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Basta con bambini in carcere, case-famiglia per le madri
Il Messaggero, 6 luglio 2005
Il loro mondo è chiuso, non ha orizzonti. È fatto di celle, di sbarre, di porte con chiavi speciali, di asili nido comunque diversi. I bambini che vivono in carcere sono dei "detenuti senza condanna". Seguono il destino delle loro madri, alle quali la società chiede di scontare una pena. Spesso in fasce, mai più grandi dei tre anni, imparano a conoscere il mondo attraverso la realtà carceraria. Quali conseguenze avrà questa terribile condizione sul loro sviluppo? Quando fu fatta la legge che consentiva alle madri di portare il bambino si è pensato che questo potesse tutelare entrambi. Del resto l’allontanamento è altrettanto traumatico. Ma si è visto che, per quanti sforzi facciano le direzioni carcerarie, e per quanto siano straordinari gli interventi dei gruppi di volontariato, i problemi dietro le sbarre sono enormi. Per questo ieri è stato lanciato un appello ai deputati e ai senatori per ottenere che "nessun bambino varchi più la soglia di un carcere". L’appello viene dall’associazione di volontariato "A Roma Insieme", dalla Consulta permanente del Comune di Roma e dalla Comunità di Sant’Egidio. E sempre ieri è stato fatto il punto sulla raccolta di firme per chiedere, con una nuova proposta di legge, la legislazione vigente. Dietro l’iniziativa ci sono più di 40 tra organizzazioni umanitarie e di volontariato. Tra i sostenitori Leda Colombini (presidente dell’associazione "A Roma Insieme") e Angiolo Marroni, ds, che da oltre vent’anni si occupano di madri e bambini detenuti. Le firme raccolta finora sono state 6.500. Enrico Buemi, presidente del comitato carceri della commissione giustizia della Camera, nel corso dell’incontro che si è tenuto nella sala della Sacrestia della Camera dei deputati ha detto che occorre tutelare il "diritto alla libertà dei bambini". Tre i cambiamenti proposti: sostituire il carcere con case-famiglia al di fuori delle mura del penitenziario per le donne che non possono rinviare la pena; affermare il diritto delle madri a rimanere accanto ai loro figli in caso di ricovero in ospedale e la revoca del provvedimento di espulsione per le donne straniere che hanno scontato la pena, per evitare di allontanare i bambini dal tessuto sociale nel quale sono inseriti, nella scuola e nella società. La campagna di sensibilizzazione perché "Nessun bambino varchi più la soglia di un carcere" era iniziata il 20 marzo scorso con la raccolta di firme nelle principali piazze romane. La raccolta verrà estesa. "La tutela del cittadino che cresce - ha sottolineato ancora Buemi - è una priorità ed è per questo motivo che sono disponibile a presentare in settimana la proposta di modifica della legge. Parliamo spesso di diritti di chi ancora non è nato, ma non tuteliamo il diritto alla libertà e a stare accanto a un genitore di chi è già in vita. È una cosa inaccettabile che dei bambini così piccoli debbano scegliere tra subire una pena senza averne colpa o correre il rischio di essere privati della vicinanza di un genitore". Tra gli ospiti anche Lillo Di Mauro, presidente della Consulta; Massimo Brutti, Commissione giustizia del Senato; Maura Cossutta, Commissione affari sociali della Camera; Anna Finocchiaro e Mariella Lucidi, Commissione giustizia della Camera. Torino: tossicodipendente si è ucciso per paura della libertà
La Stampa, 6 luglio 2005
La salma di Gospava giace ancora in una cella frigorifera dell’obitorio, ad un mese e mezzo dalla morte di questa donna di 31 anni, di cui si conosce ben poco. Solo quanto indicano di lei i rapporti giudiziari raccolti nel fascicolo aperto in procura sul suo suicidio nel carcere "Lorusso-Cotugno". Nessuno sa dove rintracciare i parenti, se ne ha, nessuno si è fatto vivo per avere sue notizie nel corso dei mesi trascorsi da lei nella casa circondariale torinese. Gospava si è impiccata alle 16,30 del 12 maggio scorso, due giorni prima che vi provasse e vi riuscisse nello stesso modo Maurizio, 37 anni, torinese, laureato in matematica e tossicomane. L’unico precedente caso di suicidio, alle "Vallette", in cinque anni era avvenuto nell’agosto di un anno fa. Ma i tentativi sventati sono fra i 40 e i 50 nell’arco di 12 mesi. Il "terzo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia" definisce le carceri "pozzi senza fondo". Anche quando, come a Torino, vi lavorino persone impegnate ad arginare il peggio. Le storie di Gospava e Maurizio indicano anche altro: che al carcere approdano sempre di più persone senza speranza e futuro. E che, accanto a chi vi entra con scarpe da jogging da centinaia di euro, sfila chi non ha le suole alle scarpe e chi non ne ha nemmeno di scalcagnate ai piedi. Il carcere delle differenze, dei gruppi etnici, delle gerarchie criminali e di poveri ladri di libri. Com’era stato Maurizio: vi era finito per la prima volta nel 1997, per avere rubato in una libreria. Vi era tornato a cadenze periodiche, l’ultima il 5 maggio, colto sul fatto all’Upim, mentre cercava di scappare con due abiti da uomo da 99 euro ciascuno. "Rubacchiavo e dormivo dove trovavo" racconta in un’ultima lettera ad un amico. La scrive il giorno prima di togliersi la vita: "Sono a terra. Vorrei dare la colpa a.... ma non sarebbe giusto, perché è solo a causa mia quello che mi è capitato. Il punto è che non ho più la forza né la voglia di ricominciare tutto da capo. Non tanto il carcere, ma il dopo! Esco e poi? Senza un posto dove stare, una famiglia, un lavoro. Sai cosa ti dico? Se trovo il coraggio preferisco farla finita. Il punto è proprio il coraggio!...". Gospava era stata arrestata nel novembre scorso e spedita poco dopo dal carcere genovese a quello di Torino, perché più attrezzato sotto il profilo dell’assistenza piscologica e psichiatrica. A Marassi aveva preso ad ingoiare oggettini, "per protesta". Aveva pure inalato il gas del fornelletto per cucinare in cella. Le tolsero tutto. Per sua sicurezza. Anche a Torino. Poi tornarono a restituirle le povere cose di cui disponeva, per incoraggiarla ad autostimarsi un po’ di più. "Quando sembrava più tranquilla" si è impiccata con le lenzuola del letto alla grata della finestra. Di lei si sa soltanto che era nata a Belgrado, che era stata condannata una prima volta in Italia dal pretore di Bolzano nel 1995, una seconda da quello di Merano nel 1999... poi dal tribunale di Genova nel 2001. I suoi furtarelli ne segnano il peregrinare sino a Busalla, ultimo domicilio conosciuto. Come il titolo di un vecchio film di genere. Alla fine le hanno presentato il conto giudiziario dei suoi tanti 2 mesi di condanna: sarebbe uscita dal carcere nel 2007. Più o meno, Maurizio aveva lo stesso "fine pena". Ma Gospava stava ancora più in fondo alla scala sociale del carcere e il suo corpo è ancora in attesa di mani pietose che ne reclamino la sepoltura. Marco Bouchard, il pm incaricato di accertamenti sulle due morti, le segnala come i suicidi dei senza niente, che non provocano interrogazioni parlamentari. Ma che interrogano sul carcere e sul dopo che "fa paura". A Mauri, e a quanti altri come lui? Crescere dietro le sbarre. Roma: il carcere visto dai bambini detenuti con le madri
