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Giustizia: Prc Lazio; garantire l'assistenza sanitaria ai detenuti
Adnkronos, 5 luglio 2005
"Il caso denunciato dal Garante regionale dei detenuti, Angiolo Marroni, conferma quanto abbiamo avuto modo di constatare solo pochi giorni fa visitando il carcere di Regina Coeli a Roma e cioè che quello dell'assistenza sanitaria dei detenuti è uno dei problemi più gravi degli istituti di pena del Lazio". È quanto affermano il capogruppo del Prc alla Regione Lazio, Ivano Peduzzi, e Anna Pizzo, consigliere regionale Indipendente del Prc. "Siamo in una situazione difficile, che richiede con la massima urgenza un'assunzione piena di responsabilità da parte dell'istituzione regionale per gli ambiti di sua competenza - spiegano - Rifondazione comunista in questa direzione ha già presentato in Consiglio regionale una proposta di legge per un inquadramento sistematico degli interventi della Regione in materia penitenziaria a partire dalla sanità. Se, infatti, in tempi brevi non si arriva a concretizzare il passaggio delle competenze dal ministero della Giustizia a quello della Sanità assegnando al Servizio Sanitario Nazionale e alle Asl una competenza diretta per l'assistenza sanitaria nelle carceri sarà difficile assicurare il diritto alla cura e alla salute dei detenuti". "Continueremo, così, a sentire parlare di casi di cure negate o di lunghe attese per esami e analisi di fondamentale importanza - concludono Peduzzi e Pizzo - basti pensare che proprio a Regina Coeli un detenuto aspetta di effettuare una biopsia da circa quattro mesi. È evidente che così non è possibile andare avanti. Le persone sottoposte a misure restrittive hanno diritto alla cura al pari delle altre ed è compito delle istituzioni competenti agire per garantirlo. In questo senso, la proposta di legge del Prc rappresenta uno strumento concreto a sostegno e a garanzia dei diritti dei detenuti e coerente con la funzione rieducativa della pena". Venezia: "In" e "Out", sportelli per aiutare i detenuti
Gente Veneta, 5 luglio 2005
Per accompagnare le persone in fase di uscita, e per dare appoggio e sostenere i familiari che magari per la prima volta entrano in contatto con un'istituzione penitenziaria, sono nate le iniziative che l'amministrazione pubblica di Venezia ha presentato in questi giorni, e che hanno già preso il via. Il più recente è il piano d'azione che ha prodotto gli Sportelli In-Out: il primo (In) attivo all'interno del carcere femminile della Giudecca ogni venerdì ogni quindici giorni, fornirà informazioni e faciliterà il collegamento con i servizi attivati dal Comune in vista dell'uscita dei detenuti. Cosa offrono i nuovi servizi. Il secondo (Out) sarà uno sportello esterno, posizionato in campo S. Margherita all'interno dei locali della Municipalità, che verrà gestito dall'associazione Il Granello di Senape per venire incontro ad ex detenuti e familiari, già attivo tutti i martedì e giovedì dalle 15 alle 17 a partire dallo scorso 23 giugno. Il problema, infatti, spesso è quello di capire quali sono i diritti di cui si può godere dentro un carcere, come ci si può muovere, come si fa ad andare a trovare un familiare e magari dove andare ad alloggiare, se per esempio in detenzione c'è uno dei tanti extracomunitari che vivono nelle carceri veneziane. E poi, per chi ha terminato di scontare la propria pena, c'è lo shock del rientro nella società a necessitare di un forte sostegno, che più che altro è un'uscita allo scoperto, lì dove la gente ti può vedere, e può rendersi conto di che faccia ha e di come è fatto un ex detenuto. E questo a molti fa paura: "Una ragazza di 25 anni mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: "Non si direbbe". Ma cosa vuol dire? A volte quasi non veniamo considerati persone", racconta una donna (intervistata qui sopra) da poco tornata in libertà. Murer: "Tre nuove azioni negli ultimi tempi". "I progetti sono il risultato del gran lavoro attuato anche negli anni scorsi. Lo sportello Out dovrà fornire una rete importantissima di collegamenti per gli ex detenuti e per i loro familiari. Già in questo breve inizio del mio assessorato ho ricevuto diverse richieste e segnalazioni, da familiari appena entrati in contatto con il carcere e da familiari di detenuti in uscita". Sottolinea così l'assessore alle Politiche Sociali Delia Murer, parlando del terzo intervento approvato in ordine di tempo dal Comune. "Altre due delibere - continua la Murer - sono state firmate: quindici giorni fa quella riguardante il progetto "Questione di pelle" sulle abitudini sessuali dei carcerati. Il progetto è poliennale e prevede un piano d'azione mirato sulla prevenzione dal virus dell'hiv. Qualche mese fa è stato invece firmato un protocollo generale d'intesa sulle collaborazioni tra l'amministrazione comunale e la direzione circondariale, perché sono molte le forme di collaborazione che abbiamo attivato". 111 donne alla Giudecca, anche 200 a S. Maria Maggiore. Gli Sportelli In-out fanno parte in realtà di un piano più esteso, quello di "Urban Italia - Apriamo i Muri", mirato alla riqualificazione urbana delle zone periferiche per un miglioramento delle condizioni di disequilibrio sociale, e attivato a Venezia in particolare per rivitalizzare il Quartiere 2 di Dorsoduro. Anche le carceri dunque sono state comprese nel piano: le esigenze si stanno ampliando visto l'afflusso e la continua rotazione dei detenuti, che a Venezia vengono ospitati anche in attesa di giudizio, e per il loro aumento, che negli ultimi mesi si è fatto più vistoso. I numeri sono citati dalla responsabile del servizio Autonomia per gli Adulti del Comune, Francesca Vingiani: "Al Carcere femminile le detenute sono 111, a S. Maria Maggiore siamo arrivati a oltre 200. In più il 70% sono immigrati, e portano con sé anche un afflusso di parenti e familiari che necessitano di un orientamento nei confronti dei servizi attivati nel territorio, e hanno varie necessità, come trovare un alloggio temporaneo in cui dormire, o venire a conoscenza anche solo delle modalità di visita ai loro congiunti. Anche a questo servirà dunque lo sportello Out collocato a S. Margherita". Gran Bretagna: condannato all'ergastolo 16enne accusato di stupro
Tg Com, 5 luglio 2005
È stato condannato all'ergastolo il ragazzo inglese di sedici anni processato a Londra per lo stupro della sua insegnante. L'episodio è avvenuto nel 2004 in una scuola al centro della capitale britannica. Il giovane, prima della violenza sessuale, aveva anche minacciato di uccidere la docente durante l'aggressione. Nel corso del processo il ragazzo inglese ha ammesso il suo crimine. La violenza è accaduta lo scorso settembre presso la Westminster City of School, un istituto scolastico esclusivamente maschile. Il ragazzo all'epoca del crimine aveva ancora 15 anni. La docente, di cui non è stata resa nota l'identità, ha 28 anni. Dopo il terribile stupro non è più riuscita ad insegnare. Ma al momento della sentenza si è detta contenta e pronta a riprendere il suo lavoro. Motivando la pena inflitta al giovane, il giudice Christopher Moss ha dichiarato rivolgendosi al ragazzo: "È stato un crimine veramente terribile. Hai sottoposto la tua vittima al terrore di un attacco fisico e di un'umiliazione sessuale nella sua stessa classe. Dove lei ha ammesso si considerava al sicuro. Hai violato il suo ambiente sicuro". Lo scorso marzo, un altro ragazzino britannico di 13 anni era stato condannato all'ergastolo per avere violentato un'insegnante nel nord-est dell'Inghilterra. Napoli: sul "tema sicurezza" cinque punti per l'intesa bipartisan
