Rassegna stampa 4 maggio

 

Nel 2005 già 29 morti in carcere, sotto accusa il servizio sanitario

 

Ansa, 4 maggio 2005

 

Dall’inizio del 2005 si sono verificati almeno 29 casi di morte nelle carceri italiane, dei quali 21 suicidi, 4 per cause ancora da accertare, 3 per malattia e 1 per omicidio. Questi sono i dati contenuti nel dossier "Morire di carcere" diffuso dal Centro studi di Ristretti Orizzonti. "Per la mancanza dal 2001 di dati ufficiali da parte delle istituzioni - spiega Francesco Morelli, detenuto in misura alternativa e responsabile dell’ufficio stampa del Centro studi - riteniamo necessario far conoscere a tutti una realtà spesso ignorata che viene alla ribalta solo quando si verificano casi eclatanti". Il centro studi di Padova, gestito e organizzato da detenuti e volontari, ha intenzione di dare un nome e una storia ai tanti decessi che avvengono annualmente negli istituti penitenziari italiani e lo fa attraverso una raccolta di articoli pubblicati su varie testate giornalistiche.

"Vogliamo mettere in evidenza le problematiche legate alla situazione vissuta dai detenuti nelle carceri del nostro Paese - sottolinea Morelli - oltre ai vuoti e le lacune che anche l’informazione ha". "I suicidi sono un pugno nello stomaco - aggiunge Morelli - ed è emblematico il caso del sindaco di Roccaraso, suicidatosi dopo un giorno di reclusione".

I detenuti si tolgono la vita con i lacci delle scarpe, il cordone della tuta, l’elastico dei boxer, oppure con sacchetti di plastica. "Eppure - denuncia Morelli - nel 1988 l’allora ministro Conso aveva istituito il Servizio Nuovi Giunti destinato alla prevenzione dei suicidi attraverso un sostegno anche psicologico, tuttavia - prosegue - tale servizio attualmente è attivo in 20 carceri su 205 presenti sul territorio nazionale". Per il centro studi Ristretti orizzonti la mancanza di un sostegno psicologico non è l’unico problema all’interno degli istituti di reclusione italiani.

Anche l’assistenza medica lascia a desiderare. Un esempio è il caso del tunisino Nabil Jlassi, condannato per l’omicidio di un muratore, e morto nel carcere di Cagliari a 32 anni per problemi cardiaci perché rifiutava le cure incompatibili con la sua fede religiosa, nonostante la richiesta di terapie alternative. Oppure Carlo, morto durante il trasposto in ospedale, e detenuto a Como nella sezione dei tossicodipendenti dove, come scrivono due detenuti a Radio Radicale, i tossici "non vengono curati ma imbottiti di tranquillanti".

Trapani: volevano picchiare un aspirante collaboratore di giustizia

 

La Sicilia, 4 maggio 2005

 

Era un "infame" e doveva subire una dura lezione. Forse così sarebbe tornato sui suoi passi e si sarebbe convinto a ritrattare quello che eventualmente aveva già detto ed a non aggiungere più alcuna parola. Devono avere pensato questo due pregiudicati, Giovanni Pollara di Gela e Paolo Ganci di Catania, rispettivamente di 30 e 26 anni, processati e condannati. Pollara e Ganci erano detenuti all’interno del carcere di Favignana. Nello stesso carcere, qualche cella più distante, era detenuto anche Giuseppe D’Assaro. "L’infame" per Pollara e Ganci sarebbe stato lui. I due, infatti, secondo l’accusa, avevano saputo che Giuseppe D’Assaro aveva deciso di collaborare con la giustizia. Il loro era un sospetto, che giorno dopo giorno sembrava trasformarsi in certezza. D’Assaro doveva essere punito. Il fatto che Giovanni Pollara e Paolo Ganci fossero detenuti e sotto la vigilanza degli agenti della polizia penitenziaria non li aveva impensieriti più di tanto. Avevano studiato un piano ed avevano deciso di metterlo in atto alla prima occasione utile. Che si sarebbe presentata loro nel pomeriggio del 5 giugno dell’anno scorso.

I due detenuti avevano deciso di sottrarre le chiavi della cella in cui era detenuto Giuseppe D’Assaro e di dargli una sonora lezione. Per fare questo, avevano aggredito un assistente di polizia penitenziaria, colui che aveva le chiavi di cui avevano bisogno per mettere in atto il loro proposito.