Redattore Sociale, 6 luglio 2005
L’associazione è presente con i suoi volontari nella Sezione Nido della Casa di Reclusione Rebibbia Femminile assieme ai 17 bambini che vivono in carcere con le madri. Obiettivo del lavoro permettere ai bimbi di entrare in comunicazione con il mondo esterno, riducendo i danni della reclusione che subiscono i piccoli da 0 a 3 anni, periodo in cui la varietà degli stimoli, delle conoscenze, dei rapporti interpersonali, dei giochi sono indispensabili per accompagnare la crescita nel momento più delicato e decisivo della vita. I volontari organizzano uscite all’aperto, animano gli spazi verdi del carcere e curano le feste di compleanno. Piccoli momenti di gioco, socializzazione, curiosità ed evasione. Evasione sì, dall’isolamento, da un tempo controllato da altri e da spazi chiusi, soffocanti. I bambini nati e cresciuti nel carcere vivono l’isolamento fin dai primi giorni. La figura materna è espropriata della propria autorità. C’è pieno di sbarre, che separano il bimbo dalla madre, dal mondo. E la madre quelle sbarre non può toglierle, quante volte glielo ha chiesto il bambino… ai suoi occhi la madre è già un’incapace. Le porte sono chiuse, chiuse a chiave, e lei non può niente per aprirle. La vita dipende da quelli con la divisa blu, sono loro che hanno le chiavi della casa, la mamma non conta, sono loro ad aver le chiavi. E i padri dove sono? Alcuni non ci sono mai stati, se non in un amplesso rubato in fretta una notte e presto dimenticato. Altri sono anch’essi in carcere, oppure tossicodipendenti, sommersi dai propri problemi per farsi carico anche di quelli degli altri. Storie di povertà, di marginalità, di fragilità. Storie di giovani donne cresciute in contesti di micro-criminalità. Oppure storie migranti, di sogni frantumati a mezza strada e chi rompe paga. Pagano anche i bambini per loro, pagano il conto di dover crescere reclusi tra le mura di un luogo asettico e stantio. Pagano il loro diritto a crescere in un ambiente affettuoso, stimolante e tranquillo. E non continueranno a pagare anche da grandi? Stefania Tallei di Comunità Sant’Egidio parlando dell’esperienza in carcere dei volontari racconta di incontri con ragazzi nati in carcere e poi arrestati giovanissimi, incapaci di tagliare il cordone ombelicale con la detenzione, le chiavi ancora in mano agli uomini con la divisa blu. Nei racconti dei volontari si percepisce il senso dell’inaccettabile, la solidarietà nasce spontanea verso l’innocenza dei bambini, reclusi senza avere colpa e insieme bisognosi del rapporto con la loro madre, con lei, non con altre. Se il fine della pena è ancora la risocializzazione del condannato, la sua nuova inclusione nella società, allora la piena espiazione della pena deve comportare la libertà e la possibilità di ricominciare, nell’interesse del bambino, interessi sottoscritti nelle convenzioni internazionali (art. 3 Convezione sui Diritti del Fanciullo), ma che continuano ad essere disattesi per quei pochi (sono solo 60) reclusi nelle nostre carceri in nome della sicurezza di tutti. (Gabriele Del Grande) Alba (Cn): suicida ai "domiciliari" il preside che aggredì la moglie
La Stampa, 6 luglio 2005
Si è ucciso l’ex preside della scuola media Vida-Pertini Enrico Viberti: aveva 57 anni. L’altra notte si è impiccato ad un albero nel giardino della Comunità "Oasi 7/A", in cascina Saracinesca, ad Antegnate (Bergamo), gestita dalla cooperativa sociale onlus "Rinnovamento", dove era agli arresti domiciliari dal primo giugno. "A fare la scoperta è stato un nostro educatore - ha detto la presidente della Comunità, la dottoressa Myriam Gaforelli -. Avevamo accettato di buon grado il professor Viberti nella nostra struttura: era una persona educata, lavorava al computer, appariva sereno. Solo mercoledì scorso, al ritorno dall’udienza in tribunale ad Alba, era turbato. Aveva amici che venivano a fargli visita, che l’hanno accompagnato". Il 29 giugno era iniziata in tribunale l’udienza preliminare davanti al gip, Francesca Di Naro, per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio di Viberti presentata dalla Procura per tentato omicidio della moglie separata, maltrattamenti in famiglia e porto abusivo di arma. L’ex moglie e i figli si erano costituiti parte civile e su richiesta della difesa era stato disposto il rinvio al 28 settembre. Al termine dell’udienza Viberti si era sentito male, un’ambulanza l’aveva portato al Pronto soccorso dell’ospedale. Dimesso nel pomeriggio, aveva raggiunto la Comunità che lo ospitava. Viberti aveva ottenuto gli arresti domiciliari il primo giugno, dopo cinque mesi nel carcere di Alba, dove pare avesse già tentato il suicidio. Era stato arrestato la mattina del 27 dicembre dai carabinieri nella casa della moglie separata, dove si era presentato con una pistola con cinque proiettili nel caricatore. Secondo l’accusa l’avrebbe puntata alla tempia dell’ex moglie mentre era ancora a letto: la donna sarebbe riuscita a disarmarlo con l’aiuto della figlia, che ha chiamato i carabinieri. Dalle indagini era anche emerso che prima di arrivare a casa della consorte, anche lei insegnante alle Medie, Viberti aveva fatto tappa in alcuni bar per consumare bevande alcoliche. Secondo la perizia psichiatrica chiesta dalla Procura e affidata dal gip Carlo Gnocchi ai periti Ugo Fornari e Silvia Ornato, Viberti quando impugnò la pistola e la puntò alla tempia dell’ex moglie "era parzialmente incapace di intendere e di volere". La vicenda ha suscitato molto scalpore in città. Enrico Viberti era conosciuto nel mondo scolastico per essere stato prima insegnante di Lettere, poi preside alle Medie. Alla "Vida-Pertini" di Alba era dirigente da un anno e mezzo. In precedenza era stato preside alle medie "Macrino" di Alba, di Cherasco, Bra e Canale. I funerali si svolgeranno a Monticello, suo paese d’origine, in data ancora da stabilire. Sessanta i bambini tra 0 e 3 anni detenuti con le loro madri