Il Mattino, 5 luglio 2005
Se i parlamentari campani di Cdl e Unione sapranno ritrovare l'intesa per varare un pacchetto - Napoli di norme anticrimine dipende da una precisa volontà politica che sicuramente sarà decifrabile meglio a partire da mercoledì, quando ci sarà il primo incontro durante la pausa dei lavori alla Camera. Di certo c'è che esistono, e sono stati già individuati, i punti sui quali un'intesa bipartisan possa maturare, per approdare in maniera efficace e rapida ad un testo unitario. Si ricorderà, qualche mese fa, dopo gli incontri in Parlamento e all'Hotel Majestic, il gruppo di parlamentari campani focalizzò alcuni ambiti precisi d'intervento. Erano tre: si intendeva puntare sulla durata della custodia cautelare, sul ripristino dell'arresto obbligatorio per alcuni reati e sulla maggiore severità in caso di recidiva. Su quest'ultimo punto nel corso degli ultimi mesi la riflessione è proseguita - almeno nell'opinione pubblica - nel tentativo di porre un argine sempre più fermo al fenomeno delle scarcerazioni facili. Magari anche arrivando ad eliminare la sospensione condizionale della pena, quando si è di fronte a delinquenti che per più di due volte sono stati condannati - anche nel caso in cui la condanna non sia definitiva - o arrestati in flagranza di reato. La riflessione si è allargata anche ad altri aspetti: per esempio su come rendere più adeguata ai tempi la normativa relativa al fermo amministrativo dei motorini, pur distinguendo tra infrazione al Codice della strada e reato penale, eppure facendo tesoro dell'esperienza che vede la stragrande maggioranza di alcune specie di reati collegata all'utilizzo illegale di ciclomotori. E poi ancora: c'è chi torna a proporre l'abbassamento dell'età imputabile da 14 a 12 anni. Fin qui le ipotesi di modifica sull'impianto giuridico del Codice penale. C'è poi un altro versante sul quale si lavorerà e riguarda il Codice di procedura penale. Occhio a quanto hanno già in serbo di proporre i Ds, con Vincenzo Siniscalchi. Tre gli obiettivi: anticipare l'incidente probatorio, garantendo sicurezza massima alle vittime e ai testimoni; ridurre l'eccesso di nullità processuali, che rappresentano una dilatazione eccessiva dei tempi del processo e secondo alcuni sono solo apparentemente diretti alla garanzia degli imputati; ripristinare l'istituto delle notifiche con i sistemi telematici, per restituire al pieno impiego sul territorio le forze dell'ordine e i vigili urbani a disposizione. Tutta materia sulla quale i parlamentari campani di Cdl e Unione potranno lavorare, se lo vorranno. E in questo senso, prima dell'incontro di mercoledì, avranno una loro importanza alcuni approfondimenti propedeutici. Nelle prossime ore Riccardo Villari intende promuovere un confronto nella Margherita su questi temi, grazie all'aiuto del responsabile Giustizia Giuseppe Fanfani. Domani pomeriggio, il confronto ci sarà in casa Ds nell'ufficio della presidenza della giunta per le autorizzazioni a procedere. Mentre il deputato e coordinatore regionale di An Marcello Taglialatela annuncia l'intenzione di incontrare il procuratore capo Giovandomenico Lepore: "Prima di mercoledì intendo incontrare il procuratore Lepore per ascoltare le proposte sul tema della lotta alla criminalità. Occorre garantire la certezza della pena ed assicurare l'ordine pubblico: per farlo è giunta l'ora della tolleranza zero per i criminali".
Villari: non sia una trappola come la Cirielli
Disponibile ma cauto sulla possibilità di rispolverare l'intesa bipartisan per un pacchetto anticrimine, il deputato della Margherita Riccardo Villari esprime qualche preoccupazione alla vigilia dell'incontro di mercoledì con i colleghi della Cdl. Teme che ci siano insidie? "Diciamo che non dimentichiamo quanto è successo l'altra volta". Allude alla ex-Cirielli? "Certo. La nostra disponibilità fu massima, la nostra intesa sembrava approdare in maniera credibile ad un risultato concreto. Poi i parlamentari della Cdl vennero a dirci che dovevamo votare quella legge, altrimenti non se ne sarebbe fatto più nulla". Ma adesso quel pericolo appare scongiurato. "Non direi. Perché se è vero che il centrodestra ha molti problemi al proprio interno, come testimonia l'ennesimo dissenso espresso da Bruno Tabacci, è altrettanto certo che la ex-Cirielli sta ancora vagando al Senato". Dunque, teme un altro tranello? "Diciamo che un rischio c'è, seppure devo dire che l'onorevole Taglialatela mi ha assicurato che stavolta le cose non andranno in quel modo". A suo avviso qual è il contenuto sul quale riprendere il percorso interrotto? "Nel merito per ora preferisco non intervenire: vorrei confrontarmi prima col responsabile Giustizia del mio partito Giuseppe Fanfani. Ma sul metodo possiamo dire qualcosa". Prego. "Innanzitutto, non dobbiamo pensare che quella che andiamo a realizzare sia una legislazione speciale per Napoli". Però è da questa realtà che si parte. "È evidente. Ma non dobbiamo pensare di fare un lavoro soltanto per Napoli. Un esempio: l'eventualità di aggiornare il sistema delle notifiche, avvalendosi di apporti telematici, e sgravando le forze dell'ordine da alcuni compiti mi sembra un risultato importante per tutto il Paese. Non solo per Napoli". C'è poi la questione relativa ad un giro di vite dopo il fermo amministrativo dei motorini. "È un altro campo sul quale si può intervenire, magari con l'istituzione di un patentino. Le proposte possono essere tante. Ma noi dell'Unione e i colleghi della Cdl dobbiamo subito identificare quei contenuti sui quali c'è la possibilità di un percorso condiviso. Una possibilità che nella Cirielli non c'era". La strada sarà quella del decreto-legge? "Qui andiamo troppo lontano. Preferirei parlarne a risultato raggiunto, quando magari l'intesa bipartisan avrà prodotto qualche frutto". Cassazione: i genitori possono aiutare un figlio latitante
Gazzetta del Sud, 5 luglio 2005
