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Il carcere del centrodestra: un bilancio tragico, di Sergio Segio
Fuoriluogo, giugno 2005
Fine legislatura, tempo di bilanci e magari di programmi. Anche sul comparto del carcere. Un bilancio tragico, come indicano le cifre: nel mese di giugno 2005 nuovo record di sovraffollamento, con oltre 59.000 detenuti presenti (cui vanno sommati i circa 50.000 in esecuzione penale esterna). Cresce in parallelo e in proporzione il disastro sanitario, con il 7,5% dei detenuti sieropositivi, il 38% positivi al test per l’epatite C e il 50% a quello dell’epatite B, mentre il 7% presenta l’infezione in atto e il 18% risulta positivo al test della TBC. Dati che, per lo stesso Istituto superiore di sanità che li ha forniti, sarebbero sottostimati. Secondo i medici penitenziari, invece, nel 2004 nelle carceri si sono verificati 52 suicidi, 1.110 tentati suicidi, 6.450 scioperi della fame, 4.850 episodi di autolesionismo. Ma, con l’attuale ministero, anche i numeri sono diventati materia opinabile: i suicidi di detenuti dall’inizio del 2005 al 10 giugno sono 30 secondo le associazioni, mentre per l’amministrazione penitenziaria assommerebbero a 25. Il ministro Castelli, che sinora aveva finto di nulla, dedicando centralità e risorse alla sola edilizia penitenziaria e imputando i problemi ai lasciti del centrosinistra, ha dovuto infine parlare di "situazione allarmante", pur se, a suo dire, "non gravissima". Sarà per ciò che il Guardasigilli sottolinea che il numero dei reclusi dovrebbe essere più alto (400.000, per essere al livello degli USA) e se non lo è, è solo perché le nostre politiche non sono "ancora" sufficientemente severe; in ogni modo, per Castelli, "le persone che sono in carcere qualcosa hanno combinato e ora danno meno fastidio ai cittadini". Sulla stessa linea lo segue don Giorgio Caniato, capo dei cappellani delle carceri, secondo il quale il problema non è il sovraffollamento ma il fatto che "la gente ammazza, ruba e fa cose orrende". E di conseguenza, dice Caniato, "per fortuna i detenuti aumentano". Una vera fortuna, soprattutto per i costruttori di penitenziari, settore su cui ora indaga la magistratura. E non si può non vedere quanto il governo e le forze del centrodestra si siano mossi con coerenza e determinazione nello sforzo di aumentare il numero dei detenuti e irrigidire il trattamento penitenziario. 1) La legge sulle droghe, fortemente voluta da Gianfranco Fini e AN, se sciaguratamente venisse approvata in questo scorcio di legislatura, da sola porterebbe a un enorme incremento delle presenze in carcere, attraverso il rialzo delle pene, l’equiparazione delle droghe leggere a quelle pesanti e la presunzione di spaccio. 2) Non meno devastanti risultati produrrebbe il varo della proposta di legge n. 2055, detta ex Cirielli (da Edmondo Cirielli, deputato di AN, che ha ritirato la firma), ora chiamata Vitali (da Luigi Vitali, deputato di FI, promosso sottosegretario alla Giustizia) ma meglio conosciuta come "Salva-Previti". Condensa la visione penale e classista del centrodestra, imperniata sul "doppio binario" in base al quale verranno concesse attenuanti e prescrizioni agli incensurati quali appunto Cesare Previti, mentre verranno pesantemente aumentate le pene e ridotte le possibilità di misure alternative nei confronti dei recidivi, vale a dire per la gran parte dei detenuti, costituita da tossicodipendenti e immigrati. La proposta, approvata dalla Camera il 16 dicembre 2004, attende l’esame del Senato. Secondo Antigone, porterebbe a nuovi 20.000 detenuti. La logica sottesa è quella già portata avanti con la legge Cirami sul legittimo sospetto, approvata nel 2002 e con la legge di depenalizzazione del falso in bilancio, varata l’anno precedente. Massimo del rigore verso gli emarginati, impunità per i potenti. 3) In corsa anche la proposta di legge "Meduri" (dal nome del primo firmatario Renato Meduri di AN). n. 1184: "Delega al governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria". Già approvata al Senato il 14 luglio 2004 e, con modifiche, lo scorso 3 maggio dalla Camera, attende la seconda lettura di Palazzo Madama. Uno degli effetti sarà che gli attuali "Centri di servizio di servizio sociale", che sul territorio hanno competenza sui detenuti ammessi alle misure alternative, si trasformeranno in "Uffici di esecuzione penale esterna". La Camera ha aggiunto il termine "assistenza", ma la sostanza non muta: la direzione è quella di cancellare il sociale e rafforzare il penale, di valorizzare il controllo poliziesco a discapito del sostegno al reinserimento. 4) Nella medesima rotta sembrano indirizzate le proposte n. 2867 (di Gaetano Pecorella, FI) e n. 971 (Filippo Ascierto, AN), all’esame della commissione Giustizia della Camera: "Delega al governo per la riforma del Corpo di polizia penitenziaria". Vogliono sottrarre all’autorità dei direttori dei carceri la polizia penitenziaria, istituendo una specifica e autonoma Direzione Generale del Corpo della polizia penitenziaria all’interno del ministero. Evidenti gli effetti di militarizzazione delle carceri. 5) Meno conosciute, ma non meno sintomatiche della cultura del centrodestra, sono la proposta di legge n. 3458 della Lega (primo firmatario Guido Rossi): "Introduzione del lavoro civico non retribuito per i detenuti ai fini della riduzione della pena", secondo la quale ogni giorno di lavoro gratuito cui "volontariamente" si sottomettesse il detenuto comporterebbe lo "sconto" di due giorni di pena, e quella n. 4946 di AN (primo firmatario Edmondo Cirielli): "Modifica dell’articolo 27 della Costituzione, in materia di responsabilità penale", che vuole limitare la funzione rieducativa della pena a favore di quella retributiva. Viene da pensare che i 400.000 detenuti di cui ha parlato Castelli non siano una boutade, ma un vero e proprio obiettivo che, con queste e altre leggi, il centrodestra vorrebbe raggiungere. Più detenuti, più sicurezza, dicono. Ma soprattutto, più business. Modena: carcere Sant’Anna, condizioni di sicurezza critiche
Modena 2000, 27 giugno 2005
I Sindacati di Polizia Penitenziaria stanno denunciando da mesi il malessere degli agenti che operano all’interno della casa circondariale Sant’Anna in condizioni di estrema precarietà, non ultimo a causa di una gestione altamente discutibile della direzione carceraria. Non bastano le difficoltà legate alla cronica carenza di organico, in speciale modo nella sezione femminile, più volte denunciate dai Sindacati e dal personale di Polizia Penitenziaria senza ricevere adeguate risposte. Attualmente nella Sezione maschile sono 183 agenti addetti alla vigilanza di 410 detenuti contro il rapporto di 1 agente/1 detenuto previsto da regolamento, mentre nella sezione femminile sono 8 agenti donne per circa 50 detenute. Ciò conferma i dati del Provveditorato regionale dell’Amministrazione pentenziaria che Sant’Anna è il secondo istituto in regione per problemi d sovraffollamento. L’esasperazione e l’indignazione degli agenti ha toccato il fondo quando il direttore del carcere, dottor Paolo Madonna, ha accolto la richiesta dello scorso aprile di tutti i 47 detenuti della 5° Sezione ad Alta Sicurezza, di rimuovere gli agenti preposti alla custodia perché a loro sgraditi. È quanto denunciato in una conferenza stampa di dei Sindacati di Polizia Penitenziaria. Se a ciò si aggiunge che cominciano a manifestarsi anche situazioni di criticità igienico-sanitaria certamente non destinate a migliorare in vista dell’estate, i Sindacati di Polizia Penitenziaria denunciano con forza l’evidente mancanza di volontà del direttore del carcere nel risolvere i problemi della struttura penitenziaria. A fronte di una situazione altamente critica, le Organizzazioni Sindacali hanno chiesto in questi giorni un incontro urgente con il responsabile del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Contestualmente hanno richiesto l’intervento di un nucleo di agenti appositamente preposti per supportare gli agenti presenti affinché siano garantite le condizioni di sicurezza del carcere, che non si esclude possano avere ripercussioni negative anche sulle condizioni di sicurezza del territorio e nel tessuto cittadino modenese. Alghero: emergenza carcere, interrogazione a presidente Regione