Secondo la ricostruzione fatta dall’accusa, Paolo Ganci aveva sorpreso l’assistente di polizia penitenziaria alle spalle e lo aveva immobilizzato. Giovanni Pollara aveva dunque tentato di sottrargli le chiavi. Ma l’agente non si era fatto prendere alla sprovvista. Aveva reagito, riuscendo a liberarsi dalla morsa di Ganci. Aveva chiesto l’intervento dei colleghi presenti in quel momento in carcere ed i due aggressori erano stati rimessi al loro posto. Finiti sotto inchiesta, Giovanni Pollara aveva ammesso le sue responsabilità, affermando di avere agito da solo, mentre Paolo Ganci ha sempre respinto le accuse. Finiti entrambi sotto processo, sono stati condannati dal giudice Alessandra Camassa ad un anno di reclusione per resistenza e violenza a pubblico ufficiale. Cinzia Bizzi

Usa: sesta condanna a morte in Texas dall'inizio dell'anno

 

Reuters, 4 maggio 2005

 

È stata eseguita la notte scorsa nel penitenziario di Huntsville con un’iniezione letale la sesta condanna a morte dall’inizio dell’anno nello Stato del Texas. Lonnie Pursley, 43 anni, il 29 marzo del 1997 percosse a morte Robert Earl Cook, gli rubò gli anelli e li cedette in cambio di dosi di droga. Le ultime parole del condannato, già legato al lettino del boia, sono state di scuse alla famiglia della vittima, che ha ringraziato per una poesia di perdono inviatagli pochi minuti prima. "Ho ricevuto la vostra poesia e vi sono molto grato per avermi perdonato", ha detto Pursley, "Ma voglio comunque chiedervi ancora perdono. Ho Gesù nel cuore e sono addolorato per il dolore che vi ho causato". Un passaggio della poesia, scritta dal nipote di Cook, Jamie Hollis, recita: "Un’anima che è perduta, non paga costo più grande che lasciare questo mondo senza essere perdonata. No, né dalla mia famiglia né da me, perché noi perdoniamo". L’ultimo pasto consumato dal condannato è stato a base di hamburger con formaggio, spezzatino di maiale fritto, patatine fritte, torta al formaggio e tè freddo zuccherato. In Texas sono state programmate per quest’anno altre quattro condanne morte. Dalla reintroduzione della pena capitale nel 1982, su pronuncia dalle Corte suprema statunitense, soltanto in questo Stato sono state eseguite 342 condanne a morte.

Brescia: un lavoro per Habib, molte risposte all’appello...

 

Giornale di Brescia, 4 maggio 2005

 

"Il nostro appello ha riscosso consensi significativi. Dimostrando che buona parte della società bresciana, nelle sue espressioni politiche, sindacali e associazionistiche, ritiene che debbano essere garantiti, ad Habib, i diritti minimali": i rappresentanti di Radio Onda d’Urto, promotrice dell’appello e della raccolta di firme a favore di Habib, immigrato algerino detenuto dall’ottobre scorso nel carcere milanese di Opera, presentano i risultati dell’iniziativa lanciata alla fine del mese di marzo. Habib, il cui nome completo è Merah Boubaker, "sta scontando - ricorda Umberto Gobbi, presidente di Radio Onda d’Urto - un cumulo di condanne per complessivi sei anni e mezzo, conseguenza di guai con la legge risalenti al periodo della clandestinità. Riteniamo - aggiunge - che la pena inflitta sia spropositata rispetto all’entità dei reati commessi. Inoltre, dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno nel 2000, Habib ha condotto una vita perfettamente integrata, lavorando come operaio e costruendosi una famiglia. Si è infatti sposato e ha avuto un figlio".

L’appello promosso da Radio Onda d’Urto e sottoscritto, specifica Gobbi, "da esponenti del mondo politico, sindacale e associazionistico bresciano", chiede che "Habib sia trasferito in un carcere bresciano affinchè la moglie e il figlio possano vederlo senza essere costretti a lunghe trasferte. E che gli sia garantito l’accesso ai benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, come l’ammissione al "lavoro esterno"". "Una cooperativa bresciana, che si occupa dell’inserimento dei detenuti - conclude Gobbi - è disposta a offrire un’occupazione ad Habib". Conferma l’avvocato Sergio Pezzucchi, il legale che con Manlio Vicini si occupa della difesa di Habib. "L’appello si inserisce nell’ambito della richiesta di trasferimento presentata recentemente da Habib.

E che segue domande precedentemente respinte. Chiederemo, con i consiglieri regionali firmatari dell’appello e a nome di tutti coloro che l’hanno sottoscritto - prosegue - un incontro con il direttore del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria per la Lombardia, per consegnare il documento e segnalare la disponibilita della cooperativa a offrire un lavoro ad Habib". "È importante - sottolinea Osvaldo Squassina, consigliere regionale di Rifondazione comunista - che Habib possa ottenere il trasferimento a Brescia. Perché sia più vicino alla famiglia e possa riallacciare, anche sul piano lavorativo, i legami con il territorio".

