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Giustizia: con la legge ex-Cirielli i detenuti raddoppieranno
Il Manifesto, 5 febbraio 2005
Previti di certo non finirà in carcere. Ma grazie alla ex Cirielli, meglio nota come Salva-Previti, le patrie galere ospiteranno 20.000 persone in più ogni anno. A fare il calcolo è stata l’associazione per i diritti dei detenuti Antigone: "L’amministrazione penitenziaria - dice Stefano Anastasia - non tiene un conteggio del numero dei recidivi presenti nelle nostre carceri. Ma visto che il numero di reati puniti con la detenzione è superiore di 3 o 4 volte a quello dei detenuti, diciamo che i delinquenti abituali sono circa l’80% della popolazione carceraria". La ex Cirielli aumenta ulteriormente le pene per i recidivi (da un quarto a un terzo), elimina la discrezionalità del giudice e ritarda ulteriormente l’accesso alla legge Gozzini: "Oggi i detenuti con condanne definitive sono circa 32.000 - spiega ancora Anastasia - con questa legge diventeranno almeno 20.000 in più". Il tema non sembra interessare troppo la maggioranza. Il sottosegretario alla giustizia Luigi Vitali ha risposto immediatamente che "i problemi di super affollamento saranno affrontati a loro tempo" e che il diritto alla sicurezza degli inermi cittadini vale ben di più di quello dei detenuti "che non ne vogliono sapere di abiurare il crimine". In questo clima da assalto alla diligenza il senatore di An Luigi Bobbio ieri ha spiegato che in effetti l’obiettivo della maggioranza è evitare che Caselli diventi capo della Direzione nazionale antimafia. Giustizia: gup Milano Forleo; nulla temere da ispettori di Castelli
L’Unità, 5 febbraio 2005
"Non ho nulla da temere dagli ispettori che il ministro Castelli ha deciso di inviare". Così risponde il gup Clementina Forleo alla decisione del ministro della Giustizia di mandare gli ispettori a Milano. La decisione del ministro Castelli è arrivata l’indomani della sentenza di assoluzione di tre islamici accusati di terrorismo internazionale, emessa dal magistrato milanese, che ha suscitato numerose polemiche, alcune anche da parte del centrosinistra. "È loro dovere venire a verificare il mio lavoro – ha continuato il magistrato - è dovere del ministro mandarli. Ho il massimo rispetto per il loro lavoro". Martedì Castelli lo aveva annunciato: "ho dato incarico al capo degli ispettori di valutare se vi sia stata" da parte del giudice "ignoranza o travisamento inescusabile (…) Poi mi riservo di avviare un’azione disciplinare se emergeranno fatti concreti". Ma la sentenza pronunciata lunedì dal Gup di Milano Forleo non è la prima di questo genere. È già capitato che interpretazioni garantiste del 270 bis del codice penale abbiano portato a scagionare persone accusate di terrorismo. Il procuratore aggiunto a Torino, Maurizio Laudi, in un’intervista a La Repubblica, si dice stupito del fatto che molte persone "soltanto oggi, scoprono un problema serio e complesso che esiste dal giorno in cui il reato di associazione terroristica, internazionale, l’articolo 270 bis, è stato introdotto nel nostro codice penale. Personalmente -spiega il procuratore aggiunto a Torino - sono almeno tre anni che scrivo e dico nei seminari aperti ai magistrati e dirigenti dell’Antiterrorismo che l’articolo 270 bis, per come è oggi congegnato e interpretato è una norma inservibile. Il Parlamento allora farebbe bene ad aiutare la magistratura a ragionare e non a sollecitare reazioni di ovvia chiusura corporativa" ha concluso Laudi. Del resto la stessa Caterina Forleo aveva esposto il problema: "Il nostro diritto non è attrezzato adeguatamente" per affrontare casi simili, aveva detto il giudice poche ore dopo la sentenza. Tutto il centrodestra ha puntato il dito contro la sentenza di Milano. La Lega martedì ha inscenato una protesta davanti al Palazzo di Giustizia a Milano al grido "stop Islam, terroristi liberi, vergogna". Alfredo Biondi di Forza Italia, ha definito la sentenza un’ennesima spia della "necessità della riforma dell’ordinamento