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L’edilizia penitenziaria e il clan dei costruttori, di Sergio Segio
Fuoriluogo, 27 maggio 2005
Un primo grido d’allarme e richiesta di attenzione su Dike era venuto da Franco Corleone, in un articolo su "il manifesto" del 25 giugno 2004. Stiamo parlando di Dike Aedifica Spa, voluta dal ministero della Giustizia, da non confondersi con Dike, la rivista bimestrale promossa da Eurispes, diretta da Antonio D’Amato, Gian Maria Fara, Renzo Foa, Mario Pendinelli, Rosario Priore e inizialmente anche da Gian Carlo Caselli. Compito statutario della società, sorta nel luglio 2003 e controllata dalla Patrimonio Spa del ministero dell’Economia, la realizzazione dei programmi di edilizia carceraria. Il meccanismo previsto è stato nuovamente puntualizzato dal ministro della Giustizia Roberto Castelli nell’intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005: "Alla Dike Aedifica saranno attribuite le risorse derivanti dalla vendita dei penitenziari dismessi, che saranno utilizzate per la costruzione di nuove carceri, per il rifacimento o la ristrutturazione di immobili esistenti o anche per l’acquisizione di nuovi immobili, sì da soddisfare le pressanti esigenze di edilizia penitenziaria e giudiziaria del Paese". La forma di acquisizione privilegiata sarà quella della locazione finanziaria. In sostanza, lo Stato venderà il proprio patrimonio immobiliare per edificare e affittare nuovi istituti di pena, fatta salva la possibilità di rilevarli a fine locazione. La società, infatti, consegnerà circa ottanta istituti di pena alla Patrimonio Spa che li venderà; le risorse derivanti finanzieranno i nuovi istituti, i cui appalti saranno determinati dalla Dike. La convenienza economica è molto dubbia, ma questa è ormai la logica di fondo, già introdotta dal centrosinistra con la legge finanziaria 2001: aprire anche in questo settore ai processi di privatizzazione, in particolare attraverso il project financing e il leasing. Sempre su "Il Manifesto" è stato denunciato che le caratteristiche dell’operazione sono quelle di "un piano straordinario di edilizia penitenziaria a misura di Lega" che "serve ad allargare il business degli amici costruttori e ad accarezzare la voglia di sbarre degli elettori di destra del Nord" (Dario Stefano dell’Aquila, "il manifesto", 11 luglio 2004). A contorno e conforto di questi indirizzi e strategie, già nel 2001 erano state avanzate proposte di legge quali la n. 1904 presentata alla Camera da esponenti di AN "Attribuzione al ministero della Giustizia delle competenze in materia di edilizia penitenziaria", tesa a sottrarre prerogative al ministero delle Infrastrutture, e la n. 645 depositata al Senato da rappresentanti di Forza Italia, "Norme sull’edilizia carceraria nei centri urbani", che, oltre a proibire nuovi insediamenti penitenziari nei centri storici, rende disponibili e dismissibili (cioè vendibili) quelli già esistenti. Insomma, una manovra a tenaglia. Sempre nel 2004, di Dike si parla ancora di sfuggita in agosto in un articolo su "Liberazione". Passa l’estate e la palla viene raccolta da "L’Espresso", con un servizio a firma Francesco Bonazzi dal titolo più che esplicito: "Frà mattone va in prigione". Sottotitolo: "Quasi 1 miliardo per il biennio 2003-2004. Da investire in nuovi istituti di pena. Una bella fetta sarà gestita da una società. Piena di bei nomi". La società, inutile dirlo, è Dike Aedifica. Tra i bei nomi, quello di Giuseppe Magni, definito dal settimanale, assieme al generale Enrico Ragosa, "i veri dominus" della situazione, quelli che "danno le carte". Magni è il sindaco leghista di Calco, in provincia di Lecco, consulente del ministro della Giustizia Roberto Castelli proprio riguardo l’edilizia penitenziaria. Il 23 marzo 2005 esce la notizia di un’inchiesta della procura di Roma su presunte irregolarità ed episodi di corruzione legati agli appalti per la edificazione o ristrutturazione di alcuni istituti penitenziari, nel cui quadro la Guardia di finanza perquisisce l’abitazione e gli uffici di Magni, il cui interrogatorio viene rinviato essendo l’esponente leghista candidato alle regionali del 3 e 4 aprile. Magni, adombrando che l’iniziativa giudiziaria possa trarre origine appunto nella sua candidatura, comunica di essersi dimesso dall’incarico presso il ministero della Giustizia a fine febbraio. Un tempismo ammirevole. Il 7 aprile "L’Espresso" insiste sul ruolo di Dike, come si è detto partecipata al 95% dalla Patrimonio Spa, a sua volta controllata dal governo e amministrata da Vico Valassi, concittadino di Magni e del ministro Castelli, ma soprattutto rivela l’esistenza di un video sulla cui base Magni viene indagato per corruzione assieme al costruttore romano Angelo Capriotti e al progettista Giorgio Craveri. Secondo