Giustizia: Cgil; il sistema muore ma Camera vota legge per pochi

 

Ansa, 4 maggio 2005

 

"Mentre il sistema penitenziario muore la Camera vota una legge per pochi". Così Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale Fp Cgil settore penitenziario, commenta il disegno di legge di riforma della dirigenza penitenziaria che la Camera si appresta a votare oggi. Il ddl Meduri (fatto proprio dal gruppo di An e già approvato dal Senato) "interviene sullo status giuridico ed economico dei direttori di carcere - dice Rossetti - e sugli stessi obiettivi che la costituzione affida alla pena" e promuove automaticamente più di 570 direttori di istituto penitenziario nel costituendo ruolo dei dirigenti penitenziari quando il sistema penitenziario prevede circa 360 posti di funzione per dirigenti. "Saranno più di duecento, quindi - spiega il sindacalista - i neo dirigenti che verranno pagati in base ad un incarico che non eserciteranno perché mancano i luoghi fisici dove poter esercitare quelle funzioni".

La promozione dei direttoti, aggiunge Rossetti, "avverrà senza selezione alcuna e riguarderà anche funzionari in servizio presso le strutture amministrative del Ministero della Giustizia. Per questa nuova dirigenza penitenziaria, oltretutto, il disegno di legge non prevede nemmeno la possibilità di veri accordi contrattuali perché disporrà la completa legificazione del rapporto di lavoro. Il ddl Meduri, inoltre, produrrà delle conseguenze insostenibili sotto il profilo dell’organizzazione dei servizi penitenziari".

Il provvedimento, conclude, "interviene anche sul sistema dei circuiti alternativi al carcere e smantella di fatto i centri di servizio sociale del Ministero della Giustizia. Quei Centri, che oggi gestiscono circa 45.000 casi di misure alternative (che altrimenti si aggiungerebbero ai 56.000 detenuti ristretti in carcere), verranno trasformati in meri uffici di controllo e non più strutture di vero e proprio aiuto sociale e saranno snaturati nelle professionalità e nelle finalità istituzionali".

Giustizia: Cento (Verdi); la Cdl fa finta di non vedere le vere priorità

 

nsa, 4 maggio 2005

 

Paolo Cento, coordinatore della segreteria di presidenza dei Verdi e vice presidente della commissione giustizia della Camera, accusa la maggioranza di "mettere la testa sotto la sabbia" per non vedere le "reali priorità" del sistema carcerario. "Mentre le carceri italiane rischiano di scoppiare per il sovraffollamento e la carenza di risorse economiche e umane, per il governo - sottolinea Cento - la priorità è il disegno di legge Meduri, che da una parte rafforza le politiche repressive, smantellando i servizi di sostegno sociale e psicologico, dall’altra aumenta il ruolo dei dirigenti penitenziari". "Ancora una volta - conclude Cento - il centro destra mette la testa sotto la sabbia e fa finta di non vedere quali siano le reali priorità da affrontare per salvare il sistema penitenziario italiano".

Roma: detenuta malata aspetta il ricovero da più di cinque mesi

 

Redattore Sociale, 4 maggio 2005

 

Affetta da gravi patologie, aspetta da più di cinque mesi (cioè dallo scorso dicembre) il ricovero in una struttura sanitaria dove essere sottoposta a cure. Protagonista della vicenda una reclusa cilena di 54 anni, detenuta nella sezione femminile del carcere di Rebibbia, il cui caso è stato denunciato dal Garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni. Secondo quanto risulta all’Ufficio del Garante, la donna doveva essere ricoverata già lo scorso dicembre per essere operata al menisco del ginocchio sinistro, che la costringe a camminare con un tutore, ma di questo ricovero non se ne è saputo più nulla. Inoltre la donna ha un soffio al cuore e problemi alle ghiandole mammarie. Soffre, inoltre, di asma e di psoriasi, che cura con il borotalco, e a causa di quest’ultima malattia viene isolata e allontanata dalle altre detenute che temono di essere contagiate. È in attesa di intervento chirurgico per un prolasso uterino e a causa delle sue condizioni soffre di uno stato depressivo non adeguatamente trattato in carcere.

In virtù di ciò, l’avvocato della donna ha presentato, lo scorso ottobre, un’istanza di scarcerazione al Tribunale di Sorveglianza per grave incompatibilità con il regime carcerario per motivi di salute. La camera di Consiglio, è stato deciso, si terrà il prossimo 31 maggio, ad oltre sette mesi dal deposito dell’istanza. Già lo scorso mese l’Ufficio del Garante ha inviato alla direttrice del carcere di Rebibbia e alla direzione sanitaria della struttura carceraria una lettera, senza per altro ottenere ancora risposte, con cui si chiedevano "chiarimenti in merito al ricovero che si doveva effettuare lo scorso mese di dicembre, poi non più effettuato, nonché informazioni sulle attuali condizioni di salute della detenuta che appaiono non compatibili con il regime carcerario". "Non potevamo non prendere posizione davanti al dramma che sta vivendo questa donna - ha detto Marroni - Qui ad essere violato non è solo il suo diritto alla salute, ma la sua stessa dignità, dal momento che da sei mesi sta aspettando un trattamento sanitario di cui ha diritto e assoluto bisogno. Ci siamo già attivati ma siamo pronti a sollecitare le autorità affinché cessi subito questa umiliazione e si trovino, con la massima celerità, le soluzioni che consentano alla donna di tornare a sentirsi di nuovo un essere umano".

