Rassegna stampa 5 maggio

 

Padova: Osapp; qui come a Sulmona, 4 detenuti suicidi in 10 mesi

 

Ansa, 5 maggio 2005

 

Nel carcere di Padova l’incidenza dei suicidi è uguale, se non maggiore, a quella tra i detenuti di Sulmona: negli ultimi dieci mesi nella casa di reclusione veneta si sono tolti la vita quattro detenuti, di cui tre dall’inizio di quest’anno; nel supercarcere abruzzese, invece, i suicidi sono stati sei in diciotto mesi (sette se si calcola anche quello della direttrice, Armida Miserere).

A lanciare l’allarme è l’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia penitenziaria (Osapp), che stila un elenco dei "suicidi ignoti" in cella, a Padova. Nel luglio del 2004 si è tolto la vita Anacleto Lo Cane, 30 anni, ex collaboratore di giustizia, che si è suicidato infilando la testa in un sacchetto di plastica inalando il gas della bomboletta usata dai detenuti per cucinare; la stessa tecnica è stata utilizzata da Bayrem Mestiri, un tunisino di 21 anni, lo scorso 8 gennaio; l’8 febbraio Sergio Vaccaro, 29 anni, fine pena nel 2013, si è impiccato; infine lo scorso 2 aprile Redi Massariol, 21 anni, si è ucciso in cella sempre facendo ricorso alla "tecnica" della bomboletta del gas.

"Di Padova si è parlato poco e nulla - afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - qui non ci sono infatti personaggi illustri, come il sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, che si tolse la vita a Sulmona lo scorso agosto". Ma per l’Osapp questo carcere veneto, con i suoi circa 700 detenuti e i 380 agenti di polizia penitenziaria, rappresenta la situazione "grave" comune a molte carceri italiane, dove i reclusi sono per lo più detenuti comuni e non in regime di alta sicurezza, come a Sulmona.

"A Padova, oltre alla carenza di personale penitenziario - denuncia il segretario generale dell’Osapp - c’è una penuria di educatori e di psicologici che rasenta il paradossale per un istituto di quelle dimensioni. In servizio c’è un solo educatore, dal momento che gli altri due sono stati distaccati in altre sedi, mentre altri due educatori sono a tempo determinato. Infine - fa notare Beneduci - 700 detenuti possono contare solamente su tre psicologi e uno psichiatra convenzionati".

Tra le proposte avanzate dall’Osapp, oltre all’aumento degli educatori e psicologi, c’è anche quella di istituire un gruppo specializzato di agenti penitenziari in grado di intervenire in casi di emergenza o di detenuti a rischio suicidio. "Il problema principale - conclude il segretario dell’Osapp - non è il carcere in sé ma l’amministrazione penitenziaria che gestisce male le risorse che ha a disposizione. Senza contare poi che sono veramente pochi i direttori impegnati ad ascoltare i detenuti e i loro problemi. Di tutto questo non si può far carico unicamente la Polizia penitenziaria".

Campobasso: caso Izzo; Castelli, psicologi amici di Caino

 

Adnkronos, 5 maggio 2005

 

"La maggior parte degli psicologi, degli assistenti sociali e degli operatori che lavorano nelle carceri sono amici di Caino". A rimarcare quello che ha definito un "dato culturale" è stato oggi il ministro per la Giustizia Roberto Castelli ai microfoni di Radio Padania Libera, commentando la vicenda dell’ex boia del Circeo Angelo Izzo, che è tornato ad uccidere mentre era sottoposto a regime di semilibertà. Secondo il Guardasigilli, gli operatori che lavorano al recupero dei detenuti "vogliono avere per forza davanti una persona che si è redenta".

Izzo: Castelli; misure premiali funzionano ma questa era sbagliata

 

Agi, 5 maggio 2005

 

"Le misure premiali funzionano e vengono usate in tutto il mondo, ma nel caso di questo individuo si è sbagliato clamorosamente non solo perché aveva dietro di se un passato in carcere non proprio esemplare, ma perché oggi, a mio parere, la maggior parte degli operatori, degli psicologi e degli assistenti sociali che lavorano nei penitenziari sono tutti amici di Caino, per cultura e mentalità vogliono a tutti i costi avere davanti a loro una persona che si è comunque redenta e considerano il penitenziario un inferno da cui tutti devono uscire".

Lo ha detto il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, rispondendo alle domande di Radio Padania Libera sul caso di Angelo Izzo, il detenuto in semilibertà che ha a ucciso ancora. "Non so - ha proseguito Castelli - se si è sbagliato per negligenza, malafede oppure perché si è corsi dietro a questa cultura e, quindi, in qualche caso non si riesce a giudicare con serenità e obiettività, ma si decide sull’onda della propria ideologia, dell’emozione, e si cade quindi in errori di questa natura che poi, come in questo caso, pagano degli innocenti.