della giustizia", intesa evidentemente come un maggiore controllo dell’esecutivo sull’andamento e le carriere di giudici e pm. Ad aprire sulla possibilità di un intervento parlamentare è Maurizio Gasparri, ministro delle Comunicazioni: "Forse servirà un intervento legislativo per evitare equivoci di questa natura. I terroristi sono terroristi - conclude il ministro - negli anni ‘70 come nel 2005". Molti politici hanno però preferito astenersi dal commentare una sentenza di cui non conoscono i dettagli, da Rutelli a Bertinotti, da Andreotti a Fassino e La Russa. Anna Finocchiaro, responsabile giustizia dei Ds, martedì era entrata nel merito: "Trovo più convincente la tesi del pubblico ministero, e legittimo criticare i provvedimenti dei magistrati, ma questo non autorizza i linciaggi personali né consente a nessuno garantismi a corrente alternata". E così pure l’ex magistrato Antonio Di Pietro non si è esentato dal prendere una posizione nel merito del lavoro della collega: "I terroristi sono terroristi e come tali devono essere trattati anche se si qualificano guerriglieri. nessuna forma di resistenza può essere avallata contro persone civili ed incolumi. pertanto a mio avviso il giudice di Milano ha fatto un madornale errore che spetta ai giudici d’appello riparare. d’altronde l’appello serve a questo: evitare errori, sviste o cattive interpretazioni come nel caso in discussione". A sollecitare un intervento del presidente della Repubblica è Francesco Cossiga, che ha invitato il Capo dello Stato "a condannare immediatamente e severamente la sentenza oggettivamente filo-terrorista della giovane magistrata di Milano". A gettare discredito sulla figura del giudice Forleo ci ha pensato Gustavo Selva dicendoso poco meravigliato da una sentenza che "mette sullo stesso piano le vittime e i carnefici facendo di Simone Cola non un soldato di pace, ma un assassino. Del resto - continua Selva - giudici con kefiah ce ne sono da almeno 50 anni". "Io non commento mai le sentenze - ha aggiunto Diliberto - e quindi non commento neanche questa. Parlano i giudici" ha detto il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto che poi ha aggiunto: "Vedo che la destra non perde occasione per attaccare i giudici. È un’ossessione, forse anche perché sono inquisiti e quindi questo è il motivo di fondo". Lanusei: nuovo carcere, servono cinquanta milioni di euro
L’Unione Sarda, 5 febbraio 2005
Trovato il terreno adatto (Genn ‘e Sarritzu, strada provinciale Lanusei-Loceri), adesso bisogna farlo, questo penitenziario. Servono cinquanta milioni di euro per costruire il nuovo carcere: sicurezza elevata, duecento agenti in servizio, tanto personale civile, un indotto garantito in termini di reddito e buste paga. Quanto ai finanziamenti necessari, nel settembre scorso erano arrivate notizie non troppo rassicuranti dal ministero della Giustizia. Giuseppe Magni, consulente del Guardasigilli Roberto Castelli, aveva spento facili illusioni avvisando ("per ora non c’è un euro") che era ancora in corso la caccia alle risorse necessarie . Ora però il quadro sembra cambiato. Il sopralluogo eseguito giovedì mattina da rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria e del ministero delle Infrastrutture ha consentito la scelta della superficie su cui dovrà sorgere il nuovo carcere. Segno tangibile che s’intende dar corso al progetto preliminare e allo stanziamento dei fondi necessari. Tant’è che in Comune si registrano dichiarazioni improntate all’ottimismo. "Siamo più che a buon punto", sostiene Ivan Depau (Sdi) assessore comunale ai Lavori pubblici. "Si è dato seguito concreto al lungo carteggio intercorso fra amministrazione penitenziaria e Comune di Lanusei. Il sopralluogo, cui hanno partecipato il provveditore regionale alle carceri Francesco Massidda e il sostituto procuratore generale di Cagliari Ignazio Chessa, ha determinato la scelta del sito, definitiva. Dal procuratore generale Chessa, dal provveditore Massidda. Ora il ministero delle Infrastrutture, rappresentato