il settimanale, comincia a farsi il vuoto attorno al "superconsulente" di Castelli, "a cominciare dal generale Ragosa, in malattia da febbraio". Ragosa, nell’amministrazione penitenziaria, è il direttore generale del settore beni e servizi, dal cui Ufficio IV dipende anche il servizio tecnico per l’edilizia penitenziaria. Una figura centrale, con una carriera non certo da scrivania: già a capo del Servizio di Coordinamento Operativo, le squadre speciali in seguito denominate Gom (da lui definiti "operai specializzati nella sorveglianza"), poi al Sisde, infine chiamato dal ministro Oliviero Diliberto a dirigere l’Ugap, una sorta di intelligence dentro le prigioni inventata appositamente per lui, sotto la guida di Gian Carlo Caselli quando questi divenne il capo del Dap, dopo il defenestramento operato da Diliberto del garantista e galantuomo Alessandro Margara. Il generale è un personaggio la cui carriera non si è certo inceppata con il cambio di governo. In una rara intervista del 1996, forse non ricordando che polizia e agenti penitenziari sono da tempo smilitarizzati, dichiarava: "Avevo preso la tessera della CGIL ma ho dovuto restituirla; un militare non può iscriversi a un sindacato". Anche lui è da tempo sostenitore della strategia edificatrice, oltre che negatore dell’evidenza: "Non abbiamo carceri sovraffollate, ma solo sotto strutturate, infatti la nostra popolazione di detenuti è nella media europea. Faccio un esempio: se ci sono due topi in una gabbia grande, è probabile che non si azzanneranno. Perciò stiamo costruendo nuove carceri" ("Panorama", 30 marzo 2000). Il paragone con i topi è ricorrente nelle parole del generale: "Non possiamo sottovalutare la forza della mafia. La sua capacità genetica di trasformarsi, simile a quella dei topi, fa sì che riemerga sempre". E così il disprezzo nei confronti dei detenuti: "Non consideriamo il detenuto come un nostro nemico perché già dandogli la patente di nemico personalizzeremo il nostro lavoro, sarebbe come se il ciabattino odiasse le scarpe" ("Famiglia cristiana", 4 dicembre 1996). Il 12 maggio, terza puntata de "L’Espresso", con le prime indiscrezioni dai verbali di interrogatorio, da cui emergono cene con "hostess-accompagnatrici" e versioni difensive risibili: "Angelo Capriotti l’ho conosciuto occasionalmente in un bar nei pressi del ministero, ha messo a verbale Magni". In attesa degli sviluppi e delle altre puntate, e mentre si aggiunge un filone d’inchiesta milanese che investe direttamente la Patrimonio Spa e l’amministratore delegato Massimo Ponzellini, una cosa si può già rimarcare, ferma restando la presunzione di innocenza: il silenzio dei media, "L’Espresso" a parte, e quello delle opposizioni. Rarissime le interrogazioni o dichiarazioni pubbliche, venute solo dal Ds Francesco Carboni e dal verde Fiorello Cortiana. Un silenzio assai strano. Oppure molto eloquente. Orvieto: il detenuto suicida sarebbe uscito tra poche settimane
Orvietosì.it, 27 maggio 2005
Sarebbe uscito tra poche settimane il trentunenne, di origini meridionali, che lunedì sera si è tolto la vita impiccandosi nella propria cella del carcere di Orvieto. Recluso per reati comuni, era stato trasferito di recente nella casa di reclusione di via Roma e non gli era rimasta una lunga pena da scontare. Adesso sarà l’indagine interna avviata dalla polizia penitenziaria a fare piena luce sulla vicenda. Un aiuto arriverà anche dell’esame autoptico che il medico legale ha già effettato nella giornata di mercoledì. I risultati sono attesi tra qualche giorno. Intanto la procura (titolare del fascicolo, immediatamente aperto d’ufficio, è il sostituto procuratore Anna Lisa Giusti) tende ad escludere l’ipotesi che all’origine dell’estremo gesto vi siano cause legate direttamente al disagio carcerario. Il giovane, sofferente di epilessia ed ex tossicodipendente, durante il suo soggiorno nella casa di reclusione di via Roma, avrebbe spesso manifestato col personale della struttura una certa insofferenza nei confronti delle terapie mediche a cui era sottoposto. Si sarebbe, in particolare, lamentato dei dosaggi che riteneva insufficienti al suo fabbisogno. Mentre la sera prima del decesso il ragazzo sarebbe stato in una condizione psicofisica tale per cui sarebbe stato necessario somministrargli del calmante. In questo senso la Procura di Orvieto non conferma ma neanche smentisce il fatto che il giorno prima di togliersi la vita il giovane possa anche aver avuto in diverbio. Intanto la polizia penitenziaria avrebbe già iniziato a sentire altri detenuti del carcere orvietano in relazione alle circostanze in cui è maturato l’estremo gesto del trentunenne. Siracusa: i detenuti di Cavadonna mobilitati per la pace
La Sicilia, 27 maggio 2005