Dico questo in base agli elementi noti, ma su questi punti farà chiarezza l’inchiesta amministrativa da me ordinata. Ribadisco - ha concluso il Guardasigilli - la validità della legge premiale ma sul piano pratico si tratta di capire se il detenuto sia effettivamente redento e voglia diventare un bravo cittadino, oppure se cerca in maniera diabolica o quantomeno maligna di garantirsi dei vantaggi facendo finta di esse bravo e di collaborare".

Cesena: dal Comune aiuti per fare lavorare i carcerati

 

Corriere della Romagna, 5 maggio 2005

 

Il Comune di Cesena si mobilita per favorire l’inserimento lavorativo e sociale dei detenuti. L’amministrazione, nei giorni scorsi, ha aderito a un protocollo di rete locale promosso dalla Provincia. Il documento contiene indicazioni per sviluppare servizi di orientamento, formazione, accompagnamento al lavoro a favore di adulti sottoposti a misure penali limitative della libertà. L’iniziativa si inserisce nel progetto "Pegaso", a cui hanno aderito, oltre al Comune, anche Technè, l’Osservatorio Comunicazione Pubblica e sociale dell’Università di Bologna, il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria, i soggetti della Commissione Provinciale Tripartita per le Politiche del Lavoro e della Formazione (associazioni datoriali, sindacali, Consigliera Provinciale di Parità) e il Ser.T.".

Questo progetto - dichiara il sindaco Giordano Conti - ha come obiettivo quello di contrastare la marginalità sociale in cui vivono i cittadini detenuti, attivando una serie di strategie mirate e adeguate. Tali interventi si inseriscono nell’ambito di una iniziativa più vasta, cofinanziata dal Fondo Sociale Europeo, all’interno di una strategia europea per l’occupazione, che mira a innovare gli approcci e le politiche per ridurre i casi di discriminazione e di disuguaglianza all’interno del mercato del lavoro. Il Comune di Cesena ha voluto partecipare a "Pegaso" per andare incontro a tutti coloro che, scontando una pena detentiva o attualmente in semilibertà, possono comunque far parte della società, offrendo il proprio contributo anche attraverso il lavoro. Credo che questo sia un atto molto importante, che deve essere sviluppato e realizzato da tutti i soggetti coinvolti, per ottenere risultati più concreti ed efficaci".

L’assessore ai Servizi Sociali, Fausto Aguzzoni, entra nel vivo del progetto: "Sono previste tre macrofasi, all’interno delle quali saranno sperimentate azioni volte a esaminare le criticità e a produrre strategie efficaci di organizzazione. Allo stesso tempo, si procederà a sperimentare la fattibilità di nuove e maggiori opportunità di lavoro di detenuti ed ex detenuti e di accompagnamento personalizzato. Infine, si dovrà sperimentare la nascita di una Agenzia di comunicazione sociale e relativi laboratori locali di giornalismo sociale sulle problematiche del carcere e sui temi della giustizia, della legalità e della sicurezza".

Sulmona: il "carcere maledetto" apre le porte alla speranza

 

Il Messaggero, 5 maggio 2005

 

"Il cane è l’unico essere vivente che ti dà tutto senza chiedere nulla". Lo ha detto Giovanni Tinebra, numero uno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, partecipando ieri alla presentazione del progetto "Argo" che ha preso l’avvio al supercarcere di Via Lamaccio. Poco prima il direttore Giacinto Siciliano, parlando in dettaglio dei vari step del programma, aveva detto: "Un cane in un carcere può essere l’unica occasione di sorriso".

Due affermazioni che, alla fine, racchiudono il vero significato di questo progetto, che è attivo nelle carceri italiane già da un paio di anni, tanto che, ha sottolineato Giovanni Tenebra, "era molto caro alla direttrice Armida Miserere", e che adesso arriva anche a Sulmona, proprio quando è caduta addosso al supercarcere abruzzese, immeritatamente, la triste nomea di carcere "maledetto"; un marchio che il ministro Roberto Castelli per primo si è affrettato a cancellare nella sua visita. Un marchio che ieri è tornato a galla dopo un episodio accaduto nel carcere di Campobasso in questi giorni al centro dell’attenzione per la vicenda legata al "mostro del Circeo": ieri, infatti, nel carcere molisano ha tentato il suicidio un detenuto proveniente dal carcere di Sulmona ma, a quanto si è appreso a Sulmona, non uno di quelli trasferiti dopo l’ultimo caso di suicidio.