giovedì a Lanusei dall’ingegner Mariella Mereu, può dar corso alla progettazione preliminare. Abbiamo piena fiducia nel fatto che il finanziamento per il nuovo carcere arrivi presto. Con notevoli vantaggi non solo per il futuro ma anche nell’immediato". La costruzione del penitenziario imporrà l’assunzione di direttori dei lavori, tecnici, operai e manovali, consentendo di dare ampio respiro al settore, ora un po’ asfittico, dell’edilizia pubblica. Per mettere su la nuova casa di reclusione, che sorgerà su aree attualmente private, sarà necessario l’esproprio di molti terreni. "Il Comune - continua Ivan Depau - ha messo a disposizione diverse aree. Sono stati i funzionari ministeriali a individuare il sito più funzionale. La scelta è caduta su Genn’e Sarritzu perché si tratta di un’area sufficientemente pianeggiante e dotata di alti standard di sicurezza. Proprio la struttura del nuovo carcere determina costi di realizzazione altissimi. Ecco spiegato il fatto che per costruirlo occorrano perlomeno 50 milioni di euro. Aspettando lo stanziamento, il sindaco Enrico Lai ritiene fondamentale il passaggio compiuto giovedì scorso. "Quello del sopralluogo - osserva - è stato un passaggio fondamentale nell’iter che ci porterà ad avere il nuovo carcere. Ora si può passare alla fase del progetto preliminare. Il finanziamento? Non nutro nessun dubbio sul fatto che sia garantito. Dirò di più. Credo che il mio successore possa aver l’onore di inaugurare. Grazie a un lavoro, discreto ma corretto, condotto in questi anni. Che porta i suoi frutti e paga più delle chiacchiere". Usa: stop a campi rieducativi per giovani criminali
Apcom, 5 febbraio 2005
L’era dei "boot camps" è finita. I campi di rieducazione di stampo militare creati negli anni ‘80 per infondere disciplina nei giovani criminali non funzionano. Ad ammetterlo è l’ente federale che gestisce i penitenziari, che si prepara a chiudere le tre strutture che gestisce direttamente. In una nota invitata a tutti i giudici federali, avvocati e procuratori distrettuali, il direttore del Bureau of Prisons Harley Lappin ha reso noto che i "boot camps" non hanno più successo delle normali prigioni, quando si tratta di reinserire nella società i criminali. Chiudendo i suoi tre "boot camp", l’ente federale, che supervisiona 180.000 internati in 104 strutture negli Stati Uniti, risparmierà più di 1 milione di dollari, come riportato dal quotidiano USA Today. I "Boot Camps", che danno grande enfasi al vigore fisico e alla disciplina, negli anni 80 furono allestiti in 27 Stati, impartendo corsi di "anger management", lavori specializzati e lingua inglese. In cambio del completamento dei programmi formativi in 90-180 giorni, i condannati potevano ottenere una riduzione della pena. Uno studio federale effettuato nel 2003 ha però dimostrato che i campi hanno fallito nell’impedire ai criminali di essere recidivi, e nel frattempo entro il 2000 un terzo dei campi statali era già stato chiuso. L’associazione federale dei giudici, l’Executive Commitee of the Judicial Conference, non è però d’accordo con Lappin, e sta pianificando di indurre il Dipartimento di Giustizia a tornare sulla sua decisione. Secondo il difensore federale di Buffalo, Timothy Hoover, i "boot camps" "sono più benefici del lasciare qualcuno 24-30 mesi seduto in prigione", "l’impatto può essere leggero" - ha aggiunto Hoover a Usa Today - "ma io non rivedo mai (in giudizio) i criminali inviati nei boot camp". Giustizia: detenuto islamico; Pisanu, rifarei espulsione 100 volte
Reuters, 5 febbraio 2005
