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Orvieto: muore suicida detenuto di 31 anni, indagini in corso
Orvietosì.it, 26 maggio 2005
Un detenuto di trentuno anni si è suicidato nel carcere di via Roma nella notte a cavallo tra lunedì e martedì. Il giovane, di origini meridionali, recluso per reati comuni, si sarebbe impiccato all’interno della propria cella. Sul caso ha immediatamente avviato un’indagine la procura di Orvieto per tentare di capire i motivi che potrebbero aver spinto il giovane all’estremo gesto. Da alcune indiscrezioni trapelate dal carcere pare che il ragazzo il giorno prima di togliersi la vita abbia avuto un diverbio. Della morte, arrivata per strangolamento, sono stati immediatamente informati familiari del giovane che risiedono a Civitavecchia. Adesso toccherà alla procura della Repubblica (titolare dell’inchiesta è il sostituto Anna Lisa Giusti) e alla polizia penitenziaria (a cui sono state demandate le indagini) fare piena luce sulle circostanze in cui è maturato il tragico episodio. Una spiegazione potrebbe arrivare dagli altri detenuti e magari dai compagni di cella del trentunenne suicida. In questo senso pare che alcuni di loro siano stati già ascoltati. Altri potrebbero essere interrogati nelle prossime ore. In particolare per capire se veramente il ragazzo il giorno prima di togliersi la vita abbia avuto un diverbio. Ed eventualmente per quali motivi e con chi. Intanto sulla vicenda vige il più stretto riserbo da parte degli inquirenti. Mentre l’opinione pubblica guarda con sgomento ai suicidi di Padova e Sulmona, un altro drammatico episodio scuote le mura di un carcere tranquillo come quello di Orvieto. Il caso va ad aggiungersi alle cifre crudeli rilevate dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria in tutta Italia. A lanciare il grido d’allarme per i "suicidi ignoti" in cella era stata proprio all’inizio del mese di maggio l’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia penitenziaria (Osapp). L’attenzione si concentrava in particolare sui più recenti fatti di cronaca registrati nei penitenziari di Padova e Sulmona. Amnesty International: in quasi 100 nazioni tortura è ancora prassi
Redattore Sociale, 26 maggio 2005
La tortura resta uno degli strumenti "ordinari" usati nelle carceri di mezzo mondo, così come la pena di morte vige indisturbata in decine di Paesi quale punizione massima per crimini e reati. Non meno diffuse le politiche liberticide, che violano diritto di espressione e informazione, le sparizioni ad opera di pubblici ufficiali, la violenza contro donne e bambini. La violazione dei diritti umani, secondo l’ultimo Rapporto annuale di Amnesty International presentato oggi a Roma, non risparmia nessuna parte del pianeta che nel 2004 ha visto, in tal senso, un quadro drammaticamente allarmante. Il grido di denuncia dell’organizzazione internazionale parte dalle brute cifre per allargarsi a valutazioni più ampie. Di 149 Paesi passati in rassegna dal documento, 12 hanno violato diritti umani con legislazioni "antiterrore", 36 hanno limitato o calpestato i diritti di profughi interni e dei rifugiati, 37 hanno attuato detenzioni senza accusa né processo, 25 hanno visto gruppi armati compiere azioni violente e uccisioni, 25 hanno eseguito condanne a morte. In altri 10 stati pubblici ufficiali si sono resi responsabili di sparizioni, in 95 le forse di sicurezza e altre autorità statali si sono rese responsabili di maltrattamenti e torture, mentre in altri 13 Paesi governi e milizie hanno perpetrato violenza, stupro e altri abusi sessuali sulle donne nel corso dei conflitti armati. Ma fra le vittime compaiono anche coloro che i diritti umani tentano di difenderli (Hrd – Human rights defender): 26 i Paesi in cui gli Hrd hanno subito limitazioni legali, minacce, intimidazioni, 17 quelli in cui sono stati arrestati o imprigionati, 16 in cui governi e gruppi armati hanno commesso atti di violenza contro di loro. Centinaia di migliaia, sottolinea Amnesty, le persone che hanno pagato le conseguenze dell’indifferenza della comunità internazionale. Ne è un esempio, non isolato, il caso Darfur, dove "il governo sudanese ha dato vita ad una catastrofe dei diritti umani. E la comunità internazionale ha fatto troppo poco e si è mossa troppo tardi per reagire alla crisi, tradendo centinaia di migliaia di persone". Da non dimenticare Haiti dove, ricorda l’organizzazione internazionale, "i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani hanno potuto riconquistare posizioni di potere, o l’Afghanistan, precipitato in una spirale di assenza