"Il progetto "Argo" - ha detto il direttore Giacinto Siciliano – s’inquadra come elemento importante del Progetto Pedagogico del 2005, sia in termini di una più concreta interazione carcere-territorio che come esigenze di carattere trattamentale". Gli step del progetto sono semplici: si parte dall’adozione, sono già due i cani adottati dal canile Alex e Mainof, amorevolmente coccolati, è proprio il caso di dirlo, dai "padri adottivi"- questo il nome scelto nel progetto - Agatino D’Amico, Carmine Garofalo Bova, Michele Petrelli e Ciro Esposito, gli ultimi due già con Alex e Mainof che gli corrono incontro scodinzolando. Quindi l’attivazione del servizio di accoglienza temporanea; poi la realizzazione di un "rifugio" e, infine, l’attivazione di una vera e propria "pensione", che potrebbe fungere anche in connessione con gli alberghi cittadini. Il tutto nelle aree verdi dell’Istituto.

"Argo" ha coinvolto tutte le istituzioni e perfino al Confindustria. È il segno che l’iniziativa, unitamente a quelle già in atto, che chiaramente proseguiranno, e alle altre che sicuramente verranno, ha colpito nel segno, nel senso che tutti hanno ritenuto indispensabile intervenire per cercare di spezzare le spire dei suicidi che da un paio d’anni stringono in una morsa, sempre più drammatica, questo carcere di Castelli ha definito "uno dei migliori d’Italia".

Giovanni Tinebra non ha accettato le provocazioni che venivano dai giornalisti di legare l’evento ai suicidi, rifiutandosi cordialmente, ma categoricamente, di parlare di questi ultimi "per ovvie ragioni di riservatezza"; anche se nel suo discorso ha detto che la presenza di un cane è un "indubbio sostegno a coloro che hanno l’obbligo di pagare un debito allo Stato e il diritto ad avere una possibilità di recupero".

Così "Argo", il nome del mitico cane di Ulisse che lo riconosce e muore ai suoi piedi dopo 20 anni d’attesa, racchiude questa speranza: aprire le porte dell’animo, chiuse pesantemente dalle pene da espiare, alla speranza di un futuro migliore; quella speranza che, evidentemente, è venuta a mancare a chi ha deciso di farla finita con la vita da recluso. Una scelta che di fatto sancisce il fallimento, o il paradosso per dirla col ministro Castelli, del Carcere, che ha la funzione di recuperare alla società che ha sbagliato. Una strada in cui confluiscono tanti piccoli viottoli come può essere quello del progetto "Argo", senza i quali è la stessa strada a scomparire.

Roma: a Rebibbia femminile è scoppiata un'epidemia di varicella

 

Il Tempo, 5 maggio 2005

 

Malati piantonati insieme ai detenuti all’ospedale Sandro Pertini. È la conseguenza dell’epidemia di varicella, scoppiata all’interno del reparto femminile del carcere di Rebibbia, che avrebbe reso necessario il trasferimento delle recluse nel nosocomio romano, per le cure del caso. E che renderà dei sorvegliati speciali anche i pazienti a piede libero, che si troveranno a condividere la degenza con una detenuta, per giunta contagiosissima. Perché il padiglione riservato ai detenuti nella struttura nel quartiere Lanciani non è stata ancora completata.

La notizia arriva dall’Unione generale del lavoro (Ugl) Ministeri, che ha lanciato l’allarme per la mancanza di personale addetto alla vigilanza delle detenute in ospedale. "Le autorità sanitarie del carcere ritengono che le malate debbano essere trasferite in una struttura pubblica e il direttore del carcere non si può opporre" spiega la responsabile Ugl, Paola Saraceni, che sottolinea con disappunto "che il padiglione del Pertini che avrebbe dovuto essere riservato ai detenuti non è ancora disponibile". "Questo vuol dire che i malati si troveranno gomito a gomito con le carcerate e, soprattutto, con i piantoni, 24 ore al giorno - dice -.

Inoltre sarà difficile reperire personale di vigilanza, senza sottrarre organico alla polizia penitenziaria, già in sofferenza". Al momento sarebbero solo una decina i casi conclamati. Ma il potenziale di contagio, tra le 400 ospiti di Rebibbia, è elevatissimo. Il timore di un’epidemia è reale. Non solo perché il virus varicella-zoster è particolarmente aggressivo. "Ma soprattutto perché almeno il 30% delle carcerate è tossicodipendente e con un sistema immunitario ridotto ai minimi termini" continua la Saraceni, che vede proprio nel sovraffollamento carcerario un ulteriore fattore di rischio. Questo vuole dire che anche chi non ha ancora i segni manifesti della malattia sulla pelle potrebbe essersi già ammalato e quindi essere un potenziale veicolo di contagio. Di qui l’ipotesi di trasferire le ammalate in ospedale. E la conseguente difficoltà di reperire personale di vigilanza, con i continui tagli agli organici, in alcuni casi dimezzati. Secondo la Saraceni, quella di Rebibbia è solo una delle varianti del problema dei tagli all’organico. "Basti pensare al caso degli educatori che sulla carta sono 1.376 ma in servizio sono appena 563, meno del 50% - spiega - A ciò bisognerà calcolare il taglio del 5% previsto dalla Finanziaria 2004. Significa che dai 1.376 educatori dovremo eliminarne 66 in un organico già ridotto della metà". La morale? "Non ci meravigliamo se capitano casi come quello di Izzo".

