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Giustizia: Eures, da italiani sì a spazi di intimità per detenuti
Asca, 28 maggio 2005
La possibilità di offrire ai detenuti l’accesso a spazi di intimità per vivere una positiva affettività accanto ai propri cari, migliorando l’esperienza carceraria ed incrementando le chance di reinserimento sociale, appare condivisa dalla maggioranza relativa del campione di italiani intervistati dall’Eures per il Rapporto 2005 (42,9% di cui il 20,4% "del tutto favorevole" ed il 22,5% "abbastanza"), a fronte del 32,5% dei contrari, mentre un intervistato su quattro non assume una posizione di merito (24,7%). Gli uomini appaiono più convinti della positività della proposta in esame (con il 48,4% delle indicazioni favorevoli contro il 31,3% dei contrari), mentre tra le donne le favorevoli (37,6%) superano soltanto di quattro punti percentuali le contrarie (33,6%). Anche per questa questione si conferma il peso dell’appartenenza politica: tra gli elettori di Centro-Sinistra i favorevoli a consentire ai detenuti di poter avere rapporti intimi superano la maggioranza assoluta con il 51,2% (a fronte del 25,2% di contrari ed il 23,8% di indecisi), mentre nel Centro-Destra prevale con il 42,5% l’indicazione di contrarietà (a fronte del 36,2% di favorevoli). Sono infine i laureati (53,8% i favorevoli rispetto al 38,6% dei diplomati e al 30,2% degli intervistati che non hanno proseguito la scuola dell’obbligo) e i più giovani (con il 45% nella fascia 18-29 anni ed il 47,4% in quella 30-44 anni a fronte del 41,2% dei 45-59enni e del 37% degli over 60) a presentare la maggiore apertura. Busto Arsizio: situazione esplosiva; "la direttrice se ne vada"
Varese News, 28 maggio 2005
"In questo carcere non c’è alcun percorso di recupero del detenuto, la gestione non va certo in questo senso". È duro e senza mezzi termini il giudizio di Graziella Mascia deputata di Rifondazione Comunista, che nel pomeriggio di ieri ha visitato il carcere di via per Cassano, incontrando anche gli agenti di polizia penitenziaria in agitazione fin da mercoledì mattina. Questi ultimi oggi alle 15 hanno interrotto la loro protesta, ma non lo stato di agitazione: hanno in programma tre assemblee con tutto il personale (circa 250 persone in tutto) nella giornata di venerdì 3 giugno, al termine delle quali si procederà eventualmente con ulteriori iniziative. L’intervento dell’onorevole Mascia è stato richiesto da Annibale Izzo dell’Osapp con l’appoggio di tutti i colleghi, nell’ambito delle iniziative di protesta sindacale. Con Graziella Mascia c’era Giovanni Martina, ex consigliere regionale di Rifondazione che si è spesso occupato della situazione del carcere di Busto Arsizio. "Da anni denunciamo le condizioni di questo carcere, dove anziché procedere verso la vivibilità si va nella direzione opposta. La direttrice non mostra alcuna disponibilità al dialogo ed al confronto, anzi sembra volersi dimostrare sempre più cattiva. Basti pensare ad episodi come il detenuto cui viene negato da settimane lo sblocco di 100 euro da inviare alla famiglia. Queste sono cattiverie gratuite e senza senso". Martina, di fronte alle critiche di alcuni agenti - "quando si parla di detenuti si corre subito, ma quando si tratta degli agenti di polizia penitenziaria?" - ha ribadito la solidarietà di Rifondazione Comunista (presente anche con il capogruppo in consiglio comunale Antonello Corrado) con gli agenti e con la loro protesta, rivolta contro gli abusi e l’atteggiamento antisindacale della direttrice Ciampoli, "che degli accordi sindacali fa carta straccia". La direttrice, peraltro, non ha voluto incontrare i visitatori del carcere, e con l’aria che tira forse è stato meglio così. "Questa direttrice deve andarsene, e non si illuda, non molleremo la presa finché chi di dovere non l’avrà rimossa dall’incarico" ha avvertito Martina; "deve