno di chiusura il confronto con i rappresentanti della politica e delle istituzioni ed il bilancio delle attività future. Immigrazione: sabato in piazza, contro i Cpt e la Bossi-Fini
Il Manifesto, 19 ottobre 2005
Saremo di nuovo in piazza il 22 ottobre a Gradisca d’Isonzo e Bari, a novembre in tutti i territori, a Roma il prossimo 3 dicembre, per affermare i diritti delle migranti e dei migranti. A un anno dalla manifestazione nazionale del 4 dicembre 2004, dopo gli incontri di Bari di luglio e il campeggio di Licata di questa estate la necessità di una nuova mobilitazione generale è ancora più impellente. La vita di molte migliaia di donne e uomini è quotidianamente negata da una legislazione razzista, da politiche proibizioniste e repressive e da logiche emergenziali. Il decreto di attuazione della legge Bossi-Fini, che subordina il rinnovo dei permessi alla stipula del contratto di soggiorno con i datori di lavoro ha reso ancora più evidente quello che era chiaro già da tempo: che uomini e donne migranti sono considerati solo forza lavoro, da usare, costringere nei centri di permanenza temporanea o espellere a seconda delle esigenze del mercato. Il decreto di attuazione ha reso la vita dei migranti in questo paese ancora più difficile. L’intreccio con la legge 30 sul mercato del lavoro non fa altro che aumentare la precarietà, e impone di ripetere le pratiche per il rinnovo sempre più spesso, aggravando le file e i tempi di attesa, mentre il vincolo della certificazione delle condizioni abitative costituisce per i datori di lavoro un ulteriore strumento di ricatto. La legge Pisanu non ha fatto che aggravare questa condizione. La criminalizzazione dei migranti e l’equazione tra migrante e terrorista corrispondono alla logica di identificazione di un capro espiatorio per le conseguenze della guerra in atto, e alle pratiche di controllo e repressione che arbitrariamente colpiscono anche quei migranti che in questi anni si sono battuti per migliorare le loro condizioni di lavoro e di vita. Mentre la Sicilia ha continuato a essere teatro di detenzioni ed espulsioni di massa, l’enclaves spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco mostrano il massimo livello di violenza armata cui i migranti sono esposti, i continui sbarchi e tentativi di attraversamento delle frontiere sono il chiaro segno che né il mare né la militarizzazione dei controlli sono in grado di fermare quella libertà di movimento che i migranti continuano a praticare. Allo stesso tempo centinaia di militanti e attivisti subiscono con sempre maggiore accanimento le conseguenze penali della loro legittima lotta per cancellare dai nostri territori i Cpt e i Centri di Identificazione, per chiederne la chiusura dentro e fuori l’Europa e per opporsi praticamente alla clandestinità cui sono condannati i migranti dentro e fuori i centri i detenzione. La lotta per l’amnistia per i reati sociali è parte integrante del percorso che abbiamo intrapreso. Le mobilitazioni dei migranti contro la legge Bossi Fini, per i propri diritti, le iniziative delle realtà sociali e sindacali che hanno costruito vertenze contro la precarietà, le esperienze istituzionali partecipative hanno contribuito in maniera decisiva ad affermare la necessità di un cambiamento radicale delle scelte politiche e legislative. La valenza politica delle pratiche di libertà che i migranti esprimono deve tornare in piazza con forza a livello nazionale. L’assemblea dei movimenti dei migranti e antirazzisti dello scorso luglio a Bari ha indicato un percorso chiaro: il 22 ottobre, a Bari e Gradisca di Isonzo, contro l’apertura di due nuovi Cpt e per la chiusura di tutti i centri di permanenza temporanea e i centri di identificazione; una settimana di mobilitazione territoriale che abbia al centro la lotta contro le nuove forme di ricatto imposte dal decreto di attuazione della Bossi Fini; il 3 dicembre a Roma, contro ogni politica di sfruttamento e coercizione dei migranti che i governi, a prescindere dal loro colore, hanno messo in atto, e contro la criminalizzazione di coloro che in Italia hanno sempre sostenuto le lotte e il movimento dei migranti. La netta opposizione alla legge Bossi-Fini, a