di legge e instabilità, e l’Iraq, dove la violenza è endemica". Soprusi e misfatti, denuncia Amnesty quest’anno, spesso reiterati anche in nome dell’esportazione di una teorica democrazia e lotta al terrorismo. " I governi stanno tradendo la promessa di un ordine mondiale basato sui diritti umani e stanno portando avanti una nuova, pericolosa agenda – ha dichiarato il neo presidente della Sezione Italiana di Amnesty Paolo Pobbiati - Nel corso del 2004, i governi non hanno mostrato leadership morale e di questo fallimento devono essere chiamati a rispondere. Hanno tradito i loro impegni in materia di diritti umani e stanno promuovendo una nuova agenda in cui il linguaggio della libertà e della giustizia viene usato per portare avanti politiche di paura e insicurezza". Il dito è esplicitamente puntato sulla politica degli Stati Uniti, accusati da Amnesty di "annacquare il divieto assoluto di tortura attraverso nuovi provvedimenti e il ricorso ad un linguaggio di giustizia e libertà, che lascia però uno scarto enorme fra retorica e realtà". Mostri di violazione restano, secondo Amnesty, il centro di detenzione di Guantanamo, a Cuba, ma anche "l’agghiacciante fenomeno dei maltrattamenti e torture nel carcere iracheno di Abu Ghraib e dall’assenza di provvedimenti nei confronti delle più alte cariche dell’amministrazione statunitense". "Tutto questo avviene - ha aggiunto Pobbiati, nel supremo dispregio dei trattati internazionali". Cagliari: al via l’Osservatorio su disagi ed emergenze
L’Unione Sarda, 26 maggio 2005
Costa 25 mila euro, ci lavorano in dodici e scatta un’immagine ogni quattro mesi. Non è la peggior macchina fotografica sul mercato, ma l’osservatorio sociale varato ieri dal Comune di Cagliari. L’immagine che scatta è quella del disagio cittadino, attraverso rilevazioni statistiche ed elaborazioni che ogni quattro mesi, appunto, verranno proposte all’amministrazione per studiare le misure contro povertà 3e immaginazione. A lavorarci, insieme al Municipio, saranno la Prefettura, il Provveditorato agli studi, la Asl 8, la Camera di commercio, l’ufficio provinciale del lavoro, l’Inps, l’Inail, il Tribunale dei minori, la Procura, il Centro di giustizia minorile e il provveditorato dell’amministrazione penitenziaria. Ad annunciarlo è stato l’assessore comunale alle Politiche Sociali, Angelo Vargiu, che ieri ha presentato così l’Osservatorio ai giornalisti: "È uno strumento per acquisire dati precisi e delineare un quadro esatto delle condizioni sociali, in modo da indirizzare il piano delle Politiche sociali su basi statistiche e non attraverso indagini e iniziative estemporanee". Un paio di esempi: "Parliamo spesso di nuove forme di povertà in crescita: bene, per incidere efficacemente è utile sapere esattamente quanto crescono, chi riguardano. Ancora: il rapporto tra disabili mentali e scuola, un campo che va indagato con accuratezza". Il primo rapporto arriverà a novembre e sarà analizzato dal Tavolo di concertazione sociale, un nuovo organismo voluto da Vargiu per coadiuvare l’assessorato. La giunta formalizzerà questa mattina la composizione del tavolo, al quale saranno chiamati anche rappresentanti dell’associazionismo e del volontariato. Se questa sorta di consulta operativa sarà a costo zero, i 25 mila euro stanziati per l’osservatorio serviranno a coprire spese vive. Ad esempio le eventuali pubblicazioni - i risultati di questo monitoraggio costante verranno comunicati ai cittadini - ma anche la realizzazione e l’installazione dei software nelle sedici dei dodici soggetti che immetteranno i dati in rete. Quanto ai primi obiettivi, la dirigente del Comune Ada Lai ha indicato le tre principali emergenze da affrontare: l’occupazione ("Ma l’amministrazione sta mettendo a punto un progetto molto promettente: se è vero che molte aziende hanno bisogno di personale e che tanti cittadini non hanno occupazione, perché non agire come un raccordo sul territorio in modo intelligente?"), la difficoltà nel trovare casa a costi sostenibili e l’inserimento dei disabili nel sistema scolastico. Buona l’accoglienza dei consiglieri comunali: il presidente della commissione Politiche Sociali Gialeto Floris (An) ha approvato a pieni voti l’osservatorio, invitando "Provincia e Regione a dotarsi di strumenti simili", mentre il vicepresidente Marco Espa (Margherita) si è detto soddisfatto per l’attuazione di un progetto "che il centrosinistra aveva presentato già nel 2002, con un emendamento ai piano socio assistenziale approvato dal Consiglio all’unanimità". Giustizia: testimoni scomodi e collaboratori impuniti?