proprio fare un altro mestiere, non vogliamo solo spostare il problema altrove!" ha commentato invece l’onorevole Mascia. Infatti ad Aosta, nei pochi mesi in cui era stata inviata a dirigere il locale carcere di Brissogne, la Ciampoli era riuscita a mettersi contro tutti, ha ricordato Martina, fino ad essere condannata al termine di una causa contro alcuni agenti dell’istituto di pena valdostano. L’onorevole Mascia è apparsa preoccupata: "È la prima volta che il problema di un carcere è costituito da una persona, e segnatamente la direttrice. Ne ho visitate tante di carceri, da un capo all’altro d’Italia, e quasi sempre ho potuto citare la buona volontà della direzione tra gli elementi che consentivano di mantenere un minimo di decoro e di vivibilità a dispetto della continua riduzione di fondi e mezzi all’amministrazione penitenziaria. Qui il problema è diverso, e provvederò quanto prima ad organizzare un incontro con il provveditore regionale alle carceri Pagano e a presentare una interrogazione urgente in uno dei prossimi question time alla Camera". Una? Meglio due, come spiegano gli agenti: "In Italia per fare notizia bisogna essere dei detenuti, c’è più rispetto per loro che non per noi agenti. Voi giornalisti, in particolare, siete una massa di ignoranti, anche al telegiornale ci chiamate guardie o secondini, mai agenti di polizia. Onorevole Mascia, fatene per favore due di interrogazioni, una per i detenuti e una per noi, che abbiamo problemi di altro tipo rispetto ai loro". Gli agenti sono nervosissimi, e c’è chi davvero non ne può più: "In 25 anni di servizio mai una volta ho visto parlamentari venire a preoccuparsi delle nostre condizioni, sempre e solo di quelle dei detenuti. È proprio vero che l’onestà da noi non paga. ". In verità lo sfogo, amaro, di alcuni agenti, nulla toglie all’impegno profuso da Martina anche in favore dei dipendenti dell’amministrazione penitenziaria, come l’ex consigliere regionale ha tenuto a precisare. È vero comunque che il clima di paura serpeggiante tra gli agenti, che temono di essere trasferiti d’imperio, con armi, bagagli e famiglia, a mille miglia di distanza se si espongono, ha in qualche modo frenato un’adesione più esplicita ed aperta ad una protesta condivisa da tutti. Parma: interrogazione su trasferimento detenuti in ospedale
Adnkronos, 28 maggio 2005
Il trasferimento della sezione dedicata al ricovero dei detenuti del carcere di Parma all’interno della clinica ortopedica dell’ospedale parmense, è al centro di un’interrogazione che il consigliere di Forza Italia Luigi Villani ha rivolto alla giunta dell’Emilia Romagna per sapere se la degenza dei carcerati comporta l’applicazione di particolari protocolli che richiedono speciali oneri a carico del personale infermieristico. Nel riferire che "il personale lamenta di non essere stato informato ne adeguatamente istruito della importante novità che avrà notevoli ripercussioni sul lavoro" l’esponente azzurro (chiedendone conferma) domanda anche se la Direzione sanitaria generale intenda adottare misure opportune per istruire il personale sull’applicazione dei protocolli necessari. Catania: detenuti in scena con "La patente" di Pirandello
La Sicilia, 28 maggio 2005
Portano in scena "La patente" di Pirandello. Il dramma di un uomo che ha perso tutto perché ritenuto jettatore. Un uomo che, contro ogni logica apparente, si rivolge ad un giudice per chiedere non giustizia - e dunque la condanna di chi, diffamandolo, gli ha fatto perdere il lavoro e le condizioni di una vita dignitosa - ma la "patente" di jettatore perché ritiene che questa, ormai, sia la sua unica possibilità di tirare avanti: farsi pagare per non mettere in atto i suoi "poteri". Loro, invece, i detenuti nel carcere di Augusta, la "patente" di malvagi non la vogliono e portano in scena questo pezzo teatrale per invitare a non basarsi sulle apparenze