Esigenza di pace e di solidarietà. È questa la principale manifestazione emersa ieri durante il lavori del convegno per "La pace e per i diritti umani" organizzato dall’associazione "Giovanni Paolo II e Alessandro" ed ospitato nei locali della Casa circondariale di Cavadonna. Sono intervenuti il professor Bruno Ficili, il sindaco Giambattista Bufardeci, l’on. Pippo Gianni e padre Gaudousus Ruta (sacerdote in Tanzania). Hanno inoltre partecipato gli assessori comunali Antonello Liuzzo e Nunzio Cappadona e la direttrice del carcere Angela Gianì. "È stato un incontro molto importante - afferma Ficili - con un’attenzione da parte dei detenuti veramente singolare. Mi ha colpito la gara di solidarietà che stanno promuovendo, una gara destinata a raccogliere fondi a favore delle popolazioni disagiate del mondo". Il gruppo di detenuti partecipanti al convegno ha inoltre onorato la presenza e l’attività di Ficili - candidato anche quest’anno al Nobel per la Pace - leggendo alcune considerazioni scritte da loro stessi sullo sforzo profuso da Ficili in tutto il mondo, soprattutto in aiuto ai bambini. "Hanno potuto dimenticare per oltre due ore la loro condizione - continua Ficili -. L’azione di solidarietà è inoltre considerabile come una manifestazione di riscatto e di esigenza di tornare ad una vita sana e serena". "Ritengo che questa iniziativa - afferma Ernando Di Paola, ex detenuto a Cavadonna e promotore e organizzatore dell’incontro - sia una delle manifestazioni più importanti, sia per quanto riguarda il tema dei detenuti e del loro reinserimento sia sotto l’aspetto dei diritti umani e della pace in tutto il pianeta. In prima persona, ma insieme ad alcuni compagni di Cavadonna, intendo sforzarmi ancora di più nel tentativo di allargare l’iniziativa a tutte le carceri siciliane. Ritengo infine doveroso ringraziare la autorità che hanno accolto il nostro messaggio, per i detenuti che nutrono la speranza di cambiare vita, le tesate giornalistiche che hanno seguito il progetto, il professor Ficili e la signora Gianì". "Con la costituzione dell’associazione - dichiara Bufardeci - i detenuti hanno avviato una serie di attività di solidarietà e beneficenza creando un’opera che dimostra che non c’è un mondo diviso tra uomini liberi e detenuti, sotto il profilo del recupero e della logica del reinserimento sociale e della solidarietà verso chi soffre". Bari: la Cei a congresso, parlano i missionari della solidarietà
Ansa, 27 maggio 2005
La strada, il carcere, i barboni che dormono nelle stazioni, i giovani che si sono persi con la droga, le prostitute: sono le persone e i luoghi della povertà e della disperazione che vediamo ogni giorno vicino a noi ma che fingiamo di ignorare nascondendoci dietro un "non ho tempo". Sono i luoghi e le persone alle quali, invece, "missionari" di casa nostra, tenaci e silenziosi, religiosi e laici, dedicano la vita per "donare una speranza di vita". Oggi sono stati loro i protagonisti della sesta giornata del XXIV Congresso eucaristico nazionale, dedicata al mondo del volontariato e della solidarietà . Con don Oreste Benzi, fondatore dell’associazione Papa Giovanni XXIII che da decenni assite gli ultimi nelle sue case famiglia, Biagio Conte, giovane frate francescano che dopo avere abbandonato la sua vita di ragazzo normale e benestante si dedica a restituire dignità e un alloggio a barboni, immigrati e disperati a Palermo e in altre città del sud. Con loro hanno raccontato le loro storie di frontiera Ernesto Olivero, marito , padre e nonno, che ha fondato il servizio missionario giovani per sostenere i missionari e combattere la fame nel mondo e che a otto anni aveva già scelto che la sua strada non era quella di farsi prete, ma comunque, "di farsi i fatti degli altri". E ancora don Raffaele Sarno, responsabile della Caritas pugliese e cappellano in carcere dove ha vissuto le "luci e le ombre" di una condizione che è di per sé drammatica, come quella della privazione della libertà. "Chi sono i poveri? - ha chiesto don Benzi - Sono gli ultimi, i piccoli, fanno parte di quelli che quasi chiedono scusa di esistere, ma che chiedono di essere riconosciuti e per avere una dignità". Nella storia umana non contano nulla, ma in quella di Dio sono i motori della storia "Io - spiega - ho realizzato le case famiglia perché anche loro possano sentirsi amati , che è quello che chiedono e di cui hanno bisogno". Don Benzi racconta delle prostitute che ha incontrato, dei tossicodipendenti , e di chi resta ai margini della società e richiama tutti al senso di responsabilità: un popolo che nel suo cammino lascia indietro la gente non è un popolo - ha detto - lo diventa quando si fa carico di ogni suo membro". Frate Conte ha raccontato della storia personale: "a 26 anni ero un giovane legato al materialismo ma ho lasciato tutto". Dopo una esperienza da eremita è andato ad