Alguer.it, 27 giugno 2005
Interrogazione dell’on. Giorico al presidente della Regione sulla situazione di emergenza nell’ex carcere modello di Alghero. Gli organici incompleti del personale di custodia e gli episodi di autolesionismo fra i detenuti richiedono un intervento da parte del Ministero. Da qualche settimana il carcere di Alghero è al centro della cronaca. Il tentativo di suicido da parte di due detenuti, salvati dal tempestivo intervento degli agenti di custodia, ha tolto il coperchio a un pentolone che nasconde molti problemi: dal sovraffollamento della struttura, piena come un uovo, all’ organico del personale penitenziario che ha perso via via pezzi ed ora conta 35 unità in meno rispetto al 1998, quando il carcere fu riaperto e definito struttura modello. I due gravi episodi di autolesionismo non sarebbero isolati, e per sottolinearne la gravità della situazione, proprio oggi (24 giugno) il personale di custodia ha organizzato una manifestazione pacifica di protesta. I segnali di malessere, insomma, ci sono tutti. Rispetto al 1998 i detenuti sono raddoppiati (oggi sono oltre duecento); la metà sono stranieri senza nessun rapporto col territorio (una estraneità che ha riflessi anche comportamentali), ed è elevato il numero dei tossicodipendenti; realtà che si sommano e rendono difficile la gestione. Gli agenti carcerari sono sottoposti a veri tour de force per assolvere i compiti di istituto: spesso devono svolgere servizio contemporaneamente in più di una sezione detentiva; la maggior parte di essi non ha potuto usufruire delle ferie 2004 ed è in arretrato con i riposi; per effettuare i colloqui fra detenuti e familiari è indispensabile ricorrere al lavoro straordinario. L’insufficienza di organico si riflette su alcuni servizi, come la vigilanza esterna, ridotti al minimo (e qualche mese fa due detenuti ne hanno profittato, riuscendo ad evadere). La situazione di emergenza dell’ormai ex carcere modello è contenuta in una interrogazione che il consigliere Pino Giorico (Udeur) ha rivolto al presidente della Regione, per chiedere un immediato intervento presso il Ministero di Grazia e Giustizia, il quale, a quanto pare, riterrebbe l’organico adeguato all’ufficio, nonostante una serie di attività "trattamentali" (scuola, corsi di formazione, laboratori, eccetera), avviate negli anni successivi alla riapertura, richieda maggiore presenza di personale. L’on. Giorico sostiene che è tempo ormai perché la Regione pretenda dal governo una politica carceraria meno evasiva, sia sul versante dei detenuti per i quali si chiedono condizioni ambientali più favorevoli, sia sul versante degli agenti di polizia carceraria, il cui lavoro non deve essere all’insegna del sacrificio quotidiano. "La situazione d’emergenza - sostiene il consigliere algherese - deve essere gestita con attenzione e non bisogna attendere nuovi episodi di autolesionismo fra i detenuti o clamorose proteste degli agenti di custodia per intervenire". Milano: progetto Caritas; dopo il carcere un tetto per tutti
Ansa, 27 giugno 2005
"Il mondo del privato sociale e quello delle istituzioni pubbliche, possono e devono lavorare insieme, senza divisioni ideologiche". Parola del direttore della Caritas ambrosiana, don Roberto Davanzo. In occasione del convegno "Cercar casa fuori le mura. Esecuzione penale e povertà abitativa a Milano", l’associazione milanese ha presentato i risultati del progetto "Un tetto per tutti, alternative al cielo a scacchi", l’iniziativa realizzata con il comune di Milano per dare accoglienza ai detenuti che hanno scontato l’intero periodo carcerario o godono di un permesso premio. "È fondamentale garantire il reinserimento - spiega don Davanzo -, altrimenti si rischia un circolo vizioso nel quale chi esce dal carcere rientra nei giri della criminalità" Per questo sono nate le case accoglienza, strutture che non solo offrono ospitalità, ma anche un percorso educativo "che permetta poi all’ex detenuto di camminare con le proprie gambe", precisa don Davanzo. Nei 50 posti letto all’interno di 23 appartamenti dei comuni di Bresso, Milano, Melegnano e Peschiera Borromeo - oltre ai 12 posti letto nella comunità "Casa Abramo" di Lecco -, sono state accolte 65 persone in occasione di permessi premio, 60 per fine pena o misura alternativa alla detenzione, 9 familiari e 4 figli minori. Da gennaio a febbraio 2004 le persone accolte sono state 138, per un totale di 13.646 giorni di ospitalità erogati. Un plauso al mondo del volontariato arriva anche dal presidente del tribunale di sorveglianza Francesco Castellano. Il progetto, finanziato dalla Regione e dalla fondazione Cariplo, ha offerto ospitalità a persone che provenivano dalle case di reclusione del milanese: Opera, San Vittore, Bollate. Sono stati maschi per il 75 per cento e femmine per il restante 25 per cento. Le persone accolte nel 2004 erano in maggioranza italiane (71%). In un anno si è registrato solamente un caso di arresto per reato commesso durante il periodo di accoglienza. Immigrazione: un ritratto degli stranieri nelle carceri italiane
Migranews, 27 giugno 2005
Gli immigrati costituiscono una parte significativa della popolazione carceraria in Italia e, molto spesso, i detenuti stranieri sono considerati un motivo di allarme sociale. Gli studi sociologici sul fenomeno sono ancora scarsi e la parola immigrato è frequentemente associata alla propensione alla criminalità. Comunque, se è vero che l’incidenza extracomunitaria nelle carceri è aumentata considerevolmente negli ultimi anni (dal 16% nel 1991 a 30,1% del totale nel 2002, secondo Caritas, Dossier Statistico Immigrazione 2003), è ugualmente lecito evidenziare che, non disponendo, nella maggior parte dei casi, di punti di riferimento familiari e lavorativi, gli immigrati non accedono facilmente ai percorsi alternativi alla detenzione come, per esempio, la semilibertà, la detenzione domiciliare e il servizio sociale. Inoltre, risultando, nella maggioranza dei casi, privi di risorse economiche, essi non possono usufruire dell’assistenza di avvocati scelti da loro stessi. Un secondo aspetto da sottolineare è che una gran parte delle denunce contro i cittadini stranieri rilevate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia risulta frutto dell’applicazione di una condanna provvisoria, fenomeno che evidenzia il frequente ricorso alla custodia cautelare nei confronti degli immigrati. Quanti sono i detenuti stranieri? Da dove vengono e, soprattutto, quali sono le iniziative che essi intraprendono all’interno degli istituti di pena? Secondo i dati diffusi dal D.A.P, nel giugno del 2003 la popolazione carceraria (case di reclusione, case circondariali e istituti per le misure di sicurezza) in Italia, era pari a 56.403 persone e i detenuti stranieri ammontavano a 16.636 persone, ovvero