qualsiasi ipotesi di ritorno della Turco Napolitano, al legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, ai centri di permanenza temporanea e alle espulsioni e deportazioni di massa, la rivendicazione della libertà di muoversi e di restare potranno trovare forza solo se uomini e donne migranti saranno ancora una volta, in massa, protagonisti delle loro lotte. Per questo chiamiamo tutto il movimento dei migranti, quello antirazzista, antiliberista e pacifista, tutte/i le lavoratrici e i lavoratori migranti a una mobilitazione generale il 22 ottobre a Bari e Gradisca di Isonzo, ad una settimana di iniziative territoriali e di lotta a novembre contro il decreto di attuazione, e il 3 dicembre a Roma: per la chiusura definitiva dei Cpt e dei Centri di Identificazione, per l’abrogazione della legge Bossi-Fini, per la rottura netta del legame tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro, per una legge in materia di asilo politico che tuteli richiedenti e rifugiati, per la cittadinanza di residenza e il diritto di voto per tutti i migranti, per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno, per la regolarizzazione permanente di tutti i migranti in Italia, per la libertà di circolazione, per fermare espulsioni e accordi di riammissione, per l’abrogazione dei reati connessi alla clandestinità e la non punibilità dei reati connessi alle lotte sociali, amnistia-indulto generalizzati e per l’abrogazione della legge Pisanu. (reti.migranti@libero.it)
Assemblea nazionale dei Movimenti per la libertà di circolazione e per la chiusura dei centri di detenzione dei migranti Film: la libertà di Jaana di Paolo Costella (Paneikon Productions)
Comunicato stampa, 19 ottobre 2005
Un supermercato come ce ne sono tanti. Una donna che fa la spesa. Si chiama Jaana, ha 42 anni. Sceglie con cura cosa comprare, fa la fila alla cassa, paga, infila la spesa nella busta, esce dal supermercato. Poi sale su di un pulmino insieme ad altre quattro donne. Per tornare a casa. Anzi, in carcere. Jaana è detenuta in una prigione aperta, a Vanaja, vicino ad Hämeenlinna, cento chilometri a nord di Helsinki, Finlandia, insieme ad altre 40 donne e 5 uomini. In Finlandia il sistema carcerario conta 19 prigioni aperte dove settecento detenuti scontano i loro ultimi anni di pena. Sono detenuti che provengono dai carceri chiusi, spesso hanno commesso crimini gravi, molti di loro sono omicidi che per la prima volta vivono in uno spazio aperto, senza barriere, cancelli, chiavi. Godono di privilegi impensabili per una struttura carceraria: possono chiedere ed ottenere il permesso di uscire, in gruppo o singolarmente, per recarsi a riunioni religiose o anche per assistere ad uno spettacolo; una volta al mese possono recarsi in visita a casa o ricevere la moglie o il marito in carcere, in un appartamento indipendente, nella "casa famiglia". Lavorano, guadagnano, si pagano vitto e alloggio. Devono solo registrare la propria presenza alle guardie tre volte al giorno. Ma se toccano droga o alcool vengono immediatamente rispediti in un carcere chiuso. Si muovono con assoluta libertà all’interno del carcere. Gli unici confini sono delimitati da paletti di legno pitturati di rosso e di giallo. Le guardie non hanno armi. La libertà è lì, a due passi. Sta a loro resistere alla tentazione di scappare. È da più di dieci anni che in Finlandia esistono i carceri aperti. Pochissimi i detenuti che sono scappati. I dati dicono che la maggior parte di loro, quando ha finito di scontare la pena, non ha più commesso reati. Ma la nostra non è un’inchiesta sul sistema carcerario. È la storia di Jaana. Nel giorno che si apre con la spesa al supermercato e prosegue nell’attesa dell’arrivo di Timo, suo marito da tre anni. Anche Timo è un detenuto. Anche lui ha commesso reati molto gravi. Anche lui vive ora in una prigione aperta. Jaana e Timo si incontrano. Vanno nel loro appartamento. Raccontano il loro amore. Il presente ed il futuro che stanno progettando insieme. Il lavoro, la casa, il desiderio di avere un figlio. Parlano di odio, vendetta, senso di colpa, perdono. Anche a chi crede che tutto ciò sia sbagliato e che loro non si meritino tanto.
Perché Jaana?