Assisi, voleva fare il missionario, andare in Africa o in India, ma tornato a Palermo, ha capito che l’Africa era lì e in tante altre nostre città dove abita la disperazione. Cosi" ha fatto il missionario a Palermo, tra i barboni, gli alcolisti , gli sbandati gli ex detenuti e le prostitute. "Così - dice semplicemente - è nata la missione di speranza e carità che è riuscita a farsi affidare e ristrutturare un vecchio locale abbandonato da 30 anni che oggi offre un tetto a 120 fratelli. "Era una struttura mancante di tutto, oggetto di saccheggio negli anni, oggi è un miracolo che si va rivestendo sempre di più e che oltre agli ospiti, dà viveri e vestiario a circa mille famiglie bisognose. Inoltre per non abbandonare quelli che ancora vivono per strada ogni sera esce un camper che si chiama missione notturna e gira per la città a dare assistenza a chi ne ha bisogno". Completamente diversa la storia di Ernesto Olivero, padre di famiglia ed ex bancario, che raggiunta l’età minima per la pensione si è dedicato completamente al servizio dei poveri. Con la moglie e un gruppo di amici ha dato vita al Sermig e che viene definiti l’imprenditore del bene. Ha trasformato l’Arsenale militare di Torino in Arsenale della pace con il sostegno di migliaia di volontari e senza aiuti pubblici. Per dare accoglienza e dignità al popolo della strada, disabili e giovani. Nel 1997 ha ricevuto il premio servitor pacis dall’osservatorio permanete della Santa sede all’Onu ed è stato candidato al Nobel per la pace da madre Teresa di Calcutta, Norberto Bobbio, il cardinal Martini, il presidente del Libano. Oggi molto semplicemente dice: "si può cambiare il mondo, ma bisogna dire un sì senza ritorno, metterci in gioco completamente". Un impegno assunto in pieno anche da don Raffaele Sarno, che come parrocchia ha avuto il carcere , dove convergono e si concentrano tutte le tensioni della società aggravate dal cronico sovraffollamento (circa 57.000 detenuti a fronte di 35.000 posti letto), luogo della povertà e dell’ignoranza". Sarno racconta di uno dei momenti più bui, quando ha dovuto celebrare messa nel corridoio del carcere per farsi sentire da quattro detenuti collaboratori di giustizia che per motivi di sicurezza non potevano uscire dalle loro celle. E di quando ha dovuto dare loro l’eucarestia attraverso lo spioncino della porta serrata. Ma anche di momenti di gioia, quando ad esempio, nella sua parrocchia a Trani, in un giorno di prime comunioni c’erano in fila dinanzi a lui tre famiglie legate tra loro in modo particolare e che accompagnavano i figli all’altare per la prima comunione: un detenuto in stato di semi libertà, il poliziotto che lo aveva arrestato e il giudice che lo aveva condannato. "Un segno di come l’eucaristia - ha detto - superi ogni barriera tra le persone". Pedofilia: la Lega dice no al patteggiamento e slitta il voto sul ddl
Ansa, 27 maggio 2005
La Commissione Giustizia della Camera stava per dare i via libera al disegno di legge contro la pedofilia quando la Lega ha chiesto di riaprire i termini per la presentazione di nuovi emendamenti, visto che, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca, si è detta contraria a che ci sia il patteggiamento per reati come detenzione, cessione e commercio di materiale pedo-pornografico. I componenti della commissione Giustizia ha quindi rinviato la seduta per riflettere sulla richiesta della Lega. A sollevare perplessità sulla parte del provvedimento che prevede il patteggiamento per questo tipo di reati punibile con condanne fino a tre anni, era stata anche il ministro per le Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo a inizio seduta. Il carcere e le sue narrazioni, di Ettore Macchieraldo
Social Press, 27 maggio 2005
Non so se ci avete fatto caso anche voi ma, da un po’ di tempo, le narrazioni sono la forma con cui si cerca di conoscere il presente. Come se non si riuscisse a capirlo con strumenti analitici, ma solo attraverso il racconto di esperienze. Forma che affascina e coinvolge con il rischio di sedurre. Certamente il carcere, o meglio i carceri, sono realtà difficili da comprendere, vuoi per la loro congenita chiusura, vuoi per le trasformazioni che stanno vivendo. Soprattutto risulta difficile spiegare come questa pentola a pressione, continuamente riempita di persone, non scoppi e come, anzi, produca, quale forma più comune di rifiuto, l’autolesionismo dei suoi reclusi. Venerdì scorso a Ivrea è stato proposto un percorso attraverso quattro libri, quattro narrazioni appunto, per comprendere la durezza e gli effetti di questa istituzione. I testi vanno da Risvegliato dai lupi , racconto scritto da Emanuela Zuccalà su Fra Beppe - tra i primi volontari in carcere dove ha incontrato e conosciuto molti protagonisti della cronaca nera italiana - alla