Giustizia: sentenze meno urlate e condanne espiate

di Carlo Nordio

 

Il Messaggero, 5 maggio 2005

 

Nello spazio di ventiquattro ore sono intervenuti due eventi che potrebbero segnare una svolta nell’annoso conflitto tra politica e giustizia. Il primo è l’emendamento con il quale la maggioranza ha rinunziato ad una depenalizzazione di fatto della bancarotta fraudolenta, ripristinando pene serie, se non proprio severe. Il secondo, è la pronunzia con la quale la Corte di giustizia europea ha dichiarato irricevibile il ricorso contro la nuova legge sul falso in bilancio.

Nel primo caso, si è preso atto che la fraudolenta distrazione di beni e la distruzione delle scritture contabili da parte di amministratori di una società fallita è crimine di rilevante danno e di mortale pericolo non solo per i creditori sociali e i risparmiatori, ma per gli stessi imprenditori e più in generale per l’economia nazionale. Ridurne la pena massima a quattro anni, a fronte degli attuali dieci, avrebbe significato svilire la natura dell’illecito e facilitarne l’estinzione per prescrizione. Anche a seguito di un appello di molti giuristi il rimedio è stato approntato. Il nuovo limite di sei anni rende la sanzione più equilibrata e ragionevole in armonia con una filosofia repressiva che si auspica meno esagerata, ma più efficace.

Nel secondo caso, la Corte ha detto quello che qualsiasi modesto giurista sapeva da tempo. Che il nostro legislatore è sovrano nel definire reati e pene, e che è assurdo attribuire ad un tribunale internazionale la competenza ad interferire, di diritto e di fatto, con processi penali in corso in Italia. La dichiarazione di irricevibilità non significa che la nostra legge sia ottima. Significa però che i dubbi della magistratura di Milano erano fuori luogo, e sono stati comunque espressi in modo improprio, con un ricorso sbagliato. E con questo la partita dovrebbe essere chiusa.

Ma perché questi due eventi potrebbero segnare una svolta? Perché se da un lato l’attuale maggioranza politica ha ricevuto soddisfazione davanti ad una giurisdizione internazionale, dall’altro ha avuto la ragionevolezza di riconoscere che sui reati fallimentari aveva imprudentemente pasticciato, e ha fatto un passo indietro, accettando, senza scandalizzarsene, le critiche provenienti da chi il diritto lo applica quotidianamente sul campo. Se queste regole di buon senso fossero state applicate negli anni recenti, forse si sarebbero evitate battaglie logoranti e inutili.

Ma ritorniamo alla bancarotta. Sei anni di reclusione per un reato così grave potrebbero sembrare pochi. In realtà sarebbero anche troppi, se fossero veramente scontati, tenuto conto che in Italia circolano liberamente assassini, brigatisti e rapitori di bambini, solo perché hanno, come si dice, collaborato con la giustizia. Senza parlare di quelli che, durante i permessi premiali, continuano tranquillamente a fare quello che facevano prima e anche peggio. In realtà, come da tempo ripetiamo, la nostra anomalia non è costituita dall’esiguità delle pene, ma dalla loro mancata applicazione. Le pene previste dal codice sono, come le grida manzoniane, di una severità sanguinaria: trent’anni per chi ruba in una sera, in tre case diverse. A questa esagerazione gridata corrispondono tuttavia, per logica reattiva, due paradossi: l’indulgenza dei giudici, che tengono ad appiattirsi sui minimi, e il sistema processuale e penitenziario che facilita la carcerazione preventiva dell’imputato quando è presunto innocente, e quasi ne impone la liberazione dopo la condanna, a colpevolezza conclamata.

Uno dei rimedi a questa sciagurata sciatteria è, come tutti riconoscono, una profonda revisione dell’intero sistema penale: le pene devono essere meno severe in astratto, ma più serie in concreto, perché solo così i cittadini, tanto le vittime quanto i criminali, ne colgono l’efficacia retributiva, preventiva e rieducativa. È notizia consolante che il ministro Castelli abbia accelerato i tempi di questa riforma globale, pur nella ristrettezza dei tempi residui dell’attuale legislatura. Ancor di più lo sarebbe se, abbandonando altri progetti di dubbio esito e di nessuna utilità, le energie fossero tutte concentrate su questi sforzi volti a rendere la giustizia più veloce e più credibile.

Roma: i Protestanti riflettono sul loro ruolo nelle carceri

 

Nev, 5 maggio 2005

 

"Cura pastorale nelle carceri": Questo il titolo del seminario nazionale organizzato dal Servizio rifugiati e migranti dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) a Rocca di Papa dal 29 aprile al 1° maggio 2005, grazie al quale i 35 partecipanti, pastori e laici, hanno avuto modo di confrontarsi sulle problematiche legate al complesso mondo dei penitenziari.