"Sono andato in Finlandia per capire. Avevo letto sulla stampa internazionale del sistema carcerario che contemplava prigioni aperte. Volevo capire come questo sistema era possibile, quali insidie nascondeva, se davvero funzionava. Ho visitato tante carceri, chiuse e aperte, più o meno efficienti, ordinate, severe. Ho incontrato tanti detenuti che mi hanno raccontato la loro storia e quanto erano felici di vivere in una struttura aperta. Eppure non riuscivo ancora a capire. Finché ho incontrato Jaana. Jaana ti guarda negli occhi. I suoi grandi occhi azzurri sono rimasti quelli spauriti ed entusiasti di una bambina. Jaana aveva nove anni quando, insieme al fratellino di otto, maneggiando un’arma, uccisero un ragazzino. Da quel giorno ha vissuto nell’inferno della violenza, del carcere, della droga. Poi ha conosciuto Timo, se ne è innamorata, si sono sposati. Oggi quegli stessi occhi guardano, per la prima volta, al futuro. Nel carcere aperto sta imparando come ci si comporta non solo dentro, ma anche fuori. E così anch’io finalmente ho capito. Che Jaana ce la può fare".
Anteprima: giovedì 27 ottobre 2005 - ore 17,00 - Helsinki (Fin) al Cinema Kino Marilyn presso il Media Centre Lume dell’Uiah (University of Industrial Arts Helsinki). info@paneikon.it Finlandia: come funzionano le atipiche carceri finlandesi?
Tiscali Europa, 19 ottobre 2005
Se si deve andare in prigione, meglio essere in Finlandia. Il paese nordico ha iniziato a riformare il sistema penitenziario 20 anni fa e adesso ha la più bassa percentuale di carcerati di ogni altro paese dell’Unione europea, 52 su 100.000 abitanti, con un sistema carcerario molto indulgente. I Finlandesi hanno creato un sistema di "prigioni aperte", basato su studi sociologici che hanno portato ad un radicale ripensamento della politica penale. La Finlandia è nota per le teorie liberali circa l’organizzazione sociale e il sistema riflette questi principi. Secondo questo sistema la restrizione della libertà personale rappresenta una punizione già abbastanza dura e quindi le prigioni devono essere il più confortevoli possibile. L’obiettivo della pena è quello di reinserire le persone nella società piuttosto che di punire il crimine commesso. Le prigioni in Finlandia non hanno muri o sbarre ma videocamere di controllo e reti di allarmi elettronici. Non ci sono cancelli di ferro, passaggi di metallo o celle sinistre; gli spazi dove vivono gli internati assomigliano più a dei dormitori piuttosto che alle celle di una prigione. Le guardie, disarmate, vestono abiti civili o uniformi prive di emblemi, le armi vengono usate solo quando i prigionieri vengono trasferiti. Gli internati e le guardie si rivolgono l’un l’altro con il proprio nome e i direttori del carcere non hanno titoli militari ma vengono definiti "manager" o "governatore", mentre i prigionieri vengono talvolta chiamati "clienti" o, se sono giovani, "allievi". Le licenze per recarsi a casa sono concesse con facilità, specialmente per coloro che stanno finendo di scontare la pena, e per gli altri ci sono delle stanze al pianterreno dove la privacy è assicurata e dove si possono passare fino a quattro giorni di seguito con le spose o i figli in visita. Da quando ha adottato questo sistema unico la percentuale di crimini in Finlandia è molto diminuita, fino a divenire la più bassa in Europa, e lo Stato ha risparmiato circa 20 milioni di euro sulle spese per il mantenimento delle prigioni. Il Portogallo, con 131 detenuti su 100.000 persone, ha la più alta percentuale di carcerati dell’Unione europea. Il piccolo paese sull’Atlantico è seguito dal Regno Unito con 126, dalla Spagna con 116, dalla Germania con 97, dall’Italia con 93, dal Lussemburgo con 90, dall’Olanda con 87, dall’Austria e dal Belgio con 85, dall’Irlanda con 78, dalla Grecia con 76, dalla Francia con 75, dalla Svezia con 64 e dalla Danimarca con 62. Le carceri europee sono comunque meno affollate di quelle statunitensi, le quali contano 702 prigionieri su 100.000 abitanti, e di quelle russe con 664. Considerando le statistiche che mostrano come le punizioni dure non servano a ridurre i crimini (al contrario sembrerebbero incrementarli), e considerato l’esempio finlandese di basso crimine e basse spese per i servizi penali, viene naturale chiedersi perché altri paesi non adottino un sistema simile. Droghe: Cento (Verdi); autorizzare uso terapeutico dell'hashish