Giustizia: gli stipendi dei detenuti-lavoranti sono da aggiornare

 

Il Manifesto, 4 maggio 2005

 

Una vittoria storica per i detenuti lavoratori, come non si poteva quasi più neppure immaginare nell’universo concentrazionario voluto dal ministro leghista Castelli. È la classica storia di una tenace vertenza legale, originata e accompagnata dalle proteste pacifiche che hanno costellato le incerte tappe del dibattito sull’indulto, che alla fine ha ottenuto il riconoscimento della Corte di Cassazione.

Nel 1998 l’associazione Papillon denuncia il fatto che le retribuzioni dei detenuti "lavoranti" non vengono aggiornate in rapporto ai contratti nazionali di riferimento. Gli stipendi dei "carcerati" sono comunque inferiori (per l’orario di lavoro, quasi sempre part time, o per le trattenute a vario titolo legale), ma sono anche fermi dal 1993 - da quando l’apposita commissione del ministero di giustizia ha smesso di riunirsi. Nel 2000 una prima vertenza-pilota, con due detenuti di Papillon che cercano di farsi riconoscere il diritto a una "mercede" aggiornata.

Non va bene, ma l’esperienza aiuta a capire meglio come muoversi. Vengono interessati due dei parlamenti storicamente più attenti alla condizione carceraria - Giovanni Russo Spena e Graziella Mascia, entrambi di Rifondazione - che tempestano di interrogazioni e interpellanze il ministro. Finchè la Cassazione, pochi giorni fa, ha emesso la sua sentenza: "occorre adeguare i deliberati della Commissione all’evoluzione della contrattazione collettiva nel tempo, al fine di determinare l’equa mercede spettante".

A questo punto, però, sorge il problema di come far recuperare, ai tanti che hanno lavorato all’interno delle carceri dal 1993 in poi (e magari ora sono liberi), la differenza tra il percepito e il "giusto" secondo gli aggiornamenti che dovranno obbligatoriamente essere determinati. Lasciare l’iniziativa ai singoli, naturalmente, sarebbe un modo per far scattare quasi certamente la prescrizione (paradossalmente a favore del ministero!). Papillon ha allora chiesto alla confederazione Cobas di prestare assistenza legale a tutti quanti decideranno di far ricorso, con una vera e propria "vertenza nazionale", per ottenere questa differenza. I ricorsi sono inviabili, naturalmente anche attraverso i familiari, presso la sede dei Cobas (viale Manzoni 55, 00185 Roma). Un’analoga vertenza, gestita però in modo individuale da diversi detenuti, costrinse qualche anno fa il ministero a sborsare a rimborsi anche consistenti.

Sulmona: con il Progetto Argo nel carcere apre pensione per cani

 

Il Messaggero, 4 maggio 2005

 

Una parte del Supercarcere di Via Lamaccio diventerà una "pensione per cani". Il progetto "Argo" - che comprende una serie di iniziative che cominceranno con l’ingresso di 8 animali gestititi da 4 detenuti in regime di semilibertà – verrà illustrato questa mattina dal Direttore Giacinto Siciliano. Alla iniziativa partecipano il Provveditorato Regionale, il Comune di Sulmona, l’assessorato ai Servizi Sociali della Provincia, il Servizio veterinario della ASL e il Cssa dell’Aquila.

Il progetto prevede, come dicevamo, dapprima l’ingresso di 8 cani prelevati dai canili municipali, che verranno assistiti da 4 detenuti volontari che hanno già provveduto alla realizzazione degli spazi dove gli animali verranno custoditi; nelle fasi successive si passerà, gradatamente, dal servizio di accoglienza e cura per gli animali del canile, quindi servizi di tolettatura e assistenza nei periodi post interventi chirurgici, per finire con la creazione di una vera e propria pensione a pagamento, anche in raccordo con le struttura alberghiere. A. Man.

Izzo: Castelli; se c’è stata negligenza procederò…

 

Agi, 4 maggio 2005

 

"Sarà preciso dovere del ministro esercitare l’azione disciplinare di sua competenza nel caso in cui dovessero emergere ipotesi di violazione di legge ovvero di errori conseguenti di negligenza o superficialità". Lo ha detto il ministro della giustizia Roberto Castelli al question time intervenendo sul caso Izzo. Il Guardasigilli ha quindi spiegato come si è quindi ritenuto doveroso affidare all’ispettorato generale l’effettuazione di un’inchiesta amministrativa urgente presso l’ufficio del Tribunale di sorveglianza di Palermo e Campobasso, volto a procedere a una puntuale ricostruzione di quanto effettivamente accaduto ed accertare se e in quale misura siano state rispettate da parte dei magistrati le sequenze normative ed i procedimenti culminati nella concessione delle misure alternative del regime di semilibertà" ad Angelo Izzo. "All’esito di tali accertamenti - ha aggiunto il Guardasigilli - si sarà quindi in grado di poter maturare un preciso convincimento in ordine a quanto realmente accaduto e di poter valutare compiutamente se la indiscutibile pericolosità sociale del detenuto abbia formato o meno oggetto di adeguata considerazione da parte dei magistrati che hanno emesso il provvedimento oggi criticato".