A mamma e papà non si può impedire di dare una mano ai propri figli, nemmeno quando sono ricercati e hanno la polizia alle costole. Per questo la Cassazione ha assolto una coppia di anziani coniugi lombardi che erano stati condannati dalla Corte di Appello di Milano - il tre marzo 2004 - a due mesi di reclusione, convertiti in una multa di 2324 euro ciascuno, per il reato di "procurata inosservanza di pena" (art. 390 cp). In primo grado - il 25 ottobre 2002 - erano già stati giudicati colpevoli dal Tribunale di Busto Arsizio. Pietro Z. e sua moglie Maria C. - questa la storia - erano stati processati per avere aperto la porta di casa al figlio Domenico, tossicodipendente, ricercato dalle forze dell'ordine perché doveva scontare una condanna, frutto del suo modo di vita totalmente dedito agli stupefacenti. Il ragazzo viveva abitualmente con i suoi genitori e aveva cercato rifugio nella casa paterna, dove aveva sempre vissuto, per scampare al carcere. Ma la polizia sapeva dove abitava, conosceva il dramma di quella famiglia, e - a colpo sicuro - andò a cercare Domenico in casa dei suoi. Interrogati dagli agenti, Pietro e Maria dissero di non sapere dove era il figlio. Questo comportamento gli è costato la condanna e non ha salvato Domenico dall'arresto: la polizia lo prese subito, trovandolo all'ultimo pianerottolo dell'abitazione di famiglia. Contro il verdetto della Corte di Appello, l'anziana coppia si è appellata alla Cassazione sostenendo l'innocenza e la coerenza del proprio comportamento in quanto - nonostante tutte le pene che avevano passato - accoglievano sempre Domenico in casa, come hanno fatto fino alla sua morte, avvenuta di recente per droga. E la Suprema Corte - anche se con il parere contrario espresso dalla Procura del "Palazzaccio" - ha accolto il ricorso dei due anziani affermando che non si possono penalizzare "i rapporti interpersonali leciti o quelli posti in essere per umana pietà". Aggiungono gli "ermellini" che "la pura e semplice negazione, da parte dei genitori, di sapere se il figlio fosse all'interno dell'abitazione e dove si trovasse, rappresenta una forma di "non collaborazione" con le forze dell'ordine, ma non integra gli estremi dell'atto di "aiuto" prestato al ricercato". Genova: le lettere dal carcere diventano teatro
Secolo XIX, 5 luglio 2005
Sussurri che diventano racconti. Voci dal carcere che si fanno temi scolastici prima, testi teatrali poi. Sarà un'occasione speciale quella di oggi per 80 detenuti (o ex detenuti) del penitenziario di Marassi. Alle 15.30 si terrà alle "Case rosse" un incontro di fine anno scolastico tra docenti e allievi dei corsi tenuti dalla scuola media statale "Cambiaso" all'interno del carcere. Nell'occasione un gruppo di attori del Teatro dell'Ortica leggerà gli elaborati prodotti durante l'anno dai corsisti - un'ottantina, appunto - molti dei quali stranieri, in alcuni casi alle prese con le prime lezioni di alfabetizzazione linguistica: lo spettacolo si intitola Racconti di "dentro", storie di vita, di viaggio, di esperienza carceraria che testimoniano la grande difficoltà di comunicare, ma anche la ricchezza umana dei protagonisti. Racconti di "dentro", nelle intenzioni dei promotori, sarà portato nei prossimi mesi anche all'esterno delle mura di Marassi. Perché diventi un messaggio per tutti. Per conoscere il travaglio quotidiano di chi ha fatto scelte a volte sbagliate, ma che vale la pena di essere scoperte. E raccontate. Giustizia: reato punibile col carcere non spostare auto in doppia fila
Gazzetta del Sud, 5 luglio 2005
Contro il bullismo degli automobilisti dediti alla sosta selvaggia e alla prepotenza, la Cassazione usa le maniere forti confermando la condanna a quindici giorni di reclusione, per il reato di violenza privata, nei confronti di Luigi C., un automobilista romano, quarantenne, che aveva posteggiato la sua vettura dietro quella di Michele C., e si era rifiutato di spostarla per farlo uscire. La Corte di Appello - inizialmente - aveva assolto il guidatore prepotente ma, in seguito, la stessa Cassazione aveva annullato quel verdetto. Così la vicenda era tornata in appello e, stavolta - nel febbraio 2004 - i giudici di merito erano stati più severi comminando a Luigi quindici giorni di carcere. Invano contro la condanna, l'automobilista bullo ha reclamato a Piazza Cavour. Gli "ermellini" - con la sentenza 24614 - hanno dichiarato "manifestamente infondato" il suo ricorso, in quanto il reato di violenza privata è "integrato da ogni condotta idonea a costituire una coazione della parte offesa". Nel caso in questione la violenza perseguita - ha detto la Cassazione - è stata realizzata "sia dalla condotta attiva, costituita dall'avere parcheggiato la propria autovettura in modo da bloccare quella della parte offesa e nel rifiuto all'invito a spostarla", sia "nella coazione subita da Michele C., costretto a un comportamento non liberamente voluto". Ossia "restare fermo", bloccato dall'auto di Luigi. Ora l'automobilista prepotente deve anche pagare le spese processuali, e cinquecento euro alla Cassa delle ammende. Immigrazione: Livia Turco; chiudere i Cpt è una politica minimalista
Secolo XIX, 5 luglio 2005
Il problema non è chiudere i Cpt. Il problema è rottamare la Bossi-Fini. Rottamare le vergognose norme sull'espulsione, perché sono queste a ledere i diritti degli immigrati, non certo i Centri di permanenza temporanea. È bastato pronunciare la sigla, Cpt (Centri di permanenza temporanea), per fare scattare i nervi dell'onorevole Livia Turco, responsabile del Welfare per i Ds, ieri a Genova per partecipare al convegno "Dieci anni per l'infanzia e l'adolescenza", organizzato dal Comune di Genova nel salone di rappresentanza di Palazzo Tursi. Autrice, insieme a Giorgio Napolitano, della legge che nel 1998 istituì i Centri di permanenza temporanea, alla polemica che in questi giorni vede 12 Regioni, tra cui la Liguria, mettere in discussione i Cpt e chiederne la chiusura, la Turco non ci sta. "Sui Cpt ho scritto un libro - spiega l'ex ministro - e sono pronta a discuterne. Ma è una politica minimalista, quella che adotta la chiusura dei Centri come parola d'ordine. I problemi sono altri". Il governatore della Puglia di Rifondazione comunista, Nichi Vendola, la pensa diversamente. E con lui altri 11 presidenti di Regione, tra cui il ligure Claudio Burlando, ne parleranno l'11 luglio al forum interregionale di Bari. Vendola, prima ha bollato i Cpt come "lager", vedendosi rispondere da Napolitano che pensare di chiuderli è da irresponsabili. Poi è tornato sul tema, sostenendo che in queste strutture vengono lesi diritti che altrove sono garantiti anche ai detenuti. Il botta e risposta si è consumato sulle pagine del Corriere della Sera, mentre in città il prefetto Giuseppe Romano annunciava di avere individuato l'area sulla quale costruire il Cpt ligure. Ieri, da Genova, Livia Turco, ha tuonato: "Ricordiamoci che quella sull'immigrazione è una politica della sinistra. Non sono i nostri Centri di permanenza temporanea a non funzionare, ma la vergognosa politica portata avanti da questo governo". Tant'è. Burlando è tra i firmatari del documento redatto per archiviare l'esperienza Cpt. Il governatore ligure chiede la modifica della Bossi-Fini, "che ha fallito l'obiettivo", ma al tempo stesso boccia i Centri di permanenza temporanea come "luoghi di detenzione, in molti casi in condizioni di grave degrado civile e umano". Mentre il sindaco, Giuseppe Pericu, si astiene da ogni commento - indiscrezioni dicono che nemmeno a lui piacciono i Cpt, pur non trovando giusto discutere una legge nazionale a livello locale - il consigliere provinciale azzurro Roberto Bagnasco sostiene che i Centri di permanenza temporanea, istituiti dalla legge Turco-Napolitano e ripresi dalla Bossi-Fini, rappresentino "una risposta concreta alle esigenze di sicurezza del territorio nel rispetto dei diritti della persona umana". La segreteria ligure di Forza Italia conferma il sostegno ai Cpt e invita "le forze di centro sinistra a un confronto al di fuori di pregiudiziali ideologiche". Oristano: detenuto da fuoco alla cella, condannato a 8 mesi