e ad apprezzare quello che sono in grado di fare. Uno di loro, il signor Landino, lo dice in maniera esplicita prima dell’inizio della rappresentazione che ieri mattina si è tenuta al cine teatro Ambasciatori, presenti centinaia di studenti di 17 scuole di Catania e provincia. "Noi siamo la società, come voi, e la città-carcere è una città all’interno della città. Questa esperienza teatrale esprime la volontà di abbattere questi muri. Ognuno di noi ha delle qualità nascoste che, dopo anni di sofferenze, ci aiutano a vivere, a pensare e a nutrire la speranza di ritornare fuori e di essere accolti a braccia aperte. Guardate voi stessi quello che siamo in grado di fare". I ragazzi guardano, scoppiano in grandi risate, ma è un ridere amaro. Si capisce quando cala il sipario e si lanciano in un applauso prolungato e insistente, tutti in piedi, come usa per i riconoscimenti solenni, per le grandi tragedie. Ci vuole forza per uscire dal carcere e da una direzione di vita che sembra segnata per sempre. Santo Fabiano, docente della Comunicazione all’università di Roma, lo dice senza mezze parole: "il requisito per entrare nel carcere è la fragilità sociale". Parole che hanno un’eco tremenda pronunciate dentro l’"aula giudiziaria" prevista dalla scenografia. Un’aula dove campeggia la scritta "La legge è uguale per tutti", un principio e una speranza che sembrano ogni giorno più irreali. "Noi uomini non siamo solo un pezzo di passato - continua - siamo anche la capacità di progettare il nostro futuro. Cosa facciamo perché le persone non siano così fragili da entrare in carcere e siano così forti da uscirne?". Cosa? Il direttore del carcere di Augusta Antonio Gelardi dice che anche appuntamenti come questo all’Ambasciatori sono occasione "per fare conoscere due mondi, per fare capire che chi è in carcere non è il male assoluto, come talvolta la società e mass media fanno pensare. Sono occasione per dire che uno Stato forte è anche generoso e amministra la pena con equilibrio in modo che non sia vendetta né solo punizione. Tutti possiamo sbagliare, ma possiamo ricominciare". È il motivo ricorrente di tutti gli interventi. La dott. Lucia Di Mauro, presidente della cooperativa sociale Eco-Turist che da anni si occupa di queste persone e di questi problemi, lo dice in modo diverso, con le parole di un detenuto-artista. "Mostrami la prigione, mostrami il carcere, mostrami il detenuto la cui vita è andata male e io ti mostrerò, ragazzo mio, che è solo un caso se al suo posto non ci siamo noi". E di "riabilitazione" parlano il dott. Faramo, provveditore regionale delle carceri, il presidente della Provincia Lombardo e l’assessore provinciale alla Pubblica istruzione Panebianco. Infine il regista Piero Quartarone, volontario della Caritas, avverte che "La patente" è un dramma cui ha voluto dare una connotazione farsesca "perché in carcere non si possono portare altri drammi". Eppure loro, i detenuti, dicono che l’esperienza del carcere non è solo negativa. "Prima non sapevo né leggere né scrivere, ora sono al secondo anno di un istituto tecnico, e sono qui a discutere con lei. Posso affrontare il dialogo con chiunque e anche dare consigli scolastici ai miei figli, quando mi vengono a trovare". Cosimo Tudisco, 31 anni, tanti anni fa ha commesso una rapina. Ora desidera ritornare presto alla sua famiglia e alla gestione del negozio che la moglie ha messo su. Anche Massimiliano Quaroni, 38 anni, è felice di questa esperienza teatrale che consente "di sentirci utili e, soprattutto, di esprimerci". A lui, "cresciuto in un contesto di eccessivo benessere, troppo viziato e isolato", il carcere è servito a dargli "un certo inquadramento". Lui, che nella vita di prima ha frequentato il liceo tedesco, spera di potersi iscrivere all’università per potere insegnare Letteratura italiana. Ma per farlo deve attendere la semilibertà e sa che ci vorrà del tempo, e ancora un lungo cammino. È dentro per omicidio. "Ero malato di mente". Alba: detenuti in permesso recitano "Bar Sport" di Benni