"Angelo Izzo - ha ricordato Castelli - si trovava nel comune di Campobasso fruendo del regime di libertà concessogli dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo ed era stato precedentemente trasferito nella casa circondariale di Campobasso dalla casa circondariale di Pagliarelli di Palermo in data 4 dicembre 2003 da dove in data 23 dicembre 2003 aveva avanzato istanza di semilibertà aggiungendo istanze di liberazione condizionale. Il Tribunale di Palermo ha disposto acquisizione presso le case circondariali competenti di molteplici relazioni riguardanti il comportamento del detenuto e ha dichiarato l’inammissibilità delle istanze di liberazione condizionale, accogliendo invece quella di semilibertà. Izzo ha pertanto fruito del regime di semilibertà per circa 5 mesi nel comune di Campobasso". Castelli ha anche ricordato come "il soggetto, nel corso della sua lunga carcerazione, ha ottenuto dal Tribunale di Sorveglianza numerose riduzioni di pena e concessioni di liberazione anticipata, nonché permessi-premio. In particolare da ultimo durante la detenzione alla casa circondariale di Campobasso Izzo fruiva di permessi premio finalizzati alla frequentazione dell’associazione Città Futura diretta dal pastore evangelico Dario Saccomani".

Padova: organici carenti, manifestano agenti e assistenti sociali

 

Il Gazzettino, 4 maggio 2005

 

Guardie carcerarie, psicologi e assistenti sociali provenienti da tutto il Veneto manifesteranno dopodomani in piazza Castello, davanti al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Il sit-in chiamerà a raccolta, dalle 9.30 alle 11.30, tutti i delegati dell’Fp-Cgil, l’organizzazione sindacale maggioritaria nelle realtà carcerarie del Veneto. Due le ragioni della protesta. In primis la drammatica questione degli organici. Nel Veneto é stato stimato un fabbisogno pari a 2000 agenti penitenziari. In organico figurano attualmente 1400 addetti alla vigilanza. Il Ministero della Giustizia non riesce a garantire neppure la copertura delle piante organiche che prevederebbero 1600 posti. Drammatica la situazione delle sezioni femminili di Rovigo, Venezia, Verona e Belluno dove si fatica a coprire i turni di servizio. L’altra questione cruciale riguarda il disegno di legge Meduri, all’esame del Parlamento. Si vuole affidare al governo la delega per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria. Si va a colpire in questo modo l’organizzazione provinciale dei centri servizio sociale per adulti.

Torino: il sindaco nomina un Garante per i diritti dei detenuti

 

Agenzia Radicale, 4 maggio 2005

 

Il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ha nominato come "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale" l’avv. Maria Pia Brunato, che svolgerà tale incarico per cinque anni; il Consiglio Comunale di Torino aveva istituito la figura del Garante con delibera del 7 giugno 2004. Bruno Mellano e Carmelo Palma (ex consiglieri regionali radicali) e Iolanda Casigliani (Associazione Radicale Detenuto Ignoto) hanno commentato: "L’iniziativa del Consiglio Comunale e del Sindaco di Torino ha il merito di inserire nel dibattito sul "pianeta carcere" - quanto mai appassionato in questi ultimi giorni - un elemento di novità, un fatto concreto, una nuova figura con la quale tutti gli operatori dovranno confrontarsi, d’ora in avanti. Il Garante di Torino si affianca a quelli già istituiti sia dal Comune di Roma (Luigi Manconi) e di Firenze (Franco Corleone) sia dalla Regione Lazio (Angiolo Marroni).

Ora tocca alla Regione Piemonte; l’ultima proposta di legge radicale depositata in Consiglio Regionale - sottoscritta da tutti i gruppi consiliari, tranne quello della Lega Nord - era ed è volta all’istituzione del Garante regionale alle carceri. Ci auguriamo che Mercedes Bresso - che non ha mancato di appoggiare pubblicamente l’iniziativa di Pannella per l’amnistia – voglia seguire la strada aperta da Sergio Chiamparino; mettiamo naturalmente a disposizione di entrambe le amministrazioni il "know how" accumulato in materia negli ultimi cinque anni. Rivolgiamo, infine, a Maria Pia Brunato fervidi auguri di buon lavoro".