Redattore Sociale, 6 luglio 2005
ì Sessanta i bambini tra 0 e 3 anni detenuti con le madri nelle nostre carceri. 6500 le firme raccolte da Consulta Penitenziaria di Roma, Comunità S. Egidio e A Roma Insieme per modificare la legge 30/2001 affinché le madri detenute con i loro bambini possano scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere. Presentato stamani alla stampa l’appello al Parlamento per la proposta di modifica delle legge 30/2001 (cosiddetta Finocchiaro). A 4 anni dalla sua approvazione il problema dei bambini in carcere non è affatto diminuito. Secondo Lillo de Mauro, presidente della Consulta, "negli ultimi anni il numero dei bambini da 0 a 3 anni di età che crescono in carcere è andato progressivamente aumentando nonostante una Legge riconosca l’incompatibilità della detenzione per le donne madri con figli". Le madri detenute sono perlopiù donne immigrate, tossicodipendenti e in misura crescente nomadi. I padri dei bambini li hanno abbandonati, non si conoscono, o sono anche loro in prigione. Sebastiano Ardita, Capo Ufficio Detenuti e Trattamento del Dap, ha sottolineato il contesto di estrazione delle donne detenute nelle carceri italiane, caratterizzato da situazioni di degrado sociale, povertà e emarginazione. Sono perlopiù donne condannate per reati contro la legge sugli stupefacenti, reati familiari ed ex-prostitute colpevoli di favoreggiamento della prostituzione. "È chiaro" - ha detto Ardita - "che a parte pochissime, queste donne non rappresentano una minaccia per la sicurezza della società". Già, perché la vera questione, secondo Leda Colombini, presidente di A Roma Insieme, è "come coniugare, in una società che è sempre più insicura, il rapporto sicurezza-solidarietà". La legittima richiesta di sicurezza da parte dei cittadini rischia di negare i diritti delle detenute madri, dei loro figli e più in generale di tutti i carcerati. La legge Finocchiaro aveva previsto il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena e la detenzione domiciliare speciale per le madri con figli di età inferiore a 3 anni, ma se e solo se "non sussiste un concreto pericolo della commissione di delitti e vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli" (Art. 47 quinquies O.P.). Questo ostacolo si è rivelato insormontabile nell’applicazione della legge di fronte a casi altamente recidivi e di donne straniere o nomadi senza stabile domicilio. È per superare questi limiti, spiega l’avv. Stefania Boccale, che la proposta di legge chiede all’art. 1 di abrogare tale vincolo. Punti vitali della proposta la creazione di case-famiglia protette che garantiscano non solo la sicurezza dei cittadini ma anche un sano sviluppo psico-fisico ai figli delle detenute che non possono godere del rinvio dell’esecuzione della pena. La modifica chiede anche che la madre sia tempestivamente autorizzata a seguire il bambino in ospedale, in caso di ricovero. L’art. 6 chiede la modifica del Testo Unico sull’Immigrazione: dare la possibilità alle detenute madri straniere di ottenere, al termine della loro pena detentiva, la revoca dell’espulsione automatica, qualora abbiano compiuto un percorso di risocializzazione positivo e i loro figli siano ormai inseriti nella scuola e nella vita sociale italiana. Lillo ha riferito che il Presidente della Camera Casini sarebbe disponibile ad incontrare i promotori della proposta di legge. Presenti alla conferenza deputati e senatori, soprattutto donne (tra gli altri Buemi, Lucidi, Colombini, Pistone, Faccione), si sono detti disponibili a sostenere l’iter della legge da subito, con l’obiettivo di farla approvare entro la fine della legislatura. "Il problema è risolvibile" ha dichiarato Stefania Tallei di Sant’Egidio. Sono poche le donne e pochi i bambini, e una soluzione rapida pare possibile. Certo è che il rapporto madre-bambino non è che l’emblema delle contraddizioni del sistema carcerario italiano ancora incapace di trovare un giusto equilibrio tra sicurezza dei cittadini e risocializzazione-inclusione dei detenuti. (Gabriele Del Grande) Roma: polizia e operatori insieme contro le nuove droghe
Redattore Sociale, 6 luglio 2005
A Roma e provincia, nel 2004 si sono avute 4.250 segnalazioni relativamente all’art. 75 della Legge 309 in materia di stupefacenti: 2.140 sono state le persone convocate dal Prefetto per l’uso delle "nuove droghe". Questi i dati riferiti durante il convegno organizzato dalla cooperativa sociale Parsec, per conto della Prefettura di Roma, sul tema "L’alta integrazione come risposta alla sfida dei nuovi consumi di sostanze stupefacenti". L’azione svolta dalla Prefettura, con la collaborazione del personale del Not (Nucleo operativo tossicodipendenze) ha fatto emergere una realtà sommersa, difficilmente rilevabile tramite altri canali; poiché "la maggior parte dei soggetti che consumano le cosiddette "nuove droghe" - secondo quanto affermato dal Direttore Coordinatore di Servizio Sociale, Liana Fattinnanzi - non si considerano soggetti problematici". In altre parole non si è più alle prese con quelle situazioni di devianza e marginalità, che da sempre hanno caratterizzato i consumatori di eroina, ma con situazioni che possono essere definire "normali", poiché riguardano ragazzi che studiano, lavorano, hanno alle spalle famiglie solida e sono ben inseriti nel contesto sociale. All’interno di questo contesto, l’uso di sostanze stupefacenti acquista piuttosto una dimensione "ludica", che non è necessariamente legata ad un luogo di svago, come ad esempio la discoteca, quanto piuttosto a quel "complesso delle occupazioni che riempiono il tempo liberato dalle attività di studio e lavoro". A Roma, ad esempio, vi è stato un aumento esponenziale dell’uso di hashish, considerato "innocuo" dalla maggior parte dei giovani, e associato a volte all’uso di alcol. Notevole è stato anche l’incremento nell’uso di cocaina e di "designer drug". Questa attrazione verso le sostanze psicoattive, "viene spiegata nel quadro della ricerca di stati alterati di coscienza o più precisamente di uno stato ritenuto piacevole". È proprio per far fronte a questi nuovi "stili di condotta" del mondo giovanile, che ha preso corpo il progetto illustrato oggi nell’ambito del Convegno presentato dalla Prefettura di Roma. "Sono orgoglioso di aprire questo Convegno - afferma il Prefetto Achille Serra - che rappresenta la sintesi di un lavoro di