"Rispetto agli anni passati il mondo protestante si sta interessando sempre più a questa realtà, tentando di cogliere le potenzialità del servizio che possiamo offrire, e che va ben oltre l’accordo che come chiese abbiamo con lo Stato - ha spiegato Gianni Long, presidente della Fcei, che ha aperto i lavori -. Solo un terzo circa dei detenuti è in carcere per l’espiazione della pena. Un altro terzo è in attesa di giudizio e un altro ancora è costituito dai condannati in esecuzione esterna - ha tenuto ha fatto notare Long. Tradizionalmente si interviene soprattutto sulla prima categoria. La novità sta nel fatto che la nostra attenzione si rivolge ora anche alle altre due". All’appuntamento sono intervenuti la pastora Maria Bonafede, vice moderatora della Tavola valdese, la pastora Anna Maffei, presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia, e il pastore Vincenzo Mazza dell’Unione delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno.

Non sono mancati gli interventi di esponenti del mondo cattolico e della società civile. I partecipanti hanno potuto sentire don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione "Libera", Angelo Caputo di Magistratura Democratica, nonché Angela Oriti di Medici Senza Frontiere che ha presentato il rapporto 2004 della sua associazione dove si denunciano le gravi violazioni dei diritti umani che avvengono nei Centri di permanenza temporanea ed assistenza (Cpt).

Il pastore Francesco Sciotto in un intervento, frutto della propria esperienza nelle carceri di Parigi, ha illustrato il caso francese, portando la sua testimonianza sulla "cappellania in équipe". Tre i gruppi di lavoro dove si è parlato del ruolo del credente nelle carceri (riflessione teologica e proposte per la formazione); della possibilità di intervento al di fuori delle strutture carcerarie e dei servizi necessari (pene alternative, permessi, reinserimento sociale dopo la detenzione, assistenza ai familiari); dei diritti umani, delle questioni legislative e/o politiche, e dei Cpt (sensibilizzazione e possibilità di intervento). Al termine dell’incontro i partecipanti hanno elaborato proposte e raccomandazioni contenute in un documento finale.

Sulmona: nasce un osservatorio su sicurezza e legalità

 

Asca, 5 maggio 2005

 

Sarà costituito a Sulmona il primo "Osservatorio sulla sicurezza e sulla legalità" per monitorare non solo la situazione carceraria, modello che verrà poi esportato in tutte le realtà locali italiane. È questo uno dei risultati della riunione tenutasi questa mattina presso la Sede nazionale di DL Margherita tra esponenti dell’Esecutivo Nazionale, Dario Franceschini (Coordinatore Esecutivo), Franco Marini (Segretario Organizzativo) e Giuseppe Fanfani (Responsabile Giustizia) e una delegazione della Margherita di Sulmona, Lucio Cafarelli (Presidente Margherita Sulmona) e Antonio Iannamorelli (Membro dell’Assemblea Federale).

La Margherita ha ribadito con forza la necessità di intervenire sulla disciplina e applicazione concreta delle misure alternative alla detenzione e della rieducazione del condannato, con interventi di razionalizzazione complessiva, di finanziamento adeguato, e di controlli incisivi, tali da garantire che coloro che al temine del percorso carcerario torneranno nel contesto sociale non siano più pericolosi, e che i sistemi di recupero e le misure alternative alla detenzione siano da un lato individualmente efficaci, e dall’altro avvengano in condizioni di sicurezza sociale. In questo senso la Margherita si impegna ad attuare idonei interventi parlamentari volti a chiarire le circostanze relative ai suicidi avvenuti nel carcere di Sulmona ed annuncia iniziative territoriali volte a creare una permanente attenzione sociale e politica sui problemi della legalità e della sicurezza.

Televisione: i magistrati di Torino protestano contro fiction

 

Tg Com, 5 maggio 2005

 

La fiction "L’uomo sbagliato", ambientata a Torino, ha fatto infuriare i magistrati di Torino. "La storia è sicuramente ispirata a un fatto vero, che però non è successo a Torino. Inoltre nessun magistrato in servizio alla procura di Torino se ne è mai occupato" ha dichiarato il procuratore capo, Marcello Maddalena.

Il capo dei pm subalpini, notoriamente grande appassionato di calcio (è tifoso del Bologna) ha visto la partita tra Liverpool e Chelsea. È stata la moglie, magistrato anche lei, ad esprimergli - allo scorrere dei titoli di coda - le prime perplessità. Poi alcuni colleghi gliene hanno parlato: i luoghi della fiction sono tutti torinesi, ma i personaggi, nonostante quello che viene detto verso la fine, no.