Giustizia: via libera della Camera a delega su dirigenti penitenziari

 

Ansa, 4 maggio 2005

 

Sì dell’Aula della Camera alla delega al governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria. Il provvedimento torna al Senato dopo l’approvazione di alcuni emendamenti. Tutta contraria al testo l’opposizione tranne la Margherita e l’Udeur che si sono astenuti. Il testo delega al governo l’emanazione, entro 6 mesi, di uno o più decreti legislativi che disciplinano l’ordinamento delle carriere e il trattamento giuridico ed economico del personale.

Amnistia: Castelli; sì ma solo se serve per chiudere periodo storico

 

Agi, 4 maggio 2005

 

Il ministro Castelli è "disponibile a misurarsi" purché sia "per argomenti alti e nobili" come ad esempio "chiudere un periodo storico". Il ministro Castelli, durante la puntata di "Porta a Porta" sul caso di Angelo Izzo, si è detto assolutamente contrario "a fare uscire tutti i detenuti come sostiene Marco Pannella. Quella non è amnistia, ma una resa dello Stato. Sul terreno di una amnistia diversa, per argomenti più nobili, come per chiudere un periodo storico, e penso alla grande e nobile amnistia del mio predecessore Togliatti, sono disponibile a misurarmi".

Un tema sul quale discutere, secondo Castelli, potrebbe essere "l’approvazione della nuova Costituzione. Oppure la pacificazione degli opposti schieramenti, che per ora non vedo. Se riuscissimo ad entrare in un bipolarismo compiuto - afferma - si potrebbe ragionare di amnistia". Nessuna disponibilità, invece, del ministro Castelli a far uscire i detenuti dalle carceri perché non si riescono a fare i processi: "Su questo dirò sempre di no", afferma il Guardasigilli sottolineando che "nei penitenziari ci sono oggi 58.000 detenuti; non era mai accaduto prima. Mi preoccupo, ma non posso risolvere un problema mio scaricandolo sui cittadini".

Verona: al carcere di Montorio è arrivato il commissario...

 

L’Arena di Verona, 4 maggio 2005

 

Per la prima volta nella sua storia, il personale di polizia penitenziaria del carcere di Montorio ha un commissario a coordinarlo. È arrivato infatti da poco il commissario Luca Bontempo, che ha potuto assumere l’incarico grazie alla legge 146 del 2000, che prevede nella polizia penitenziaria, il ruolo equiparabile a quello di un ufficiale, mentre fino a poco tempo fa, al massimo, la carica era quella di ispettore superiore. "La situazione a Montorio è buona", esordisce il commissario, "anche se c’è carenza di personale. Purtroppo escludo che possano arrivare rinforzi", sottolinea Bontempo, "perché non ci sono concorsi in atto. Ma ho trovato il personale molto motivato, e questo è un ottimo punto di partenza per poter lavorare bene insieme. Abbiamo in servizio qualche ausiliario, cui però è affidato il solo compito di sentinella all’esterno".

Ma oltre alla carenza di organico la casa circondariale di Montorio deve fare i conti anche con il sovraffollamento. E anche questo argomento non prevede soluzioni: "Che ci siano troppi detenuti è vero", dice il commissario, "ma è altrettanto vero che la casa circondariale di Montorio non ha una situazione tra le più gravi in Italia, quindi escluderei il trasferimento di detenuti in altri carceri".

Film: "Sulla mia pelle", dedicato al tema della semilibertà

 

Tg Com, 4 maggio 2005

 

Un film si inserisce nella tragica attualità del caso Izzo. È "Sulla mia pelle" di Valerio Jalongo dedicato al tema della semilibertà. "Questo procedimento va corretto", ha dichiarato il regista, che ha aggiunto: "Ci si dimentica presto del passato dei carcerati. Come nel caso di Angelo Izzo, è difficile valutare: gli americani non credono nella possibilità di redenzione, ma anche questa è una cosa terribile".

Jalongo, che per due anni e mezzo ha operato nel carcere di Rebibbia tenendo corsi di scrittura, non ha potuto evitare riferimenti al mostro del Circeo, tornato in questi giorni alle cronache: "Il caso di Angelo Izzo è emblematico - ha spiegato il regista - è difficile non applicare una legge una volta che alcune condizioni si siano avverate. Anche un grande psichiatra può sbagliare perché, va detto, in genere i detenuti hanno una grande capacità di simulazione. E così tutto diventa più difficile per chi deve giudicare e che, molto spesso, è meno attrezzato in fatto di esperienza di chi gli sta di fronte".

Il film, che esce nelle sale il 10 giugno distribuito da Lady Film, è incentrato sul tema della semilibertà: un provvedimento che, ricorda il regista, "non è ottenuto dal detenuto ignorante, extracomunitario, perché anche solo per seguire le procedure ci vuole una certa cultura e poi perché bisogna trovare un lavoro fuori, spesso solo fittizio, che richiede contatti".