due anni di corso di formazione, portato avanti in modo straordinario, da tanti Enti diversi che ci hanno creduto veramente." L’obiettivo generale del progetto è quello di "contribuire all’attivazione di un sistema organico di servizi integrati, in grado di coinvolgere attori che solitamente hanno scarsi ambiti di confronto e di elaborazione comune". Formare ed aggiornare operatori del settore sociale quindi, operatori delle forze dell’ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia penitenziaria e Municipale), dei servizi psichiatrici, delle scuole e della sicurezza all’interno di discoteche, palestre e sale da gioco, in modo da diffondere una "cultura comune" a tutto il personale coinvolto. I 75 operatori già formati in questi primi due anni di corso, dovranno a loro volta svolgere la funzione di costruttori di un possibile "Tavolo permanente" di dialogo e confronto tra tutti gli Enti e le Istituzioni coinvolte. Quest’ultima iniziativa è stata fortemente appoggiata dal Prefetto Serra, il quale afferma: "È di fondamentale importanza formare un Tavolo interistituzionale, come osservatorio permanente sul fenomeno delle "nuove droghe", caratterizzato da continuo mutamento". (Laura Pagnini) Perugia: giovedì Castelli inaugura il nuovo carcere
Asca, 6 luglio 2005
Giovedì 7 luglio, alle ore 10.30, il Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, parteciperà alla cerimonia di inaugurazione del nuovo Istituto Penitenziario di Perugia. Il carcere è situato in località Capanne, in via Pievaiola. Saranno presenti, insieme alle autorità locali, il capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tinebra, e il Capo di Gabinetto, Settembrino Nebbioso. La struttura di Capanne si estende su una superficie totale di 40 ettari. L’istituto femminile ha una capienza effettiva di 70 posti ed è dotato di una "sezione nido". L’istituto maschile dispone attualmente di 200 posti che diverranno 400 con l’ultimazione dei lavori dell’edificio. Nel complesso è presente anche una sezione per i disabili. Ciascuna sezione di detenzione è dotata di servizi propri: cappella, palestra, biblioteca, cortile passeggi e un parco gioco per i bambini presenti con le madri nel reparto nido. Saranno realizzati anche tre laboratori per attività orto-frutticole. Spoleto: il carcere come risorsa per lo sviluppo locale
Spoleto Online, 6 luglio 2005
"Il carcere come risorsa per lo sviluppo locale", rappresenta il concetto chiave su cui le principali realtà istituzionali e sociali, impegnate nel reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti ed ex detenuti della Casa di Reclusione spoletina si confrontano e sviluppano progettualità, ribaltando di fatto l’approccio assistenzialistico nei confronti della popolazione carceraria, riconoscendo alla stessa potenzialità utili allo sviluppo locale. L’ambizioso programma richiede lo sviluppo di una progettualità integrata, frutto del lavoro di concertazione sviluppato all’interno del tavolo di copregettazione (al cui interno sono presenti oltre al Comune di Spoleto, la Direzione della Casa di Reclusione di Maiano e il Centro di Servizio Sociale Adulti del Ministero di Grazia e Giustizia, la ASL, la Provincia di Perugia-Centro per l’Impiego, la Comunità Montana dei Monti Martani e del Serano il mondo della cooperazione sociale, dell’associazionismo e del volontariato, la scuola, ed in prospettiva le forze imprenditoriali e sindacali) capace di raccordarsi strategicamente ed operativamente, attraverso l’Unità di Progetto Formazione - Lavoro del Comune di Spoleto, con la pianificazione dello sviluppo locale (Patto per lo sviluppo, PIAT; ecc.) e mettere a sistema sia le risorse di area (Fondo nazionale sulle povertà estreme, Cassa delle ammende, fondi Comunitari, ecc.) che quelle più complessive finalizzate alla crescita ed allo sviluppo del territorio, nonché alla qualificazione e riqualificazione delle risorse umane e professionali che tale sviluppo richiede. In questo senso l’azione di integrazione lavorativa delle fasce socialmente svantaggiate e della popolazione in esecuzione penale nello specifico, vuole inserirsi in una più complessiva strategia di promozione della crescita e dello sviluppo economico e sociale della città, capace di valorizzare le vocazioni più autentiche del territorio, con particolare attenzione alla filiera turismo, ambiente e cultura, anche attraverso l’attivazione di tutte le risorse che il territorio stesso è in grado di esprimere, siano esse istituzionali, sociali, economiche e produttive. Un organico sistema di intese interistituzionali garantisce l’adeguata cornice istituzionale ed il raccordo/integrazione operativa tra i servizi e le agenzie territoriali. In particolare: la Dichiarazione di intenti siglata dal Sindaco del Comune di Spoleto, dal Ministro di Grazia e Giustizia e dal Direttore della Casa di Reclusione di Maiano nel novembre 2000, che esplicitava la volontà e la disponibilità della Direzione dell’istituto penitenziario di Spoleto di porsi in modo costruttivo all’attenzione della realtà economico-sociale presente sul territorio per creare le condizioni di una forte integrazione con il tessuto ambientale, con il quale il complesso penitenziario si trova ad interagire; il Protocollo d’intesa tra l’Ambito territoriale n. 9 dello spoletino e la Provincia di Perugia, sottoscritto nel gennaio 2005 e disciplinante forme e modalità di raccordo tra i Servizi provinciali per l’impiego ed il Servizio di Accompagnamento al Lavoro (SAL) dei soggetti in condizione di svantaggio, ivi compresi coloro che sono sottoposti alla restrizione della libertà o alle misure alternative alla detenzione; il Protocollo d’intesa sottoscritto nel corrente mese di giugno dal Comune di Spoleto, dalla Provincia di Perugia, dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, dalla Casa di Reclusione di Spoleto e dal Centro di Servizio Sociale per Adulti di Spoleto, per lo sviluppo dell’integrazione dei servizi finalizzati alla promozione e al coordinamento delle attività di accompagnamento al lavoro, di formazione e orientamento professionale a favore di adulti sottoposti a misure penali limitative della libertà. Sul versante produttivo ed imprenditoriale si rende necessario un coinvolgimento ed una responsabilizzazione ad ampio raggio delle forze produttive, anche attraverso intese con le rappresentanze di categoria finalizzate alla promozione degli strumenti, degli incentivi e delle opportunità previste dalle normative vigenti a favore dell’integrazione lavorativa delle fasce deboli. La promozione della coesione e della solidarietà sociale di un territorio viene, in questa nuova prospettiva, a collocarsi all’interno di una più complessiva azione di sviluppo e di crescita socio-economica della realtà locale nel suo complesso, nel tentativo di coniugare sviluppo economico e benessere diffuso, attraverso politiche di inclusione sociale e lavorativa capaci di non escludere i soggetti più deboli e a più alto rischio di marginalizzazione. Volterra: la compagnia della Fortezza scende in piazza
