|
Castelfranco Emilia: apre il 21 marzo carcere per tossicodipendenti
La Repubblica, 21 febbraio 2005
Sembrano contadini come gli altri, gli uomini che portano il fieno alle vacche da latte. Uno guida il trattore, l’altro scarica le balle, un terzo taglia i campi per andare a controllare le arnie delle api. Ma un fossato e una rete alta poco più di due metri raccontano che questo non è un podere come gli altri: è una Casa di Lavoro, con detenuti che dopo il carcere hanno subito anche questa "pena supplementare". Proprio qui, oltre la rete sorretta da pali verdi ed i resti dei muraglioni del Forte Urbano il 21 marzo verrà inaugurato alla presenza di un bel pezzo di governo (sicuri per ora il vice premier Gianfranco Fini e il ministro Carlo Giovanardi) il primo carcere speciale per tossicodipendenti. Il progetto è stato preparato dalla comunità di San Patrignano, che sarà impegnata anche nella gestione del carcere, con attività "di carattere eminentemente educativo". Il direttore della Casa penale, Francesco D’Anselmo, dice solo che non può raccontare nulla e che bisogna chiedere al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (che nemmeno risponde). Per fortuna, in un’intervista al settimanale della diocesi modenese, Nostro Tempo, il direttore D’Anselmo nel gennaio 2004 aveva svelato qualche segreto. "Stiamo facendo lavori di ristrutturazione e presto potremo accogliere 140 persone. La nostra diventerà una struttura a custodia attenuata per le pene inflitte ai tossicodipendenti. Il lavoro sarà importante anche per i nuovi detenuti: abbiamo 16 ettari di seminativi, un frutteto, un vigneto, una stalla, alveari per la produzione di miele". I lavori sono ancora in corso, ma le celle - a due o tre posti letto - sono state in gran parte ristrutturate. Ancora aperto il cantiere per i nuovi impianti di luce, acqua e gas. Ma ad appena un mese dall’inaugurazione ancora non è chiaro a cosa serva questo che il ministro Giovanardi ha chiamato "carcere modello". "È una struttura che serve - ha spiegato il ministro il 16 febbraio a Roma, in un incontro dedicato a "Strategie nazionali e internazionali nella lotta alla droga" - per il recupero di detenuti tossicodipendenti condannati a pene detentive che non permettono l’assegnamento alla comunità. È evidente che chi è condannato per omicidio non può uscire dal carcere, ma non per questo si rinuncia all’idea di un recupero dalla tossicodipendenza". Una struttura, dunque, molto diversa dai Servizi a Custodia Attenuata esistenti da più di un decennio (il primo è stato aperto a Rimini nel 1992 proprio dall’attuale direttore di Castelfranco) in otto carceri italiane. "In Emilia Romagna - spiega l’assessore alle politiche sociali Gianluca Borghi - oltre a Rimini abbiamo un altro piccolo reparto "attenuato" a Forlì. Entrambi funzionano benissimo, ma sono "reparti" con 10 o 15 detenuti. Qui si sta aprendo un carcere con più di 100 detenuti e alla Regione, in questi 4 anni, non è stato detto nulla. Scriverò al ministro Castelli e al direttore del Dap per fare sapere che esistiamo anche noi. A Rimini e Forlì il tossicodipendente riflette sulla possibilità di entrare in una comunità. Gli operatori - medici, psicologi, esperti di comunità, mandati dalle Asl - cercano di capire se davvero ci sia un impegno serio. E dopo un mese, due, quattro, c’è il passaggio alla comunità". Secondo il ministro, il carcere di Castelfranco sembra invece destinato ad una popolazione "fissa", e questo contrasta anche con le intenzioni espresse dal partner principale dell’amministrazione penitenziaria in questo progetto, San Patrignano. Si era parlato già nel 2.001, della presenza della comunità diretta da Andrea Muccioli in un carcere dello Stato. "Ci dispiace per chi ci invidia - dichiarò allora il figlio di Vincenzo Muccioli - ma l’idea l’abbiamo avuta noi. Quella di Castelfranco sarà una struttura nuova ed estremamente originale. Chi ci invidia è interessato solo alla spartizione delle vacche. Tutto nasce da un nostro progetto, che ho portato personalmente al ministro Castelli".