Ansa, 28 maggio 2005
Un gruppo di detenuti uscirà oggi pomeriggio dal carcere per presentare per la prima volta in pubblico uno spettacolo teatrale elaborato e messo in scena all’interno della casa circondariale. S’intitola "Bar Sport" ed è tratto dall’omonimo romanzo di Stefano Benni, un libro di racconti ambientato in un bar di provincia, con i suoi clienti stravaganti e le loro mille storie. La regia è di Simona Guandalini. Sarà presentato alla sala Ordet, alle 18.30 (ingresso libero). Nella casa circondariale è attivo da tre anni un laboratorio teatrale, che l’amministrazione penitenziaria ha promosso in collaborazione con il Centro territoriale permanente. Il professor Giuseppe Cencio, dirigente del Centro: "Ho avuto occasione di assistere a questo spettacolo presentato a Natale nel carcere e ho potuto constatare l’emozione e la soddisfazione dei protagonisti. Credo che il teatro aiuti i detenuti a riconquistare fiducia in se stessi e verso la società. Un’esperienza che ha un significato profondo e un valore formativo. Si mettono in gioco, imparano a comunicare, a usare la fantasia per creare i personaggi e per rappresentare stati d’animo". Il direttore del carcere, Gianfranco Marcello: "Il teatro, come le altre attività che si svolgono all’interno del carcere di tipo sportivo, ricreativo e lavorativo, possono contribuire alla formazione e al reinserimento dei detenuti. Cerchiamo di stimolare la riflessione. Il laboratorio ha già messo in scena diversi spettacoli, ma quella di oggi è la prima uscita all’esterno". Nel carcere albese sono allo studio altre originali iniziative. Il direttore è impegnato nell’elaborazione di progetti di lavoro per i detenuti da presentare al Dipartimento. Fra le proposte, una lavanderia industriale, una serra per la coltivazione di fiori da mettere in commercio e un allevamento di polli. Asti: nel carcere aprirà una scuola per pizzaioli
Vita, 28 maggio 2005
Nel carcere di Asti nascerà una scuola per pizzaioli. Vuole essere un modo per aiutare i detenuti a imparare un mestiere per reinserirsi nella società. L’iniziativa è stata illustrata oggi dal direttore della casa di pena Domenico Minervino, dal consigliere regionale Mariangela Cotto, da Beppe Francese titolare di una nota pizzeria astigiana, da Delio Ruscalla presidente della "Società dei Polli", associazione di volontariato sociale. La prossima settimana i tecnici studieranno all’ interno del carcere la dislocazione del forno completo di attrezzature. L’opera, che costerà tra 4 e 5 mila euro, sarà interamente finanziata dalla "Società dei Polli". Le lezioni teoriche per la preparazione della pizza e la tenuta del forno saranno tenute da Beppe Francese, mentre per la pratica, i detenuti avranno possibilità di esercitarsi con l’ appoggio di maestri pizzaioli della città. "Il progetto - ha detto Beppe Francese - nasce dal desiderio di mettere a disposizione degli altri la propria esperienza professionale. Direi che imparare a fare la pizza, ha una doppia valenza, per le persone che vogliono reinserirsi nella società, perché è questo un lavoro che consente un onesto guadagno, e mette colui che lo fa a diretto contatto con il pubblico. Questa scelta professionale è motivata anche dal fatto che il mercato oggi chiede operatori della pizza esperti e che questo settore della ristorazione è in continua crescita".Nel carcere di Asti sono un ventina i detenuti che già lavorano in un giardino, in un orto ed in una vigna. Bali: turista condannata a 20 anni di carcere per 4 kg di marijuana
Roma One, 28 maggio 2005