Lascerà oggi pomeriggio il centro d’accoglienza a Milano Mohammed Daki, il marocchino, presunto militante islamico assolto nei giorni scorsi dall’accusa di terrorismo internazionale insieme ad altri due, per il quale il ministro dell’Interno ha chiesto l’espulsione dall’Italia. Lo ha dichiarato a Reuters il legale di Daki, Vainer Burani, annunciando che il giudice di pace non ha non ha convalidato il provvedimento che da ieri trattiene il marocchino nel centro di permanenza temporanea per clandestini a Milano, dove è stato rinchiuso in attesa delle decisioni dell’autorità giudiziaria. Nel pomeriggio è intanto attesa la decisione del gip milanese Clementina Forleo sul nulla osta, chiesto dalla questura di Milano, al decreto di espulsione del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu. Una decisione che si preannuncia sfavorevole all’espulsione, in quanto la gip dovrà tenere conto del parere negativo al decreto già espresso stamane dalla procura, che ricorre in appello contro l’assoluzione di primo grado di Daki per il reato di terrorismo internazionale. Sempre la Forleo ieri ha già negato, per ragioni processuali, un altro nulla osta all’espulsione di Daki, richiesto, stavolta, dalla questura di Como. La legge sull’immigrazione prevede che l’autorità giudiziaria possa sospendere un decreto amministrativo di espulsione se l’imputato deve ancora essere processato in Italia. Pisanu ha deciso ieri che Daki venga accompagnato alla frontiera per "motivi di grave turbamento dell’ordine pubblico e di pericolo per la sicurezza dello Stato", e oggi ha ribadito "rifarebbe il decreto 100 volte", parlando al Congresso di Forza Italia a Roma. Daki e altri quattro islamici sono stati al centro di aspre polemiche politiche per la sentenza con cui il gup Forleo la settimana scorsa ne ha assolti tre dal reato di terrorismo internazionale e ha rinviato per competenza territoriale la posizione degli altri due a Brescia.. Il gip aveva condannato Daki, Bouyahia Maher e Ali Ben Sassi Toumi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ribaltando la tesi della Forleo, il gip bresciano Roberto Spanò ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare per terrorismo internazionale nei confronti dei due islamici, Noureddine Drissi e Kamel Hamraoui, inviati a Brescia. Al centro delle due diverse tesi dei magistrati, l’aver considerato o meno un atto di terrorismo, l’invio di militanti in Iraq e la partecipazione ad atti di guerriglia. I cinque islamici erano stati arrestati nell’ambito dell’inchiesta che ha portato in carcere lo sceicco egiziano Abderrazak, estradato in Italia dalla Germania ed erano accusati, oltre che di terrorismo internazionale, di aver preparato attentati da compiere in Europa. Giustizia: infermieri penitenziari in protesta davanti al ministero
Comunicato Stampa S.A.I., 5 febbraio 2005
Non so come fare ad esprimere tutta la mia amarezza e quella dei miei colleghi infermieri penitenziari. Amarezza che si sta trasformando in rabbia, in disperazione, in sconforto. Io personalmente, forse indebolito dal mio sciopero della fame, che oggi è al 13 giorno, ho sensazioni ed emozioni veramente di disagio. Disagio nei confronti di un governo sordo, disagio nei confronti di un ministro credo più giustizialista che giusto, disagio nei confronti di tutti quei colleghi che chiedono aiuto e ai quali non so più dare una vera risposta. Ma che sta succedendo? Non lo sappiamo più. La insoddisfazione degli infermieri penitenziari sposa, purtroppo, una pena sempre più afflittiva e quasi voluta da chi invece dovrebbe rendere la pena meno afflittiva ed addirittura, in molti casi, alternativa al carcere. Come si fa a rispondere col silenzio. Non sappiamo più come fare per smuovere l’arroganza di questo governo e di questo Ministro che è poi colui che a Genova Bolzaneto disse che gli operai stanno in piedi tutto il giorno e non si lamentano. Gli operai si lamentano, eccome, ma vengono caricati dalla polizia, come è accaduto a Melfi. Tutti si lamentano e protestano, basta guardare la televisione. Ma non vedrete la nostra protesta in televisione in quanto, essendo pochi, non interessiamo nemmeno come categoria di lavoratori in protesta. Io vi comunico solo che saremo a Roma, i soliti due imbecilli, da 23 al 25 marzo prossimo davanti al Ministero della Giustizia, in via Arenula, e stavolta, oltre che allo sciopero della fame, faremo quello della sete. Povero quel popolo che ha bisogno di eroi. Aiutateci, per favore, siate con noi.