Ansa, 6 luglio 2005
Torna il festival diretto da Armando Punzo e reso unico dalle performance della Compagnia della Fortezza, il gruppo teatrale composto interamente da detenuti del carcere di Volterra. In programma spettacoli teatrali, musica e danza in collaborazione con altri importanti festival della Val di Cecina. Ma la XIX edizione di Volterrateatro sarà caratterizzata soprattutto da una dimensione di piazza: l’Agorà, realizzata nella centralissima piazza dè Priori, che farà da palcoscenico alla stessa Compagnia per performance speciali oltre le mura del ‘Maschiò. Tra le altre iniziative speciali in programma una grande festa cittadina con Alessandro Benvenuti e la Banda improvvisa, e percorsi in jeep nei luoghi della resistenza, con alcuni partigiani come guide d’eccezione. Il cartellone completo della manifestazione sarà presentato domani. Catania: Fondo Sturzo, detenuti nella Casa della conversione…
La Sicilia, 6 luglio 2005
Prima celebrazione eucaristica al Fondo Sturzo in cui ha ricevuto il sacramento del Battesimo la figlia di Guglielmo Lodetti, e Prima Comunione per Filippo Montalbano. Guglielmo Lodetti, Filippo Montalbano e Vincenzo Ronsivalle sono i tre detenuti che dallo scorso mese di novembre lavorano nel Fondo rurale che fu dei fratelli Mario e Luigi Sturzo nelle campagne di Caltagirone. I tre lavoratori fanno parte del progetto del "Polo di Eccellenza di Promozione Umana e della Solidarietà", una cittadella con l’obiettivo del reinserimento sociale dei detenuti in fase finale della pena. Un programma triennale alternativo alla carcerazione permette a Guglielmo, Enzo e Filippo di lavorare quotidianamente nel Fondo e, in alternativa, all’interno dello stesso luogo, di frequentare dei laboratori informatici, di ceramica e nello stesso tempo sono catechizzati da un gruppo di volontari provenienti dalle città di Gela, Enna e Piazza Armerina. La celebrazione Eucaristica di lunedì pomeriggio è stata presieduta dal vescovo di Piazza Armerina Michele Pennisi. Guglielmo Lodetti era simpatizzante dei Testimoni di Geova, originario di San Cono a 22 anni è stato arrestato per rapina, droge e armi, adesso, a 27 anni, lavora nel Fondo e, in comunione con la moglie Serafina, hanno deciso di celebrare il Battesimo della loro bambina nel luogo dove Guglielmo sta lavorando. Guglielmo, con le lacrime agli occhi ha raccontato al vescovo di Piazza Armerina il suo non saper leggere ma che ha imparato iniziando a sfogliare le pagine della Bibbia. Guglielmo è stato il primo tra i detenuti a essere scelto per questo programma di pieno recupero della dignità dei carcerati. Guglielmo in questi 8 mesi di lavoro nel Fondo Sturzo ha scolpito sulla pietra l’effige di Mario Sturzo che presto vorrà portare all’interno della casa circondariale di Caltagirone affinché i compagni, guardando l’effige, possano sperare di rientrare anche loro in questo grande progetto. Filippo Montalbano, 33 anni di Catania, deve scontare l’ultimo anno di pena ha seguito il catechismo. Durante le ore di insegnamento della dottrina Cristiana, quest’anno dedicato all’Eucaristia, ha mostrato interesse chiedendo di ricevere per la prima volta Gesù Cristo. Il più timido dei tre è Vincenzo Ronsivalle. Salvatore Martinez, presidente della "Fondazione mons. Di Vincenzo", grande patner con la Diocesi di Piazza Armerina e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha cominciato a vedere il frutti del lavoro dei tre detenuti: a Natale la produzione di mandorle, e adesso con la vendita dell’olio "Russa dei Boschi" (contrada in cui è presente la cittadella dei detenuti). "Un’idea prototipica - ha spiegato Salvatore Martinez- che si conta di estendere ad altri istituti penitenziari così che ci sia l’opportunità di autoremunerare iniziative di redenzione sociale collegate allo sviluppo del Polo di Eccellenza. Il Fondo vive una stagione di intensa di iniziative culturali, artigianali e di commercializzazione di prodotti tipici per le quali vari soggetti istituzionali continuano ad assicurare il loro fattivo interesse". "I detenuti -ha spiegato mons. Michele Pennisi - oltre al lavoro vengono recuperati attraverso l’educazione alla fede. È bello vedere attorno alla mensa del Signore i tre giovani ragazzi che celebrano l’Eucaristia con i genitori, mogli, figli e parenti". A ottobre nel Fondo Sturzo verrà avviato il progetto "Ceramica Amica" finanziato dall’Assessorato regionale ai Beni Archeologici. Un progetto che riguarderà il coinvolgimento del Museo regionale della Ceramica di Caltagirone e dalla fondazione mons. Di Vincenzo. Laura Mendola Acireale: progetto minori, lezioni di restauro all’Ipm
La Sicilia, 6 luglio 2005
Lezioni di restauro del mobile e costruzione di modelli navali all’Istituto penale minorile di Acireale. Ieri mattina, nell’ambito del progetto Pon "Nuova...mente", sono stati inaugurati i suddetti corsi che coinvolgeranno i ragazzi detenuti del carcere di Acireale, Catania e Palermo. Il progetto, gestito dall’Istituto Comprensivo "Federico II" di Palermo, è coordinato ad Acireale dal dirigente scolastico della media "Galileo Galilei", prof. Nino Pulvirenti, in qualità di responsabile del Centro Eda n. 12 e della scuola media funzionante presso la struttura carceraria. "Nasce qualcosa di nuovo - ha commentato il dirigente scolastico - che darà un senso all’essere di questi ragazzi". "Dietro tutto questo - ha aggiunto il direttore dell’Istituto penale acese, dott. Corrado Casto - c’è il lavoro del personale che opera in questo istituto, educatori, agenti di polizia penitenziaria, operatori vari. Siamo riusciti a coinvolgere i ragazzi in tante attività che li fanno sentire vivi e partecipi". Per i corsisti, infatti, sarà un momento importante per accrescere la loro cultura e mostrare la loro creatività, la manualità e le capacità espressive. "È una grande occasione - commenta l’Assessore comunale alla Solidarietà sociale, Giuseppe Torrisi - per far sì che questi ragazzi non si sentano abbandonati e che, anzi, vedano in questa attività l’occasione di potersi reinserire nella società con delle possibilità di lavoro effettivo". "L’Amministrazione Garozzo - aggiunge l’Assessore alla Attività culturali, prof. Nives Leonardi - si rende partecipe di tutti i tessuti sociali. All’interno del carcere funziona una scuola dove si attuano tanti progetti che contribuiscono a far nascere in questi ragazzi degli interessi diversi, con possibilità di impiego futuro". E alla fine dei suddetti corsi saranno resi visibili, mediante una mostra, le opere prodotte. Saluzzo: oggi 27 detenuti in scena con spettacolo "Amen"