Condannata per traffico di stupefacenti una giovane australiana. Ma la 27enne estetista si proclama innocente e afferma che la droga è stata messa a sua insaputa nella custodia del suo surf. Un’estetista australiana di 27 anni, Schapelle Corby, è stata condannata oggi da un tribunale di Bali a venti anni di carcere per traffico di droga. Per la ragazza arrestata nell’ottobre scorso all’aeroporto dell’isola con quattro chilogrammi di marijuana nella valigia, la pubblica accusa aveva chiesto addirittura l’ergastolo. Schapelle Corby, che ha sempre proclamato la propria innocenza affermando che la droga era stata messa a sua insaputa nella custodia della sua tavola da surf durante il transito da Brisbane a Sydney, rischiava che i giudici decidessero per la pena di morte. Il suo caso e il suo processo hanno appassionato l’Australia e il verdetto, durato circa tre ore, è stato trasmesso in diretta dalle televisioni di tutto il Paese, lasciando incollati agli schermi milioni di persone. Secondo i sondaggi, il 90% dei cittadini australiani è tuttora convinto dell’innocenza della donna e il primo ministro John Howard, a suo tempo, aveva chiesto ai suoi concittadini di accettare qualunque sentenza del tribunale di Bali. Nell’attesa della sentenza, il governo australiano aveva cercato di concludere con Giakarta un accordo per uno scambio di detenuti. L’obiettivo era quello di consentire alla giovane di scontare la pena in un carcere australiano, escludendo ogni riduzione di pena dopo il trasferimento. Sia la difesa che l’accusa ricorreranno in appello. L’importanza dello sport in carcere, intervista a Candido Cannavò
Giustizia.it, 28 maggio 2005
Come è entrato in contatto con il mondo del carcere? Ho trascorso otto mesi a San Vittore per scrivere il libro "Libertà dietro le sbarre" ma la mia frequentazione risale addirittura a quindici anni fa. Sotto il punto di vista dell’arricchimento personale quella del carcere è stata una delle esperienze più importanti della mia vita. Ho conosciuto capi di stato, campioni, artisti ma le sensazioni che mi hanno trasmesso non sono nemmeno paragonabili a quelle che ti suscita l’incontro con un uomo rinchiuso in una cella: non puoi dimenticare i reati che ha commesso e il suo sostrato ma devi pur vincere la diffidenza iniziale per instaurare un rapporto concreto con lui, ascoltare le sue speranze, i suoi sentimenti e ricevere la sua amicizia. San Vittore è un carcere grande: un giorno c’è la festa al giornale, magari quello successivo nel settore femminile. È un calendario fitto ma non manco mai, tutti mi reclamano e io ci vado con vera gioia. Anche questa mattina mi trovavo lì. Ormai è un’abitudine acquisita, fa parte della mia vita.
Quale apporto lo sport professionistico può dare al mondo del carcere? Io sono convinto che il mondo del carcere accetti di buon grado qualsiasi iniziativa che viene organizzata al suo interno, anzi la valorizza oltre ogni previsione. Il vero grande nemico dei detenuti è la noia: penso che l’espressione "ammazzare il tempo" sia nata tra le mura di una cella. Lo sport in particolare è un patrimonio di liberazione e di partecipazione collettiva che si accentua se è richiamato da un personaggio noto: se un campione si reca presso un istituto è una festa per tutti. Ma devo dire che in molti non si limitano ad una visita fugace: potrei elencare i nomi di molti giocatori che periodicamente partecipano a dei tornei.
E i detenuti come vivono il mondo dello sport? Da quando c’è la televisione lo sport in un carcere è un argomento di discussione costante. Non solo il calcio ma anche tutte le altre manifestazioni. Quando entro a San Vittore mi sembra di stare in un circolo o in una associazione. Lo sport aiuta moltissimo i detenuti: c’è gente che non lavora in un carcere, in tanti passano le giornate su una branda con la televisione accesa. Una partita di calcio la sera è un motivo di distrazione, un evento e allo stesso tempo un grande sollievo. Li distoglie dalla loro condizione e li rende parte di un tutto, questa empatia aiuta molto.