Questo Trentino, 26 maggio 2005
La protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia della criminalità mafiosa tra legge e messa in pratica. La lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso nel 1992 ha scoperto - con l’uccisione di Falcone e Borsellino - la figura dei collaboratori e dei testimoni di giustizia. Sulla posizione e la protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia Transcrime sta realizzando una ricerca per il progetto "Anonymous and threatened witnesses", finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma AGIS 2004. La ricerca analizza sia gli aspetti legislativi (benefici garantiti, doveri, sanzioni) sia le ricadute pratiche del sistema di protezione sui collaboratori/testimoni di giustizia. I collaboratori di giustizia (i "pentiti") sono ex membri di organizzazioni criminali o eversive che hanno deciso di uscire dalla malavita. "Pentendosi" danno informazioni alle forze dell’ordine per contrastare l’attività della mafia o di gruppi terroristici. I testimoni di giustizia sono invece cittadini non appartenenti alla mafia o a organizzazioni eversive: sono testimoni o vittime di reati commessi da mafiosi che decidono di denunciare l’accaduto. Entrambi i soggetti forniscono contributi spesso decisivi alle indagini e per questo sono esposti a ritorsioni. La legge 82 del 1991 - prima in Europa - ha individuato le istituzioni deputate ad organizzare le misure di protezione (la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, il Servizio Centrale di protezione) ed i sistemi di protezione di cui collaboratori e testimoni possono godere: cambio di identità, di residenza, sostegno economico, e (per i collaboratori) benefici nei procedimenti penali a loro carico. Le modifiche della legge e la sua messa in pratica si sono susseguite nel corso degli anni. Leonardo Vitale, il primo pentito della storia della mafia, anticipò i tempi della legge e venne preso per pazzo per le sue dichiarazioni che risultavano assurde e che solo in seguito ebbero conferma. Ricordiamo i collaboratori storici come Buscetta (il primo a svelare a Falcone i segreti di Cosa Nostra), poi Contorno già nel 1984, Mannoia dal 1989, Mutolo dal 1991, Messina dal 1992, Brusca dal 1997, Calderone a partire dal 1987. Dopo un periodo di scarsa fiducia nella legge del 1991, si è assistito all’incremento del numero dei collaboratori e dei testimoni di giustizia che ha raggiunto il culmine a metà degli anni ‘90 (vedi il grafico sottostante). Nuove ammissioni ai programmi di protezione per testimoni e collaboratori di giustizia. Valori assoluti dal 1992 al 1° semestre 2003. I primi collaboratori e testimoni hanno però riscontrato diversi problemi relativi ai programmi di protezione: poco sostegno psicologico, difficoltà economiche (il tenore di vita precedente non veniva garantito con la nuova identità), difficoltà ad accedere al sistema sanitario, difficoltà ad iscrivere i figli a scuola, poca discrezione da parte delle forze dell’ordine sull’anonimato. Per contro, l’opinione pubblica non ha accolto positivamente la figura dei collaboratori. La via della collaborazione è stata percepita come una scelta di comodo, una scappatoia per chi, spesso autore di crimini efferati, voleva evitare il carcere e vivere a spese dello Stato. La normativa del 1991 aveva il proprio limite nell’assimilare alla posizione dei collaboratori quella dei testimoni, non delimitando i tempi della collaborazione e della protezione. Tale limite ha trovato in parte risposta con la legge di modifica 45 del 2001, che ha distinto la figura dei collaboratori da quella dei testimoni di giustizia, ha dato la possibilità di capitalizzare l’indennizzo economico mensile fornito in un’unica somma in modo da poter dare la possibilità ai testimoni di intraprendere una nuova attività economica, ha fissato in 6 mesi il tempo massimo entro il quale devono essere fornite informazioni riguardo alla mafia, ha stabilito in un periodo massimo di cinque anni la durata del programma di protezione. Questa legge ha risolto alcuni dei problemi rilevati con l’applicazione della legge del 1991, ma ne ha creati altri. Ad esempio, l’aver fissato in 6 sei mesi il tempo massimo entro cui rilasciare le proprie dichiarazioni, risponde sì all’esigenza di evitare il fenomeno delle testimonianze "a rate", ma non permette di utilizzare deposizioni significative fornite oltre questo limite di tempo. Arrivando ai giorni nostri, in Italia l’attenzione nei confronti della mafia negli ultimi anni è venuta un pò meno: dopo la triste ribalta ottenuta dalla mafia negli anni delle stragi, lo spazio dedicato dai media al fenomeno si è progressivamente ridotto, eccezion fatta per notizie riguardanti Provenzano, ricercato storico, o per episodi di camorra nel quartiere di Scampia a Napoli. Purtroppo però la mafia continua ad esistere: è solo più subdolamente silenziosa. Informazione: sabato 28 maggio Radio Carcere su "Il Foglio"
Comunicato Stampa, 26 maggio 2005