Ansa, 19 ottobre 2005
"La vicenda di Arluno deve far riflettere: vietare l’uso terapeutico dell’hashish è una vera crudeltà": il deputato dei Verdi Paolo Cento, vicepresidente della Commissione giustizia, interviene sulla vicenda di una casa di cura alle porte di Milano, la cui responsabile è accusata di aver procurato spinelli a un paziente gravemente malato nel tentativo, a suo dire, di alleviarne le condizioni. Cento rilancia quindi la proposta di autorizzare l’uso dei derivati della cannabis a fini medici. "Credo - afferma - che il divieto attuale sia un fatto puramente ideologico con risvolti disumani: alcuni mesi fa, la sperimentazione nell’istituto tecnico statale Kennedy di Monselice di Padova di una coltivazione di canapa sativa fu accompagnata da polemiche demagogiche e inutili: la cannabis sativa usata a fini terapeutici è priva, infatti, del Thc, responsabile degli effetti psicotropi del fumo di marijuana". "Il Parlamento - conclude Paolo Cento - deve assumersi la responsabilità di discutere questa tematica che potrebbe aiutare migliaia di persone ad affrontare in modo diverso sofferenze finora ineludibili". Editoria: "Scarceranda", l'agenda ideata dai detenuti di Monza
Redattore Sociale, 19 ottobre 2005
Torna "Scarceranda". La terza edizione dell’agenda ideata e prodotta dai detenuti del carcere San Quirico di Monza sarà disponibile a fine ottobre. Realizzata in collaborazione con la cooperativa sociale Teseo, attiva all’interno della legatoria della Casa circondariale, per i detenuti Scarceranda rappresenta un’occasione per riprendere un percorso di integrazione sociale e per guadagnarsi onestamente da vivere. Per molti rappresenta anche una buona occasione per avere maggiori possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione ed accedere al lavoro esterno al carcere. Organizzata con ‘planning’ settimanale, annuale e rubrica telefonica, l’agenda è arricchita da poesie, frasi ed aforismi ideati dai detenuti sui temi della libertà, della giustizia e degli affetti familiari. Disponibile nei formati grande e piccolo, Scarceranda sarà venduta rispettivamente a 12 e 8 euro, iva esclusa e può essere personalizzata inserendo una o più pagine di presentazione di organizzazioni o cooperative, che potranno stampare il proprio logo o marchio in copertina. "Il progetto coinvolge un numero elevato di persone, dal presidente della cooperativa Stefano Radaelli ai detenuti che lavorano all’interno del polo produttivo del carcere di Monza (4 persone, di cui 3 assunti dalla cooperativa sociale) e fanno lavori di legatoria per Comuni e biblioteche della zona -spiega Paolo Silva della cooperativa Teseo-. I detenuti rilegheranno l’agenda, impaginata da uno di loro che l’anno scorso ha seguito un corso di grafica e impaginazione finanziato dal Fondo sociale europeo in collaborazione con il consorzio Sis (www.consorziosis.org; ndr). Le prime due edizioni dell’agenda (2000 copie nel 2004; ndr) sono andate esaurite e i riscontri sono stati positivi: le persone ci stanno contattando per l’edizione di quest’anno", racconta Silva. Scarceranda si può trovare a Milano presso la manifestazione "Piazze solidali", in programma dal 20 ottobre al 6 novembre in piazza Duomo a Milano e in alcune librerie della città. Per informazioni e ordinazioni si può telefonare al 349.8419732 o scrivere a scarceranda@libero.it. Teseo è una cooperativa sociale che, con il suo laboratorio di legatoria, promuove l’incontro tra prodotti e servizi con valenza economica e persone che, in carcere, vivono l’esperienza della restrizione della libertà personale. Da sette anni Teseo gestice la legatoria interna alla Casa circondariale San Quirico di Monza, dove le persone ristrette possono sviluppare un percorso riabilitativo professionale e sociale attraverso un regolare lavoro artigianale retribuito. La cooperativa offre anche servizi di supporto psicologico, orientamento e mediazione, in collaborazione con la propria rete di appartenenza consortile. Tra i clienti di Teseo ci sono enti, studi, aziende, le biblioteche comunali di Cinisello Balsamo, Giussano, Cologno Monzese, Brugherio e la biblioteca Ambrosoli presso il Tribunale di Milano. Per informazioni: 349.8419732, teseo.milano@libero.it. Monza: i detenuti protestano, in 850 per 410 posti disponibili