E la pratica attiva, nel senso dell’attività fisica? Tutto dipende dal tipo di impianti di cui è provvista la struttura di detenzione ma ovunque è potenzialmente accolta con favore. Per fare un esempio a San Vittore ci sono dei campi piccoli per il calcetto e uno per la pallavolo che è anche coperto: si tratta di una grande ricchezza perché si può adoperare anche nella stagione invernale senza particolari disagi o adibirlo ad altre destinazioni. Lo stesso vale per le palestre attrezzate. Per il concetto che mi sono fatto dei meccanismi del carcere la figura del direttore è importantissima. Tra uno che lascia spazio al volontariato, alla fantasia, alle nuove iniziative sempre ovviamente nel rispetto della legge e un altro che invece si preoccupa solo di far rispettare l’ordine e la burocrazia nella sua ortodossia bieca c’è una grande differenza in termini di benessere per i detenuti. Io penso che esista un collegamento necessario tra la volontà esterna di fare e la predisposizione interna: quando essa è presente si creano dei risultati fantastici. Il modello San Vittore ad esempio mi entusiasma perché c’è tanta gente che si impegna dentro. Parma: l’Uisp organizza "Vivicittà" dentro il carcere
Gazzetta di Parma, 28 maggio 2005
Hanno corso con grinta e tenacia, e anche con un contagioso buon umore, nonostante la temperatura rovente che certo non li ha aiutati. Ma con piglio d’atleti (c’è chi si allena tutti i giorni, e i risultati si vedono), una ventina di detenuti del carcere di via Burla ha affrontato ieri con entusiasmo la sfida proposta da "Vivicittà". Per la quarta edizione la manifestazione podistica organizzata da Uisp, Unione italiana sport per tutti, ha scelto di entrare anche tra le mura del carcere, dopo la giornata dello scorso 10 aprile ai Boschi di Carrega. "È un progetto che a livello nazionale ha coinvolto altri istituti penitenziari spiega Bruno Orlandini di Uisp Stiamo cercando di coinvolgere i detenuti anche su altre iniziative, ad esempio un corso di arbitraggio". Sassari: al processo sul pestaggio del 2000 sfilano i detenuti
L’Unione Sarda, 28 maggio 2005
Magro, capello corto, viso segnato. In tribunale è arrivato accompagnato dalla guardie penitenziarie. Colleghi di quegli uomini che pochi minuti dopo, sul banco dei testimoni, avrebbe accusato di violenze e aggressioni nell’udienza per il pestaggio di San Sebastiano. Per lui, ancora dietro le sbarre, la differenza tra le botte e la tranquillità era una mela. Se riusciva a tenerla ferma tra il muro e la fronte l’avrebbe passata liscia. Se fosse disgraziatamente caduta sarebbe stata una valanga di botte. Come poi, stando al suo racconto, sarebbe accaduto. È la versione di una delle sei vittime dei presunti pestaggi di San Sebastiano che hanno testimoniato di fronte al 2° collegio penale per il processo che vede imputati i nove agenti di custodia che hanno scelto il rito ordinario. Sei testimonianze per un resoconto dettagliato di quel tragico due aprile nel carcere sassarese. Con un imprevisto: i troppi non ricordo di un testimone. Immediata la decisione del presidente Massimo Zaniboni (a latere Maria Teresa Lupinu e Antonello Spano) di restituire gli atti al pubblico ministero Gianni Caria per verificare se ci siano gli elementi per procedere con l’incriminazione per falsa testimonianza. Gli altri testimoni hanno sostanzialmente confermato le dichiarazioni rese in fase investigativa. Anche se non sono mancate contraddizioni: soprattutto sulla descrizione di una della guardie sotto processo, conosciuto dai detenuti solo con il soprannome "Gelatina Smith". Una volta descritto magro e alto, un’altra volta basso e tozzo. Contraddizioni puntualmente sottolineate dal collegio difensivo. Le testimonianze su quella giornata sono poi tutte molto simili. Parlano di devastazioni nelle celle, urla disumane e violenza gratuita. Raccontano di uno dei detenuti rinchiuso in cella d’isolamento "piena di escrementi" e di sangue sulle pareti del corridoio. "Ci hanno preso di forza e fatto spogliare. Marco e Costantino li hanno portati via e picchiati". Ma la spedizione punitiva ha colpito tutti indistintamente: "Quando siamo rientrati in cella era tutto devastato. Gli armadietti, il giubbotto di pelle, le fotografie sui muri non c’erano più". Un altro ricorda che avevano appena ricevuto la spesa settimanale: "Hanno preso i cinque sacchetti di caffè ancora interi, lo zucchero, la pasta e li hanno svuotati in una pentola". Il prossimo dieci giugno altri testimoni, altri racconti. Perugia: morto don Scappini, cappellano del carcere dal 1995