"L’uomo sbagliato" ripercorre le tappe di un clamoroso errore giudiziario di cui fu vittima Daniele Barillà, titolare di un negozio di elettrodomestici, arrestato per droga e scagionato completamente da ogni accusa solo dopo sette anni di carcere: ma la vicenda si snodò tra Milano e Genova, non a Torino. E così, a Palazzo di Giustizia, all’ iniziale imbarazzata curiosità di chi non era bene informato ("ma chi è quel magistrato che lavora ancora a Torino, chi è quel funzionario del carcere che risulta essere stato rimosso?") è subentrato un intreccio di malinconia e di orgoglio professionale: "Non siamo stati noi".

Sulmona: Margherita; compatibilità tra detenzione e umanità

 

Asca, 5 maggio 2005

 

Nel corso della riunione di questa mattina del suo Esecutivo, la Margherita ha approvato un documento redatto dal responsabile giustizia dielle, Giuseppe Fanfani, relativo a recenti vicende giudiziarie e ai riflessi che esse hanno avuto dal punto di vista della sicurezza e delle garanzie dei cittadini. Nel documento, la Margherita si è soffermata sulle problematiche connesse alla detenzione carceraria e al sistema complessivo delle misure alternative, anche alla luce del suicidio di Nunzio Gallo, avvenuto lo scorso 27 aprile nel carcere di Sulmona. "Accanto alla fermezza dello Stato nel garantire la sicurezza dei cittadini e la certezza della pena", sottolinea il documento approvato dai dielle, si deve porre "la massima attenzione al problema della compatibilità tra la detenzione carceraria, la condizione di umanità, e le esigenze rieducative". Per quanto riguarda, in particolare, i reiterati suicidi (6 nell’arco di 2 anni) avvenuti nel carcere di Sulmona ("struttura per altro moderna ed efficiente e come tale da conservare", spiega il documento della Margherita) viene evidenziata la necessità "di comprendere esattamente il fenomeno nel contesto e nelle motivazioni scatenanti anche al fine di evitare errori di analisi" e di "intervenire adeguatamente nel sistema della detenzione carceraria, con misure atte a prevenire episodi di violenza e di autolesionismo ed a garantire una detenzione coerente con i principi di dignità della persona umana". In questo senso, la Margherita si impegna ad attuare "idonei interventi parlamentari volti a chiarire le circostanze relative ai suicidi avvenuti nel carcere di Sulmona" e "annuncia iniziative territoriali volte a creare una permanente attenzione sociale e politica sui problemi della legalità e della sicurezza". "Penso, ad esempio", ha commentato al termine Fanfani, che prima della riunione dell’Esecutivo ha incontrato una delegazione della Margherita locale, "alla costituzione a Sulmona di un Osservatorio sulla sicurezza e legalità per monitorare la situazione e tenere deste le coscienze su questioni spesso drammatiche".

Sulmona: progetto Argo, speranza di sorriso per detenuti

 

Ansa, 5 maggio 2005

 

Dare un’occasione di sorriso e un soggiorno di tipo diverso ai detenuti attraverso la cura dei cani: è lo spirito del progetto "Argo" che - nato due anni fa e già con varie ramificazioni in tutta Italia - approda al supercarcere di Sulmona, noto per la lunga serie di suicidi. Un’iniziativa che, secondo Giovanni Tinebra, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), è di "indubbio sostegno a coloro che hanno l’obbligo di pagare un debito allo Stato e il diritto ad avere una possibilità di recupero". In un’area esterna al carcere, ben visibile dalla strada, è stata ricavata una zona che ospita ora due cucce per Mainof e Alex, ma che già entro l’estate accoglierà complessivamente otto cani, provenienti da rifugi gestiti da volontari.

Qui i quattro detenuti per ora ammessi al programma li accudiranno, porteranno loro da mangiare, ripuliranno le cucce e giocheranno con loro. Si tratta - ha affermato il direttore della casa di reclusione, Giacinto Siciliano, presente all’incontro con la stampa assieme Tinebra - di detenuti in regime di articolo 21 o di semilibertà, già inseriti in attività socio-culturali, accuratamente selezionati da una equipe interna. A spiegare perché il Dap crede molto nella validità del progetto è stato lo stesso Tinebra: "Credo molto nell’efficacia terapeutica del cane, un animale che Dio ha creato per essere di conforto all’ uomo.

È l’unico essere capace di dare senza chiedere nulla in cambio. Ho avuto un cane, che ora non c’è più anzi, ricorda sorridendo malinconico, un prototipo di cane, uno yorkshire di due chili. Quando, negli anni novanta, ero a Caltanissetta era la mia unica occasione di sorriso, qualunque fosse il carico di pensiero che avevo addosso". Rispondendo alle domande dei giornalisti, Tinebra ha ribadito che il sistema trattamentale delle carceri italiane è il migliore al mondo, ed ha sottolineato che nell’ambito del progetto Argo si sta procedendo tra l’altro anche all’addestramento di cani Terranova per il soccorso in mare e di cani da tartufo. E che a Sulmona "siamo in ritardo di due anni - ha detto -.