circa il 29,5% del totale. Per quanto riguarda i paesi di provenienza dei detenuti extracomunitari, è interessante notare che essi coincidono, in linea di massima, con le aree di maggior flusso migratorio verso l’Italia. I dati del Ministero della Giustizia illustrano che il 22,2% dei detenuti extracomunitari viene dal Marocco, il 16,9% dall’Albania e l’11,7% dalla Tunisia, mentre le stime del "Dossier Caritas", elaborate su dati forniti dal Ministero dell’Interno, confermano che il Marocco e l’Albania, assieme, rappresentano il 23% dei soggiornanti presenti sul territorio nazionale. Anche la distribuzione territoriale dei delitti commessi in Italia da cittadini stranieri coincide con le località ad alta concentrazione di immigrati. Secondo i dati di un rapporto Istat del 2001, 1/3 delle persone coinvolte nei reati ha agito nel Nord Ovest e al Centro, aree che occupano il vertice della classifica con un alto numero di soggiornanti extracomunitari. A livello regionale, invece, la Lombardia registra uno dei tassi più elevati di imputati sul totale dei detenuti stranieri (63,4%), seguita del Lazio, dal Piemonte, dall’Emilia Romagna e dalla Toscana, ognuna con percentuali che oscillano tra il 9 e l’11%. Sono forse gli stranieri gli autori della maggior parte dei reati? Nient’affatto. Nonostante il D.A.P abbia registrato, nel 2002, un aumento del 23,6%, rispetto l’anno precedente, nel numero dei reati ascritti all’intera popolazione carceraria, il totale dei delitti attribuiti agli stranieri può essere considerato marginale rispetto a quello degli italiani. Il rapporto fra i due valori dimostra che oltre otto reati su dieci sono ascritti a cittadini italiani. Altri dati di rilievo sono il numero di 923 detenuti stranieri espulsi dall’Italia dopo il 30 luglio 2002, data dell’entrata in vigore della legge n.189/2002 (cosiddetta Bossi-Fini), e la ridotta media nazionale di donne rispetto all’intera popolazione carceraria straniera: soltanto il 6%. Ancora nell’ambito femminile, l’esame dei titoli detentivi dimostra che la maggior parte dei reati delle donne è vincolata alla prostituzione, un fenomeno che, quasi sempre, nel caso delle immigrate, è segnale di violenza e di sfruttamento ad opera di organizzazioni criminali. In ogni caso, queste non sono le statistiche più allarmanti che riguardano le persone che si trovano dietro le sbarre. Le condizioni disperate della reclusione negli istituti hanno fatto sì che, tra il gennaio del 2002 e il settembre del 2003, circa 250 detenuti arrivassero a togliersi la vita. Lo dice il dossier "Morire di Carcere", il primo rapporto nazionale sui decessi nelle carceri italiani. Tra i risultati più importanti che emergono dall’indagine c’è il fatto che per 134 morti non è stato possibile stabilire la causa e che il numero di morti per malattia è quasi raddoppiato nel corso di sei anni (da 78 nel 1996 a 113 nel 2002). I suicidi avvengono con più frequenza al sud e nelle isole (principalmente in Sardegna), mentre al nord le carceri di Marassi (a Genova) e di San Vittore (a Milano), sono quelle con il maggior numero di decessi. Inoltre, si è notato che l’incidenza del suicidio è maggiore tra gli italiani che tra gli stranieri (98 contro 26), soprattutto in età compresa tra i 20 e i 30 anni. Gli inquietanti dati del dossier hanno stimolato i professionisti del settore ad invocare un’attenta vigilanza sul fenomeno dei suicidi e a difendere l’istituzione della figura del Garante per i diritti dei detenuti. Brasile: due detenuti morti in una rivolta in carcere
Agr, 27 giugno 2005
Sono due i detenuti morti e cinque i feriti in una rivolta in un carcere a Barreto Campelo, nel nord Est del Brasile. La sommossa è durata sei ore. Le vittime sono state uccise da colpi di arma da fuoco in uno scontro con la polizia. I detenuti sono insorti dopo che alcuni di essi erano stati trasferiti in un altro carcere. Lo ha riferito la tv Globonews. Perugia: nuovo carcere ad "alta vivibilità" per 300 detenuti
Ansa, 27 giugno 2005
Punta a fornire un’elevata qualità di vita ai detenuti e al personale di servizio il nuovo carcere di Perugia sorto nella zona di Capanne. Una struttura che occupa una superficie complessiva di circa 42 ettari, una ventina dei quali occupati dagli immobili, mentre il resto sono aree verdi. Le caratteristiche del nuovo penitenziario, che verrà inaugurato il 7 luglio, sono state illustrate oggi nel corso di una visita. Presente il direttore, Bernardina Di Mario, il comandante della polizia penitenziaria, ispettore Mariano Salvatore, e il responsabile della sicurezza del provveditorato umbro dell’amministrazione penitenziaria, ispettore Marcello Tolu. Quello di Capanne è un cosiddetto carcere di media sicurezza, che non può cioè ospitare detenuti condannati per reati associativi. La capienza regolamentare è di 200 uomini (ma in caso di necessità ne può ospitare fino a 400) e 68 donne (che possono però anche diventare 80). Due i blocchi realizzati, uno maschile e l’altro femminile. Completamente separati e autonomi. Ciascuno è diviso nel cosiddetto carcere circondariale, con le persone a disposizione dell’autorità giudiziaria o in attesa di giudizio, e in un reparto di reclusione, destinato ai definitivi. Ogni cella, di circa otto metri quadri, è dotata di bagno con doccia. I detenuti hanno tra l’altro a disposizione un pulsante che attiva un allarme visivo e sonoro con il personale della polizia penitenziaria. Disponibili anche celle per disabili appositamente attrezzate con l’abbattimento delle barriere architettoniche. Tra le particolarità, il cortile di passeggio con uno dei muri sostituito da un’alta grata in acciaio che permette la vista sul cortile interno del carcere. Entrambi i blocchi, maschile e femminile, sono poi dotati di biblioteca e sala musica nell’ambito delle quali operano le associazioni di volontariato. La palestra multifunzionale per i detenuti è stata inoltre allestita in maniera tale da poter diventare un teatro con 250 posti. Particolarmente curate le due piccole chiese, realizzate su un progetto di don Ugo Scappini, parroco del carcere scomparso da poco. In quella che verrà utilizzata dagli uomini il soffitto è adornato da alcuni vetri a mosaico. Per quanto riguarda i colloqui con i familiari i detenuti avranno a disposizione quattro stanze senza barriere, dotate di tavoli circolari in legno. Due sale sono state comunque attrezzate con i vetri divisori e sistema di comunicazione via microfono per essere utilizzate in caso di necessità anche da chi sconta il cosiddetto carcere duro. A ridosso delle aree di detenzione è stato allestito una piccolo parco per bambini con giochi e panchine. Zone appositamente attrezzate saranno poi a disposizione delle detenute in cella con i figli piccoli. Il nuovo carcere di Capanne è comunque dotato anche di spazi per l’attività giudiziaria. Ci sono infatti sale colloqui per gli avvocati e per giudici e magistrati. Una stanza è stata tra l’altro dotata di un vetro a specchio per i riconoscimenti. Per controllare la nuova struttura opereranno oltre 200 agenti di polizia penitenziaria, tra uomini e donne. A loro disposizione una caserma con alloggi, mensa e una palestra. Lo stesso edificio utilizzato negli anni scorsi come aula bunker per celebrare i processi di primo e secondo grado per l’omicidio di Mino Pecorelli. Le zone interne del carcere sono state poi abbellite con una grande fontana, un stele alta diversi metri e mosaici alle pareti. Per quanto riguarda alcune delle aree verdi esiste già un progetto per il loro utilizzo da parte dei detenuti, da realizzare in collaborazione con la facoltà di agraria dell’Università di Perugia. Nei prossimi giorni comincerà, nel massimo riserbo per questione di sicurezza, il trasferimento dei detenuti dal carcere di piazza Partigiani (dove per ora rimarrà però il centro clinico) a quello di Capanne (la costruzione del quale è stata segnata in questi anni da polemiche da parte delle associazioni ambientaliste e da inchieste sulla gestione degli appalti). Quindi, il 7 luglio, l’inaugurazione. Giustizia: Loiero; non ci devono essere sconti per nessuno