Sabato 28 maggio uscirà su Il Foglio Radio Carcere. Temi affrontati: Carcere: la realtà del carcere di Poggioreale e la questione del diritto alla salute in carcere; Giustizia: prima parte dell’analisi dedicata ai soggetti che partecipano al processo: avvocati e magistrati. Sabato Radio Carcere parlerà degli avvocati (di cui assai poco si parla). Gli avvocati in Italia sono preparati? Se una persona ha un problema con la giustizia trova facilmente un avvocato mediocre o deve sperare nella fortuna? Quante volte un avvocato non preparato rovina il cliente? L’avvocato deve difendere il delitto o il diritto? Risponderanno a queste domande: l’avv. Corso Bovio e il Cons Iacoviello, giudice della Corte di Cassazione. Poi le lettere delle persone detenute in tutta Italia. Torino: in mostra i mobili realizzati dai giovani detenuti
Ansa, 26 maggio 2005
Si inaugura tra due giorni presente anche il procuratore generale della Repubblica, Giancarlo Caselli, Il alla Circoscrizione 5 di via Stradella, una mostra di mobili realizzati dagli allievi che frequentano il corso per ‘Operatore dell’Industria del Mobile e dell’Arredamentò della Casa Circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino (sede coordinata dell’istituto "Plana"). La mostra vuole far conoscere e sensibilizzare i cittadini, in particolare i giovani, su una realtà spesso molto poco conosciuta, quella del carcere. Inoltre l’iniziativa realizzata alla Circoscrizione 5 intende vuole evidenziare l’importanza della formazione soprattutto in quei contesti che esprimono un forte disagio sociale. Il progetto "In carcere a scuola di libertà" di cui la mostra fa parte, ha dato voce, attraverso riflessioni e poesie, ai detenuti che hanno potuto così, attraverso questa attività, entrare in contatto con gli studenti della sede scolastica esterna. E anche, essere partecipi di un processo di rieducazione basato su percorsi formativi mirati al fine di acquisire competenze generali e specifiche. Durante l’incontro, al quale parteciperanno molti dei responsabili del mondo del carcere regionale, verranno anche recitate da Massimiliano Sozzi del Teatro Stabile, alcune poesie scritte dagli allievi della Casa Circondariale. Palermo: ecco il vademecum per non pagare il pizzo
Ansa, 26 maggio 2005
"Non sottovalutare mai la prima telefonata; mettiti subito in contatto con le forze dell’ordine; fai fronte comune con i tuoi colleghi; collabora senza riserve con gli investigatori ma soprattutto non cedere alla paura". Comincia così il vademecum contro il pizzo destinato ai commercianti, pubblicato nel volume "Non ti pago - Storie di estorsioni mafiose e di antiracket", in edicola oggi con l’Unità e presentato a Palermo. Il libro è un dialogo a più voci sul racket che raccoglie opinioni di magistrati antimafia, esponenti dell’associazionismo e cittadini, intervenuti, a marzo, a un convegno sul pizzo organizzato a Capo D’Orlando. Si parla di commercianti, del perché, soprattutto a Palermo l’associazionismo stenti a decollare, degli strumenti giuridici che evitino la sovraesposizione di chi denuncia. Nel volume sono pubblicate anche le esperienze di chi agli estortori ha avuto il coraggio di dire "no": come Giuseppe, imprenditore della provincia di Palermo che ha fatto condannare l’esattore del pizzo a 4 anni di carcere. "I miei compaesani - scrive - mi hanno preso per pazzo ed i clienti mi hanno abbandonato. Ne ho perso oltre il 40 per cento ma sono un uomo libero. Ho guadagnato la libertà di non sottostare a nessun mafioso, di uscire a testa alta senza ringraziare nessuno". Alla presentazione del libro erano presenti, oltre al presidente della Fai (Federazione italiana antiracket), il pm della dda di Palermo Maurizio De Lucia, il procuratore Piero Grasso, Pina Maisano Grassi, vedova dell’imprenditore ucciso dalla mafia nel 92, i ragazzi del comitato ‘Addio Pizzò. A luglio tappezzarono la città di adesivi listati a lutto contro il racket, la scorsa settimana hanno lanciato una campagna di consumo critico raccogliendo 4.000 firme di cittadini che si sono impegnati ad acquistare nei negozi di chi dice no alla mafia. Il manifesto del consumo critico, da loro ideato, è stato approvato all’unanimità dal senato accademico dell’Università di Palermo. "La loro è un’iniziativa rivoluzionaria - ha detto Tano Grasso - che riaccende la speranza in una città in cui dall’omicidio Grassi non si è mai riusciti a far nascere dal basso un’associazione di commercianti". "Questi ragazzi - ha commentato il procuratore - ci hanno aiutato a riportare l’attenzione su un tema importantissimo. Il pizzo c’ è da quando c’è la mafia, nasce con la mafia". Un fenomeno antico, secondo il magistrato che ricorre a una battuta emblematica: "Si racconta che anche Garibaldi per potere attraversare il ponte dell’Ammiraglio fu costretto a versare una sorta di pizzo. Forse se si fosse rifiutato non ci sarebbe stata l’unità d’Italia". L’incontro si conclude con le parole dei giovani di Addio Pizzo: "Dobbiamo riprenderci Palermo. I commercianti devono capire l’importanza dell’unità". Ma proprio alla manifestazione di stasera di commercianti e imprenditori non c’era neanche uno. Giustizia: ddl Meduri; Ordine assistenti sociali scrive a Pera