La pellicola racconta la vita di Tony Zanchi (Ivan Franek), che sta scontando una condanna per rapina a mano armata. Dopo quattro anni di detenzione ottiene la semilibertà e viene assunto nel caseificio Cimarosa. È un uomo libero di giorno e detenuto di notte. Solo che quando è fuori dal carcere è occupato a lavorare, in mezzo a mandrie di bufale e mozzarelle, e quando finalmente è libero dal lavoro rientra in galera. È la condizione del semilibero. Ma d’altra parte anche chi è libero ha i suoi problemi.

Tony assiste al pestaggio di Alfonso (Vincenzo Peluso), uno dei proprietari del posto in cui lavora, e capisce che non tutto fila liscio per la famiglia Cimarosa. Il carcere però gli ha insegnato che la regola basilare per sopravvivere è farsi i fatti propri, e lui così ha deciso di fare.

Jalongo ha dedicato il suo film "ai carcerati, agli sconfitti, ai rivoluzionari, ai sognatori, ai folli, a coloro che lottano e cadono, a coloro che credono e sognano e vogliono cambiare il mondo". Ma dopo i fatti di Campobasso il regime di semilibertà è destinato a far discutere e a tirarsi addosso critiche e perplessità. La semiliberta, ha osservato il regista, è inoltre una soluzione molto italiana: "Una soluzione - ha affermato Jalongo - intrisa di cattolicesimo e di ipocrisia cattolica che non può essere capita negli altri paesi in cui non si crede molto alla redenzione. In America chi ha sbagliato paga e senza sconti".

Giustizia: ddl contro la pedofilia in aula alla Camera

 

Gazzetta del Sud, 4 maggio 2005

 

Lotta dura alla pedofilia via internet e al turismo sessuale; è prostituzione minorile fino ai 18 anni; carcere per il genitore, anche adottivo, e il convivente che abusano dei figli che non hanno ancora raggiunto la maggiore età. Queste alcune delle misure contenute nel disegno di legge contro la pedo-pornografia licenziato ieri dalla commissione Giustizia della Camera. Un testo che oggi sarà all’esame dell’aula, ma che potrebbe tornare in commissione riunita in sede legislativa. Prostituzione minorile. Chi compie atti sessuali con un minore tra i 14 e i 18 anni, in cambio di denaro o altra utilità, rischia il carcere da sei mesi a tre anni e una multa fino a 6.000 euro. Ora il codice parla solamente di minori "tra i 14 e i 16 anni". Guerra alla pornografia. Chi si procura o detiene materiale pornografico realizzato "utilizzando" chi non ha ancora compiuto 18 anni può essere punito con la galera fino a tre anni e al pagamento di una somma non inferiore ai 1.500 euro. Ora il codice parla di "sfruttamento", la nuova norma, invece, di utilizzo dei minori. Stessa condanna rischia anche l’autore di "foto-montaggi", chi cioè crea "immagini virtuali" con foto di minori o "parti di esse". Per entrambi è previsto l’arresto in flagranza. No al patteggiamento.

Il pedofilo non può ricorrere al patteggiamento e in caso di condanna ha come pena accessoria l’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole, nelle istituzioni o nelle strutture "frequentate prevalentemente da minori". Nel mirino i "conviventi". Il genitore anche adottivo, o il suo convivente, e il tutore che compiono atti sessuali con ragazzi tra i 16 e i 18 anni abusando della propria autorità potranno essere condannati con la reclusione dai 3 ai 6 anni. Il codice ora non parla di "conviventi". Turismo sessuale. I tour operator, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, dovranno inserire in ogni dépliant, programma o "documento di viaggio" l’avvertenza che "la legge italiana punisce con la reclusione i reati di prostituzione e pedofilia anche se commessi all’estero". "Era questa una norma sperimentale - spiega il ministro per le Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo – della durata di tre anni che abbiamo voluto rendere definitiva".

La multa per i "trasgressori" oscilla tra i 1.500 e i 6.000 euro. Rischia il carcere fino a tre anni e la multa fino a 40.000 euro anche chi partecipa ai "viaggi del sesso". Pedofili telematici. La norma prevede l’istituzione presso il Viminale di un Centro contro i pedo-pornografi che usano Internet. Il Centro ha il compito di raccogliere le segnalazioni che arrivano da forze di polizia, anche straniere, e da soggetti pubblici e privati, sui siti "pedofili", sui loro gestori e su chi beneficia dei pagamenti. Creando un elenco da tenere costantemente aggiornato. I "provider", per impedire l’accesso ai siti segnalati dal centro, sono obbligati a usare "elementi di filtraggio" e soluzioni tecniche individuate dai ministeri per le Comunicazioni e per l’Innovazione entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge. Le sanzioni variano dai 50.00 ai 250.00 euro. Il Centro collaborerà con il sistema bancario per risalire a chi commercia e acquista materiale pedo-pornografico. Al "reo" gli verranno disdetti e revocati carta di credito e bancomat. Sull’operato e la collaborazione degli Istituti di Credito vigilerà la Banca d’Italia. In caso di violazione verrà applicata una sanzione prevista fino a 500.000 euro. L’Osservatorio. È istituito presso la Presidenza del Consiglio. Il suo compito è quello di acquisire e monitorare i dati provenienti dalla Pubblica amministrazione per prevenire e reprimere la pedofilia. Si creerà una banca dati per raccogliere le informazioni e monitorare bene il fenomeno.