Ansa, 19 ottobre 2005
Secondo giorno di protesta dei detenuti nel carcere di Monza. In tutte le sezioni dell’istituto è cominciata stamani la battitura delle inferriate delle celle. Per un attimo la situazione è sfuggita al controllo: due detenuti sono infatti saliti sull’area dei passeggi e si sono arrampicati sui cornicioni che danno all’interno del carcere. Motivo principale della protesta il sovraffollamento: il carcere di Monza potrebbe ospitare 410 detenuti, mentre attualmente ce ne sono 850, per i quali sono previsti solo due educatori. Nel carcere cu sono anche due sezioni ad alta sicurezza, una sezione psichiatrica, più un femminile con il nido. La protesta - secondo quanto si è appreso - sarebbe tutt’ora in corso, sempre con la battitura delle inferriate. Il sovraffollamento a Monza sarebbe essenzialmente causato da vari spostamenti di detenuti dalle carceri di Milano. Brescia: venerdì un convegno sulla pena e il recupero
Giornale di Brescia, 19 ottobre 2005
Nelle celle sovraffollate la pena ha il sapore della vendetta. Lasciati a "vegetare" in carcere, gli ex detenuti facilmente ricadono nel medesimo reato quando riacquistano la libertà. "Non solo carcere per affermare la giustizia": il titolo del convegno previsto per venerdì alla facoltà di Giurisprudenza riassume le nuove indicazioni europee e la prospettiva indicata dalla recente legge regionale sull’esecuzione penale, mentre il sottotitolo richiama la corresponsabilità della comunità locale. "Non si può più delegare il recupero dei condannati al sistema della Giustizia, le cifre lo impediscono", sottolinea il presidente dell’associazione Carcere e territorio, Carlo Alberto Romano, presentando il programma della giornata di studio che fa di Brescia "un luogo di riflessione in materia, di portata nazionale". Sono 470 i detenuti di Canton Mombello: il doppio rispetto alla capienza. Gli stranieri sono 250, i tossicodipendenti 160: questi dati aggiungono ulteriori problemi. Dalla legge 8 del 2005 prende spunto il convegno per ricercare i modi di una giustizia attenta al recupero e gli strumenti della "riconciliazione sociale". I cappellani delle carceri lombarde (ieri rappresentati, nella sede dell’associazione, in via Spalto San Marco 19, dal delegato regionale don Virgilio Balducchi e dal cappellano di Canton Mombello don Adriano Santus) hanno promosso l’iniziativa insieme alla Conferenza regionale dei volontari, alla delegazione delle Caritas lombarde, alla Caritas bresciana. Di tutto rilievo è l’elenco delle autorità che alle 9 porteranno un saluto: il presidente della Regione Roberto Formigoni, il vescovo ausiliare mons. Francesco Beschi, il presidente della Provincia Alberto Cavalli e il sindaco Paolo Corsini, il preside di Giurisprudenza Antonello Calore, il provveditore del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria della Lombardia Luigi Pagano, il magistrato Monica Lazzaroni. Alle due sessioni di lavoro del mattino sulle prospettive europee e italiane seguirà, nel primo pomeriggio, la tavola rotonda sui percorsi di riconciliazione sociale applicabili nell’amministrazione della giustizia in Lombardia, con la partecipazione di Luisa Massari per il mondo del volontariato, Monica Lazzaroni del Tribunale di Sorveglianza di Brescia, Severina Panarello responsabile dell’Ufficio locale dell’esecuzione penale, Maria Grazia Bregoli direttore della Casa circondariale di Brescia e della Casa di reclusione di Verziano, Aurelio Ferrari presidente dell’Anci Lombardia. Le conclusioni - previste per le 16 - sono affidate ad Antonella Maiolo, sottosegretario alla presidenza della Regione per i diritti del cittadino e le pari opportunità e a don Virgilio Balducchi. Dell’impegno per la formazione e il reinserimento hanno parlato ieri gli assessori della Provincia e del Comune, Francesco Mazzoli e Fabio Capra. "La comunità cristiana può e deve dare segni di speranza", ha detto don Umberto Dell’Aversana, vicepresidente della Caritas che coordina l’attività dei volontari tra i detenuti e in aiuto alle loro famiglie. Nel quadro delle misure alternative al carcere sono 492 le persone affidate in prova ai centri di servizio sociale, altre 218 risultavano agli arresti domiciliari alla data del 30 giugno scorso. Brescia: rieducazione e riabilitazione; sì, ma come?