Redattore Sociale
Nei mesi scorsi l’Ordine degli Assistenti Sociali a tentato di sensibilizzare la Commissione Giustizia e i Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati al fine di ottenere degli emendamenti al testo della proposta di legge n. 5141 (la cosiddetta legge Meduri). A ricordarlo è oggi il presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali, Paola Rossi, che in una ulteriore lettera inviata al presidente del Senato, ai presidenti dei gruppi parlamentari, alla Commissione Giustizia del Senato, ricorda come "tali emendamenti sono finalizzati alla salvaguardia delle finalità istitutive del servizio sociale dipendente dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria della Giustizia, della sua ricca tradizione e delle competenze maturate nel corso di trent’anni dai professionisti che vi operano". Il problema sollevato dalla Rossi, in concreto, è il seguente: il testo licenziato dalla Camera dei Deputati contiene una modifica dell’art. 3 del Progetto di Legge 5141, che introduce la dizione "Esecuzione penale esterna ed assistenza". Bene, per l’Ordine degli assistenti sociali tale soluzione "è totalmente insoddisfacente". Assistenza è termine obsoleto, che non compare neppure nella legge 328/2000 – puntualizza la Rossi -, che riporta a modelli superati da decenni, non garantendo in alcun modo lo specifico professionale degli assistenti sociali, il servizio sociale. Si ritiene pertanto di dover chiedere con forza che l’art. 3 venga ulteriormente emendato come segue: "Esecuzione penale esterna e servizio social". "Non sfuggirà l’importanza determinante dell’emendamento proposto - conclude la Rossi nella lettera - e si confida nell’accoglimento dello stesso". Torino: in mostra a Grugliasco foto scattate dai detenuti
Ansa, 26 maggio 2005
Settanta fotografie scattate da detenuti della casa circondariale "Lorusso Cutugno" (ex Vallette) di Torino saranno esposte nell’atrio e nello scalone del palazzo municipale di Grugliasco, dal 3 al 24 giugno. La mostra, intitolata "Spaz-Io alle sensazioni", rientra nel progetto "Cultura oltre le sbarre" di cui si sta occupando l’associazione di ascolto "La brezza" in collaborazione con la casa circondariale torinese. Le immagini, cariche di emozioni e di significati, sono state raggruppate per temi e, nell’insieme, descrivono il cammino interiore percorso dai detenuti che le hanno scattate. "Certo - dicono i ragazzi che aderiscono al progetto "Prometeo", nel blocco A del "Lorusso Cutugno" - si tratta di un cammino difficile, ma non impossibile. Basta decidere che, a un certo punto, è necessario scegliere tra essere fantasmi rassegnati o uomini che vogliono ritrovare la speranza". Bari: don Raffaele Sarno, eucarestia nelle carceri fa miracoli
Adnkronos, 26 maggio 2005
"L’eucarestia nelle carceri fa il miracolo di avvicinare e sostenere persone che molti considerano perduti". È quanto sostiene don Raffaele Sarno, delegato regionale pugliese della Caritas e cappellano delle carceri, nel suo intervento di questa mattina al 24mo congresso eucaristico in corso a Bari. Rovigo: gli operatori sanitari; in carcere la sanità funziona
Il Gazzettino, 26 maggio 2005
Il personale sanitario della Casa circondariale di Rovigo intende creare uno squarcio in questa atmosfera voyeuristica della città nei confronti del carcere. Non guardateci dal buco della serratura perché siamo trasparenti. Ci riferiamo in particolar modo all’articolo di sabato 14 maggio, "Salvato da un agente", nel quale si sottolineava che un detenuto colpito da arresto cardiaco era stato salvato da un agente, al quale peraltro va tutta la nostra gratitudine per aver continuato il massaggio cardiaco iniziato dal medico di guardia, che fra l’altro aveva prontamente fatto la diagnosi contribuendo a porre in atto insieme all’assistente di sanità i mezzi efficaci per salvare il paziente. Siamo professionisti seri che lavorano tra mille difficoltà e non siamo in cerca di andare agli onori della cronaca, però se i giornali titolano che il detenuto è stato salvato da un agente quando questi ha solo continuato un massaggio cardiaco potrebbe sembrare che in carcere non esista una organizzazione sanitaria e che gli agenti siano costretti a salvare i detenuti come i pompieri che salvano i gatti delle vecchie signore saliti troppo in alto sugli alberi. Il personale medico e paramedico della casa circondariale intende con questo messaggio far notare che non è alla ricerca del suo pezzetto di gloria né tanto meno dell’encomio solenne da parte del direttore perché per medici e infermieri "salvare" è un lavoro di routine. Se per una volta la città può ascoltare la nostra voce vorremmo che recepisse questo messaggio: il sistema sanitario del carcere - questo universo a sé, così lontano per chi è fuori, così normale per chi ci lavora dentro - è costituito per gran parte da medici di base dell’Ulss 18, gli stessi che salvaguardano la salute della parte perbene della città. Vorremmo che tutti capissero che nei quotidiani inferni di chi è detenuto non possiamo certo includere l’assistenza sanitaria.