Giustizia: possibili risarcimenti ai detenuti sottopagati

 

Liberazione, 4 maggio 2005

 

Per portare a casa una busta paga aggiornata agli aumenti contrattuali, dopo aver lavorato tre anni come falegname, si è dovuto rivolgere alla Corte di Cassazione. A tanto è stato costretto un detenuto sottopagato dall’amministrazione penitenziaria che dovrà risarcirlo di duemila ottocento novantasette euro e ottantotto centesimi. Una vittoria che apre la possibilità di risarcimento a tutti i lavoranti detenuti (circa 11 mila ogni anno) che dal 1993 vengono sottopagati dal ministero di grazia e giustizia. Sono infatti dodici anni che la commissione ministeriale preposta all’aggiornamento economico delle paghe dei detenuti, "in misura non inferiore ai due terzi - come prevede la legge ndr- del trattamento economico previsto dai contratti di lavoro collettivi", non si riunisce.

A partire da questo singolo risarcimento "Papillon" - l’associazione nazionale dei detenuti che si è fatta carico della denuncia del falegname sottopagato - ha deciso di lanciare una vertenza sindacale che coinvolga migliaia di detenuti lavoranti ed ex, ed ha deciso di farlo insieme ai Cobas, la confederazione sindacale di base. L’iniziativa sarà presentata domani a mezzogiorno a Roma, nella sala Martini della Provincia (per info: www.papillonrebibbia.org - 3343640772/3280213759).

"È la prima volta che si apre una vertenza nazionale riguardante i diritti dei detenuti. Dopo sette anni abbiamo vinto la vertenza pilota ed ora l’obiettivo è quello di arrivare ad un punto di mediazione accettabile con il ministero" spiega a Liberazione, Vittorio Antonini di "Papillon".

La sentenza della Cassazione è dell’8 settembre del 2004 è stata "accolta" dalla magistratura di sorveglianza di Roma lo scorso febbraio ed è la prima volta che si dichiara esplicitamente che i lavoratori-detenuti hanno diritto a una remunerazione corrispondente alla quantità e alla qualità dell’attività prestata.

"Lo stipendio ricevuto dal detenuto che lavora in carcere deve essere aggiornato alle nuove tabelle contrattuali". È infatti quanto ha disposto la prima sezione penale della Cassazione che ha accolto sul punto il ricorso presentato - contro la pronuncia del magistrato di sorveglianza di Roma che aveva bocciato la richiesta del detenuto.

"Una vertenza lunga. Che si è fermata più di una volta davanti alle resistenze del ministero e della magistratura di sorveglianza (competente per il ripristino del diritto violato ndr) - ricorda Antonini. Per sbloccare la situazione abbiamo chiesto a due tra i parlamentari più sensibili a questi temi, Graziella Mascia e Giovanni Russo Spena di Rifondazione, di intervenire con interrogazioni e interpellanze che obbligassero il ministero a pronunciarsi in una sede istituzionale sulle ragioni del diritto violato e sui possibili rimedi. Sono passati altri due anni ma alla fine la Cassazione ha dato ragione alla nostra denuncia".

Nella sentenza i giudici hanno stabilito che pur non potendo "prescindere dai deliberati della commissione, occorre adeguarli all’evoluzione della contrattazione collettiva nel tempo" ed inoltre che "il magistrato di sorveglianza, partendo dall’ultima decisione della commissione e adeguandosi ai criteri dalla stessa esposti dovrà aggiornarli cronologicamente, facendo riferimento appunto allo sviluppo avuto negli anni dai corrispondenti contratti di lavoro, al fine di determinare l’equa mercede spettante" al lavoratore. "Adesso - sottolinea Antonini - si tratta di evitare l’eventuale prescrizione attraverso la costruzione di una vertenza nazionale che è una parte della generale battaglia di civiltà che Papillon e tutti i detenuti stanno conducendo da anni contro il continuo stravolgimento del diritto penitenziario e per l’indulto e le riforme".

Essendo appunto una vera e propria vertenza sindacale, i ricorsi per il rimborso verranno curati dall’ufficio legale dei Cobas, al quale i detenuti dovranno necessariamente rivolgersi, anche attraverso i loro familiari (la sede nazionale è in viale Manzoni 55, 00185 - Roma).

 

 

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