Quattro anni di lavoro in sordina, e ora arriva la conferma
"San Patrignano - spiegano ora i dirigenti della comunità - ha ideato e sta definendo, insieme al direttore della Casa circondariale di Castelfranco ed altre realtà attive nel campo del recupero e del reinserimento, un progetto d’avanguardia, di forte valenza educativa e sociale". La comunità si fa forte della propria esperienza. "Dal 1984 ad oggi, qui da noi, 3.500 anni di carcere sono stati sostituiti da percorsi alternativi mirati alla riabilitazione e al pieno reinserimento sociale". Ma anche la comunità di Rimini non sembra pensare a detenuti chiusi a Castelfranco fino alla fine della pena. "Il progetto - dicono infatti - prevede attività motivazionali, di sostegno e formazione, propedeutiche all’ingresso in comunità per il completamento del programma". Nella fretta di arrivare ad un’inaugurazione in campagna elettorale forse non tutto è stato dunque definito. A dicembre, ad esempio, il direttore di Castelfranco ha incontrato a Modena il Ceis e la comunità l’Angolo di don Soffritti, oltre agli operatori del Ser.T.. Ha chiesto la loro collaborazione e il loro contributo, senza fare però cenno alla presenza degli operatori di San Patrignano. Anche i 24 "internati" tuttora presenti nella casa di lavoro non sanno nulla del loro futuro: forse saranno trasferiti nella vicina casa di lavoro di Saliceta San Giuliano. Già trasferite invece quasi tutte le 60 mucche di razza olandese, che saranno sostituite dalle pregiate vacche bianche di razza modenese. Si vuole infatti avviare una stalla modello. Sembra davvero l’inizio di una nuova San Patrignano. Un carcere affidato a San Patrignano? È subito polemica...
News Rimini, 21 febbraio 2005
Non sa nulla dell’inaugurazione della nuova struttura di rieducazione per tossicodipendenti che dovrebbe aprire a Castel Franco Emilia Andrea Muccioli, responsabile di San Patrignano e promotore, già nel 2001, del progetto. Questa mattina il quotidiano "La Repubblica" aveva annunciato il taglio del nastro il 21 marzo alla presenza del vice presidente del Consiglio Gianfranco Fini. "Noi aspettiamo che ci dicano cosa vogliono- ha dichiarato Muccioli. - Mi disturba che il progetto possa essere vantato a fini elettorali o che possa diventare oggetto di prevenzione ideologica da parte di chi ostacola il metodo di recupero della nostra comunità". "Il progetto - ha aggiunto - è già pronto da due anni, ma ci sono già stati tentativi di bloccarlo, ed è stato lo stesso direttore della casa di lavoro di Castelfranco, Francesco D’Anselmo, in passato direttore del carcere riminese, a chiedere la disponibilità e l’intervento di San Patrignano". Il progetto prevede la riabilitazione a piccoli gruppi dei ragazzi con esperienze di lavoro e attività motivazionali propedeutiche all’inserimento in comunità terapeutiche. Nel dibattito interviene anche Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale del settore penitenziari della Cgil e si chiede chi pagherà San Patrignano e come sarà organizzato l’istituto penitenziario. "L’ unica cosa vera di tutta questa vicenda - dice Rossetti - è che l’accordo tra il Dap e San Patrignano risale al 2001 e che, allora, fu colpevolmente sottovalutato da tutti". Gia allora il sindacato denunciò il rischio di una privatizzazione delle carceri italiane e della possibilità che il problema delle tossicodipendenze in carcere fosse affidato a comunità private invece che allo Stato. Il sindacalista polemizza anche con il Ministro della Giustizia che sosterrebbe il progetto avvalendosi di convenzioni già stipulate con altre comunità. "Le convenzioni alle quali il ministro si riferisce - dichiara Rossetti - sono quelle assunte con alcune comunità terapeutiche per seguire i detenuti tossicodipendenti quando escono dal carcere e non quando vi sono ristretti, situazione quest’ultima - conclude - in cui gli unici ad avere il diritto di intervenire sono i Ser.T. delle Aziende Sanitarie". Per i Radicali l’ipotesi