Giornale di Brescia, 19 ottobre 2005
Tra rieducazione e bisogno di sicurezza, il sistema penitenziario fornisce una risposta adeguata nel campo della rieducazione e del reinserimento dei detenuti? Problemi, proposte e aspettative sono state prese in esame ieri sera nel corso dell’incontro "Carcere e costituzione. Difesa dal crimine e funzione della pena". Un appuntamento organizzato dall’associazione "Osservatorio bresciano per la difesa dello Stato di diritto" ieri sera nella sala Piamarta di via San Faustino con la partecipazione di Carlo Bianchetti, giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Brescia, Alessandro Margara, presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze ed ex direttore del Dap, e Carlo Alberto Romano, docente di criminologia dell’Università degli studi di Brescia e presidente dell’associazione "Carcere e territorio". Secondo i dati diffusi dagli organizzatori, alla data del 30 giugno di quest’anno, sono 59.125 i detenuti presenti nelle carceri italiane (tra cui quasi 20.000 stranieri in rappresentanza di circa 150 paesi differenti). Altri però sembrano essere i dati veramente significativi: il 27% dei detenuti risulterebbe essere tossicodipendente (il 2,6% sarebbe affetto da Hiv). Tra gennaio e agosto 2005 sono stati 41 i suicidi e 14 le morti per malattia, a conferma di un ambiente decisamente duro e che, a volte, versa in condizioni igieniche discutibili. A fronte di 45.126 agenti penitenziari, troviamo invece, un educatore ogni 107 detenuti, un assistente sociale ogni 48 e uno psicologo su 148 carcerati, a discapito dell’attività educativa e riabilitativa che l’istituto penitenziario dovrebbe avere. Diversi aspetti di un’istituzione la cui ultima riforma è ormai vecchia di trent’anni e che, nel corso della sua relazione, Carlo Alberto Romano ha cercato di analizzare dal punto di vista del legislatore, che "molto spesso ha operato - commenta - sull’onda dell’emozione come nel caso degli omicidi di Falcone e Borsellino, invece di seguire criteri razionali". Proprio a una riforma penitenziaria, grazie alla grande esperienza accumulata come amministratore del sistema carcerario nazionale, sta lavorando invece Alessandro Margara "cercando di integrare con nuove norme più specifiche - dice - ciò che manca nell’organizzazione dell’attuale struttura penitenziaria". Un nuovo testo che si occupi in maniera più analitica e profonda della garanzia dei diritti dei detenuti (civili e igienico-sanitari), di una migliore organizzazione delle misure alternative alla detenzione, della ristrutturazione del servizio rieducativo ("un carcere - dice - cambia solo se cambia la sua organizzazione interna e l’assenza di educatori nuoce a tutte le forze in campo") e di un vero reinserimento sociale: "Un’ipotesi di riforma - conclude Margara - che si rifà all’articolo 27 della Costituzione e intende sottolineare i fini rieducativi per la persona, mirati a un corretto reinserimento nell’ambito della società, attraverso ipotesi di interventi concreti all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari". Rovigo: il nuovo carcere sarà pronto nel 2009
Il Gazzettino, 19 ottobre 2005
Sarà pronto tra quattro anni e ospiterà solo detenuti maschi il nuovo carcere della città che ieri è stato presentato a palazzo Nodari. In precedenza il sindaco Paolo Avezzù aveva capeggiato una delegazione di tecnici con la responsabile del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva e i progettisti che stanno lavorando al progetto esecutivo. Già pronto il preliminare ed entro l’anno è prevista l’individuazione della ditta costruttrice. I lavori si completeranno in due anni per le opere murarie e in altri due per gli allestimenti. Sarà eseguito un primo stralcio funzionale di 38 milioni di euro. Il solo progetto costerà un milione e mezzo. Prevista un’area per alloggi e servizi intorno a una zona detentiva chiusa da un muro di 7,5 metri. Solo ipotizzata la destinazione della vecchia struttura cittadina. Diventerà un bene del Demanio ma il suo futuro sarà deciso d’accordo col Comune. Lanciano: altri 80 detenuti in arrivo, gli agenti protestano