L'Unione Sarda, 5 luglio 2005
Voleva essere trasferito dal carcere oristanese e aveva tentato di convincere tre agenti di polizia penitenziaria. Con modi quanto meno irrituali. Diego Masala, detenuto in piazza Manno, li aveva minacciati e subito dopo aveva appiccato fuoco nella sua cella. Per questo episodio è stato condannato a otto mesi di reclusione. Così ha stabilito ieri mattina il giudice monocratico del Tribunale Antonio Enna, al termine del processo che si è svolto con il rito abbreviato. L'episodio contestato dall'accusa (rappresentata in aula dal pubblico ministero Serena Contini) risale al 2 ottobre scorso, quando Masala chiedeva insistentemente il trasferimento in un altro carcere. Aveva minacciato di ferirsi con una lametta e poi aveva fatto partire il fuoco nella sua cella, per fortuna subito spento. Ieri la vicenda è arrivata in tribunale; attraverso il suo difensore, l'avvocato Vignes, l'imputato ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato, è stato poi condannato a otto mesi di reclusione. Parma: Provincia e Uisp sostengono lo sport in carcere
Romagna Oggi, 5 luglio 2005
Usare lo sport all'interno del carcere come strumento per agevolare dinamiche relazionali positive, l'aggregazione e l'incontro tra detenuti e operatori. Questo l'obiettivo del progetto "Sport e diritti Sociali. Corpo e movimento all'interno delle diverse realtà e delle diverse abilità" realizzato dall'Uisp e rivolto ai detenuti degli Istituti Penitenziari di Parma che la Provincia sosterrà con un apposito contributo. Il progetto è articolato in due momenti diversi, uno per il settore penale e uno per quello circondariale. In particolare, per il settore penale è previsto un corso di conoscenza della pesistica e della cultura fisica, da svolgersi nella palestra attrezzata della sezione, affinché apprendano il modo adeguato di lavorare con i carichi. Per il settore circondariale, invece, sono previste lezioni di ginnastica generale con carichi naturali allo scopo di insegnare loro il modo corretto di "fare ginnastica" . I due moduli sono composti ognuno da 20 lezioni di due ore. All'assessorato provinciale Politiche sociali e sanitarie spetterà, il coordinamento e il controllo del progetto: " La Provincia ha un'attenzione particolare per il carcere e per la vita di quelli che ci vivono quotidianamente - spiega l'assessore provinciale Tiziana Mozzoni. - l'obiettivo rieducativo della pena, sancito dalla nostra Costituzione, ha bisogno dell'impegno, dello sforzo di tutti. Anche lo sport, con iniziative come queste, può contribuire a realizzarlo". "L'obiettivo - prosegue l'assessore allo sport Emanuele Conte - è quello di fornire strumenti che possono aiutare a migliorare la condizione di segregazione. Lo sport in questo senso può essere un mezzo straordinario. Proprio in questi giorni nel carcere di Parma inizia all'interno di ciascuna sezione un corso arbitri, organizzato anch'esso con la stessa finalità". Per garantire la buona riuscita dell'iniziativa l'Uisp metterà in campo le sue competenze organizzative, tecniche e di strumentazione. Alghero: detenuti raddoppiati in 7 anni, diminuiti gli agenti
Redattore Sociale, 5 luglio 2005
Se paragonato al carcere di Sassari, quello di Alghero è ancora un istituto di pena "modello", benché il numero dei detenuti rispetto al 1998 sia raddoppiato. La metà sono stranieri, in particolare nordafricani. Gli agenti di custodia, invece, sono diminuiti e i sindacati lamentano che l'anno scorso non è stato possibile godere le ferie, i riposi sono in arretrato e non è mai stata diramata una circolare sulla gestione organizzativa del lavoro. Le guardie sono diminuite di 20 unità. Gli ultimi cinque andati in pensione negli ultimi cinque mesi non sono stati sostituiti. "Abbiamo presentato il problema in tutte le sedi", ha spiegato il direttore Francesco Giganti, lamentando "una leggera carenza di personale", in occasione della visita della Commissione Diritti civili del Consiglio regionale, presieduta da Paolo Pisu, "ma non ci hanno mai risposto. Abbiamo chiesto almeno 20 unità e un paio di poliziotte per i colloqui". Nel carcere sono stati avviati attività manuali e corsi di formazione, ma il ministero vorrebbe ridurle. Le celle ampie, i servizi in uno stanzino a parte dotato di doccia, sono più adeguate di quelle del carcere sassarese. Intanto, il Sinape, il sindacato di categoria protesta per il fatto che un poliziotto debba svolgere nel contempo il lavoro in due sezioni, anche di piani diversi. I colloqui fra detenuti e familiari sono possibili solo perché gli agenti accettano di fare straordinario. Si segnalano anche episodi di autolesionismo: due tentativi di suicidio di recente nell'arco di una settimana, sventati per un soffio, ma classificati come "atti dimostrativi". Catania: denuncia della Uil, a Piazza Lanza condotta antisindacale
La Sicilia, 5 luglio 2005
"Una incredibile e incresciosa situazione". Parola di Armando Algozzino, segretario nazionale della Uil Pubblica amministrazione (Coordinamento nazionale penitenziari) sul clima che - a suo dire - si respirerebbe all'interno del carcere catanese di piazza Lanza. In una lettera trasmessa al capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra (ma anche a una lunga serie di interlocutori istituzionali a tutti i livelli), il segretario della Uil stigmatizza che "nonostante gli impegni assunti dal capo del Dipartimento nella sede di Roma e dal provveditore regionale presso l'istituto di Catania, il comandante di reparto continua, noncurante, a mantenere comportamenti palesemente antisindacali nei confronti dei rappresentanti sindacali e lesivi dei diritti del personale". A corredo di queste accuse, la Uil Pa "sfodera" tre casi concreti. Il primo è un rapporto disciplinare redatto dal comandante di reparto e dal responsabile dell'ufficio Servizi "non per una specifica infrazione commessa durante lo svolgimento del servizio". Il secondo è una relazione di servizio di un sovrintendente capo che "si sente offeso dal comandante durante una conferenza di servizio". Il terzo riguarda la mancanza di provvedimenti a seguito di una "grave querela" presentata da un agente scelto. Ma il segretario Algozzino ricorda "la disorganizzazione dei servizi d'Istituto e le carenze organizzative dei servizi del Ntp con una mancanza di equa distribuzione di riposi, festivi e rotazione di turni e posti di servizio, il mancato rispetto dell'Accordo quadro nazionale con unità a cui vengono programmate sette notti mensili, unità a cui vengono assegnati sempre gli stessi turni negli stessi giorni, unità che svolgono perennemente il servizio di sentinella senza ruotare nei posti di servizio e unità che svolgono invece sempre lo stesso posto di servizio". Un'altra segnalazione riguarda infine "l'esclusione del personale femminile da qualsiasi interpello per carenza di organico a disposizione però non valida per tutte le unità, la rimozione di un dipendente vincitore interpello del posto di servizio (cucina detenuti) solo per essere stato per alcuni giorni ammalato". Modena: quando i detenuti lavorano per l'ambiente...