di un carcere ad hoc per i tossicodipendenti è già prevista nella legge Iervolino-Vassalli di 15 anni fa. "Anche nell’istituto di Castelfranco Emilia - afferma Giulio Manfredi del Comitato nazionale Radicali - dovrà esserci l’intervento del Sert di riferimento, senza che questo, peraltro, escluda la possibilità di coinvolgere la comunità di San Patrignano nell’opera di riabilitazione". "La legge, naturalmente, può essere modificata - conclude Mandredi - ma dubito che la maggioranza di governo riesca a farlo entro il 21 marzo o il 3 di aprile!" Vicenza: protesta degli agenti, nell’istituto problemi mai risolti
Giornale di Vicenza, 21 febbraio 2005
"Una situazione pesante che necessita di una soluzione immediata. Per questo siamo pronti a chiedere l’intervento dell’Ulss sulle condizioni igieniche, del pretore del lavoro per la posizione di alcuni agenti e del prefetto". Francesco Colacino, segretario nazionale del Cnpp, il sindacato più rappresentativo degli agenti di polizia giudiziaria, torna sull’annosa questione del carcere S. Pio X. Nei giorni scorsi ha incontrato il provveditore regionale Felice Bocchino, in visita a Vicenza. Colacino ha elencato numerosi fronti aperti. "Il più grave riguarda la vicenda di un agente che doveva svolgere servizio di scorta e traduzioni ma che non è stato accettato per un problema fisico. Quella patologia, però, ce l’avevano anche l’altri, ma erano stati dichiarati idonei a svolgere il lavoro dall’ospedale militare. Abbiamo sollevato il problema e Bocchino, per tutta risposta, ha disposto che neanche gli altri possano lavorare di scorta". Ancora, Colacino critica il fatto che Vicenza, unico caso in Italia, non percepisce in anticipo i fondi per le missioni, costringendo gli agenti a pagare di tasca propria. Ancora, manca l’indennità di cassa ai poliziotti che pure controllano i soldi della ragioneria, che invece ne gode. "Il Cnpp porrà dei paletti sullo straordinario: noi perdiamo 15 minuti al giorno perché manca un accordo firmato altrove e soprattutto non riteniamo corretto che chi lavora in ufficio (una circolare della Corte dei Conti impone che non faccia straordinario) da noi lo segna regolarmente, limitando le possibilità di chi lavora in turno. I casi contestati sono numerosi e non possiamo più aspettare; speriamo che la nuova direttrice Irene Iannucci possa risolverli". Vicenza: rissa in campo, 5 detenuti patteggiano una multa
Giornale di Vicenza, 21 febbraio 2005
Cinque detenuti del "soccer team" sono usciti di scena durante l’udienza preliminare con il patteggiamento per rissa aggravata. La partita di pallone in carcere al S. Pio X finì nel peggiore dei modi, con botte da orbi. Italiani e albanesi si misero le mani addosso non solo durante l’incontro, mentre le guardie carcerarie accorrevano per evitare che la situazione già complicata degenerasse ancora di più, ma l’indomani ci fu l’epilogo di una spedizione punitiva. Ieri mattina davanti al giudice Marco Benatti (pm Paolo Pecori) hanno patteggiato una multa Galliano Granato (200 euro), Raffaele Signò (200), Haki Hasequi (3040), Arquile Lalaj (3040) e Shkelquim Tollia (200 euro). Il fatto avvenne il 12 luglio 2003, faceva molto caldo. Nelle celle i detenuti facevano la sauna e fu organizzata la classica partita di pallone italiani contro albanesi. C’era stato qualche colpo proibito fino a quando Haki Hasequi, 30 anni, Arqile Lalaj, di 27, e Dashnor Shkoza, di 26 anni, avrebbero deciso di farla pagare a Davide Gasparotto colpendolo con calci, pugni, ma soprattutto con il manico di una scopa. L’italiano ebbe la peggio e fu accompagnato in infermeria con una prognosi di cinque giorni. La lista dei feriti è composta anche dagli albanesi Shkelqim Tollia, 25 anni, Shkoza, Hasequi e gli italiani Galliano Granato, 30 anni di Trieste, Raffaele Signò, di 40, di Varese e, infine, di Paolo Sudiro, 37 anni, di Thiene. Invece, la "distinta" degli imputati si compone anche di Mario Cerri, 22 anni, di Schio, Armando Keli, 32, di Bassano e Fabrizio Saivezzo, 35, di Pove del Grappa. Colui che aveva subito le conseguenze più pesanti fu Sudiro che accusò la frattura della mano destra con una prognosi di più di un mese. Il resto della "squadra" difesa dagli avvocati Davide Verlato, Cesare Dal Maso, Paolo De Meo, Elisabetta Cardello, Claudia Longhi e altri legali di fuori foro, che non è passata attraverso il patteggiamento, comparirà in tribunale il 9 giugno. Ravenna: l’area verde, per un carcere più umano…