Ansa, 27 giugno 2005
"Sul tema della sicurezza e della difesa della legalità non ci devono essere sconti per nessuno", così il presidente della Regione Calabria Agazio Loiero dopo l’intervista al Corriere della Sera del suo omologo campano Antonio Bassolino. "Lo sanno bene ¨ ha aggiunto Loiero - gli amministratori di quelle aree dove la criminalità tenta di imporre la propria logica perversa di antistato e la propria visione di mercato, ora appropriandosi del territorio e costituendo il feudo mafioso, ora facendo impresa e finanza con i ricavi strabilianti dei traffici di droga, che non bisogna mai abbassare la guardia. Sanno bene anche che lo Stato non deve assolvere il proprio ruolo di prevenzione e di repressione in maniera intermittente o addirittura occasionale perché altrimenti a esser messo in discussione è lo stesso stato di diritto. Tutte queste cose sto dicendo, in continuità con il mio impegno parlamentare, fin dal primo giorno del mio insediamento". "Anch’io - ha spiegato il presidente Loiero - sostengo da tempo che l’equazione sottosviluppo uguale mafia è solo un luogo comune, un errore storico e sociologico. E in questo concordo con l’analisi di Bassolino. La mafia sarà pure nata dalla povertà e dalla disperazione ma si alimenta con la ricchezza e si sviluppa, in forme devastanti, laddove c’è da fare affari, dove si muovono le ruspe e dove l’economia tira. Anche se assistiamo in alcune città opulente o alle prese con mille problemi poco importa - a fenomeni un tempo definiti paramafiosi, come le bande dedite a rapine e scippi, che sul piano dell’allarme sociale preoccupano sempre di più e vanno affrontati con metodi di contrasto moderni e, se necessario, con una legislazione più forte, più coerente, maggiormente dedicata alla sicurezza di quei cittadini, per fortuna i più numerosi, che hanno scelto di vivere nella legge anche in territori dove ciò viene messo in forse dalla criminalità e nonostante le lusinghe dell’arricchimento facile ma illegale". "Come Regione Calabria - ha concluso Loiero - stiamo lavorando proprio per rafforzare la coscienza civica, introducendo nella scuola materie finalizzate, e per dare nell’immediato ai calabresi onesti la possibilità di vivere in una realtà dove la mafia e i mafiosi siano identificabili e combattuti". Giustizia: Maisto; istituti sovraffollati, magistrati in autogestione
Redattore Sociale, 27 giugno 2005
Istituti di pena sovraffollati, magistrati di sorveglianza in autogestione, processi penali troppo lunghi. Francesco Maisto, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano, riflette sulle lentezze e sulle inefficienze della giustizia italiana, a margine del convegno "Cercar casa fuori le mura, esecuzione penale e povertà abitativa a Milano". Le carceri italiane sono allo stremo: "Siamo arrivati al record storico - dice Maisto -: nelle carceri italiane ci sono 59.019 detenuti, e 60 bambini che vivono in carcere. Non è mai stato così, significa che ci sono più persone che entrano di quante escono dal carcere". Un sovraffollamento dovuto, secondo il Procuratore, al gran numero di immigrati che "vengono arrestati e condannati in modo esagerato rispetto ai reati commessi". Una tendenza che il Procuratore afferisce ad una sorta di ossessione razzista" della legislazione penitenziaria: "Non si può disporre che non è possibile concedere alcuna misura alternativa al carcere al cittadino extracomunitario perché dev’essere espulso", dice Maisto. Il Procuratore è convinto che sia arrivato "il tempo di cambiare la legge penitenziaria, con un progetto di riforma di tutto il sistema carcerario italiano". "Se si vuole parlare di tolleranza zero - prosegue Maisto - si deve passare attraverso la certezza della pena, l’abolizione delle misure detentive e la gestione del problema carcerario. Se poi si fa demagogia politica e si incentiva il linciaggio di alcune fasce sociali, spendendo risorse pubbliche per applicare misure alternative, non c’è coerenza tra le scelte di politica criminale e di politica sociale". Un altro segnale del malessere della giustizia italiana è stato di recente espresso dai magistrati dei Tribunali di sorveglianza: "Vivono tutti in situazione di sofferenza e di disagio, a causa di una vera e propria crisi di ruolo - dice Maisto: sono presi dalla necessità di applicare una legge penitenziaria piena di rattoppi e da quella di avere a che fare con interlocutori politico-sociali incoerenti. Ad ottobre 2005, per la prima volta, i magistrati di sorveglianza si riuniranno in autogestione, vicino a Fiuggi, per discutere dei problemi della giustizia". Tra cui quello, annoso, della lunghezza dei processi penali: "In Italia basta che l’imputato abbia una difesa tecnica più accentuata perché i tempi del processo assumano durate immemorabili - dice Maisto: sono ancora in corso procedimenti per fatti gravissimi, mentre si iniziano processi per questioni di poco conto". San Severo: si dimette garante dei detenuti perché senza fondi
Ansa, 27 giugno 2005
Niente soldi per il suo ufficio e lui si dimette dall’incarico. Protagonista il consigliere consigliere comunale Roberto Prattichizzo (Ds) che ha rinunciato, per protesta, alla nomina di "Garante dei diritti dei detenuti". "Più volte ho chiesto all’amministrazione comunale - spiega Prattichizzo -, di creare le condizioni minime necessarie per espletare l’incarico ma, alla luce dei fatti ho ottenuto solo promesse mai mantenute. Nonostante le mie segnalazioni, nel bilancio di previsione 2005 non esiste un budget da destinare a quest’ufficio. Non è stato possibile individuare una sede logistica consona alla delicatezza dell’ufficio. Per quale motivo le iniziative del consiglio comunale, non sono accompagnate dai conseguenti atti amministrativi?" Figura istituzionale istituita nei mesi scorsi dal consiglio comunale. "Non ho intenzione - conclude Prattichizzo - di avallare con la mia presenza il disinteresse dimostrato dai rappresentanti di quest’amministrazione comunale nei confronti dell’iniziativa. Ho deciso di rimettere la nomina nelle mani del sindaco per non deludere quei concittadini che molto si aspettano dall’azione del garante e che potrebbero addossare a me o al mio partito la scarsa volontà di attivare la struttura". Giustizia: detenuti condannati al suicidio, di Valentina Sereni
Galileo, 27 giugno 2005