Sesto Potere, 5 luglio 2005
Anche i detenuti possono contribuire a salvaguardare l'ambiente e a migliorare la qualità dei servizi nelle aree protette. È questo il filo conduttore del progetto che vedrà un primo gruppo di detenuti della Casa circondariale di Sant'Anna di Modena eseguire, da mercoledì 6 luglio, una serie di interventi di pulizia e ripristino dei sentieri del Parco del Frignano. Con lo stesso obiettivo anche il Comune di Spilamberto e il Consorzio di bonifica di Burana hanno siglato di recente con i responsabili del carcere di Sant'Anna, analoghi accordi per l'impiego dei detenuti in interventi di tutela ambientale e sul verde. Tutte queste iniziative sono promosse e finanziate dalla Provincia di Modena allo scopo di favorire il coinvolgimento dei detenuti in attività di salvaguardia della natura. "Si tratta di un'esperienza avviata positivamente lo scorso anno - afferma Alberto Caldana, assessore provinciale all'Ambiente - che intendiamo proseguire. Siamo i primi in regione e tra i primi a livello nazionale ad avviare iniziative che vedono il coinvolgimento di detenuti in interventi di recupero ambientale. Questo tipo di attività può favorire il reinserimento della popolazione carceraria coinvolgendola in progetti di pubblica utilità". Il lavoro al Parco sarà svolto gratuitamente da un primo gruppo di sei detenuti (altri dieci si aggiungeranno a settembre) scelti tra quelli con un residuo di pena non superiore ai tre anni e che possono usufruire di permessi premio. I detenuti eseguiranno interventi di sistemazione, taglio dell'erba e pulizia dai rifiuti lungo i sentieri. Detenuti e operatori della Polizia penitenziaria saranno ospitati in locali messi a disposizione dal Parco. Come sottolinea Paolo Madonna, direttore della casa circondariale di S. Anna a Modena "i detenuti rappresentano un soggetto attivo che può fornire un servizio a favore della collettività; essendo parte integrante del tessuto sociale devono diventare sempre di più una risorsa per l'intera comunità locale". Oltre agli interventi nel Parco del Frignano, a partire da questa estate gruppi di detenuti eseguiranno interventi di recupero ambientale lungo i canali del Consorzio di bonifica di Burana e nella zona di Spilamberto (in particolare lungo il Percorso natura del Panaro) sulla base di accordi siglati di recente con il Consorzio e con il Comune di Spilamberto. Verona: liberi i due operatori sociali dei campi nomadi
L'Arena di Verona, 5 luglio 2005
Sono liberi i due operatori del progetto d'integrazione dei rom arrestati per concussione perché accusati di avere preso soldi dai nomadi per favorire il loro accesso nei due campi veronesi. Dopo le spiegazioni fornite ieri mattina durante gli interrogatori, Mauro Anselmi, vicepresidente della Comunità dei giovani, e Maurizio Chiappa del Don Calabria hanno lasciato i domiciliari. È stato lo stesso giudice per le indagini preliminari Enrico Sandrini, che aveva disposto la misura per loro giovedì scorso, a decidere che non c'era la necessità che restassero in stato di detenzione. E così ha revocato le ordinanza di custodia cautelare anche perché ha preso atto che i due operatori si erano dimessi dai rispettivi incarichi di coordinatori dei campi nomadi di Boscomantico e alla Monsuà e pertanto è decaduto l'eventuale rischio che possano reiterare il reato, qualora l'avessero commesso. Il primo ad essere interrogato nell'ufficio del giudice Sandrini è stato Chiappa. Difeso dall'avvocato Stefano Aceto, ha fornito una serie di elementi soprattutto per spiegare il significato di alcune intercettazioni telefoniche. Non esiste alcuna conversazione nella quale lui o Anselmi hanno fatto esplicita richiesta di soldi ai rom. Ci sono invece discorsi tra alcuni nomadi che hanno attirato l'attenzione del sostituto procuratore Paolo Sachar e per le quali il magistrato ha chiesto e ottenuto gli arresti domiciliari per i due operatori. Chiappa era accusato anche di avere fatto entrare clandestinamente, attraverso il confine a Tarvisio, uno straniero di nome Sebastiano, caricato su un furgone con il quale era andato a prendere alcuni rom con i documenti in regola per entrare in Italia. Ma quella persona è italiana e non avrebbe avuto bisogno di aggirare i controlli. È un particolare che è stato spiegato ieri anche al giudice e il ragazzo in questione lavora al Don Calabria. Quando è stata intercettata la conversazione al telefono, frasi che possono prestarsi a varie interpretazioni, Sebastiano stava guidando, ma il suo telefonino in quel momento ha iniziato a squillare. Per questo, secondo la difesa, all'interno del furgone gli viene detto di stare attento perché c'è la polizia: altrimenti avrebbe rischiato una multa. Per quanto riguarda invece il suo ingresso in Italia a piedi dopo essere stato lasciato alla frontiera, è un equivoco, sempre secondo la difesa, nato dal fatto che durante la telefonata intercettata stavano scherzando con l'interlocutore. Dopo Chiappa, ha parlato Anselmi, difeso dall'avvocato Mauro Ferrari. Anche lui ha spiegato la sua posizione al giudice Sandrini e ha aggiunto alcuni particolari sull'origine dell'indagine sui presunti pedofili che abusavano di minori rom, un filone d'inchiesta che non ha nulla a che fare con le ipotesi di reato contestate agli indagati della Comunità dei giovani e del Don Calabria. Alla fine dell'estate del 2004, gli operatori si erano accorti che c'era un anziano che accompagnava un ragazzino al campo. Così, avevano allertato i vigili urbani, chiedendo di fare controlli approfonditi. Per aiutarli, sempre secondo la versione di Anselmi, avevano trascritto il numero di targa e lo avevano comunicato alla polizia municipale. Il giudice Sandrini ha deciso di rimettere in libertà i due operatori senza applicare alcuna misura di prevenzione. Ha anche disposto che il sostituto procuratore faccia un supplemento d'indagine per verificare se alcune informazioni fornite ieri mattina dalle difese corrispondono alla verità. Gli accertamenti saranno eseguiti quanto prima perché la legge prevede che l'accusa prenda in esame tutti gli indizi, compresi quelli a discolpa delle persone sotto inchiesta. Ieri sono stati interrogati anche due indagati accusati di avere abusato dei minori nomadi. Sono Costantino Coatto, 78 anni, di Pescantina, insegnante in pensione, e Franco Castrovinci, 73 anni, di Verona. Il giudice aveva disposto per loro gli arresti domiciliari perché le loro età non sono compatibili con la detenzione in carcere. Sappe: nel Dpef Governo preveda investimenti per sistema carcerario
Comunicato stampa, 5 luglio 2005
"Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria si aspettano molto da questo Dpef L'intero sistema penitenziario nazionale ha bisogno di investimenti certi e sicuri per fronteggiare quella che è una vera e propria emergenza, non più di dichiarazioni di intenti che poi non producono effetti concreti. Vedremo quale sarà in concreto il senso di responsabilità del Governo su questi argomenti". A dichiararlo è il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Donato Capece, a commento della convocazione delle rappresentanze sindacali del Comparto Sicurezza a Palazzo Chigi venerdì 8 luglio prossimo per l'illustrazione del Documento. "Il Sappe Sinappe e Fsa, i Sindacati più rappresentativi della Polizia Penitenziaria con oltre il 50% di iscritti, hanno già presentato un documento congiunto ai Ministri Siniscalco (Economia e Finanze), Baccini (Funzione Pubblica) e Castelli (Giustizia)in cui si rappresentano le gravi e pressanti problematiche del Corpo e dell'intero sistema penitenziario in generale, che non possono e non debbono essere disattese dal Dpef e dalle successive leggi finanziarie" prosegue Capece. "In primo luogo e con priorità assoluta, deve essere fronteggiata la gravissima carenza di organico del Corpo di Polizia Penitenziaria (ormai in quasi tutti gli istituti penitenziari si riesce a garantire il "riposo mensile" al posto di quello settimanale previsto per tutti i lavoratori e, per le ferie estive, non si riesce a concedere più di una settimana consecutiva). Nella stessa esigenza di incremento organico va inserita la necessità di mantenere in servizio circa 500 agenti ausiliari che, altrimenti, verrebbero licenziati per effetto della legge che ha soppresso il servizio militare di leva, con grave pregiudizio degli interessati (che si troveranno senza lavoro) e dell'Amministrazione (che si troverà depauperata di ulteriori 500 unità in servizio). Per di più il mantenimento in servizio dei 500 agenti ausiliari è indispensabile per garantire la sorveglianza e la vigilanza armata perimetrale degli istituti e andrebbe a sanare l'ingiustificata esclusione della polizia penitenziaria da un recentissimo provvedimento legislativo dagli analoghi contenuti per tutte le altre Forze di polizia." "In secondo luogo" prosegue Capece "occorre procedere all'incremento economico sul contratto per le Forze di polizia, dal momento che è stata stanziata una somma inferiore al 5,01% stabilita contrattualmente per il personale del Pubblico impiego. Si rammenta che una clausola di salvaguardia in tal senso è stata espressamente inclusa all'interno dell'articolato inerente al biennio economico 2004\2005. Vi è poi l'urgente recupero dei fondi (5.000.000,00 di euro) per l'efficienza dei servizi istituzionali, a suo tempo sottratti al Corpo per sopperire alle spese di vigilanza dei detenuti in regime di 41\bis. Il provvedimento è stato una penalizzazione del tutto ingiustificata." "In quarto luogo, è pure necessario il reperimento di fondi per ottemperare a quanto stabilito dall'A.Q.N. del 24 marzo 2004 in materia di edilizia penitenziaria per la ristrutturazione di caserme e degli alloggi del personale e per la realizzazione e l'attrezzatura di impianti tecnologici. Da ultimo, il Dpef non dovrà disattendere le decennali aspettative in tema di riordino delle carriere, questione sulla quale esistono numerosi disegni di legge, già in Parlamento e unificati in Commissione, che attendono una adeguata copertura finanziaria", conclude Capece che sottolinea: "È finito il tempo delle promesse: vogliamo fatti, non parole". Parma: interrogazione parlamentare su ricovero detenuti in ortopedia
Romagna Oggi, 5 luglio 2005
L'assessore alla sanità Giovanni Bissoni ha risposto ad un'interrogazione di Luigi Giuseppe Villani (Fi), che criticava il trasferimento, della mini-sezione utilizzata per il ricovero dei detenuti del carcere di Parma, nello stabile adibito alle ortopedie. La sezione detentiva in questione è stata trasferita perché aveva sede presso il Padiglione Braga, in un'unità operativa destinata ad essere a sua volta trasferita, ha spiegato l'assessore; la nuova sede di tale sezione (che conta tre posti letto) è stata individuata - ha aggiunto - nel padiglione Osteoarticolare che, per la sua collocazione al secondo piano dell'edifico, risponde alle esigenze strutturali e di sicurezza che la sezione detentiva necessariamente richiede. Bissoni ha poi precisato che, nel corso di un primo incontro con il preside della facoltà di medicina, i Direttori del dipartimento Osteoarticolare e del servizio infermieristico, (e di altri successivi, finalizzati a valutare le implicazioni organizzative della nuova collocazione) si è preso atto, fra l'altro, della necessità di collocare la sezione detentiva in modo tale da garantirne il più possibile la separazione dai posti letto dedicati a pazienti ortopedici. L'assessore ha poi rilevato che la nuova sede consente oggi il trattamento e la cura dei pazienti detenuti all'interno di uno stesso stabile, garantendo una maggiore sicurezza ed ha riferito che recentemente si sono meglio definite le norme comportamentali e organizzative per il personale assistenziale. In ogni caso, ha aggiunto Bissoni, l'Azienda, dopo un adeguato periodo di osservazione del modello organizzativo attuato, si è riservata di valutare eventuali ulteriori ipotesi organizzative di miglioramento. Infine l'assessore, in merito all'informazione nei confronti del personale infermieristico, ha fatto presente che il 26 maggio scorso è stata svolta un'informazione preventiva al personale, e l'illustrazione dei relativi protocolli, come previsto dagli accordi definiti con la Direzione degli Istituti penitenziari, che fissavano anche al 1° giugno la data dalla quale effettuare i primi ricoveri. Insoddisfatto Villani per una risposta che, ha detto, come ha specificato l'assessore stesso, si basa su elementi forniti dalla Direzione generale dell'Azienda, che ha quindi cercato di mettere "pezze giustificative" a comportamenti scorretti. Le risposte che mi aspettavo erano diverse, ha continuato il consigliere, lamentando in particolare che non sia stata data risposta ad un suo quesito fondamentale, riguardante il fatto che una struttura semplice di medicina generale sia stata collocata in una struttura complessa di ortopedia, senza avere informato e adeguatamente istruito il personale infermieristico. Taranto: detenuto malato di Aids si ferisce in aula: "mi fanno morire"
Ansa, 5 luglio 2005
Urlando "mi stanno facendo morire in galera", un detenuto di 41 anni, di Taranto, malato di Aids conclamato, si è ferito oggi in aula colpendosi con le manette alla testa mentre era in corso un processo per evasione. È avvenuto nell'aula E del tribunale di Taranto al primo piano del palazzo di giustizia. Il detenuto è stato portato via in barella e condotto in ospedale: le sue condizioni non sono gravi. L'imputato era seduto dinanzi al giudice monocratico Genantonio Chiarelli ed era attorniato dagli agenti di polizia penitenziaria. Il detenuto teneva la testa reclinata in avanti: per questo, il giudice lo ha invitato ad alzare la testa e a prestare più attenzione al processo. L'imputato, reagendo all'invito del giudice, ha dapprima pronunciato la frase "mi stanno facendo morire in galera" e poi con le manette che aveva ai polsi si è dato un colpo alla testa lacerandosi la fronte; poi si è buttato all'indietro battendo anche la testa sul pavimento. L'udienza è stata sospesa: dopo pochi minuti in aula è giunto il personale del 118. Dopo circa 15 minuti, il detenuto è stato portato via in barella e condotto in ospedale. Giustizia: Osapp alla Cgil; non esistono le "squadrette" di agenti...
Ansa, 5 luglio 2005
"Gli agenti di polizia penitenziaria sono vittime e non "sicari" della violenza perpetrata nelle carceri" perché "da anni vivono in primissima persona il sovraffollamento, la fatiscenza delle infrastrutture la scarsissima vivibilità lavorativa, l'assenza di legalità e trasparenza nella gestione delle risorse". Così l'Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) replica a Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale del settore polizia penitenziaria della Cgil che, nell'inchiesta sulle carceri pubblicata oggi da "La Repubblica", ha parlato di pestaggi da parte di "squadrette" all'interno degli istituti penitenziari. L'Osapp - in una nota - rifiuta come "strumentali, fuorvianti e datati i tentativi di criminalizzare gli appartenenti alla polizia penitenziaria", e sottolinea che, a fronte dei 60.000 detenuti, negli istituti di pena italiani ci sono 44.000 poliziotti che subiscono le aggressioni come un mero "rischio professionale", salvano le vite di migliaia di detenuti che ogni anno tentano il suicidio e trasmettono alle autorità giudiziarie una "massa di informazioni" che consentono di prevenire crimini e atti illeciti. "È grave - afferma il segretario generale dell'Osapp, Leo Beneduci - che sia un sindacato come la Cgil ad affermare che le "squadrette" esistono e agiscono indisturbate nel carcere". Giustizia: Cgil ad Osapp; mai parlato delle "squadrette" di agenti...