La Stampa, del 6 luglio 2005
Il suono antico dello shofar, il corno biblico che richiama alla preghiera, invade il cortile del carcere "La Felicina". Su due dune di sabbia siedono quattro profeti. Al centro un passaggio, forse la via per la salvezza, forse le acque del Mar Rosso che si aprono. Sono le prime immagini di "Amen", lo spettacolo realizzato dal laboratorio condotto per nove mesi da Grazia Isoardi, con i detenuti della Casa di reclusione di Saluzzo, nell’ambito del Progetto Cantoregi, in collaborazione con l’associazione Voci Erranti, nella quinta edizione de "La fabbrica delle idee". Ieri l’ultima prova, prima del debutto. "Amen" è un percorso alla ricerca della religiosità: uno spettacolo che non poteva nascere che qui, fra quest’umanità dolente che incarna l’Uomo nel suo difficile rapporto con il Divino. Un altro profeta attraversa la scena, irrorata d’acqua. Lo accompagna una voce: "Benedetto il Nome dell’Eterno, il Dio di Abramo, di Maometto e dell’uomo comune". E l’uomo comune giunge, moltiplicato in venti individualità, che si stendono a terra; sembrano nuotare, evocano Giona che esce dalla balena. I profeti parlano all’uomo ed è subito accusa: "Del giardino che Dio ti ha affidato tu ne hai fatto pattumiera, hai preferito il male al bene, la menzogna alla giustizia". Poi la consegna: "Mettetevi in viaggio". Il viaggio è arduo, il peso delle colpe da portare sono i sacchetti di zavorra che gli uomini recano con sé. Sorge spontanea la preghiera (indu, islamica, ortodossa e cattolica) come un sollievo, ma non basta ai profeti: "Troppo facile pulirsi l’anima in questo modo". C’è chi si ribella, chi rifiuta, ma un leggero scampanio induce un’altra verità: la necessità della purificazione. Gli uomini si flagellano con rami d’alloro, mentre il percorso si avvia all’epilogo, nel riconoscimento della carità, dell’amore per l’altro, nella nascita di un nuovo Adamo che ha le sembianze del Cristo deposto dalla croce. "Amen". La prova è finita. Gli attori cercano una conferma al loro impegno. Sono entusiasti, ma hanno paura delle reazioni del pubblico: "Domani faremo meglio". Da oggi, per tre giorni, quasi mille persone, in sei turni (due ogni giorno alle 16 e alle 18), ascolteranno questa parola: la stessa della preghiera sentita un giorno nel carcere, durante il laboratorio, da Grazia Isoardi e dai suoi 27 allievi. Tutto il lavoro è partito di lì, a completare una trilogia, iniziata con "La soglia" e proseguita con "Il luogo dei cigni", con lo stesso regista Koji Miyazaki e il convinto sostegno della direttrice de "La Felicina", Marta Costantino. Perché "la spiritualità aiuta a vivere qui dentro". Per la prima volta ingresso a pagamento: 5 euro per finanziare la neonata associazione "La soglia". Cagliari: organici ridotti all’osso, la sicurezza è a rischio
L’Unione Sarda, 6 luglio 2005
Sono pochi. Talmente pochi che la metà di loro, quest’estate, dovrà rinunciare alle ferie: una bella prospettiva, dopo un anno di riposi saltati, permessi negati e ritmi di lavoro massacranti. Talmente pochi che non possono più offrire ai detenuti quei servizi che rendono meno disumana la vita in carcere: biblioteca, ritiro libri, palestra. Talmente pochi che a Buoncammino, oggi, la sicurezza è a rischio: solo tre sentinelle per tutto il muro di cinta, un uomo solo per sorvegliare tre piani, una sola donna per tutto il settore femminile. Gli agenti di polizia penitenziaria in forze al carcere di Cagliari sono entrati in stato d’agitazione. O il provveditorato regionale e il dipartimento amministrazione penitenziaria smettono di giocare a scaricabarile e si decidono a rimpolpare gli organici - spiegano Alessandro Cara e Sandro Serra, segretari regionali del sindacato di categoria, il Sinappe - o daremo il via a clamorose manifestazioni di protesta. Per esempio l’autoconsegna: finito l’orario di lavoro, si resta tutti in carcere a oltranza. Il problema sta nei numeri. Due anni fa, gli agenti in organico erano 320. Oggi sono 269. Cinquanta in meno: mentre sono aumentati i detenuti, sia sardi che extracomunitari, albanesi, maghrebini, nigeriani trasferiti a gruppi di cinquanta dalle carceri del nord, San Vittore in testa. Chiaro che, in queste condizioni, fra gli agenti sia scattato il fuggi fuggi. Su 269, 45 sono distaccati: significa che, anziché lavorare a Buoncammino, lavorano agli uffici del provveditorato o nelle altre case di reclusione dell’Isola. Da due anni il Sinappe e gli altri sindacati si battono per il ripristino degli organici. Per esempio recuperando qualcuno dei 15 agenti ancora in servizio con le motovodette a Porto Torres: a sette anni dalla chiusura del supercarcere, pattugliare le acque attorno all’Asinara non ha più alcun senso. Giustizia: da domani la ex-Cirielli torna in aula
Apcom, 6 luglio 2005
"Questo parlamento non è al servizio della nazione, ma è al servizio di pochi potenti. E quanto sta accadendo è l’ennesima dimostrazione della protervia di maggioranza e governo. Non è ammissibile che di fronte alla crisi drammatica che investe il Paese, di fronte a problemi gravi per milioni di famiglie, a un’economia che va a rotoli e con un’Europa che giudica gravemente malati i nostri conti pubblici, governo e maggioranza si occupino del destino di qualche condannato eccellente". È quanto ha dichiarato in Aula il senatore della Margherita Pierluigi Petrini commentando la decisione dell’Aula di palazzo Madama di approvare il calendario e consentire l’esame della ex Cirielli a partire da domani. "Una maggioranza allo sbando, con suoi esponenti che insultano il Presidente della Repubblica nell’Europarlamento, non si occupa dei destini dell’Italia, ma offende l’istituzione parlamentare con un’altra legge ad personam. In Senato - continua Petrini - non si parlerà dei problemi della giustizia, della concreta realizzazione della "ragionevole durata dei processi", che pure abbiamo scritto insieme nella nostra Costituzione nella scorsa legislatura, della condizione in cui operano operatori e agenti negli istituti penitenziari, del sovraffollamento delle carceri con numeri mai raggiunti, della certezza della pena. Maggioranza e governo si occupano soltanto degli affari loro". "Ma i cittadini hanno capito, hanno voltato le spalle e non aspettano altro che poter cambiare - conclude - Affinché un nuovo governo e un nuovo Parlamento si occupino, finalmente, di trovare soluzioni ai problemi che li riguardano". Buemi: bimbi in carcere, detenuti senza condanna