Il Segretario nazionale del Sai, Marco Poggi Siracusa: allarme cappellano; "a Brucoli scarseggia personale"
La Sicilia, 5 febbraio 2005
"La struttura del carcere di Brucoli non è idonea per chi ha problemi psichiatrici gravi che non possono essere risolti anche per la mancanza di personale". A dirlo è padre Maurizio Sierna, da 8 anni cappellano dell’istituto di contrada Ippolito. "Arrivano persone che dovrebbero andare all’ospedale psichiatrico giudiziario - spiega padre Maurizio - e a Brucoli ci sono solo due psichiatri e tre psicologi. I detenuti sono circa 615. Mancano gli educatori, attualmente tre ma dovrebbe essere almeno otto. Gli assistenti sono solo quattro. Il personale della polizia penitenziaria è sotto organico di 70 unità. Per le risoluzione delle pratiche ci vogliono tempi lunghissimi. Non si può accedere alla liberazione anticipata perché ci vuole il tempo che qualcuno, già oberato di lavoro, rediga la relazione. Così i detenuti restano in "giacenza", acuendo il loro già provato stato psicologico". Ruolo importante all’interno del carcere è la figura del responsabile sanitario. "È lui che decide se lo stato di salute di un detenuto è compatibile con la vita carceraria", spiega il cappellano. Negli ultimi anni i vari dirigenti non sono rimasti oltre qualche anno. A stare più di 15 anni è stato Fabio Scandurra, che ha lasciato per la funzione di primario che all’epoca aveva nella divisione di Cardiologia del Muscatello. Sotto la direzione Scandurra, a Brucoli furono effettuate terapie all’avanguardia anche per le strutture mediche "esterne" e diagnosticate malattie rare. "Il Ministero ha tagliato molti fondi per gli istituti - dice padre Maurizio, - questa è la spiegazione che ci viene sempre detta". Cremona: danni alle tv delle celle, giudice assolve sette detenuti
Provincia di Cremona, 5 febbraio 2005
Assolti per non aver commesso il fatto. Questa la sentenza emessa ieri mattina dal Tribunale di Cremona (giudice: presidente Grazia Lapalorcia, accusa rappresentata dal pm onorario Robertino Ansaloni) nei confronti di sette detenuti nel carcere di Cà del Ferro accusati di danneggiamento delle televisioni in dotazione a tredici delle venticinque celle della sezione D della casa circondariale alle porte della città. I fatti risalgono al 2003. In quell’occasione, dopo un rapido passa parola tra i detenuti, gli stessi decidono di piegare parte della protezione che sostiene gli apparecchi televisivi appesi alle pareti e questo per un semplice motivo: da sdraiati il telecomando non funziona per via di quella parte di protezione; per cambiare canale è necessario alzarsi. Una volta fatto quell’intervento e reso possibile il cambio di canale dalla branda, la cosa non passa inosservata agli agenti della Polizia penitenziaria che in quattro e quattr’otto fanno rapporto. Rapporto che è diventato una denuncia approdata in fretta nelle aule di giustizia. Poi l’iter sfociato nel processo terminato ieri. Il presidente Lapalorcia, che ha valutato la vicenda alla luce del fascicolo dove una parte preponderante l’hanno proprio le carte prodotte dalle autorità del carcere, ha deciso per l’assoluzione. Porto Azzurro: il Sindaco; non sono contro i semiliberi…
L’Isola, 5 febbraio 2005
Appare sorpreso il sindaco longonese Maurizio Papi dalle proteste sollevate in seguito ad un ordine del giorno sui semiliberi della locale casa di reclusione adottato in Consiglio comunale. A giudizio del primo cittadino è stato frainteso il senso del provvedimento e le sua posizione in merito, tanto da voler tornare sull’argomento per ristabilire chiarezza. Innanzitutto, ammette di aver utilizzato impropriamente il termine semilibertà, istituto ben preciso che configura determinati parametri per poter ottenere il permesso di uscire dal penitenziario per lavorare. "Intendevo dire - specifica Papi - che l’amministrazione carceraria e il Ministero di Grazia e Giustizia ci devono dare una mano per organizzare tutti quei detenuti che si trovano a lavorare fuori, o