Il Messaggero, 19 ottobre 2005
"Complessivamente, dal 2003 ad oggi, noi abbiamo novemila giornate arretrate di congedo; sopportiamo turni di lavoro stressanti, potendo usufruire di una giornata di riposo ogni 15-20 giorni lavorativi". È il grido di allarme che arriva dai 171 dipendenti del supercarcere di Villa Stanazzo, dove i rappresentanti sindacali hanno tenuto una conferenza stampa per illustrare quella che viene definita "una situazione drammatica" di fronte al fatto che la maggior parte dei 250 detenuti di "Villa Stanazzo" deve scontare pene per mafia. Gli agenti di custodia, perciò, hanno dato mandato ai propri avvocati per valutare l’avvio di un’azione legale contro l’Amministrazione penitenziaria. "Siamo costretti - dice il portavoce sindacale unitario degli agenti di custodia, Bruno Fiorilli - a coprire nello stesso tempo ben quattro postazioni di lavoro con un solo uomo, con gravi rischi. Solo nello scorso mese di settembre si sono sommate 200 giornate di riposi non goduti. La direttrice, Giuseppina Ruggero, si impegna al massimo, ma nulla si può contro la cronica insufficienza di agenti. Se la situazione non cambia, organizzeremo una manifestazione di protesta sotto la Prefettura di Chieti. I delegati sindacali di Cgil, Cisl, Uil, Cnnp, Sappe, Sialpe, Sinappe e Osapp, hanno avuto un incontro con il provveditore dell’amministrazione penitenziaria Aldo Fabbozzi, al quale hanno rappresentato anche un altro "pericolo"". Chiarisce Fiorilli: "Hanno deciso di aprire a Villa Stanazzo due nuove sezioni, una per detenuti comuni e l’altra per detenuti con problemi psichici, per un totale di circa 80 nuovi reclusi, ma non si è parlato di alcun aumento di organico". I rappresentanti degli agenti di custodia hanno presentato al provveditore Fabbozzi un documento in cui si chiede il blocco del progetto di nuove sezioni, l’invio a Villa Stanazzo di un sufficiente numero di agenti e un piano che preveda definitivamente la completezza degli organici". Pordenone: dai detenuti un regalo ai bimbi malati
Il Gazzettino, 19 ottobre 2005
Sono cinquanta, realizzate con cura, coloratissime e con i personaggi disneyani. Sono le borsettine decorate da sei detenuti del carcere del Castello, destinate a essere inviate, come dono di Natale, ai bimbi in ospedale. Si è conclusa venerdì la prima fase del progetto "Bimbanchio", all’insegna della solidarietà e del reinserimento sociale dei detenuti, ideato dalla Circoscrizione Centro, che avvicina idealmente due mondi che sono agli antipodi: quello dei carcerati e quello dei piccoli ammalati del reparto di pediatria. Le borsettine portagiochi e portapigiamini sono state consegnate al presidente della Circoscrizione Centro, Vincenzo Giangiacomo, il quale per ringraziare i detenuti del lavoro, ha già inoltrato la domanda per poter entrare nel Carcere a fare visita agli autori delle decorazioni. Le borse (i tessuti sono stati donati da Boranga) saranno riempite di giocattoli, grazie alla collaborazione con il Tuttotoys, e quindi portate, in occasione delle festività natalizie, nel reparto di Pediatria, diretto dal primario Leopoldo Peratoner una delle poche realtà in Italia ad aver passato, con successo, il severo "esame" dell’Unicef e a potersi fregiare del titolo internazionale di Ospedale amico dei bambini. In una delle borsettine, i detenuti hanno disegnato una pergamena, riportante la seguente dichiarazione d’augurio: "Cari bambini, vi dedichiamo queste parole dal profondo del nostro cuore. Per tutti quelli che... cadono e non hanno la forza di rialzarsi; che vivono senza tattica e in un modo e nell’altro vanno avanti; quelli che solo nei sogni sono come vorrebbero essere. Per tutti questi, con i nostri migliori auguri. E che Dio protegga il vostro cammino" Padova: inaugurate due ludoteche per i figli dei detenuti
Il Gazzettino, 19 ottobre 2005