Corriere Adriatico, 21 febbraio 2005
Un giardino di 100 metri quadrati con due tavoli di legno e tre panchine. Attorno qualche vaso di terra seminata che aspetta primavera e due piccole aiuole già verdi. La nuova area per i detenuti della casa Circondariale di Ravenna è tutta qui. Una scatola dentro un cassetto. E per un carcere che ha circa 120 reclusi e solo tre punti doccia - stando ai dati diffusi dall’ultimo parlamentare che ha fatto visita alla struttura (l’onorevole radicale Maurizio Turco ndr) -, la neonata piazzetta non è proprio la riforma strutturale più attesa. Ma costituisce almeno un punto di partenza incoraggiante per altre iniziative rivolte all’umanizzazione di un luogo che tende per sua natura all’oblio. Per realizzare il cortile - ricavato da un ex spazio adibito a magazzino - ci sono volute 33 ore di lavoro, l’impegno di cinque detenuti e degli operatori della cooperativa sociale La Pieve e del Consorzio provinciale per la formazione professionale. I lavori sono stati finanziati da fondi regionali messi a disposizione del consorzio per i servizi sociali nell’ambito della legge 328 del 2000. L’iniziativa è stata patrocinata anche dagli assessorati alle Politiche Sociali di Comune e Provincia, ieri presenti con gli assessori Ilario Farabegoli ed Emanuela Giangrandi. L’area, ultimata a dicembre, è stata inaugurata ufficialmente ieri con la benedizione laica del sindaco Vidmer Mercatali e quella religiosa dell’arcivescovo Giuseppe Verucchi, che dalla piccola cappella del carcere ha ricordato l’importanza di un reinserimento sociale degli uomini che un giorno lasceranno Port’Aurea. Una casa circondariale che ospita in maggioranza detenuti in attesa di giudizio o condannati a pene in genere non superiori ai cinque anni. "Oggi la città entra nel carcere - ha aggiunto il sindaco Mercatali -, per far sapere a chi ci soggiorna che Ravenna non si dimentica di chi ha sbagliato". Tra gli invitati alla piccola cerimonia anche tre detenuti, che hanno collaborato al progetto mettendo in pratica quanto appreso nei corsi di giardinaggio e falegnameria. "Fino adesso avevamo solo un piccolo campo da calcetto - spiega uno di loro - ora abbiamo trasformato quello che era un magazzino in un altro luogo di incontro. Abbiamo sei ore al mese per i colloqui con i familiari - continua - poterli fare qui, invece che in una stanza grigia, sarà sicuramente migliore". Appesi ai muri della piazzetta ci sono anche i dipinti che compongono la mostra "Metropolitana 57", in parte ospitata anche ai Magazzeni del sale di Cervia, fino al 26 febbraio. "La mia preghiera - ha sottolineato il vescovo di Ravenna, monsignor Giuseppe Verucchi in chiusura - è che del carcere ce ne sia sempre meno bisogno". Brescia: Canton Mombello è in permanente emergenza
Giornale di Brescia, 21 febbraio 2005
"Il pianeta giustizia a Brescia è in una situazione tragica, siamo davvero la periferia dell’impero". Emilio Del Bono, parlamentare della Margherita, ha usato queste immagini per fotografare l’attuale situazione bresciana. Valutazioni fatte dopo aver incontrato, nella giornata di ieri in compagnia dell’on. Giuseppe Fanfani (capogruppo della Margherita in Commissione Giustizia alla Camera) il presidente del Tribunale Roberto Mazzoncini, il Procuratore della Repubblica Giancarlo Tarquini e Luigi Frattini presidente dell’Ordine degli avvocati bresciani. Del Bono ha fornito alcuni numeri: "La situazione della magistratura è molto preoccupante - ha detto - si contano