detenzione subita da Daniel Pittuelli in Argentina durante la dittatura e solo ora riportata nel libro Né oblio né perdono dal racconto di Giuliana Bertola Maero sulla sua esperienza di volontaria nella Casa Circondariale di Ivrea - dando voce al Eco di voci murate - fino ai colloqui sul calcio tra Adriano Sofri e Teo De Luigi raccolti nel libro Giocare da libero. Punti di vista diversi che cercano di narrare la quotidianità di un mondo chiuso tra pena, tecniche di annullamento della persona e difficili esperienze di solidarietà. In realtà uno di questi libri tratta un argomento apparentemente lontano da quella istituzione: il calcio. I colloqui tra Teo De Luigi e Adriano Sofri non sono sul carcere, ma si sono svolti in carcere, partendo dalla considerazione di come alcuni importanti eventi sportivi quali l’europeo del ‘68 e i mondiali del ‘78 siano rimasti poco presenti nell’immaginario collettivo. La tesi è che i movimenti del ‘68 e del ‘77 li abbiano oscurati. Adriano Sofri è un detenuto politico anomalo, sta subendo la vendetta dello Stato a molti anni di distanza dal delitto che gli viene imputato, e, quindi, si confronta con una realtà carceraria molto diversa da quella degli anni ‘70 e ‘80. La serata è stata attraversata da brevi considerazioni sul ruolo dei detenuti politici come organizzatori di rivolte all’interno dei circuiti carcerari e di quanto se ne senta l’assenza di fronte all’impotenza di cambiamento delle attuali condizioni detentive. Questi approcci mi hanno risvegliato il ricordo di una persona che di carcere e delle sue narrazioni, suo malgrado, si è molto occupato: Giuliano Naria. Caso giudiziario di quelli che furono definiti gli anni di piombo, accusato di due omicidi, ha subito 11 anni di detenzione preventiva, per poi arrivare alla assoluzione per quei fatti. Lo incontrai nei primi anni ‘90 mentre stavo organizzando con altri studenti un seminario sulla tortura. Interpellammo i docenti dell’università chiedendogli degli interventi sull’argomento, partendo dalle loro competenze accademiche. Chiedemmo a Giuliano un intervento che riportasse alla realtà contemporanea. Ci raccontò del circuito delle carceri speciali e delle tecniche repressive li adottate. Ci raccontò anche delle rivolte, che in Italia furono forti e arrivarono a far chiudere il supercarcere dell’Asinara. Mise l’accento su quanto quelle ribellioni videro non solo la partecipazione dei politici, ma anche di molti malavitosi. Secondo lui tale esperienza era difficilmente ripetibile proprio per come stava cambiando la ‘sociologià dei detenuti. Sosteneva che fosse in atto la trasformazione della malavita, ancora legata a codici di condotta coerenti, a commercianti di sostanze stupefacenti, e questo lo convinceva che i soggetti detenuti sarebbero stati sempre meno capaci di rivolte collettive. "Ricordo ad esempio che ad Alessandria nell’83 - 84, ottenemmo che la perquisizione la facessero a noi, a colloquio avvenuto, e non ai nostri familiari (prima invece noi venivamo perquisiti solo sommariamente). (…) Noi entrammo in agitazione e facemmo uno sciopero della fame, avvertendo i giornali e bloccando tutto. Questo per dire anche il grado di combattività che c’era in quegli anni." A raccontare non è un ‘politicò ma un detenuto comune redattore di un’interessante esperienza prodotta da alcuni reclusi nel carcere di Padova, la rivista Ristretti Orizzonti (intervista pubblicata da Una città di febbraio). Giuliana Bertola racconta proprio di queste persone, anzi gli da voce riportando le storie e alcuni loro scritti nel suo libro Eco di voci murate. I carceri sono riempiti di tossicodipendenti, un terzo circa della popolazione detenuta, e di immigrati, un’altra grande parte dei reclusi. Il sovraffollamento è causato dal sempre crescente ricorso alla carcerazione di questi soggetti. Il problema è, in modo ancora più evidente di altre situazioni, sociale. Anche l’autrice sottolinea la difficoltà a riunire queste persone, sostiene che sono troppo ricattabili. Se i lavoranti, quindi i detenuti che mandano avanti la fabbrica carcere, decidessero di scioperare, ce ne sarebbero centinaia disposti a sostituirli. È molto diverso da quello che racconta Daniel Pittuelli sulla durezza della carcerazione dei militanti politici durante la dittatura in Argentina, dove la solidarietà tra le persone è stata l’unica risorsa su cui hanno potuto contare e che gli ha dato la possibilità di elaborare quella esperienza. Simili sono i racconti di come nella colpa venga trascinata anche la famiglia e gli affetti dei detenuti. Dai trattamenti disumani prima, dopo e durante i colloqui, allo stigma sociale. Certo non possiamo accontentarci di pensare che tali livelli di repressione siano lontani storicamente e geograficamente. Non molti anni fa, era il 2001, durante i giorni del G8 a Genova, abbiamo visto quelle tecniche riprodotte con efferatezza simile. Mentre aspettiamo di sapere se i reati saranno perseguiti, conviene tenerci preparati alla possibilità di una loro ripetizione. Nulla di particolarmente difficile da organizzare, basta leggere e confrontarsi. Insomma pare che il carcere rappresenti, in peggio, quello che accade nella società, e fin qui nulla di nuovo, rimane il problema di come invertire questo modello di relazione basato sull’affermazione di sé e sulla solitudine; e ben vengano le narrazioni se sono uno strumento per avviare ragionamenti e dinamiche di solidarietà. Lucera: evitato un caso analogo a quello di Poggioreale