Cinque casi solo nel mese di maggio. I dossier sulle morti nelle carceri italiane vengono aggiornati settimanalmente. Si tratta si stime non ufficiali ma elaborate sulla base dei dati raccolti dall’associazione "Ristretti Orizzonti", che offre attraverso il suo sito internet una delle fonti migliori e più aggiornate sui decessi dietro le sbarre. Il dossier "Morire di carcere", parla di oltre 650 morti per suicidio dal 1992 al 2004 e di circa altri 1.400 morti per cause naturali. Una cifra stimata per difetto, secondo chi lavora nell’associazione: "le ultime statistiche del Ministero della Giustizia risalgono al 2003 e, in mancanza di dati ufficiali, non siamo in grado di fare comparazioni, di dire se il numero dei "morti di carcere" è in aumento o in diminuzione: il nostro obiettivo è un altro, quello di raccontare delle storie, di ridare dimensione umana a questi numeri". Ci tengono a precisare quelli di Ristretti in apertura al loro dossier. Ci sono dati, invece, che sono ufficiali e che non possono essere ignorati: 59.012 detenuti nelle carceri italiane, 17.000 in più rispetto ai posti letto disponibili. Una situazione allarmante denunciata anche dal segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria) Donato Capece: "Non sappiamo più dove mettere i detenuti", spiega Capece, "letti a quattro castelli, materassi per terra, igiene e sanità inesistenti, pericolo costante di epidemie". Lo confermano anche i recenti sopralluoghi dell’Associazione Antigone, da cui emerge che un solo carcere su dieci in Italia ospita un numero di detenuti che non supera quello dei posti disponibili. Il resto è sovraffollamento: 4 istituti su dieci hanno un tasso di presenza che si aggira attorno al 150 per cento, in 3 su dieci il tasso oscilla addirittura tra il 160 e il 180 per cento, 2 su dieci sono sovraffollati fino al 130 per cento della loro capienza regolamentare. Da Regina Coeli a San Vittore, da Genova Marassi a Trani, da Torino Le Vallette all’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, il risultato è uno solo: le carceri scoppiano e la salute psicofisica dei detenuti è seriamente minacciata. Che rimedi adottare? "Innanzitutto", sostiene Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, "è necessario uscire dall’opportunismo e da un concetto di giustizia selettiva e iniqua per approdare ad una giustizia mite ed equilibrata. Il sovraffollamento è figlio di un sistema penale spostato verso la repressione". Dello stesso parere è anche Stefano Anastasia, da poco eletto presidente della Federazione Nazionale Volontariato Giustizia (Fnvg): "Bisogna entrare nell’ottica di una sostanziale modifica del codice penale nel senso di una depenalizzazione e decriminalizzazione di alcuni reati. È ora che l’ordinamento giuridico del nostro paese compia delle scelte ragionevoli su quali reati punire e quali no. Esistono nel nostro codice più di 5.000 reati diversi con altrettante sanzioni". È urgente anche intervenire per migliorare le condizioni di vita di chi si trova all’interno del carcere. "Il nuovo regolamento penitenziario, approvato nel settembre del 2000, prevedeva alcune modifiche strutturali volte ad "umanizzare" la vita carceraria, cui le carceri dovrebbero adeguarsi entro settembre di quest’anno. Per adesso il numero degli istituti che si sono adeguati è assai esiguo" sostiene il rapporto Antigone. Proprio agli edifici carcerari è stata dedicata di recente una mostra fotografica a Roma (Le città dell’attesa: progettare il carcere, dal 10 al 22 giugno nel complesso di San Michele a Ripa) in cui sono stati esposti i diversi progetti pervenuti al Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, in occasione di un bando pubblico emanato nel 2001 per la costruzione di nuove carceri (82 nuove carceri sono state costruite dal 1971 a oggi; 14 sono in cantiere). I progetti, attenti alle indicazioni del nuovo regolamento penitenziario, prevedono alcune soluzioni architettoniche nel tentativo di rendere la vita quotidiana nel luogo di detenzione un po’ meno insopportabile. Questo in futuro. Per ora invece le condizioni strutturali delle carceri restano disperate: celle buie e non areate con finestre schermate, senza docce, senza il bidet nei reparti femminili, con cucine destinate a più di duecento detenuti. Per non parlare degli spazi verdi per i colloqui con i familiari, anche questi previsti dal regolamento: per ora nulla più di un miraggio. Se a questo si aggiungono gli episodi di maltrattamento, i comportamenti umilianti e degradanti, le vere e proprie torture psicofisiche, più frequenti di quanto si pensi, appare chiaro come le prospettive di vita dietro le sbarre siano veramente poco allettanti e i suicidi diventino morti annunciate. Fossano (Cn): la storia di 15 detenuti attraverso la cucina
Redattore Sociale, 27 giugno 2005
Presentato a Roma il libro "Gambero Nero", più di cento foto, in bianco e nero, che raccontano la storia di quindici detenuti del carcere di Fossano attraverso la cucina e le "ricette di vita". Gli autori, Michele Marziani e Davide Dutto, descrivono le difficoltà quotidiane dei detenuti e non solo quelle ai fornelli. "Abbiamo scelto il titolo pensando all’osteria del Gambero rosso di Pinocchio e alla celebre guida gastronomica, - ha spiegato Davide Dutto, fotografo e da tre anni volontario in carcere-. Il libro è stato un pretesto per parlare della vita dei detenuti Con il corso di cucina abbiamo avuto i primi contatti, mi ha appassionato la prospettiva nuova di conoscere le radici delle persone attraverso i sapori e la cucina". Quindici protagonisti, italiani e stranieri, si raccontano attraverso una cucina limitata: fornelli da campeggio, pochi ingredienti, pentole che si tramandano di detenuto in detenuto, chi esce dalla prigione lascia in cella scolapasta e posate di plastica (i coltelli sono banditi). Tra le celle della casa di reclusione maschile si sentono profumi della cucina di paesi diversi: Riuz prepara piatti tipici dell’Ecuador, Hui della Cina e Ciro l’immancabile pizza napoletana cotta in una padella coperta da carta stagnola, l’effetto forno è assicurato. Per mantenere il cibo fresco, l’inverno si usa lo spazio tra la finestra e le sbarre, l’estate lo sciacquone del bagno dove vengono immersi i sacchetti di plastica. "In un anno di lavoro abbiamo raccolto le "ricette di vita" dei detenuti – ha detto Marziani, giornalista enogastronomico -. Sono rimasto stupito dalla loro cucina fatta dal nulla, dalla fantasia e dalla volontà. Il tempo certo non manca". "Una cosa che non manca mai in cella è il caffè – ha continuato Marziani- come recita la canzone di Fabrizio De Andrè, don Raffè. Abbiamo cenato con loro per un anno, condividendo storie e ricette che abbiamo portato fuori dal carcere". A colpire gli autori sono stati : "i rapporti umani, siamo riusciti ad instaurare buone relazioni - ha concluso Dutto -, nonostante si vive in una situazione estrema appesantita dall’angoscia di dovere lasciare il carcere senza avere nulla fuori che ti aspetta". Tra le foto che riprendono la vita nel carcere, corredate da didascalie, c’è un ricettario "galeotto" scritto dai detenuti: polpette alle sarde, cous cous, carne alle prugne, pan di Spagna al cioccolato, pasta al forno e pizza. Verona: lo sport porta mille studenti in carcere
L’Arena, 27 giugno 2005