infatti 59 giudici in un distretto di oltre 1 milione di abitanti: uno ogni 18.400 bresciani. Abbiamo lo stesso numero di magistrati che c’erano nel 1857". Una situazione analoga si riscontra secondo Del Bono per il personale amministrativo del Tribunale di Brescia: "A Brescia operano 183 addetti, uno ogni 5.403 abitanti; se prendiamo il caso di Bari ce ne sono 343: uno ogni 1.479. Diventa quindi fisiologica la massiccia mole di lavoro arretrato per il Tribunale di Brescia che si trova a dover "rincorrere" 1.600 cause pendenti all’anno". A queste parole si sono aggiunte quelle dell’on. Fanfani che ha chiarito: "Uno degli indicatori di civiltà è la velocità con cui la giustizia riesce a rispondere alle richieste dei cittadini. Nella situazione attuale il Governo dovrebbe investire per risolvere i problemi di organico". Secondo i rappresentanti della Margherita un’altra situazione fortemente critica è quella delle carceri bresciane: "Oltre al sovraffollamento permanente di Canton Mombello, bisogna segnalare le carenze croniche di personale e le presenza di un solo educatore per 400 detenuti". L’ultimo punto della questione giustizia a Brescia è legato al nuovo Palazzo di Giustizia di fronte al quale si è tenuto l’incontro con i mezzi di informazione. "Una sede - ha detto Del Bono - che ancora non può essere attivata nonostante i lavori di edificazione e gli adattamenti richiesti siano stati ultimati. Il presidente Mazzoncini si augura di poter iniziare il trasloco dalla sede di via Moretto nella primavera del 2006. Ma si tratta di un progetto molto ottimistico, se davvero si vogliono rispettare i tempi si devono indire le gare d’appalto europee per gli arredi e portare a termine quello per l’archivio". Critiche al ministro di Grazia e giustizia, Roberto Castelli: "I leghisti - ha detto Del Bono - sono bravi a fare dichiarazioni sul federalismo ma sono assolutamente inefficaci per ciò che riguarda le risposte a esigenze reali. Del ministro non si è avvertita nessuna presenza tra i banchi del Consiglio comunale e niente è stato fatto per velocizzare l’apertura del nuovo palazzo di Giustizia". A queste dichiarazioni preoccupate si sono aggiunte quelle del capogruppo in Consiglio regionale, Guido Galperti. "Da quanto è stato detto - ha affermato il rappresentante della Margherita al Pirellone - appare l’immagine di una città e una provincia dimenticate.Non trascuriamo che questa è la città dello scandalo Bipop, di Finmatica e per certi versi anche di Parmalat. Chi si preoccupa dei piccoli risparmiatori? Non il Governo, ma solo la Magistratura". Haiti: oltre 350 detenuti evadono dal carcere di Port-Au-Prince
Adnkronos, 21 febbraio 2005
Oltre 350 detenuti sono evasi dal penitenziario di Port-au-Prince, Haiti, dopo che un commando si è introdotto nella struttura, uccidendo una guardia. Secondo quanto hanno invece riferito fonti ospedaliere alla Cnn, nell’attacco, avvenuto ieri, sarebbero rimaste uccise 15 persone. Quest’ultimo bilancio non è stato però confermato dalle autorità. Tra i prigionieri riusciti a scappare anche due esponenti del governo dell’ex presidente Jean-Bertrand Aristide, l’ex primo ministro Yvon Neptune e l’ex ministro dell’Interno Jocelerme Privet, poi catturati e riportati in carcere. Al momento dell’irruzione, nella struttura penitenziaria, che può ospitare circa 600 detenuti, si trovavano circa mille prigionieri. Milano: i detenuti sfidano la tv, di Candido Cannavò
Corriere della Sera, 21 febbraio 2005