Il personale della casa circondariale di Rovigo Rovereto: sfida di calcetto fra i detenuti e studenti
L’Adige, 26 maggio 2005
La prima partita l’hanno giocata le ragazze dell’istituto Filzi qualche giorno fa e l’esperienza ha lasciato un segno: "Ad un certo punto siamo arrivati a scambiarci le formazioni, con alcune detenute passate nella nostra squadra". I carcerati di via Prati e la rappresentativa di quattro scuole superiori cittadine si incontreranno oggi pomeriggio per la seconda tappa di questo progetto di collaborazione fra Comune e Ministero della Giustizia; e in una partita di calcetto gli studenti di Iti, Cfp Veronesi e istituto Don Milani-Depero sfideranno la formazione del carcere roveretano. "I ragazzi si sono preparati ad entrare in carcere grazie alla disponibilità della direttrice Antonella Forgione - racconta Donata Loss, che come assessore alla formazione ha seguito il progetto da vicino - hanno imparato a conoscere la vita carceraria dalle parole della direttrice, dell’educatore Giuseppe Stoppa e del vice comandante della polizia penitenziaria". Il percorso di avvicinamento fra mondo della scuola e vita dietro le sbarre rientra nel settore dell’educazione civica ed è una modalità innovativa per educare alla legalità: "In classe o nelle assemblee di istituto, i ragazzi hanno chiesto tutto quello che volevano chiedere - continua Donata Loss - mentre con gli insegnanti di educazione fisica si preparavano a debuttare sul campetto della casa circondariale di viale Prati". I primi a varcare i cancelli sono state come detto le ragazze, qualche giorno fa; oggi tocca ai componenti della formazione maschile di calcetto. "Anche i detenuti si stanno allenando sul serio - spiega l’ex assessore alla formazione - da qualche settimana sono seguiti dal preparatore atletico Andro Ferrari, che sta frequentando quasi quotidianamente il carcere di via Prati". Il progetto si chiama "Per aria, la scuola incontra il carcere", e per i detenuti comprende un percorso sulle tecniche della comunicazione efficace, tenuto dai docenti della facoltà di Scienze cognitive Marco Dallari e Massimiliano Tarozzi. "È importante che i ragazzi si rendano conto di questa particolare realtà che pure fa parte del tessuto cittadino - argomenta Donata Loss - è un’occasione preziosa perché il mondo dei liberi si confronti con l’universo di chi sta pagando il suo debito alla società". Siracusa: detenuto non ha i soldi per sfamare moglie e figlio
La Sicilia, 26 maggio 2005
Rosario Bellassai, agli arresti domiciliari per furto, chiede aiuto. Si trova in una condizione che non gli consente via d’uscita, essendo privo di reddito e impossibilitato a lavorare in virtù del provvedimento restrittivo, pur dovendo mantenere una moglie e un bambino di 7 mesi. La storia risale al 7 febbraio scorso quando Bellassai, travestendosi da impiegato di una nota "Pay Tv", riesce ad entrare in un appartamento rubando circa 800 euro. Poco dopo l’uscita dall’abitazione viene fermato dai Carabinieri ed individuato, attraverso riconoscimento diretto, dai proprietari come l’autore del furto. Bellassai confessa. In seguito restituisce la somma di 800 euro, 200 in più rispetto alla cifra che i proprietari ritennero gli fosse stata rubata. Intanto viene recluso all’interno della casa circondariale di Cavadonna per tre giorni prima della concessione degli arresti domiciliari in un appartamento di Floridia. Bellassai richiede il permesso di uscire dalla sua abitazione per poter lavorare ma il magistrato competente non ha ritenuto di concedere tale permesso. La richiesta è stata presentata un’altra volta ma con lo stesso esito. L’avvocato Renato Iaconello, unitamente al collega Puccio Forestiere, si riserva, una volta acquisiti il dispositivo e le motivazioni del rigetto, di adire il Tribunale della Libertà. Va infine detto, per dovere di cronaca e per la completezza dell’argomento, che Bellassai ha un precedente per furto risalente a dieci anni fa. Un episodio che ha certamente contribuito alla decisione del magistrato di non concedere il permesso. Sin qui i fatti: "Ho bisogno di lavorare - dice Rosario Bellassai per voce del suo avvocato - devo mantenere un bambino di 7 mesi e una moglie. Mi sento smarrito, ho richiesto il permesso ma mi è stato negato e non capisco perché, pur avendo chiesto un permesso anche con obbligo di non uscire dal Comune di Floridia e soprattutto considerando che l’offerta di lavoro è concreta e che il luogo, una officina, si trova a meno di cinque minuti da casa mia". Bellassai intanto attende il processo, previsto l’8 luglio di quest’anno avendo richiesto il rito abbreviato, per conoscere