Comunicato stampa, 27 maggio 2005
Eppure le premesse sembravano esserci tutte. Il Sig. F.M. di anni settantotto, veniva condotto in carcere su di ordine di esecuzione con condanna a 11 giorni di arresto. La lieve entità della pena e l’avanzata età dell’anziano ospite, sul quale non gravavano, per altro, precedenti penali, hanno richiamato da subito l’attenzione degli operatori penitenziari che si attivavano in un a gara di solidarietà e velocità, conclusasi con la dimissione dello stesso nel giro di poche ore.(Non è più il ricco che mangia il povero bensì il veloce che supera il lento) Il Magistrato di Sorveglianza di Foggia, infatti, investito del caso emetteva immediatamente, a favore del detenuto, provvedimento di concessione della detenzione domiciliare (Nell’intera provincia Dauna sono applicati due Magistrati di Sorveglianza). Gli operatori penitenziari (personale di Polizia Penitenziaria ed Educatori) si sono sentiti orgogliosi di aver compiuto una missione a tempo di record. Quanto diventa importante la propria attività se viene dato senso e significatività all’azione quotidiana che segna il tempo che scorre nel carcere; è questo il messaggio che si vuole lanciare dalla Casa Circondariale di Lucera, eppure non è stato compiuto nulla di eccezionale se non aver ascoltato le voci provenienti dal cuore e dalla ragione; dare ascolto alla "piccola farfalla" che pulsa nel nostro corpo, è un qualcosa che connota e che rende professionale l’azione e la presenza degli operatori penitenziari; molte volte le pagine di cronaca evidenziano o preferiscono la negatività degli avvenimenti, invece non guasterebbe un’analisi approfondita ed a 360° su di una vicenda quale quella di cui si è parlato prima, poter analizzare attimo per attimo, ascoltare le testimonianza dei singoli operatori impegnati nella vicenda; grande si rileva la frase di Eduardo, che basta trascorrere una notte in un carcere per impazzire. L’episodio appena esposto è un chiaro indicatore di come nella realtà penitenziaria lucerina l’attenzione rivolta alla "persona" sia caratteristica peculiare dell’attività quotidiana (l’intervento individualizzato). L’operatore, investendo nella risorsa "uomo", riesce a dare speranza all’altro ed alimentare i propri sogni, che qualche volta diventano Realtà. Mi si consenta di ringraziare, al fine di evitare le generalizzazioni che non piacciono a nessuno, la Polizia Penitenziaria dell’Ufficio Matricola, l’Educatore e il Sig. Comandante del Reparto. Il Direttore dell’Istituto. Immigrazione: stranieri espulsi, da Amnesty critiche all’Italia
Il Mattino, 27 maggio 2005
I governi seguendo "la linea di comportamento stabilita dalla superpotenza americana" hanno "tradito la promessa di un ordine mondiale basato sui diritti umani" e "quattro anni dopo l’11 settembre non hanno mantenuto l’impegno di rendere il mondo un luogo più sicuro". È la sentenza di un fallimento senza precedenti quella contenuta nell’ultimo rapporto di Amnesty International - presentato ieri in contemporanea in diverse capitali, inclusa Roma - dove dall’analisi dello stato di salute dei diritti umani in 194 paesi, nel 2004, emerge inequivocabile "la mancanza di leadership morale da parte dei governi mondiali abbinata alla paralisi e all’indifferenza della comunità internazionale". I governi traditori - denuncia l’organizzazione - stanno portando avanti una "pericolosa agenda" in cui il "linguaggio della libertà e della giustizia viene messo al servizio di politiche di paura e insicurezza". A stabilire la loro linea di comportamento sono gli Usa superpotenza politica, economica e militare e a pagare le conseguenze sono le innumerevoli migliaia di persone coinvolte in crisi umanitarie e conflitti dimenticati. "Quando il paese più potente del mondo si fa beffe del primato della legge e dei diritti umani, concede agli altri paesi la licenza per compiere abusi con impunità", sostiene l’organizzazione. Il rapporto di Amnesty non è tenero neppure con l’Italia, accusata di procedere a "deportazioni verso l’Egitto e la Libia di centinaia di stranieri arrivati nella penisola via mare" e e "di