Il Messaggero, 28 maggio 2005
È morto all’età di 72 anni, don Ugo Scappini, parroco di Collestrada da 40 anni e cappellano del carcere maschile di Perugia dal 1995. Il sacerdote era da tempo affetto da un tumore. I funerali si svolgeranno oggi alle 15 nella chiesa di Collestrada e saranno presieduti dall’arcivescovo, mons. Giuseppe Chiaretti. Lo stesso monsignor Chiaretti e tutto il clero perugino-pievese, in un comunicato della curia, hanno espresso profondo cordoglio per la scomparsa di don Ugo. L’arcivescovo, appena saputa la notizia, ha ricordato il parroco dicendo che "il tumore giorno dopo giorno gli toglieva la vita ma non la lucidità. Era amato dai parrocchiani e dai detenuti. Burbero all’apparenza - ha continuato - era invece uomo di grande cuore, affettuoso e disponibile con tutti". Don Ugo Scappini, nato a Sant’Angelo di Celle, dopo aver compiuto gli studi teologici ad Assisi, venne ordinato presbitero nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia nel 1959. Fu prima cappellano di Passignano sul Trasimeno, poi parroco di Tisciano e di Pian di Marte, infine il primo luglio 1965 fu nominato parroco di Collestrada. Ha insegnato anche religione, e tra gli incarichi diocesani da lui ricoperti c’era quello di cappellano della Casa circondariale maschile di Perugia. Civitavecchia: due agenti sotto processo per ustioni a detenuto
Il Messaggero, 28 maggio 2005
Saranno chiamati a rispondere del reato di lesioni gravi i due agenti di custodia del carcere di Aurelia Antonio Pierucci e Susanno Mongittu, ritenuti dalla pubblica accusa gli autori delle ustioni all’addome provocate al detenuto nigeriano Egene Okoughae, evaso dall’ospedale San Paolo la notte tra il 19 ed il 20 luglio di due anni fa. Con loro sono stati rinviati a giudizio dal Gup Giorgianni anche i medici Gino Turchetti, Patrizio Meggiorini, del reparto di medicina dove l’extracomunitario era ricoverato, e Stefano Cagliano, del pronto soccorso, tutti accusati di favoreggiamento. L’unica ad uscire prosciolta è stata la dottoressa Caterina Graziano, anche lei del reparto di medicina. È stato lo stesso pm Elena Neri a ridimensionare nella sua requisitoria la posizione della Graziano, chiedendone comunque il rinvio a giudizio, stessa richiesta avanzata anche per tutti gli altri imputati. Ed il giudice Giorgiani ha accolto la richiesta dal magisrtato inquirente, accordando il rinvio a giudizio per tutti, fatta eccezione, come detto, per la dottoressa Graziano. La Neri ha basato la sua ipotesi accusatoria sulla perizia medica ordinata dalla procura, la quale ha detto che le ustioni rinvenute sull’addome dell’africano sono compatibili con la data in cui venne ricatturato dopo il suo tentativo di fuga dal San Paolo. Cinque giorni dopo, in sede di interrogatorio di fronte al Gip, rivelò che i due agenti gli avevano dato fuoco alla pancia. Le difese, da parte loro, hanno invece presentato una propria perizia, dove si sostiene che quelle ustioni risalgono ad almeno 48 ore più tardi di quanto sostenuto da Okoughae, per cui la tesi difensiva è che il nigeriano si sia provocato da solo quelle ferite allo scopo di evitare il carcere, tanto che riuscì ad ottenere gli arresti domiciliari in una casa a Salerno, da dove è poi nuovamente fuggito ed è tutt’ora latitante. Cremona: Lutring, ex solista del mitra, racconta la sua "mala"
Provincia di Cremona, 28 maggio 2005