definitivamente l’ammontare dei mesi di reclusione dai quali sarà scorporato il periodo di arresti domiciliari antecedenti il dibattimento. "Sono responsabile e pienamente cosciente del reato che ho commesso e per il quale sono pronto a pagare ma la cosa che mi amareggia di più è il vedere criminali, con reati anche contro i bambini, scarcerati e impuniti per decorrenza dei termini, pedofili in circolazione ed altri soggetti comodamente a casa loro e senza problemi economici. Io per un furto che ho confessato e del quale mi sento responsabile, senza alcun danno a persone, minacce o quant’altro si possa pensare di violento, mi trovo in una situazione disperata dalla quale non so proprio come uscire". Bellassai, sempre per voce dell’avvocato Iaconello, parla del suo passato: "Mia mamma si è suicidata quando avevo solamente quattro anni e ne ho passati nove chiuso in collegio. Oggi, dopo 35 anni, ritengo di non aver mai avuto quell’affetto familiare che tutti i bambini dovrebbero avere, una mancanza che ha negativamente influito lungo la strada maestra, deviando talvolta verso le azioni che sto pagando. Mi basta, infine, poter lavorare per guadagnare quel minimo necessario al mantenimento della mia famiglia in attesa di concludere questa vicenda". Sanità: ricerca su 973 detenuti, c’è relazione tra Hiv ed epatiti
Infettivologia.net, 26 maggio 2005
Sono stati studiati i correlati di infezione da Hiv (human immunodeficiency virus) e da Hbv e Hcv (hepatitis B virus e hepatitis C virus) in un campione di detenuti di 8 istituti penitenziari italiani. Un totale di 973 detenuti sono stati arruolati nello studio (87% uomini di età media pari a 36 anni, 30.4% utilizzatori di droghe iniettabili, 0.6% uomini che hanno fatto sesso con altri uomini). In questo campione è stata riscontrata un’elevata percentuale di siero prevalenza (Hiv= 7.5%; Hcv= 38.0%; anti-HBc = 52.7% e HbsAg = 6.7% ). La sieropositività al virus Hiv ed Hcv è risultata fortemente correlata con l’impiego di droghe iniettabili (odds ratio, OR = 5.9 per HIV e 10.5 per Hcv). Dopo aver escluso gli utilizzatori di droghe iniettabili e gli uomini omosessuali, la prevalenza di HIV è rimasta, tuttavia, relativamente alta (2.6% ). La prevalenza di Hiv è risultata maggiore per le persone del Nord d’Italia e della Sardegna. L’effetto dell’età riguardo alle infezioni Hiv ed Hcv era a forma di U; la prevalenza di Hbv è aumentata con l’età. I tatuaggi sono risultati correlati positivamente con l’infezione da Hcv (OR = 2.9). Il numero di incarcerazioni era correlato con l’infezione da Hiv, mentre la loro durata era associata solo con gli anticorpi Hbc. La probabilità di risultare sierologicamente positivo al virus Hiv era maggiore nei soggetti sieropositivi per Hcv, soprattutto se utilizzatori di droghe iniettabili. Questo studio ha mostrato un’alta prevalenza di infezioni da Hiv, Hcv e Hbv tra i detenuti, in parte attribuibile all’alta percentuale di utilizzatori di droghe iniettabili. La frequenza di incarcerazioni e di tattoo sono risultate correlate, rispettivamente, alla positività per il virus Hiv ed il virus Hcv. Palmi (Rc): agente muore per malore mentre entra in carcere
Quotidiano di Calabria, 26 maggio 2005
Erano le ore 8 di ieri mattina, quando il Sovrintendente capo della polizia penitenziaria, Rocco Giovanni Schicchitano, di 55 anni, ha varcato il portone del carcere di via Trodio, per iniziare il suo lavoro all’interno della casa circondariale, sennonché dopo un grido di dolore è crollato a terra. I colleghi del sovrintendente si sono subito adoperati chiamando l’intervento di un’autoambulanza che è giunta con ritardo di alcune ore perché proveniente da Gioia Tauro e impegnata in altro soccorso. La disperazione degli agenti ha creato momenti di tensione per la mancanza di aiuti al sovrintendente. Rocco Giovanni Schicchitano, Sovrintendente capo nella polizia penitenziaria era ammirato per il suo comportamento leale nella sua attività nella polizia ed inoltre considerato un padre di famiglia saggio legato di grande affetto ai tre figli ancora giovanissimi. I suoi colleghi di lavoro, sono rimasti così amareggiati per l’improvvisa morte di Schicchitano, così crudele ed improvvisa. Sotto choc, la moglie addolorata, Concetta Leonardis, e i disperati figli Marco, Luca e Tiziana, che non sanno darsi pace. Oggi, i funerali si svolgeranno nella Concattedrale, con la Santa Messa celebrata da monsignore don Silvio Mesiti, in attività al carcere come sacerdote. Roma: in carcere con il cinema, per rieducare e raccontare
Roma One, 26 maggio 2005