come semiliberi o in base all’articolo 21 o per qualunque altro beneficio di cui godono. Mi riferisco anche a coloro che scontano il fine pena e dopo tanti anni escono dal carcere trovandosi in una realtà che non è più quella che hanno lasciato. Motivo che sta alla base di molte difficoltà incontrate". Papi ribadisce che non si tratta solo di due o tre persone ma molte di più, che "spesso non hanno un lavoro adeguato per poter mantenere la famiglia" e si rivolgono al primo cittadino nella speranza di un aiuto. "Mi chiedono lavoro, casa, assistenza - afferma il sindaco - e se abbiamo la possibilità di sistemare qualcuno lo facciamo. Ma istituzionalmente questo non compete a noi, non ne abbiamo neppure le possibilità. Spesso a chiedere assistenza sono le famiglie che si ricongiungono con i detenuti". Un diritto definito "sacrosanto" da Papi, ma che pare crei talvolta dei disagi in paese. "Chiedo solamente - prosegue - che certe situazioni di attrito vengano eliminate. Per questo mi appello al sostegno degli Enti preposti. Ritengo inoltre che chi viene da fuori si debba adeguare ai nostri sistemi e ai nostri principi". Nega decisamente di avere velleità di smantellamento della casa di reclusione. "Non ho nessuna volontà di togliere il carcere - ribatte - soprattutto per poi farci un casinò. Se avessi potuto,quest’ultimo lo avrei già fatto. D’altra parte il carcere è una fabbrica pulita,che dà lavoro a 250 persone circa. Per noi è una realtà fortissima che non ho affatto intenzione di eliminare. Sarebbe una follia amministrativa sostenere il contrario". Il sindaco portoazzurrino ribadisce inoltre di non avere mai avuto in passato né ora alcunché contro I detenuti. "Voglio soltanto evitare situazioni di disagio - conferma - e per questo ho scritto all’amministrazione carceraria e al Ministero per chiedere pareri e suggerimenti. Desidero che ci sia chiarezza. Possiamo convivere,ma rispettando certe regole. Invece in giro ci sono voci contrastanti". La situazione, pare di capire, sembra cambiata rispetto al passato. "Prima i detenuti si integravano perfettamente nella realtà del paese - spiega Papi . Credo che ora sia cambiato qualcosa, perché c’è la tendenza più spiccata ad avere la famiglia vicino. È un diritto degno del massimo rispetto, come il reinserimento del detenuto. Però bisogna che ci sia un aiuto concreto per trovare una casa e un lavoro, entrambi dignitosi". "La mia non è una battaglia "contro" - sottolinea - ma proprio per far stare meglio le famiglie e i detenuti che hanno rapporti con l’esterno. È nel loro stesso interesse che faccio queste richieste. Del resto, noi da soli non ce la facciamo". Nessuna richiesta, quindi, di abolire o restringere la semilibertà, ma di migliorare semmai la condizione dei detenuti e delle loro famiglie. "Non ci tiriamo indietro nel fare la nostra parte - asserisce - ma chiediamo che ogni caso sia gestito preventivamente. Anche il ricongiungimento familiare secondo me deve essere gestito, non lasciato al caso. Questo perché si riveli davvero dignitoso. Abbiamo presente in paese una realtà cospicua, non cosi esigua come è stato detto da qualcuno. E arrivando anche i parenti, le famiglie sono allargate". Si tratta di situazioni che si inseriscono in una realtà sociale particolare. "Se qui non ci sono possibilità per i detenuti che possono lavorare all’esterno - sostiene Papi - chiedo, al limite, che siano trasferiti dove le possibilità ci sono, in altre realtà. All’Elba i detenuti trovano lavoro per lo più stagionale, con il quale non ce la fanno a coprire le spese della famiglia. E poi si sa che in certi casi devono pagarsi i contributi sociali da soli? Insomma, chiedo solo di eliminare queste situazioni che possono avere ripercussioni negative sulla popolazione". "Non ho problemi con il carcere - termina - né con i detenuti. Ma ci deve essere un aiuto concreto per reinserirli nella società dignitosamente e con il rispetto delle regole".
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