Ha quasi 70anni, la battuta schietta e pronta spesso condita da colorite frasi dialettali della "mala" anni ruggenti. Non si traveste più, "non camuffa la sua indole di zingaro felice e racconta particolari sempre nuovi a chi gli chiede conto della sua vita da bandito". Insomma il Luciano Lutring di oggi, l’uomo che un tempo rapinò oltre duecento banche e gioiellerie, è un’altra persona; così diversa da salire in cattedra per spiegare agli allievi dei corsi di giornalismo la "cronaca nera" o - come accade oggi alle ore 17.30 - per presentare un libro alla Biblioteca Statale. Certo, non un libro qualsiasi, non un romanzo ma un saggio sui banditi italiani di questi ultimi quarant’anni. Lui ne sa qualcosa. Il libro in questione è Colpo grosso, 158 pagine curate con il taglio dell’inchiesta da Olga Piscitelli, giornalista professionista di Luino, oggi collaboratrice del settimanale "L’Espresso". Inequivocabile il titolo: Colpo grosso. Una trentina di "schede" che iniziano con Mimmo Gargano, l’ultimo romantico che nel 1997 assalì la Popolare di Milano per amore della Kicca e si conclude con Santino Stefanini, rapinatore e omicida finito sulle tele di Laurie Anderson, avanguardia newyorkese. Passando per i calibri da novanta come Ugo Ciappina e le sue tute blu di via Osoppo, il "compagno-bandito" Pietro Cavallero, il "ladro cortese" Horst Fantazzini, "faccia d’angelo" Francis Turatello, il capo del "clan dei Marsigliesi" Albert Bergamelli, il "bel René" Vallanzasca. Luciano Lutring oggi racconterà il film della sua vita e di questi quarant’anni di banche espugnate, portavalori assaltati, negozi e gioiellerie ripulite. Dice l’autrice: "Qualcuno di questi banditi ha bruciato la vita in un’unica azione. Altri invece sono diventati professionisti del settore. C’è chi si è sistemato con il colpo del secolo e chi è rimasto con un pugno di mosche, dopo mesi di studi e sopralluoghi. Rapinatori improvvisati e impiegati del crimine. Le loro storie sono state scelte, tra le molte, perché più di altre si prestavano al racconto. Ci sono, uno in fila all’altro, i protagonisti di una lunga stagione della cronaca nera italiana. Le loro vicende picaresche (molte) o nobili (poche), intrecciano la storia del nostro Paese". Luciano Lutring oggi darà testimonianza diretta delle sue scorribande, su e giù tra Parigi e Milano, a ripulire banche e negozi, in "anni in cui la malavita era molto diversa da quella di oggi. Noi assaltavamo una banca oppure una gioielleria e rubavamo anche per regalare un gioiello a una ballerina oppure per offrire champagne agli amici. Adesso si legge di cose tremende. Non c’è più rispetto per nessuno, neppure per i bambini e gli anziani. Noi della Mala c’avevamo un codice, usavamo la testa". Lutring, di famiglia ungherese, era destinato a fare il musicista, a suonare il violino. Ed invece è andata diversamente. Racconta: "Avevo 18 anni, frequentavo locali notturni, ho incontrato l’entraîneuse Ivonne, al secolo Elsa Candida Pasini, era bellissima, tacchi a spillo, un repertorio di reggicalze e guêpière da far resuscitare un morto: quaranta giorni dopo era mia moglie. Diventai un bandito perché volevo darle il lusso…". Poi venne la Francia. Perché? "A un certo punto in Italia c’era troppa concorrenza. Cavallero, Tonella, la Banda del lunedì. Una volta siamo arrivati in una banca che c’erano appena passati gli altri. "Avete dimenticato qualcosa?" ci disse il cassiere. Eh la madonna! Allora, nel 1965, sono andato a Parigi. Lì mi facevo tre gioiellerie alla settimana. Entravo con un mazzo di rose, il doppiopetto blu con i bottoni dorati…". La redenzione è cominciata in carcere, tredici anni "nel frigorifero di Stato", prima in Francia e poi in Italia. Poi Pompidou e Leone gli danno la grazia e diventa pittore, scrive l’autobiografia per Longanesi (Il solista del mitra, 1967), sposa Dora dopo aver cercato Ivonne; nel 1985 si invaghisce di Flora, 17 anni, lavapiatti nel suo ristorante e torna di nuovo sui giornali ("ratto di minore consenziente"); ma anche questo amore finisce in matrimonio, a Bergamo, "la città dove ho fatto la mostra dei miei primi quadri". Tre anni dopo nascono le gemelle Natascia e Katiuscia, è per loro che dipinge. I quadri sono una specie di polizza per la loro vita. "Di danèe qua ghe ne minga", dice risoluto. E c’è da credergli. Oggi, con lui, ci sarà l’autrice Olga Piscitelli, lo scrittore Pino Nicotri, la direttrice della Biblioteca Emilia Bricchi Piccioni. Modera Enrico Pirondini.
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