Già la direttrice Armida Miserere era una convinta sostenitrice dell’iniziativa". A Sulmona i detenuti coinvolti nel progetto diventano proprietari dei cani loro affidati con regolare iscrizione all’ anagrafe canina. Si tratta di Agatino D’Amico, Carmine Garofalo Bova, Michele Petrelli e Ciro Esposito, gli ultimi due già entrati nelle prime due fasi del programma, adozione e servizio di accoglienza temporanea. La terza, che prevede la costruzione di un rifugio per cani, dovrebbe essere conclusa nel 2006 mentre la quarta, il servizio di pensione, potrebbe già partire l’estate prossima; un ulteriore momento di attuazione di Argo prevede il progressivo impiego di detenuti e internati direttamente presso i canili esterni per supporto agli operatori del territorio, nell’ottica anche di un eventuale futuro inserimento lavorativo. "È ancora presto - ha concluso Tinebra - per parlare di reinserimento, ma il bilancio di Argo per ora ci conforta e ci fa capire che questa è la strada giusta". Tanto che, una volta espiata la pena, il detenuto potrebbe anche portare a casa con sé l’animale adottato.

Campobasso: collaboratore di giustizia tenta il suicidio

 

Il Messaggero, 5 maggio 2005

 

Tentativo di suicidio nel carcere di Campobasso dove sono rinchiusi Angelo Izzo, Luca Palaia e Guido Palladino. Il Gip di Campobasso, Gianni Falcione, informato dell’accaduto, si è subito portato nel carcere. Alla domanda se il tentativo di suicidio riguardasse uno degli indagati per il massacro di Ferrazzano, il Gip si è limitato a rispondere: "no". Alle 17.30, dopo gli accertamenti in ospedale il detenuto è stato ricondotto nella sua cella,. Era steso su una barella e ricoperto da un telo bianco per impedire eventuali foto o riprese. Non si sono appresi particolari sul perché del gesto ma si è riusciti ad avere conferma che il protagonista del tentativo di suicidio è un collaboratore di giustizia, ma è estraneo al "caso Izzo". Lo si è appreso da fonti qualificate le quali hanno escluso "tassativamente" qualsiasi legame sia con la vicenda sia con i protagonisti del massacro della villetta. L’uomo - del quale non sono state rese note le generalità - è stato trasportato all’ospedale "Cardarelli" di Campobasso ed è stato inizialmente ricoverato in una speciale stanza riservata ai detenuti. Le sue condizioni non sono gravi e infatti il detenuto, come detto è stato riportato dopo poche ore di ricovero, nella sua cella.

Cassino (Fr): arrestato per furto, ruba pure in carcere

 

Agi, 5 maggio 2005

 

È stato arrestato per furto ma in carcere, invece di stare tranquillo e sereno, ha tentato di arraffare degli attrezzi dall’officina: proprio caso di dire che il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Questo il proverbio preferito da L.T., un cinquantenne residente nel Cassinate e arrestato tre mesi fa per una serie di furti nella sua cittadina.

L’uomo, mentre era nell’officina della casa circondariale di Cassino, ha occultato sotto la giacca degli attrezzi da lavoro. I suoi movimenti sono stati però notati dagli agenti della polizia penitenziaria che lo hanno subito perquisito. Il detenuto non ha saputo spiegare il perché gli attrezzi fossero nascosti nella sua giacca. È stato riportato in cella e denunciato.

Giustizia: sul reato di bancarotta Castelli vuole la linea dura

 

Giornale di Brescia, 5 maggio 2005

 

Il governo ottiene la fiducia sul decreto sulla competitività, ma fa subito marcia indietro sulla norma più contestata: quella sulla riduzione delle pene per il reato di bancarotta fraudolenta.

Nell’aula del Senato era ancora in corso l’appello nominale per la votazione sulla fiducia, quando il ministro della Giustizia Roberto Castelli, affiancato dal collega per i rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, convocava i giornalisti per leggere un comunicato ufficiale dell’esecutivo. Il governo, ha spiegato Castelli, si impegna a ripristinare pene severe e adeguate per il reato di bancarotta fraudolenta. Lo farà nel momento in cui darà attuazione alla delega ricevuta dalle Camere. Anche se il maxi emendamento votato dal Senato riduce le pene per la bancarotta fraudolenta (oggi si rischia da 3 a 10 anni di carcere; dopo la riforma da 2 a 6), i decreti di attuazione ripristineranno la linea dura.