Ansa, 5 luglio 2005
"L'Osapp deve imparare a leggere i giornali, non ho mai dichiarato che esistono strutturate "squadrette" all'interno del corpo di Polizia penitenziaria, il virgolettato della "Repubblica" che riprende la mia affermazione si riferisce alle denunce, mentre "squadrette" è un termine utilizzato dall'articolista". Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale della Cgil Funzione Pubblica, con queste parole replica all'Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria. "La Cgil Fp ha una storia e una tradizione molto forti e radicate nel mondo penitenziario - ha aggiunto Rossetti - ed è grazie alla sua battaglia di democratizzazione del corpo di Polizia Penitenziaria che oggi il segretario generale dell'Osapp può permettersi di dichiarare qualcosa". Francia: baby-criminale da record, 14 anni e 102 reati commessi
Ansa, 5 luglio 2005
Sarebbe sicuramente nella hit parade dei delinquenti recidivi in Francia. Forse è anche a lui che pensa il ministro dell'interno Nicolas Sarkozy quando chiede pene appesantite per chi ha già commesso reati. Si tratta di un ragazzino di 14 anni, di una città del sud della Francia, che ha già al suo attivo 102 reati; il sindaco di Tarbes, Gerard Tremege, dice rassegnato a Le Figaro che assieme ad altri setto-otto ragazzini della sua età terrorizza tutti, mentre poliziotti e giudici sembrano anche loro bloccati da questa piccola furia alta 140 centimetri. Affidato di fatto alle cure di una nonna che non cessa di scusarlo per tutto quello che combina, il ragazzo, di cui non è stato reso noto il nome, ha cominciato la sua "carriera" a nove anni. Già da prima era turbolento ma dai nove anni ha cominciato a rubare, rapinare, estorcere, incendiare. Da solo rappresenta, in certi mesi, il 10% della delinquenza di strada della sua cittadina; da quattro anni non va più a scuola e nonostante gli sforzi dell'assistenza sociale con gli anni cresce anche la sua capacità di delinquere. Fino all'età di 13 anni non poteva essere incarcerato. Allontanato dalla cittadina, è scappato da un centro dove era stato rinchiuso. Per percorrere i 250 chilometri che lo separavano da Tarbes ha rubato un camioncino e lo ha guidato, riuscendo appena a raggiungere i pedali. Per uno psicologo marsigliese, sentito da Le Figaro, si tratta di un caso limite per il numero dei reati compiuti, ma non per il profilo. Non sono pochi i giovani e giovanissimi che hanno a che fare molto spesso con la polizia e la giustizia, dando scacco all'intero sistema giudiziario, sanitario, scolastico. E sono sempre più questi ragazzi che cercano di confrontarsi con il mondo forzando al limite le regole. Il numero dei giovani sotto i 18 anni chiamati a rispondere per attacchi contro l'integrità fisica di altre persone è aumentato del 55% tra il 1996 ed il 2003, secondo l'osservatorio nazionale della delinquenza. Per questo tipo di reato i minorenni rappresentano il 20% mentre in quella fascia di età le violenze gratuite sono cresciute dell'84%, del 68% gli attacchi con ferite o colpi e della stessa cifra le violenze sessuali. Nelle minacce per estorsione i minorenni rappresentano il 50%. Queste cifre con consolano di certo il sindaco di Tabres, che si trova di fronte a forme di rassegnazione da parte degli organi di assistenza ai minori. Il passaggio dai centri di educazione alla prigione, consentita per chi ha dai 14 anni in su, sembra sia stato vissuto dal piccolo delinquente come una sorta di iniziazione, e come tale l'hanno festeggiata i suoi compagni di banda. Ma la preoccupazione maggiore delle forze di polizia è che la violenza sembra allargarsi in modo quasi incontrollabile non tanto nella piccola Tabres quanto nelle periferie delle grandi città. Ed è per questo che, sostiene il sindaco, occorre riflettere senza tabù a soluzioni più adatte. E forse spera che Sarkozy alla fine ce la faccia. Volontariato: soppresso art. 26 competitività, vittoria associazioni
Redattore Sociale, 5 luglio 2005
Esulta il mondo dell'associazionismo dopo che questa mattina la Camera dei Deputati ha votato a maggioranza (344 voti favorevoli) l'emendamento soppressivo dell'art. 26. del disegno di legge sulla competitività. Gli stessi relatori del Ddl 5736, per voce del Deputato Guido Crosetto, Relatore per la V Commissione, avevano espresso, in apertura di seduta, il parere favorevole allo stralcio dell'articolo in questione, attraverso l'approvazione degli identici emendamenti soppressivi degli onorevoli Bindi (Margherita) e Lucà (Ds). La scelta del Governo di utilizzare il Decreto per andare a modificare un articolo della Legge quadro sul volontariato - quello relativo al finanziamento dei Centri di servizio per il volontariato - aveva immediatamente suscitato la reazione del mondo del volontariato e dato il via ad una serie di proteste e azioni di mobilitazione. La modifica pensata dall'esecutivo nazionale toccava in particolare l'art. 15 delle 266 e prevedeva che la metà dei fondi regionali di accantonamento per i Csv fosse destinata ai Comitati di Gestione, che avrebbero potuto utilizzarli per erogare fondi alle organizzazioni ma anche per finanziare progetti di servizio civile volontario o per far fronte ai costi di gestione dei Comitati stessi. Una scelta che faceva paventare ai Csv una decurtazione netta delle risorse a disposizione; criticata anche nel metodo, poiché non concordata né discussa con le associazioni stesse. Comprensibili quindi le reazioni di soddisfazione seguite al voto di stamani. "CSV.net ringrazia prima di tutto il mondo del Volontariato che in questi mesi ha con forte decisione chiesto che i Centri di Servizio continuassero ad essere un prezioso strumento di sviluppo. - commenta in una nota il Coordinamento dei Centri di servizio per il volontariato - Grazie anche ai numerosi parlamentari di maggioranza e opposizione che hanno compreso le ragioni del Volontariato e scelto di impedire che si cambiasse la legge del volontariato fuori dalla sua naturale sede e senza la collaborazione del volontariato stesso. Ciò che CSV.net auspica adesso è il raggiungimento di una vera riforma del volontariato, da realizzarsi attraverso il dialogo continuo con le istituzioni e le Fondazioni bancarie". "I segnali positivi di questi giorni pervenuti dalle Fondazioni e gli incontri già in calendario - conclude - ci fanno sperare che con la volontà e il senso di responsabilità di tutti si possano mettere a frutto le significative risorse economiche delle Fondazioni e il tempo e la competenza del Volontariato per il bene comune: sarebbe una grande vittoria di sussidiarietà e solidarietà". "È stata così ascoltata la voce e le ragioni del volontariato italiano che in questi mesi attraverso l'iniziativa e la mobilitazione di migliaia di associazioni nazionali e locali ha chiesto unitariamente e con forza lo stralcio dell'art. 26 (già 17 ed ex 18) del disegno di legge n. 5736 - Competitività che toglieva alla gestione del volontariato stesso un ulteriore 50% delle risorse accantonate per legge per i Centri di Servizio per il volontariato. - commentano i portavoce del Forum del Terzo Settore - Non abbiamo mai smesso di credere che le nostre ragioni sarebbero state accolte dalle Istituzioni democratiche. Diciamo grazie ai Parlamentari che hanno accolto e sostenuto queste ragioni. Diamo atto al Governo di non avere ulteriormente insistito per imporre questa norma ingiusta. La soppressione di questo articolo facilita ora l'avvio dell'esame complessivo delle modifiche da apportare alla legge 266/91 secondo quanto chiesto da tutte le espressioni del volontariato italiano". "Crea anche - ha aggiunto Luigi Bulleri coordinatore della Consulta Nazionale del volontariato - migliori condizioni per un accordo e per una collaborazione fra volontariato e fondazioni bancarie positiva per tutta la comunità nazionale". "Fortunatamente sono state ascoltate le nostre critiche e la vittoria di oggi dimostra quanto fossero motivate - è il commento di Legambiente - "Per mesi il mondo del volontariato ha fatto sentire forte la sua voce contro il taglio delle risorse destinate al terzo settore e contro un provvedimento che nei fatti sminuiva la valenza e l'importanza delle attività dell'associazionismo laico e cattolico. Speriamo ora che l'articolo non venga riproposto al Senato, come ventilato da qualcuno, e che ci sia lo spazio per avviare nelle sedi opportune e con il coinvolgimento degli operatori del settore la riforma della legge sul volontariato". Soddisfazione anche tra i Parlamentari che in questi mesi hanno accolto e sostenuto le richieste delle associazioni. "A nostro avviso, la collocazione nel provvedimento in esame delle disposizioni recate dall'articolo 26 era impropria. - hanno commentato gli onorevoli Mimmo Lucà e Luigi Giacco della Commissione Affari sociali della Camera - Riteniamo che ora potremo disporre del tempo