aver aumentato del 16% (1.5 miliardi di euro) le autorizzazioni alle esportazioni di armi da guerra anche con paesi che sono in conflitto tra loro come India e Pakistan". Nel capitolo dedicato all’Italia Amnesty, denuncia innanzitutto il persistere di un "quadro legislativo insufficiente sul diritto d’asilo" associato allo stallo del progetto di legge per l’introduzione di una normativa organica sui rifugiati, ancora fermo alla Camera. Quindi, rinnova "le preoccupazioni condivise con l’Unhcr sulla tutela legale, l’identificazione, il trattenimento e le procedure d’asilo sollevate nel giugno 2004 quando il governo italiano ha rinviato 36 dei 37 cittadini stranieri approdati nel paese dopo essere stati salvati in mare dalla nave Cap Anamur". Un po' di numeri. Sono quasi un centinaio, secondo un monitoraggio effettuato l’anno scorso, i paesi in cui la tortura è ancora prassi ed oltre settanta quelli in cui la libertà di espressione o di informazione è negata. Per quanto riguarda i maltrattamenti e le torture di forze di polizia o autorità statali, sono 95 i paesi in cui l’associazione riscontra violazioni, mentre 75 sono le nazioni in cui le libertà di espressione, di informazione e di manifestazione politica sono limitate o vietate.Le donne sono state vittime in 13 conflitti armati di stupri e abusi sessuali da parte di forze governative. Con la lotta al terrorismo, compaiono nuove forme di lesione dei diritti attraverso legislazioni anti-terrore o torture nel contesto della "guerra al terrore", vigenti in 12 paesi. Per quanto riguarda la situazione delle carceri, in 37 paesi sono state registrate detenzioni senza accusa né processi, in 10 detenzioni in centri segreti e in altre 32 nazioni ci sono i cosiddetti prigionieri di coscienza. I paesi in cui sono state eseguite condanne a morte nel 2004 sono 25 e 51 sono i paesi con detenuti nel braccio della morte. Sanremo: eroina in carcere, altri detenuti coinvolti…
Secolo XIX, 27 maggio 2005
Restano stazionarie e quindi gravi le condizioni del detenuto sanremese vittima di un’overdose nella cella del carcere dell’Armea. L’equipe di rianimazione continua a mantenerlo in coma farmacologico nel tentativo di far rientrare i parametri fortemente alterati dall’assunzione di eroina pura. Intanto proseguono le indagini promosse dalla direzione del carcere e l’inchiesta avviata dalla procura della Repubblica. E proprio dagli ulteriori accertamenti sarebbe emerso che altri detenuti, venerdì pomeriggio, avrebbero fatto uso di stupefacente, con ogni probabilità quello che uno spacciatore tunisino avrebbe introdotto all’Armea occultandolo nello stomaco. Parziale conferma arriva dal direttore Francesco Frontirrè: Effettivamente riteniamo che altri soggetti abbiano fatto uso di eroina e che questa sia stata ceduta dall’extracomunitario arrestato e condotto in carcere il giorno precedente all’episodio. È stato appurato che la droga era contenuta in una capsula che il nordafricano avrebbe ingerito poco prima di essere fermato nel corso di un controllo. Ciò che è accaduto non è confortante, tuttavia voglio sottolineare - ha concluso Frontirrè - che il personale della polizia penitenziaria è riuscito a far luce sulla vicenda con estrema rapidità. Inoltre gli agenti hanno anche trovato e recuperato l’eroina residua. Era nella cella del sospettato, nascosta sotto il bidet del bagno: 15 grammi di eroina purissima che, non essendo nella condizione di poter tagliare, è stata spacciata senza scrupoli dal tunisino, ben sapendo che gli effetti su un tossicomane in astinenza sono quasi sempre devastanti. Va anche detto - come ha già fatto notare Frontirrè - che il modo in cui la droga è entrata all’Armea è difficile da contrastare. Non è possibile sottoporre i detenuti a schermografie preventive volte a verificare l’eventuale ingestione di capsule contenenti sostanze stupefacenti. Occorrono sospetti mirati e fondati. E comunque l’autorizzazione di un magistrato. Modica (Rg): appello del sindacato per evitare chiusura carcere
La Sicilia, 27 maggio 2005
Chiusura del carcere di Piano del Gesù per i noti lavori di ristrutturazione dell’attigua chiesa di Santa Maria del Gesù sempre al centro dell’attenzione generale. Dopo gl’interventi di varie istituzioni c’è da registrare quella del sindacato della polizia penitenziaria. Un vivo appello viene rivolto ai parlamentari modicani (il sottosegretario agli Affari esteri, Giuseppe Drago e al senatore Riccardo Minardo) ad intervenire sulla questione. In un’accorata lettera il segretario provinciale del sindacato, Corrado Presti, fa rilevare, tra l’altro, che "da diversi mesi si fa sempre più insistente la minaccia di chiusura dell’Istituto penitenziario". E aggiunge: "Questa situazione d’incertezza provoca, fra le oltre cinquanta unità di polizia penitenziaria