Così, quando il Senato ha dato la fiducia (con 160 sì, dieci in meno rispetto alla votazione sulla fiducia per il Berlusconi bis), le nuove regole erano già superate dalla volontà espressa dai due ministri. Come ha spiegato Castelli, si trattava di "dare un segnale al Paese" e di "tranquillizzare l’opinione pubblica". "Se sarò ancora ministro e se mi lasceranno esercitare la delega", ha aggiunto, "farò di tutto affinché le pene siano assolutamente mantenute alte: lo spazio tecnico c’è, checché ne dicano quelli della sinistra". Il ministro Giovanardi ha cercato di prendere le distanze dal testo contenente gli sconti di pena: la responsabilità di quel testo è della commissione Giustizia del Senato che il governo si era impegnato a recepire.

L’opposizione, di fronte al cambio di rotta deciso improvvisamente dal governo, sull’onda delle preoccupazioni per il destino dell’inchiesta sul crac Parmalat, incalza la maggioranza e l’esecutivo. Rutelli accusa il governo di aver "infilato nel decreto sulla competitività la ciliegina della sanatoria sulle bancarotte. Vedremo", dice, "quanto saranno contenti i risparmiatori di Parmalat e di Cirio", ora che il governo "dà una mano a chi truffa".

Gavino Angius, capogruppo Ds al Senato, sostiene che "il governo è allo sbando" e il ministro Castelli "ha perso la testa". E anzi "ha dimostrato una doppiezza al limite della schizofrenia". Il dietrofront sulla bancarotta, sottolinea, "è il sintomo evidente di un governo al capolinea". Guido Calvi, capogruppo della Quercia in commissione Giustizia, chiede le dimissioni di Castelli e di Giovanardi che, sostiene, "hanno rinnegato la delega e la fiducia che hanno chiesto e ottenuto".

"È gravissimo", dice il senatore della Margherita Sandro Battisti, "che il governo, ottenuta la fiducia su un provvedimento che riduce le pene ai bancarottieri, si affretti a dichiarare che in sede di attuazione della delega saranno ripristinate pene più severe".

"Estremo rammarico" è stato espresso dall’Anm: il sindacato dei magistrati protesta perché "è rimasta del tutto inascoltata la richiesta di stralcio di tutte le norme in materia di giustizia". Secondo l’Anm, c’è ancora il rischio che con le nuove norme possano essere portati a compimento i processi sui grandi crac finanziari.

Roma: Consulta per i problemi penitenziari scrive a Veltroni

 

Comunicato stampa, 5 maggio 2005

 

Caro Sindaco, facendoci interpreti dei sentimenti di affetto e di riconoscenza della popolazione detenuta verso lo scomparso Papa Giovanni Paolo II e delle gravi condizioni delle carceri, vogliamo rivolgerle un appello: auspichiamo che Lei, Signor Sindaco, si faccia portatore delle istanze di clemenza che tante volte sono state sollecitate dal Papa e che tutta la popolazione detenuta ha sempre accolto come unico e sincero atto di umanità.

In considerazione dell’elezione simbolica delle carceri di Roma a XXI Municipio della città chiediamo che tutto il Consiglio comunale assuma pubblicamente posizione a favore di un atto di clemenza attualmente riproposto dal dibattito sull’amnistia. Nel rinnovato impegno del Consiglio comunale chiediamo inoltre di farsi promotore della proposta di modifica delle norme riguardanti le madri detenute con bambini in carcere.

Le leggi attuali sono risultate insufficienti e inadeguate a garantire che nessun bambino varchi più la soglia di un carcere e che tutte le donne abbiano una parità di trattamento. Le norme andrebbero rese omogenee a tutte le altre normative che riguardano materie come l’espulsione delle straniere, le case di accoglienza, la possibilità di eleggere residenza, etc..

L’impegno del Comune di Roma, che ha consentito la realizzazione del Piano Cittadino per il Carcere, si può concretizzare ulteriormente, nel quadro di una più efficace sicurezza e tutela dei cittadini, nel sostenere percorsi di reinserimento per i detenuti delle carceri romane che usufruiranno dell’atto di clemenza. Cordiali saluti.

 

Il Presidente, Luigi Di Mauro

Associazione "Figli Negati": anche un detenuto ha diritto ai figli

 

Metro, 5 maggio 2005

 

Suicidio nel carcere di Sulmona. Apprendo che l’uomo "non riusciva ad accettare l’idea che la moglie non volesse più saperne di lui e soprattutto che gli impedisse di incontrare il figlio". Nel ‘96 sono finito in carcere per droga. Dopo 9 giorni sono stato scarcerato e archiviato. La droga in macchina era stata messa da un maresciallo della finanza e da un detective su ordine della mia ex suocera (tutti e tre condannati in primo grado).

In quei 9 giorni il mio unico pensiero era mia figlia che non avrei più rivisto. Se il Padreterno e la Squadra Mobile di Frosinone non mi avessero salvato la pelle, forse avrei fatto la stessa fine. Il detenuto non è una bestia contagiosa, è un essere umano che ha diritto di amare e di essere amato, anche e soprattutto dai propri figli.

 

Giorgio Ceccarelli, presidente Ass. "Figli Negati"

 

 

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