Si è conclusa l’edizione 2005 dell’iniziativa "Carcere & Scuola", cui hanno partecipato 56 istituti superiori di Verona e provincia. Sono entrati in contatto con la struttura e la popolazione carceraria, 491 studenti, 418 studentesse, 163 insegnanti, per un totale di 1.072 persone, che per più di due mesi consecutivi hanno disputato 45 incontri di calcio nella sezione maschile e 50 incontri di pallavolo nella sezione femminile. Ma "Carcere & scuola" 2005 è stato anche opera di formazione nelle scuole: "Corsi di Educazione alla Legalità" all’Istituto Sacra Famiglia a Castelletto di Brenzone, Istituto Seghetti di Verona, scuole paritarie S. Giuseppe di Verona; Istituto Alle Stimate di Verona e Magistrale Guarino da Verona a S. Bonifacio; assemblee alle Scuole riunite di Villafranca (Anti, Bollisani, IAL e Medi), Leonardo da Vinci di Verona, C.S.F. Stimatini Verona (sempre con la presenza di detenuti), Calabrese di Bussolengo, Liceo Fracastoro Verona, Istituto Alberghiero Carnicina Bardolino, Istituto Alberghiero Carnicina di Garda (senza detenuti). "Per tutte queste iniziative esprimiamo pubblicamente i nostri ringraziamenti" dice Maurizio Ruzzenenti, responsabile Csi del progetto, "per il loro indispensabile apporto a: i giudici Lorenza Omarchi, Ernesto d’Amico, Silvia Rizzuto e Massimo Coltro, l’ispettore Silvano Filippi della Polizia di Stato e, per il loro primo coinvolgimento, il capitano Graci ed il maresciallo Marchei dell’Arma dei Carabinieri, i Sert di Verona e S. Bonifacio (in particolare dei dottori Doriano dal Cengio, Grazia Maestrello e Guerrino Madera) ed al Centro Alcologico dell’Ospedale di Borgo Trento, la Polizia penitenziaria coordinata dal neo comandante commissario Luca Bontempo (che ha dovuto fare i conti con questo complesso progetto appena insediato nel suo nuovo incarico) con un particolare riguardo al gruppo cinofilo, parecchi avvocati (fra i quali non possiamo non ricordare Francesco Delaini, Marianna Piva, Francesca Toffali e Guariente Guarienti) che, illustrando le loro variegate esperienze professionali, hanno contribuito alla buona riuscita delle varie iniziative". "Crediamo di aver mantenuto l’alto livello di coinvolgimento delle scuole secondarie superiori e di aver anche dato ampia dimostrazione di professionalità e di cura dell’iniziativa, prosegue Ruzzenenti. "Non possiamo poi dimenticare i 18 accompagnatori di Carcere & Scuola, di cui 10 formati ex novo quest’anno attraverso un regolare corso di una ventina di ore ed un lungo tirocinio, che hanno accolto le scolaresche fin dall’esterno della struttura carceraria per poi accompagnarli all’interno rispondendo, se possibile, a tutti gli interrogativi. Inoltre è da rimarcare l’impegno del direttore della Casa Circondariale Salvatore Erminio, della responsabile dell’Area educativa-trattamentale Enrichetta Ribezzi, del personale dell’ufficio del Magistrato di Sorveglianza di Verona che ci ha fatto ottenere le più di 1.200 autorizzazioni indispensabili per entrare in carcere ed incontrare la popolazione detenuta". "Gli stessi detenuti hanno accolto gli studenti con spirito sereno e disposti al gioco, senza caricarli delle preoccupazioni che quotidianamente li affliggono, tra cui il sempre più marcato sovraffollamento. Ricordio sempre che tutto ciò è stato realizzato in collaborazione con Csi di Verona ed in particolare con Roberto Nicolis e con il finanziamento della Regione del Veneto - Assessorato ai Servizi Sociali". In chiusura, Ruzzenenti pone anche qualche considerazione politica: "Molti, e siamo oltremodo contenti, copiano questa nostra iniziativa. Gli unici che hanno ignorato questa poderosa iniziativa sono i nostri amministratori comunali che non si sono mai fatti vedere o sentire nemmeno al convegno organizzato il 30 aprile dove più di 200 studenti hanno potuto ascoltare le illuminate parole del professore Emilio Butturini e di don Luigi Ciotti e nel quale, detto come inciso e per completare l’informazione, presentavano al pubblico il secondo libro sui temi degli studenti partecipanti a "Carcere & Scuola" e quinta pubblicazione, da noi curata e prodotta, sull’argomento". Giustizia: in 5 anni aumentati del 73% i detenuti nel mondo
Vita, 27 giugno 2005
Una ricerca stima a oltre 73% la crescita dei detenuti nel mondo dal 1999 a oggi. Il numero dei detenuti nel mondo è cresciuto del 73% negli ultimi 6 anni. A rivelarlo uno studio condotto dal Centro internazionale di studi sulle prigioni che ha sottolineato come il trend messo in moto dai governi di tutto il mondo sia sempre più in crescita. The Guardian riporta i dati dello studio. Delle zone prese in esame la percentuale più alta è quella che riguarda l’Asia che ha un aumento della popolazione carceraria dell’83%. In particolare la Cina ha 1,5 milioni di persone in cella, cioè un tasso del 118 per 100.000 della popolazione. Al secondo posto a livello mondiale l’America con il 79% di crescita. Gli Stati Uniti in particolare sono passati dal 1999 ad oggi da 1,86 milioni di prigionieri a più di due milioni. L’Europa con il 69% di crescita nel numero di detenuti si piazza al terzo posto insieme all’Oceania. Lo stato che ha avuto un incremento maggiore è l’Olanda con il 42%, da 14 mila a 20 mila carcerati in 6 anni. Alta anche la percentuale dell’Inghilterra e del Galles che hanno 76 mila detenuti senza contare gli immigrati e coloro che chiedono asilo politico e che sono in cella. Questi ultimi secondo Amnesty International sarebbero circa 25 mila. Per Inghilterra e Galles il tasso del 142 per 100,000 della popolazione rimane altissimo e le pone sopra Italia, Grecia, Germania e Francia. "Dati gli alti costi e i risultati discutibili della carcerazione - ha detto , Roben Allen direttore del Icps - i numeri che emergono dalla ricerca dovrebbero spingere i legislatori di ciascun paese a riflettere su come limitare l’aumento del numero dei detenuti. L’uso eccessivo della prigione non aumenta la sicurezza del paese". "Davvero questo paese vuole farsi notare perché mette in prigione più delinquenti dei suoi vicini, France e Germania, e pensa che questo possa rendere la nostra società più sicura delle loro?", ha commentato Geoff Dobson, vicedirettore della Fondazione per la riforma delle prigioni. Fino a pochi anni fa la Russia, Gli Stati Uniti e la Cina erano i paesi con il maggior numero di detenuti. Raccoglievano in 3 la metà dei 9 milioni di carcerati. Adesso la Russia ha ridotto il numero da 1 milione a 763 mila. Il cambiamento è da attribuire al lavoro del vice ministro alla Giustizia ed ex direttore generale del servizio russo per le prigioni, Yuri Kalinin, che ha cambiato molto le regole della giustizia penale. Due mesi fa Lord Wolf, presidente della Corte suprema britannica, ha chiesto "maggiore saggezza" nelle condanne per aumentare la fiducia dei cittadini e rendere il sistema giudiziario più efficace. Ha inoltre detto che la prigione dovrebbe essere riservata ai reati più gravi e violenti e ai detenuti più pericolosi. Ma molti politici rimangono dell’opinione che "la prigione funziona". Pena di morte: esecuzioni in calo, ma è allarme per la Cina
Ansa, 27 giugno 2005
Si abbassa ancora il numero di esecuzioni capitali in tutto il mondo. Una tendenza che è stata monitorata e registrata negli ultimi anni dall’associazione non governativa "Nessuno tocchi Caino". Secondo il Rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo, infatti, il 2004 ha confermato la tendenza iniziata nel 1999. Le esecuzioni capitali sono scese dalle 5.607 del 2003, alle 5.476 dell’anno scorso. Un dato positivo che va ad affiancarsi all’ulteriore diminuzione dei Paesi che ne fanno uso. Se nel 2002 erano 64 le nazioni a mantenere la pena capitale, ora il numero è sceso a 58, tra cui quattordici sono considerate democrazie liberali. Solo quattro di questi Paesi democratici hanno però fatto ricorso l’anno scorso alle esecuzioni: Stati Uniti (59 esecuzioni), Taiwan (3), Giappone (2) e India (1). Nonostante l’alto numero di vittime negli Usa, il dato americano è particolarmente "confortante". Rispetto al 2003 sono infatti diminuite non solo le esecuzioni (da 65 a 59), ma anche le condanne, che nel 2004 sono state 125. Un calo del 54 per cento rispetto al 1999, vero anno-record per la pena di morte. Tra i dati presentati, salta all’occhio la massiccia utilizzazione della pena di morte in Asia. Solamente in Cina, le condanne eseguite sarebbero ufficialmente 5mila, ma secondo