Ansa, 6 luglio 2005
"I bambini che vivono in carcere sono detenuti senza condanna". Lo ha detto il presidente del comitato carceri della commissione giustizia della Camera, Enrico Buemi, nel corso dell’incontro organizzato dall’associazione di volontariato "a Roma insieme". Il tema dell’incontro "nessun bambino varchi più la soglia di un carcere" è stato il diritto alla libertà dei bambini da 0 a 3 anni che vivono in carcere con le madri detenute. Nella sala della Sacrestia alla Camera dei Deputati,l’associazione di volontariato ha presentato le 6.500 firme raccolte per modificare la legge Finocchiaro e la Bossi-Fini. Tre i cambiamenti proposti: sostituire il carcere con case-famiglia al di fuori delle mura del penitenziario; l’affermazione del diritto delle madri a rimanere accanto ai loro figli in caso di ricovero in ospedale e la revoca del provvedimento di espulsione per le donne straniere che hanno scontato la pena, per evitare di allontanare i bambini dal tessuto sociale nel quale sono inseriti. "La tutela del cittadino che cresce - ha aggiunto Buemi - è una priorità ed è per questo motivo che sono disponibile a presentare in settimana la proposta di modifica della legge. Parliamo spesso di diritti di chi ancora non è nato, ma non tuteliamo il diritto alla libertà e a stare accanto a un genitore di chi è già in vita". È una cosa inaccettabile - ha continuato Buemi - che dei bambini così piccoli debbano scegliere tra subire una pena senza averne colpa o correre il rischio di essere privati della vicinanza di un genitore". Tra gli ospiti anche l’assessore comunale alle politiche sociali e promozione della salute, Raffaela Milano e il senatore Elvio Fassone, membro della commissione giustizia del Senato. Sanità: malati di aids il 30% dei detenuti
Adnkronos, 6 luglio 2005
Il 30% dei detenuti italiani è affetto dal virus dell’Hiv. L’Aids risulta dunque una delle malattie più diffuse in cella. E le precarie condizioni igienico-sanitarie non aiutano a prevenirne il contagio. In vertiginoso aumento è anche il fenomeno della tossicodipendenza: sono 15.558, il 27,7% i tossici che affollano le carceri italiane. Meno diffuso invece il fenomeno dell’alcolismo, che coinvolge appena il 2,4 %, circa 1335 detenuti. Poco più di 1000 sono anche i malati di varicella: l’ultimo episodio risale allo scorso 10 maggio, quando il contagio della malattia aveva investito un notevole numero di detenute nel carcere femminile di Rebibbia. Una di loro, malata di Aids era morta. In quest’ultima circostanza era divampata la polemica anche tra le guardie penitenziarie che, lamentando le condizioni di scarsa igiene, si erano dette timorose di un possibile contagio A monte dei vari problemi del pianeta carcere, quello principale resta il sovraffollamento: nella seconda metà di giugno i detenuti hanno raggiunto quota 59.200. Un vero record. La capienza degli istituti di pena è invece di 42.540 posti. Sono dunque oltre 16 mila in più del previsto le persone detenute nelle carceri italiane; ciò contribuisce a far salire il rischio di epidemie e proteste. Aumenta anche lo stato di disperazione dei detenuti: dall’inizio del 2005 ben 30 sono stati i suicidi avvenuti dietro le sbarre. Non aiuta l’emergenza sovraffollamento neppure la lentezza dei processi. Il 36% dei detenuti in Italia è infatti in attesa di giudizio: il 57,6% di loro sono imputati giudicabili, il 29,8% appellanti e il 12,6% ricorrenti. Antigone: il caso di Taranto sintomo di disperazione diffusa
Adnkronos, 6 luglio 2005
"Quello che è accaduto dà un senso di disperazione, è un gesto che trova fondamento in una giustizia iniqua". Patrizio Gonnella, da maggio nuovo presidente nazionale di "Antigone", associazione che si dedica ai problemi dei detenuti, in un’intervista con l’Adnkronos ha espresso il suo disappunto per il gesto del detenuto malato di Aids che questa mattina, nel corso del processo che lo vedeva imputato per evasione, si è ferito alla testa a colpi di manette in segno di disperazione. "Da un lato c’è una giustizia veloce, iniqua e senza pietà per i malati, i tossici e gli emarginati - ha dichiarato Gonnella - dall’altro una giustizia iper-garantista per i soliti noti. Bisogna tener conto della situazione quando il detenuto è malato. Non c’è clemenza nei tribunali e nelle aule di giustizia ci sono sempre i soliti sfigati. Rovigo: gli agenti penitenziari in stato di agitazione
Il Gazzettino, 6 luglio 2005
Carichi di lavoro insopportabili, con riposi e ferie messi costantemente in discussione, ripetute inadempienze contrattuali e sistematiche violazioni dei diritti minimi dei lavoratori. Sono le motivazioni dello stato di agitazione del personale di polizia penitenziaria della casa circondariale di via Verdi proclamato dalle organizzazioni sindacali di Fp-Cgil, Osapp e Sappe. Le guardie carcerarie accusano la direzione di voler concedere le ferie a proprio piacimento, nonostante il personale abbia presentato le richieste nei tempi e nei modi prefissati. "Assistiamo a spostamenti d’imperio dei periodi di vacanza senza un opportuno preavviso ed in assenza di particolari esigenze di servizio - afferma Gianpietro Pegoraro (Fp-Cgil) - attualmente abbiamo in ferie ben 13 guardie anziché le 6 previste da un vecchio accordo. In questo modo per il dipendente diventa arduo soddisfare le esigenze familiari". Le tre organizzazioni sindacali contestano inoltre il sistematico ricorso alle prestazioni straordinarie: "Per gli agenti penitenziari - osserva Pegoraro - sta diventando ormai lavoro ordinario. I carichi di lavoro ci obbligano ad un surplus di lavoro di 40-50 ore mensili. Nel conteggio capita che la direzione sottragga alcune ore giustificandole come un errore materiale. Siamo obbligati a lottare ogni volta per ottenere una verifica del calcolo". Tra le materie del contendere figura pure la fruizione dei turni di riposo settimanali:"Anche in questo caso c’è il principio del dubbio - precisa il