Il penitenziario di Rebibbia per alcune settimane ha saputo essere un set cinematografico e una speranza per un gruppo ristretto di suoi "ospiti". Il prodotto di questo interessante esperimento è un film, "I fatti della banda della Magliana", girato con attori professionisti e carcerati diretti da Daniel Costantini. Varcato quel portone si respira un’aria particolare, e questa non è certo una notizia, trattandosi di un Carcere. L’elemento interessante però è che il penitenziario di Rebibbia per alcune settimane ha saputo essere un set cinematografico e una speranza per un gruppo ristretto di suoi ospiti. Il prodotto di questo interessante esperimento è un film, "I fatti della banda della Magliana", regia di Daniel Costantini nelle sale da venerdì. Girata con attori professionisti e carcerati, la pellicola è tratta da una piece teatrale dello stesso Costantini dal titolo "Chiacchiere e sangue". La banda della Magliana fu per capacità, forza e presenza sul territorio romano, e non solo, implicata in molti degli intrighi e vicende oscure dell’Italia degli anni Settanta e Novanta. Si va dai rapporti con Ordine Nuovo a quelli con quelli con il clan dei Marsigliesi; dell’attentato al vicepresidente del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone, e anche di un incontro con Flaminio Piccoli durante il sequestro Moro. "L’intento - ha spiegato il regista in una conferenza stampa che si è svolta proprio al carcere di Rebibbia - era quello di raccontare di questa banda unica nel suo genere. Sia per il suo carattere estremamente romano, sia per la sua struttura orizzontale, senza un boss unico, e che univa ferocia a ironia". Quando ho letto gli atti, ha continuato Costantini: "era tutto un miscuglio di tragedia e umorismo tipicamente romano. C’era insomma qualcosa di comico che mi ha indotto a fare questo film che considero sperimentale e diviso appunto tra cinema, teatro e alta definizione". Francesco Pannofino, Francesco Dominerò, Leo Gullotta, Tommaso Capogreco e Roberto Brunetti sono i protagonisti del film di Costantini che racconta la storia della banda attraverso la ricostruzione del "pentito" Luciano Amodio, (Abbatino) che davanti ad un giudice senza volto fino all’ultima scena, ripercorre le fasi salienti dell’avventura, dalla fusione tra il clan di Testaccio e quello della Magliana all’ecatombe finale. I veri protagonisti però sono gli attori detenuti, testimoni dell’applicazione dell’art. 27 della nostra Costituzione, che sottolinea il fine rieducativo della pena. Tommaso Capogreco (nel film è l’operaietto), già in regime di semilibertà, ma con ancora tredici mesi da scontare, racconta: "quando ho saputo di questo film ero agitatissimo, ma poi con gli attori ci siamo amalgamati quasi subito. Mario Contu (quattro anni e mezzo da scontare), oltre i ringraziamenti al direttore, si lascia andare a paragone alto: "questo film mi ha ricordato quelli vecchi di Pier Paolo Pasolini". Il detenuto Lucio Sinisi parla invece di come il suo sogno di fare l’attore gli sia capitato "in un posto impossibile come il carcere". Ultimo a parlare Massimiliano Rosoli (Peppe il Terribile), ex pugile, muscoli e tatuaggi a vendere, un vero e proprio colosso (in carcere, sembra, per un pugno mortale in una rissa) che, per timidezza se le cava con: "hanno gia detto tutto loro". Iraq: 3 detenuti fuggono da Abu Ghraib, è la seconda evasione
Vita, 26 maggio 2005
Si tratta della seconda fuga da un carcere iracheno. La prima volta gli 11 fuggiaschi furono ripresi nell’arco di una giornata. Tre detenuti sono evasi alle prime ore dell’alba dalla famigerata prigione di Abu Ghraib, alla periferia occidentale di Baghdad, strisciando fuori oltre il recinto del perimetro del carcere. Le forze americane hanno dichiarato che verso le 5.50 locali, durante un normale conteggio dei detenuti, ci si è resi conto dell’assenza dei tre fuggiaschi. Il tenente colonnello Guy Rudisill, portavoce delle forze americane impegnate nelle operazioni di detenzione in Iraq, non ha dichiarato il numero dei soldati impegnati nella sorveglianza, ma ha aggiunto di essere convinto che la sicurezza era ad un livello adeguato, che le ricerche sono in atto e che sarà fatta un’inchiesta per capire come è potuto succedere. Ad Abu Ghraib sono detenuti 3.400 prigionieri. Il penitenziario è noto per le torture e i maltrattamenti dei tempi di Saddam Hussein e da parte di soldati Usa dopo il crollo del regime nel 2003. Si tratta della seconda fuga da un carcere sotto sorveglianza americana, dopo quella dello scorso anno da Camp Bucca, dove lo scorso aprile fuggirono undici detenuti, che poi furono ricatturati entro le successive 24 ore.
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