una stima realistica fatta da "Nessuno tocchi Caino" il numero delle vittime potrebbe addirittura essere il doppio. Dietro al "Gigante" cinese seguono l’Iran (197 esecuzioni) ed il Vietnam (115). Il dato iraniano rappresenta una grossa fetta delle 315 esecuzioni effettuate all’interno del mondo musulmano, dove spesso viene applicata una "stretta" osservanza della Sharia, la legge islamica che si rifà al Corano. Secondo "Nessuno tocchi Caino" il problema però "non è il Corano, perché non tutti i Paesi islamici che a esso si ispirano praticano la pena di morte". Il problema nasce nel momento in cui si effettua "la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi processo democratico". Per la condizione della pena di morte in Iraq e Afghanistan, "Nessuno tocchi Caino" invita a riflettere. Se la tendenza mondiale è infatti improntata sulla diminuzione delle esecuzioni, per quanto riguarda questi due Paesi la situazione è capovolta. È infatti durata poco la parentesi "sospensiva" seguita ai crolli dei regimi di Kabul e di Saddam Hussein. L’esasperazione per l’aumento della violenza da parte di gruppi ribelli armati alla fine ha ceduto il passo alla pena capitale. Preoccupa anche la reintroduzione della pena di morte in Medio Oriente, dove l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen ha di recente interrotto la moratoria delle esecuzioni, giustiziando quattro detenuti condannati per omicidio. Infine, consola il dato sull’Europa, dove l’unica "pecora nera" rimane la Bielorussia, con cinque detenuti giustiziati nel 2004. Immigrazione: manifestazione nazionale per i richiedenti asilo
Redattore Sociale, 27 giugno 2005
Il rinnovo automatico e la conversione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari. La non esecutività del provvedimento di espulsione fino alla decisione del tribunale sul ricorso contro il diniego dello status di rifugiato. Che tutti i richiedenti asilo, anche in attesa di una risposta dalla Commissione centrale o da quelle territoriali, possano legalmente lavorare. La chiusura dei Cpt e il rifiuto di ogni forma di detenzione amministrativa per i richiedenti asilo in attesa di accertamenti. Sono questi i quattro punti centrali al centro della manifestazione nazionale per la libertà dei richiedenti asilo, organizzata a Vicenza il 2 luglio (tra i promotori, Tavolo migranti dei social forum italiani, Cobas migranti - Palermo, Movimento immigrati e richiedenti asilo – Caserta, Coordinamento migranti Bologna, Gruppo immigrazione del Brescia social forum, Tavolo migranti del Torino social forum). "Le cose stanno cambiando - sottolineano le associazioni -. Da una parte, la presenza sempre più importante dei migranti nella struttura sociale e produttiva italiana, dall’altra la risposta sempre più isterica da parte dell’amministrazione dello Stato alle loro legittime richieste. Il 10 febbraio 2005 è entrato in vigore il regolamento d’attuazione della legge Bossi-Fini che prevede norme ancora più vessatorie e umilianti per ottenere il famigerato contratto di soggiorno. D’ora in poi la legalità dell’abitazione dovrà essere garantita da una dichiarazione del padrone che dovrà pure dimostrare di aver accantonato il denaro per pagare il viaggio di ritorno del lavoratore migrante. Si conclude così il progetto di obbligare i migranti alla condizione di mera forza lavoro, legata mani e piedi alla discrezionalità degli interessi padronali". Non solo: il 20 aprile 2005 sono state istituite le nuove commissioni territoriali per i richiedenti asilo. "La condizione dei richiedenti asilo in Italia - aggiungono - è quanto di più precario si possa immaginare. Coloro che sono richiedenti asilo non possono lavorare e, nonostante dovrebbero essere garantite loro accoglienza e sussistenza, questa norma non viene rispettata, costringendoli ai limiti della sopravvivenza o a essere sfruttati nel mercato nero del lavoro. Coloro che sono in possesso di un permesso per motivi umanitari non hanno la garanzia del rinnovo neppure se hanno regolari condizioni di lavoro e così sono, come tutti i migranti, sottoposti al nuovo pesante ricatto del regolamento di attuazione". L’appuntamento per il corteo è alle 17, con ritrovo al piazzale della stazione. Egitto: protesta al Cairo contro le torture nelle carceri
La Sicilia, 27 giugno 2005
Gira con mezzi di fortuna la Sicilia, raccoglie materiale di ogni genere, poi a bordo del suo furgone si reca in Kosovo per regalare agli sfortunati connazionali il frutto della sua fatica. Mustafà Cazim è un kosovaro giunto in Sicilia nel 1999, dove ha trovato rifugio dalla guerra. A Troina, ospite dei frati cappuccini del locale convento, vive con la moglie Abiba, i figli Muki e Abiba, la nuora Fatima e il genero Adem, le nipoti Lucia e Alba. Altri due figli, Esma e Babush, quest’ultimo invalido per lo scoppio di una bomba, sono rimasti in patria. Per Mustafà è diventata una vera missione quella di portare aiuto alla sua gente. Pur malato di cuore, è andato già tre volte in Kosovo, dove viene accolto con gioia dalla popolazione e con disponibilità dai Carabinieri della forza multinazionale di pace. Sono loro stessi ad agevolare l’ingresso di Mustafà a Mitroviza e a consentirgli di donare il materiale raccolto alle persone bisognose, sfollate e invalide. L’ultima volta è stata alla fine dello scorso mese di maggio, la prossima entro luglio. "Giro per le parrocchie, le scuole, i negozi di tutta la Sicilia - racconta Cazim - chiedendo materiale utile per la popolazione kosovara: indumenti, generi alimentari, medicine, prodotti per l’igiene. Quando vado in una città, spesso prima chiedo autorizzazione al sindaco". Appena il furgone è pieno della roba direttamente donata o di quella comprata con le offerte in denaro, Cazim si mette alla guida del mezzo fino a Bari, da dove si imbarca per attraversare l’Adriatico. La Sicilia è stata sensibile: "Voglio dire grazie ai tanti sacerdoti e vescovi, sindaci e imprenditori che hanno risposto al mio invito", dice Mustafà. Agli altri, chiede di essere aiutato. Immigrazione: 12 governatori regionali per la chiusura dei cpt
Il Manifesto, 27 giugno 2005
Gli sbarchi che proseguono, il Cpt di Lampedusa che s’affolla come una bolgia d’inferno, i parlamentari che denunciano trasferimenti forzati in Libia: "Le chiamano operazioni di rimpatrio", ha detto ieri Fausto Bertinotti, "ma in realtà è deportazione vera e propria, visto che li trasportano in un paese che non è il loro". È l’occasione per rilanciare lo scontro con il Governo, intrapreso dal presidente pugliese Nichi Vendola, che due settimane fa ha chiesto ufficialmente la chiusura dei Centri di permanenza temporanea: "Il suo appello è stato raccolto da tutti gli altri presidenti delle regioni del Sud, ad eccezione del governatore siciliano, Totò Cuffaro", rilancia Bertinotti, "È una proposta significativa della vittoria del centrosinistra alle regionali". Il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu ormai è pressato da ogni lato: l’Ong Terre des hommes gli chiede di mettere fine ai "maltrattamenti e alle condizioni inumane di detenzione nei centri di permanenza temporanea per immigrati"; Amnesty international denuncia il governo di violare i diritti umani; la Lega chiede rastrellamenti ed espulsioni a raffica; An vuole introdurre al più presto il reato di immigrazione clandestina. E poi ci sono i governatori: l’11 luglio s’incontreranno a Bari, per il "Forum nazionale sulla chiusura dei Cpt". Non mollano. Al contrario, alzano la testa: la Liguria del presidente Claudio Burlando ieri