impiegate non poche, oltre che legittime, preoccupazioni. Quest’ultimi, infatti, hanno raggiunto l’obiettivo di prestare servizio nella sede vicina al proprio nucleo familiare, dopo anni di servizio in sedi del Nord e, successivamente, in quelle di Catania, Augusta e Siracusa. Esiste oggi, per noi servitori dello Stato, il rischio concreto di dover riaffrontare unitamente ai nostri cari enormi disagi. L’Istituto penitenziario modicano rappresenta una non indifferente fonte di reddito per l’indotto commerciale ad esso legato (commercianti, imprese e così via), oltre che a costituire un naturale e complementare braccio per il nuovissimo ed importante Palazzo di giustizia". I disagi in pratica coinvolgono parecchi operatori della giustizia e di varie istituzioni. "È inutile rilevare - continua il segretario provinciale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria - che anche l’autorità giudiziaria sarebbe penalizzata nell’espletamento delle proprie fondamentali attività di carattere inquirente e giudicante. Notevolissimi disagi, in termini di tempo e di sicurezza, affronterebbero i magistrati qualora dovessero recarsi, per i loro adempimenti, in altri Istituti penitenziari, anche se quello della vicina Ragusa. Di non minore importanza l’attività di polizia giudiziaria espletata dalla polizia, dai carabinieri e dalla guardia di finanza, spesso culminante con arresti e traduzioni in carcere, sarebbe notevolmente complicata. Infine anche il rapporto difensore-detenuto, attualmente agevolato dalla presenza in loco del penitenziario, subirebbe inevitabilmente notevoli complicanze". Da qui l’appello del segretario Presti rivolto al sottosegretario Peppe Drago e al senatore Riccardo Minardo ad attivarsi in tutti i modi per risolvere questo problema che, come si fa rilevare da più parti, non interessa solamente una categoria di operatori ma altre, nonché l’intera città di Modica e il suo comprensorio. G.B. Cagliari: presentato oggi libro sulla vita di Graziano Mesina
L’Unione Sarda, 27 maggio 2005
Questa sera alle 19 in piazza San Sepolcro a Cagliari il fumettista Bepi Vigna presenterà il libro di Giorgio Pisano Lo strano caso del signor Mesina (Edizioni Il Maestrale). Si tratta del libro che per la collana I Banditi de L’Unione Sarda ha venduto 20mila copie in una sola settimana. La storia, romanzata, ma supportata da un rigore giornalistico, è quella di Graziano Mesina. Dal primo arresto alla grazia, passando per nove evasioni e quarant’anni di carcere. L’incontro con l’autore è organizzato dall’associazione Parolibera in collaborazione con il Café Barcellona. Catania: oggi si tiene incontro su "Carcere e società civile"
La Sicilia, 27 maggio 2005
Si terrà oggi, 27 maggio, al Teatro Ambasciatori con inizio alle 9,30 l’incontro "Carcere e società civile" e a seguire una rappresentazione teatrale messa in scena dai detenuti della Casa circondariale di Augusta. L’iniziativa, proposta dalla Società Cooperativa sociale Eco-Tourist e portata avanti grazie al sostegno della provincia di Catania, dell’assessorato regionale ai Beni Culturali e del Teatro Stabile di Catania, è rivolta agli studenti delle scuole medie superiori di Catania e provincia. Sono già state raccolte circa settecentocinquanta adesioni. La proposta, che si inserisce nell’ambito dei progetti sulla legalità, vuole sensibilizzare soprattutto i più giovani alle problematiche della realtà carceraria ed essere testimonianza delle risorse creative che nascono al suo interno. L’incontro prevede una tavola rotonda sul tema "Carcere e società civile: percorsi di comunicazione, di espressione e di relazione". Vi prenderanno parte il presidente della Provincia, Raffaele Lombardo, l’assessore regionale ai Beni Culturali Alessandro Pagano, l’assessore provinciale alla Pubblica istruzione, Salvo Panebianco. Relatori il direttore della Casa di reclusione di Augusta, Antonio Gelardi, il professore Santo Fabiano dell’Università "La Sapienza" di Roma. I lavori saranno moderati da Lucia Di Mauro, presidente della Società Cooperativa sociale "Eco-Tourist"; è stato inoltre invitato al convegno il capo dell’Amministrazione penitenziaria, presidente Giovanni Tinebra. Dopo la tavola rotonda, i detenuti del gruppo teatrale dell’istituto della casa circondariale di Augusta, fruendo di un permesso con scorta ex articolo 30 della legge penitenziaria, presenteranno lo spettacolo teatrale "La patente" di Luigi Pirandello, nella speranza che questo evento possa incrementare a partire dall’immediato futuro altre iniziative che, come questa, si propongano di arricchire di senso il periodo di detenzione penitenziaria, per far sì che possa diventare percorso di riabilitazione e di formazione, ma a sua volta formativo e artistico.
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