Una mostra fotografica di Roby Schirer attraverso tredici anni di carcere, le poesie di San Valentino, una lezione-concerto dell’Auditorium Verdi e adesso a San Vittore nasce un dibattito settimanale sullo sport che, per legittimo pudore, non sarà mai chiamato "talk show" e tanto meno "processo". L’educatrice Barbara Campagna - che è anche una storica di San Vittore - e i detenuti che hanno avuto l’idea, per prendere le distanze da certe esibizioni televisive esterne, hanno posto una condizione: qui si parla di sport civilmente. E, senza volerlo, hanno dato il titolo all’iniziativa: "San Vittore, parliamo di sport civilmente". Nella elaborazione del progetto è saltata fuori un’altra clausola: che il dibattito non riguardasse soltanto il calcio, ma tutti gli sport, con uno sguardo anche al problema del doping. Immagino che l’Olimpiade di Atene, così piena di fascino e di medaglie italiane, abbia avuto il suo effetto anche nelle celle dove i televisori sono quasi sempre accesi. Calcio e spirito olimpico, dunque: ma guardate un po’ quale spinta civile e culturale ci viene da un luogo di pena e di espiazione. Per la mia ormai nota "carcerite" sono stato coinvolto nell’iniziativa. A prima vista, tutto sembrerebbe facile, ma San Vittore è una città che tra detenuti, agenti, funzionari, medici e operatori conta più di tremila persone. Ogni cosa va gestita in modo diretto, artigianale e in relazione con le regole del carcere. Bisognava creare un collegamento tra i diversi raggi, trovare il posto adatto, procurare sedie, un tavolo e microfoni. Tutto è ruotato intorno alla Polisportiva nata due anni fa nel carcere ed affiliata al Coni. L’ha lanciata Luigi Pagano, l’ha presa in consegna Gloria Manzelli, l’attuale direttrice. Il debutto domani, nella settimana di vigilia del derby milanese che ha ormai una sua tradizionale propaggine a San Vittore, in versione di maratona calcistica. Per il battesimo avremo a fianco un grande nome dello sport: quello di Bruno Pizzul, telecronista storico della Rai e soprattutto uomo di profonda sensibilità che non si tira mai indietro quando c’è da dare una mano a chi ne ha bisogno. Altre adesioni di prestigio per le successive puntate: Gianni Mura, Umberto Zappelloni, Xavier Jacobelli, Fabio Ravezzani, il presidente nazionale dei giornalisti sportivi Antonello Capone e un gruppo di colleghi della Gazzetta dello Sport con in testa il direttore Antonio Di Rosa. C’è un filo sottile di speranza che lega un carcere al mondo esterno. Anche parlare di sport "civilmente" serve a tenerlo vivo. Giustizia: Anm; troppe spese per le carceri, poche per i tribunali
Giornale di Brescia, 21 febbraio 2005
"Al momento non riusciamo a metterci d’accordo nemmeno sui dati di fatto, nemmeno sul fatto che oggi c’è il sole o piove". I "dati di fatto" di cui parla il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sono quelli "sullo stato reale della giustizia italiana", sui quali "si fa un gran polverone ma non si dice la verità". Nell’intervento al convegno promosso dal Consiglio regionale della Lombardia e dalla corrente dell’Anm Unicost, Castelli spiega nel dettaglio la riforma dell’ordinamento giudiziario ("sono un po’ preoccupato", dirà ai cronisti, "ma nessun problema con An") ma, nonostante la "conflittualità tra Esecutivo e magistratura organizzata", punta a riflettere "su dati che siano condivisi", perché "la diffidenza è tale per cui non riusciamo a metterci d’accordo nemmeno sulla realtà e questo è paradossale". E snocciola questi dati: la spesa per la giustizia rapportata al Pil è in linea con quello di altri Paesi e per quanto riguarda le risorse umane, in Italia, queste sono "addirittura superiori ad altre Nazioni". Siamo quindi "nelle parti alte della classifica", secondo il ministro, e questo dà la dimensione "dello sforzo che questo e altri governi hanno messo in campo". Dall’85 il numero di magistrati ordinari e di quelli onorari sono sempre aumentati: un trend "assolutamente positivo", con organici "più che raddoppiati" rispetto a quell’anno. Per quanto riguarda i procedimenti definiti, andamento stazionario fino gli anni ‘73-’74, poi uno "sforzo notevolissimo del sistema giustizia" con un continuo aumento dei processi definiti: "Dagli anni ‘70 un aumento del "250%". Lo stato di sofferenza attuale deriva anche dal fatto che dall’ ‘81 al ‘95 c’è stata "un’esplosione" di ricorsi in materia civile e siamo diventati "il Paese più litigioso del mondo". Ciò ha quasi vanificato lo