ha ribadito la propria adesione all’appuntamento. È mutato anche loro linguaggio: c’è chi usa il termine "carcere" e chi la parola "lager". E già questo spiega il clima dello scontro istituzionale. Ma sono soprattutto le cifre a chiarire l’entità del conflitto: dodici presidenti su venti. Una sorta di maggioranza qualificata. Dal punto di vista istituzionale, sia la Bossi-Fini sia i Cpt (definiti da molti ormai "un errore del centrosinistra"), hanno provocato ormai una crisi di rigetto. Accanto ai presidenti, per l’11 luglio, si sono schierate Magistratura democratica, Antigone (l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale), l’Asgi (studi giuridici sull’immigrazione), Amnesty international, la Fiom-Cgil. Dal 7 giugno non è trascorso un giorno senza che all’appello, lanciato da Nichi Vendola dalle colonne del manifesto, non s’aggiungesse una fetta di istituzioni o di società civile. Ieri anche la Cgil ha fatto sapere che non mancherà al Forum: "È un appuntamento importante al quale parteciperemo", spiega Piero Soldini, responsabile nazionale delle politiche sull’immigrazione, "Siamo per la chiusura dei Cpt e non soltanto per le gravi ed evidenti violazioni dei diritti umani. Sono chiaramente inefficaci: il 40 per cento degli immigrati clandestini è espulso, mentre il restante 60 per cento è costretto a tornarci, alcuni fino a cinque volte. Pisanu spesso parla di invasione, eppure sa bene che i nostri 10mila arrivi all’anno rappresentano solo l’1 per cento del flusso totale verso l’Europa. Inoltre, da noi arrivano persone che, quasi per la totalità, hanno diritto a essere accolti come rifugiati. Se pure li accogliessimo tutti, e per me sarebbe anche giusto, le nostre cifre sarebbero ben al di sotto della media europea". E su Pisanu e Cpt interviene anche il segretario dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio: "La Bossi-Fini è fallita miseramente e il governo dovrebbe prendere atto della vergogna dei Cpt". Ancora più duro Giovanni Russo Speena: "Pisanu ha ribadito alla Camera la legittimità e l’efficacia delle ‘galere etniché", dice il parlamentare di Rifondazione, "nei prossimi giorni saremo, come parlamentari, associazioni e movimenti, in tutti i Cpt italiani per verificarne l’iniquità e l’inciviltà. E anche per dimostrare la nostra condivisione al Forum nazionale: una posizione assunta da ben 12 presidenti di regione che non crediamo possano essere accusati, dal ministro, di anarco-insurrezionalismo". E infine, il verde Mario Bulgarelli: "La posizione di questi governatori è la migliore risposta alle indebite pressioni del Governo per la costruzione di nuovi lager nei territori. Pisanu farebbe bene a prendere atto che le sue pressioni non sortiscono alcun effetto: se fosse una persona di buon senso, trarrebbe la conclusione che è giunta l’ora di mettere fine a questa pagina nera del nostro paese". Gorgona: randagi "in attesa di adozione" affidati ai detenuti
Nove da Firenze, 27 giugno 2005
Livorno, 27 giugno 2005 - Si chiama "Cani con le ali" ed è un progetto teso al recupero affettivo (e alla successiva "adozione") dei cani senza padrone dell’isola di Gorgona. L’iniziativa è portata avanti dal Comune di Livorno, che, in collaborazione con la direzione della Casa di Reclusione dell’isola ha messo in piedi un piano per risolvere il problema dei numerosi randagi che vivono in Gorgona, ormai inselvatichiti e timorosi dell’uomo. Tutto è nato da una segnalazione del neo-direttore del carcere, Salvatore Iodice, al Sindaco di Livorno Alessandro Cosimi. Sono seguiti sopralluoghi del Comune e della Usl 6 e da qui è scattato un piano di intervento. Gli animali sono stati riuniti in un’area apposita, in località Cala Martina, divisi per sesso per evitare nascite indesiderate. Parallelamente è partito un programma di sterilizzazione ed adeguamento sanitario (vaccinazioni, applicazione microchip di identificazione ai fini di anagrafe canina, ecc.) seguito dal veterinario Marco Verdone. Un’operazione di "utilità sociale" che si è trasformata anche in un’occasione di partecipazione civile, in quanto sono stati coinvolti attivamente detenuti e agenti. Nel giro di qualche mese, grazie alla pazienza e all’affetto con il quale sono stati seguiti dai volontari, due dei cani raccolti sull’isola si sono abituati al contatto con l’uomo e sono pronti per essere "adottati". Per chi avesse voglia di vederli ed eventualmente prenderli in affidamento, gli animali si trovano al Dog’s Garden di via dei Poderi, località Collinaia. I cani che non sarà possibile dare in adozione, saranno affidati alle cure dei detenuti di Gorgona. Per informazioni: Ufficio Affari Animali del Comune di Livorno, tel. 0586.820349. Immigrazione: salviamo la vita a Jihad Issa, non espelliamolo
Associazione Antigone, 27 giugno 2005
Jihad Issa, palestinese, è stato arrestato in Italia nell’ottobre 1984, quando aveva 21 anni, e condannato per l’attentato ad un diplomatico degli Emirati Arabi Uniti. Ha scontato 21 anni di pena, 11 all’interno del carcere di Rebibbia, i successivi in misura alternativa. In carcere, dopo un lungo periodo di isolamento, ha imparato la lingua italiana e frequentato per 5 anni una scuola superiore insediatasi a Rebibbia anche grazie a lui. Si è diplomato come perito informatico e, da semilibero, ha intrapreso un percorso di lavoro che è iniziato con l’assistenza a ragazzi portatori di handicap, in una Casa famiglia, ed è proseguito come programmatore e insegnante di informatica presso la Cooperativa "Abaco". In considerazione della sua buona condotta, essendone stata riconosciuta la non pericolosità sociale, nel 2004 ha ottenuto l’affidamento sociale. Il 15 giugno c.a., presso la questura di S. Lorenzo dove era stato convocato telefonicamente per la notifica del fine pena, Jihad è stato formalmente dichiarato libero dal carcere, ma, in quanto immigrato clandestino, trasferito al Centro di Permanenza Temporanea di Ponte Galeria. Quello di Jihad è un caso limite. È un uomo che da diversi anni ha una casa, degli amici, una compagna con cui convive, è iscritto all’Università. Paga le tasse ed ha un lavoro stabile, entro il quale ha stabilito ottimi rapporti sia con i datori di lavoro che con gli studenti dei suoi corsi. In carcere è stato un detenuto modello. Improvvisamente, per le storture di una legge irrazionale, viene minacciato di espulsione. Ma dove? Essendo palestinese potrebbe essere espulso in Israele. Jihad Issa ha trascorso una difficile infanzia e una durissima adolescenza nel cuore dei Territori occupati, a Dura, presso Hebron, sotto l’occupazione militare israeliana. Lì quindi la sua vita sarebbe a rischio. Rischierebbe di scontare nuovamente la pena in difformità al principio ne bis in idem. In Italia oramai è una persona da oltre un decennio pienamente integrata, anche dal punto di vista lavorativo.
Primi firmatari
Stefano Anastasia, presidente nazionale conferenza nazionale volontariato giustizia Fiorentina Barbieri, insegnante Rebibbia Rodolfo Braschi, responsabile associazione Ottantanove Luigi Ciotti, presidente di Libera Patrizio Gonnella, presidente nazionale associazione Antigone Marina Graziosi, sociologa Luigi Ferrajoli, giurista Valerio Jalongo, regista Francesca Kock, storica - casa Internazionale delle Donne Luigi Manconi, garante detenuti Comune di Roma Luigi Nieri, assessore regionale al bilancio Mauro Palma, rappresentante italiano presso il Comitato europeo per la prevenzione della tortura Walter Peruzzi, direttore di Guerre&Pace
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