"Anche se un genitore è recluso, la gestione della famiglia è partecipativa". È per questo che dentro il carcere Due Palazzi di Padova - 750 detenuti, pene variabili da cinque anni all’ergastolo - per i bambini è stata allestita una ludoteca piena di giocattoli, puzzle, pupazzi. Le pareti sono colorate, accese dai disegni di Veronica, Rami, Giulia, Franco, Samer, Maria Grazia... Sono centocinquanta ogni mese, per il 70 per cento di nazionalità italiana, i bambini che transitano per questa speciale area-gioco allestita da venticinque volontarie di Telefono azzurro. Prima di andare a colloquio con il papà, lo zio, il nonno (il Due Palazzi è un carcere maschile) i bimbi transitano per due stanze colorate, divise da un arco, zeppe di seggiole e tavolini, peluche, macchinine, bambolotti, giochi in scatola che evocano foreste incantate, mondi magici, favole. Sharon scrive: "Tanti sorsi in riva al mare, tanti baci ti vorrei dare... ti amo, ti rispetto con tutto il cuore che ho nel petto". E proprio il rispetto per l’inviolabile rapporto padre-figlio ha spinto a creare, dietro le sbarre, questo angolo di paradiso dove i più piccoli vivono la dimensione dell’infanzia, dimenticando di essere stati perquisiti all’entrata. Un’iniziativa fotocopia è stata portata avanti nella vicina casa circondariale, 250 ospiti prevalentemente extracomunitari, un centinaio i bambini che ogni mese entrano nella struttura di pena a far visita ai propri congiunti. Ieri, all’inaugurazione delle ludoteche, oltre ai direttori delle due strutture di pena Salvatore Pirruccio e Antonella Reale, c’era il prefetto di Padova, Paolo Padoin. "La mia presenza di rappresentante dello Stato intende incoraggiare iniziative come questa, a favore dei più deboli e indifesi. Laddove le istituzioni non arrivano - ha osservato Padoin - arriva il volontariato: perciò ringrazio sentitamente gli operatori di Telefono azzurro". Presenti con la coordinatrice padovana Graziella Nube, la referente del progetto carcere Carla Scolaro, la vicepresidente del comitato nazionale Concetta De Martino, i volontari hanno sottolineato la preziosa collaborazione degli agenti di polizia penitenziaria che contribuiscono a cautelare psicologicamente i bambini, aiutandoli a superare il difficile impatto con la struttura carceraria. Prova ne è il disegno di un piccolo: la prima volta che è entrato dietro le sbarre ha scarabocchiato un teschio con a fianco un pugnale insanguinato, dopo qualche mese una luna immersa in un universo di stelle. Brasile: rissa tra bande in carcere, morti tre detenuti
Ansa, 19 ottobre 2005
Tre reclusi sono morti, uno di loro decapitato, in una rissa tra bande rivali nel carcere brasiliano di Guarulhos, nello Stato di San Paolo. Ci sono stati ammutinamenti anche in altre due prigioni dello stesso Stato e i detenuti hanno preso in ostaggio guardie e funzionari. Le rivolte sono avvenute per protesta contro il fatto che sono rinchiusi nelle stesse celle detenuti che appartengono a bande rivali e finiscono per aggredirsi come è avvenuto a Guarulhos. Gran Bretagna: uccide gatto in lavatrice, 6 settimane di carcere
Ansa, 19 ottobre 2005
Una madre di famiglia inglese è stata condannata a sei settimane di reclusione per aver deliberatamente ucciso il gatto di casa nella lavatrice. Holly Thacker, 34 anni, ha deciso di far fare l’orrenda fine a Fluffy davanti ai figli, di 15 e 5 anni, che ha costretto ad assistere alla scena. Il procuratore ha riferito che la donna aveva detto al suo ex marito: "Il gatto mi ha graffiato, allora l’ho messo nella lavatrice". "Poi si è messa a ridere e ha detto ‘l’ho fatto girare col programma a 90 gradì, prima di aggiungere che aveva gettato il corpo nella pattumiera", ha proseguito. Secondo un veterinario ascoltato nel corso del processo, conclusosi ieri a Norwich (est dell’Inghilterra) ci sono voluti da 5 a 10 minuti perché il gatto, "terrorizzato", morisse. Nel tentativo di aggrapparsi al cestello, Fluffy ha perso tutte le unghie.
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