necessario per ridiscutere ed affrontare seriamente una riforma del settore in oggetto, discutendone nelle sedi proprie: il dialogo parlamentare e il confronto con la società, che ci auguriamo il Governo voglia attuare insieme al Parlamento. La nostra battaglia, contro l'inspiegabile caparbietà del governo di inserire i tagli al volontariato nel ddl sulla competitività, ha avuto un esito positivo. Questo esecutivo che ha portato in aula un provvedimento vuoto sul quale è stato battuto, fin qui, sette volte, ha dovuto prendere atto dei nostri "no" e soprattutto dei "no" delle associazioni che non hanno mai smesso la mobilitazione. Ed ecco, finalmente, lo stralcio di un emendamento che aveva il solo obiettivo di ridurre le risorse e l'autonomia del volontariato. Siamo pronti a una revisione organica della legge 266 del '91, la legge quadro sul volontariato, ma soltanto in maniera condivisa e concordata con le associazioni e i soggetti interessati". In linea l'intervento in aula questa mattina di Rosy Bindi: "La collocazione nel provvedimento in esame delle disposizioni recate dall'articolo 26 era impropria. Riteniamo che ora potremo disporre del tempo necessario per ridiscutere ed affrontare seriamente una riforma del settore in oggetto, discutendone nelle sedi proprie: il dialogo parlamentare e il confronto con la società, che ci auguriamo il Governo voglia attuare insieme al Parlamento". Potenza: protocollo di intesa per inclusione sociale dei detenuti
Adnkronos, 5 luglio 2005
Un protocollo di intesa per attività di inclusione sociale dei detenuti sarà firmato entro il mese di agosto a Potenza. È quanto emerso in un incontro che il sindaco Vito Santarsiero ha tenuto con il direttore reggente dell'Amministrazione Penitenziaria della Basilicata, Anna Maria Venezia. L'obiettivo è rafforzare un coordinamento dell'azione attraverso l'ipotesi di un "Patto territoriale per l'inclusione sociale delle persone in esecuzione penale". Attualmente invece si verifica, come è stato spiegato nell'incontro, "una somma parziale di interventi che segmenta e disorienta l'identità del soggetto detenuto in altrettante identità con i rispettivi bisogni, da quello del lavoro a quello affettivo, dall'assistenza sanitaria a quella legale ed economica". Subito dopo la firma del protocollo sarà convocato un consiglio comunale nel carcere di Potenza. "Sarebbe interessante - ha detto Santarsiero - prevedere la costituzione della Consulta Penitenziaria Cittadina che raccolga tutte le associazioni che operano in ambito penitenziario. Perché un piano possa funzionare dobbiamo impegnarci tutti ed essere in grado di trovare sempre il punto di equilibrio tra le attuali modalità d'intervento e quelle che si intendono programmare". Milano: 5 stranieri detenuti a San Vittore in sciopero della fame
Redattore Sociale, 5 luglio 2005
Per protesta non mangiano più. Sono i 5 immigrati, quattro magrebini e un cubano, detenuti nel carcere di San Vittore e in attesa di giudizio per gli scontri avvenuti nella notte del 10 aprile al Cpt di via Corelli a Milano. Il loro sciopero della fame è iniziato venerdì, dopo che i giudici dell'ultima udienza hanno rinviato la conclusione del processo al 22 settembre. Una decisione che ha scontentato molti, a cominciare degli stessi detenuti. "Dovranno rimanere in carcere ancora tre mesi - commentano Mauro Straini e Eugenio Losco, gli avvocati difensori -: è un provvedimento cautelare eccessivo rispetto alle imputazioni. I nostri assistiti sono accusati di danneggiamenti alla struttura di via Corelli, non di omicidio". Questa mattina i cinque sono apparsi affaticati: al sesto giorno di sciopero c'è chi ha già perso 7 chili. "Domani chiederemo la revoca della detenzione cautelare - spiega Straini -. Per uno di loro il giudice avrebbe già potuto predisporre gli arresti domiciliari: ha una casa e ad aprile si sarebbe dovuto sposare con una cittadina italiana". A sorprendere è la lunghezza del rinvio nel processo di rito abbreviato. "Sono arrivati in giudizio e rischiano di pagare un prezzo molto alto, determinato da giochi politici - commenta preoccupato Luciano Muhlbauer, consigliere regionale per Rifondazione -. Le tensioni delle istituzioni intorno ai Cpt non favorisce certo la loro posizione". Sempre di più gli ospiti dei Cpt utlizzano lo sciopero della fame come strumento di protesta non violenta. È accaduto nel mese di aprile e maggio nel Centro di via Corelli, dove si chiedevano condizioni di vita più umane, e ora nei 16 Cpt italiani. "È una lotta silenziosa che non buca il muro di gomma dei mass media - precisa Fabio Zerbini, rappresentante del comitato Non si cancella via Adda -. Per questo ora in molti scelgono la fuga. Giuridicamente i Cpt non sono carceri: fuggire non è un reato, al massimo li riportano dentro con la forza". Oggi pomeriggio alle ore 16.30, una delegazione di firmatari dell'Appello alla città per la chiusura del Cpt di via Corelli incontrerà il Prefetto di Milano, Bruno Ferrante, all'interno del Centro di permanenza milanese per discutere le modalità del monitoraggio indipendente all'interno della struttura. Vicenza: nel carcere di San Pio X va in gol la solidarietà
Giornale di Vicenza, 5 luglio 2005
Chiusura un pò in sordina ma ugualmente apprezzata dai partecipanti, quella della stagione sportiva organizzata dal Csi di Vicenza a beneficio dei carcerati del San Pio X. Nel campo di calcio ed in quello di volley entro le mura carcerarie si sono avvicendati, per tutta la stagione, gli studenti dell'Itis Rossi, liceo Pigafetta, Itis Canova , Lampertico ed alberghiero Artusi di Recoaro, nonché i volontari che partecipano ai diversi campionati di calcio, atletica o volley del Centro Sportivo Italiano. Per consuetudine, da un quadriennio, la ciliegina finale prima della sosta estiva, è la disputa del quadrangolare di calcio in cui nella veste di squadra da battere entra in campo anche il Vicenza calcio. Un'iniziativa apprezzata da detenuti e direzione carceraria che ha visto nel duemila come primo promotore Pablito Rossi ed il suo Real Vicenza. Quest'anno purtroppo la situazione contingente di classifica ha fatto mancare la vernice dell'atto finale ossia la presenza del Vicenza calcio che a differenza degli ultimi campionati, ha dovuto darci dentro sino all'ultima giornata per evitare la retrocessione, con un epilogo però che tutti conosciamo. Una fetta del Vicenza di un recente luminoso passato ha partecipato al quadrangolare forzatamente diventato un triangolare. Marco "Ciccio" Schenardi ex-biancorosso ed ora capitano, giocatore ed allenatore della Narnese, che in questa stagione ha portato alla promozione in serie D, è stato l'uomo faro della selezione del Real Csi che ha affrontato la "nazionale" dei carcerati e quella della Polizia Penitenziaria. "Vengo sempre volentieri a Vicenza, città nella quale ho molti amici - dice Schenardi -. Ho già conosciuto l'esperienza dello sport in carcere circa 14 anni or sono quando militavo nel Brescia e la gioia che si legge negli occhi dei reclusi è la miglior risposta circa l'importanza di queste iniziative sportive. Sono qui con la maglia del Csi Vicenza perché conosco il lavoro degli amici che hanno organizzato questo evento e trovo impagabile la loro opera a beneficio del mondo carcerario". Una formazione quantomeno originale quella del Real Csi Vicenza che schierava in porta il presidente nonché referente e sostenitore del progetto carcere legge 663, voluto dalla regione Veneto. All'attacco a far coppia con Ciccio Schenardi si è ottimamente comportato il "conte" Pierantonio Marchetto, mentre in difesa il fresco bronzo sui 3.000 siepi nei campionati italiani master, Siro Pillan, non si è certo risparmiato. Dal basket Roberto Cerin ed il tecnico di calcio Massimo Dalle Ave a centrocampo e nel ruolo di tornante Davide Zamberlan. Arbitro il decano dei fischietti vicentini Aldo Parise assistito dai dirigenti accompagnatori Leopoldo Galla e Bruno Fanton meglio noto con l'epiteto di Birne, il re del calcio canicolare. I detenuti hanno avuto la meglio su Schenardi & Co. nella prima partita per 3 a 1 (doppietta di Franco, Christian e Gilorad per il Real Csi). Quattro gol per parte nella sfida tra Polizia Penitenziaria e Real Csi (Cuffaro e tripletta di Salafia per gli agenti, Gilorad, Dalle Ave, Marchetto e Schenardi per il Real Csi). Schenardi si era anche procurato il rigore della vittoria purtroppo fallito da Gilorad. Nella terza sfida decisiva gli agenti hanno avuto la meglio sui detenuti per 3 a 1 (Costa, doppietta di Coffa e gol della bandiera di Franco) assicurandosi così la vittoria nel triangolare. Alla fine premi e festa per tutti con la promessa da parte dei giocatori del Real Csi e di riflesso anche istituti scolastici, di riprendere il dialogo, non solo sportivo, dopo la sosta estiva.
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