sindacalista - in quanto il personale non sa se ne può fruire o meno. Subentra spesso la psicosi da telefono, perché si teme che in qualsiasi momento il carcere possa richiamare gli addetti in servizio. Si finisce per fruire del riposo ogni 15 o 20 giorni". Le continue emergenze nella gestione del personale potrebbero provocare a breve gravi ripercussioni. Il personale sarà infatti chiamato ad affrontare un piantonamento in una struttura ospedaliera esterna. La cronica carenza di agenti, costretti a saltare i riposi e a posticipare le ferie, rischia di mandare al collasso l’intera struttura: "Non si riuscirà a garantire i diritti dei lavoratori - conclude Pegoraro - e saranno ridotte le attività interne consentite ai detenuti. A complicare ulteriormente la situazione è anche il distacco di un’unità di polizia penitenziaria femminile in un’altra struttura carceraria. Ci ritroviamo con ben cinque agenti in forza a Rovigo dislocati altrove". Rieti: nuovo carcere, stanziati 5 milioni di euro per ultimarlo
Il Messaggero, 6 luglio 2005
Altri cinque milioni di euro per completare la realizzazione del nuovo carcere di Vazia. Un finanziamento che arriva in modo provvidenziale perché consente di guardare con maggiore ottimismo all’ultimazione di un’opera che darà dignità alla vita dei detenuti, attualmente ospitati nell’ormai vetusta casa circondariale di Santa Scolastica. Ad annunciarlo è stato ieri il deputato di An Guglielmo Rositani per averlo appreso direttamente dal sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Valentino . L’importo ammonta esattamente a 5 milioni 271.267 ed è stato deliberato nella riunione annuale dal Comitato Paritetico per l’Edilizia Penitenziaria a favore del carcere reatino. "Con questo finanziamento si completano gli stanziamenti per la realizzazione dell’intera opera - ha commentato Rositani - Infatti con i 5 milioni del 2001, i 16 del 2002, i 10 del 2003 e gli 11 del 2004, si arriva ad un totale di 47 milioni e 250 mila euro che è appunto il costo complessivo previsto per ultimare i lavori". Il centro destra ha dunque proseguito lungo la strada tracciata per la realizzazione del nuovo carcere, approvato e finanziato dal precedente governo di centro sinistra (ministro della Giustizia era Fassino ndr) e questo non può che far piacere, se non altro perché l’unione di intenti, vale a dire il superiore obiettivo da raggiungere nell’interesse della città, vede insieme (idealmente) sia l’attuale deputato Rositani che il suo predecessore, Pietro Carotti, il quale ottenne nel 1999 l’inserimento di Rieti nel piano di edilizia penitenziaria. E ai cittadini, di fronte all’importanza di conquistare certi obbiettivi, poco importa il colore o l’appartenenza di quelli che si battono per ottenerli: ciò che conta è arrivare al risultato. È stato così che le giunte Cicchetti prima e quella Emili poi, hanno continuato a lavorare per portare avanti il progetto. Con i nuovi soldi stanziati dal ministero, Rieti avrà la sua moderna casa circondariale, a tutto vantaggio non solo del mondo giudiziario (tribunale e avvocatura) ma anche di quello economico, perché porterà benefici sia per l’indotto, sia per coloro che lavoreranno all’interno della struttura, il cui numero salirà considerevolmente, compreso quello degli agenti di polizia penitenziaria che verranno impiegati. In un altro passaggio della lettera inviata al sottosegretario Valentino, Rositani ribadisce quanto già sostenuto in passato sia dalla maggioranza che da gran parte dell’opposizione nei giorni dell’approvazione del progetto da parte del Consiglio comunale, circa le illazioni sulla realizzazione di una struttura di massima sicurezza. "La comunità reatina è grata a te e al ministro Castelli - scrive il deputato di An - sia per le rassicurazioni che a suo tempo avete dato circa il dubbio, alimentato in buona fede da alcuni personaggi politici locali, che si potesse trattare non di una semplice casa circondariale, ma di un super carcere, sia per aver mantenuto l’impegno dell’intero finanziamento". Del resto, quello del supercarcere è sempre sembrato un falso problema: a Santa Scolastica hanno infatti soggiornato pentiti di mafia del calibro di Totuccio Contorno e Antonino Calderone (nel 1988 i giudici Falcone e Borsellino vennero spesso per interrogarli) oppure brigatisti appartenenti alle Unità Combattenti Comuniste nonché pericolosi esponenti della criminalità. E tutto questo senza che a Rieti ci fosse un super carcere: quanto basta per far capire che certi timori appaiono infondati. Esulta, naturalmente, la Camera penale che da sempre si batte per dare alla città una struttura penitenziaria degna di tale nome. Resta ora il nodo dell’ultimazione dei lavori che hanno subito uno stop iniziale a causa di un contenzioso che si era aperto tra il proprietario dell’area espropriata e il ministero. Alla fine è stato lo stesso privato ad acconsentire al rilascio dell’area, nonostante l’accordo, all’epoca, non fosse stato perfezionato. Lo scorso anno l’impresa si è messa al lavoro e la consegna del nuovo carcere dovrebbe avvenire, secondo una tabella di marcia orientativa, tra il 2006 e il 2007. Giustizia: Camera, niente carcere per vilipendio tricolore
Ansa, 6 luglio 2005
Chi insulta il "tricolore" non potrà più andare in carcere. Dovrà solo pagare una multa tra i 1.000 e i 5.000 euro. La norma, votata dalla Camera, fa parte del provvedimento sui reati d’opinione, il cui esame è ancora in corso. La multa salirà a 10.000 euro se il "vilipendio" è commesso in una pubblica ricorrenza o cerimonia ufficiale. Sul provvedimento è in atto uno scontro tra An e la Lega che tende a eliminare il carcere anche per l’istigazione all’odio razziale. Taranto: protocollo tra tribunale sorveglianza, carcere e diocesi
Comunicato stampa, 6 luglio 2005
Il CSSA di Taranto ha sottoscritto un Protocollo d’Intesa con l’Arcidiocesi di Taranto (titolare del progetto), il Tribunale di Sorveglianza di Taranto e la Direzione della Casa Circondariale di Taranto. Il progetto denominato Kairòs prevede interventi volti alla risocializzazione di soggetti detenuti o in esecuzione penale esterna attraverso l’accesso ad attività di formazione ed al mondo del lavoro con l’utilizzo di Borse Lavoro. I propositori del suddetto progetto, finanziato con fondi 8 per mille della Chiesa cattolica, sono le associazioni di Volontariato Penitenziario (Associazione Noi e voi, Murialdo e i cappellani della Casa Circondariale di Taranto).
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