sforzo precedente. Risponde, a distanza, il presidente dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati, arrivato nel pomeriggio, che avverte: "Sulle spese per la giustizia più volte sono stati fatti paragoni con altri Stati europei. In realtà la nostra spesa è grosso modo allineata a quella di altri Pae si, ma non è vero che è maggiore". La spiegazione che fornisce ai cronisti è che non si è tenuto conto che "quasi metà del bilancio della giustizia in Italia comprende la spesa per il sistema penitenziario"; accade così in Francia e non in Inghilterra. "Metà del nostro bilancio, quindi, va tolto", per il presidente dell’Anm. Bruti Liberati si rende conto del taglio della spesa pubblica ma "quello che abbiamo sempre chiesto è che deve essere compito del ministro la sua razionalizzazione e non, come è parso talvolta, rassegnarsi a questa riduzione". Il blocco delle assunzioni non riguarda solo la giustizia "ma da noi il mancato turn-over del personale amministrativo si sente in modo particolarmente pesante" e, aggiunge Bruti Liberati "se al cancelliere non si pagano gli straordinari il processo al pomeriggio non si fa". Organico dei magistrati? "È stato aumentato con legge del 2001, il ministro non ha bandito i concorsi in tempo utile". Secondo il presidente dell’Anm, quindi, i primi magistrati che entreranno in tirocinio nella gestione del ministro Castelli lo faranno "non prima della fine del 2007". Sulla condivisione dei dati, insomma, sembra che ministro e Anm siano ancora lontani. Giustizia: sulla riforma Castelli vuole tempi molto stretti
Giornale di Vicenza, 21 febbraio 2005
Varese. "Preoccupato" per i tempi con cui procede la riforma dell’ordinamento giudiziario: così si è detto il ministro della Giustizia Roberto Castelli, a margine di un convegno a Busto Arsizio. Il testo della proposta di legge è al vaglio del Parlamento dopo le correzioni effettuate dalla maggioranza ai punti che il presidente della Repubblica Ciampi aveva definito anticostituzionali, rinviando alle Camere il testo precedentemente approvato. "Bisogna fare in fretta", ha detto ieri il ministro riguardo ai lavori in Senato, "perché credo che abbiamo ormai quasi consumato il tempo. Abbiamo vari problemi: a marzo rimarremo chiusi 15 giorni al Senato per Pasqua e per la settimana pre-elettorale. Sono un po’ preoccupato". Il ministro ha poi ribadito che con il ministro delle Politiche Agricole, Alemanno (che sostiene l’emendamento in tema di concorsi per i magistrati, presentato dal senatore di An Salerno) sulla riforma "non c’è stato alcuno scontro": "Ho parlato con Alemanno. Ciascuno ha spiegato le proprie ragioni fondate. Io ho capito le sue ragioni. Credo anche che lui abbia capito le nostre, cioè quelle del governo". Castelli ha spiegato che "è stato costruito un testo che cesellato fino all’ultima virgola. In questo momento non si può cambiare, pena la vanificazione di tutto il lavoro. Mi pare che Alemanno abbia capito. Ora deciderà l’aula". Castelli ha poi preso atto della conflittualità tra magistratura organizzata ed esecutivo ma ha invitato tutti a riflettere sui "dati reali" e a dare atto dello "sforzo significativo" che il governo ha fatto "incentivando le spese per la giustizia": "Il bilancio della giustizia in Italia è in linea con gli altri Paesi europei. Il numero delle persone impiegate è addirittura maggiore di quello di altri Paesi". Ma il presidente dell’Anm, Bruti Liberati, ha risposto che "alcuni dati che davano la spesa per molto maggiore rispetto ad altri Paesi, non hanno tenuto conto che quasi metà del bilancio della giustizia italiano, come quello francese e non quello inglese, comprende il sistema penitenziario. Metà del nostro bilancio va quindi tolto". Bruti Liberati ha spiegato invece che dalla giunta dell’ Associazione nazionale magistrati è venuta una "valutazione nettamente positiva del decreto del ministro Castelli sulla contumacia". Trani: si impicca in cella 34enne accusato di molestie sessuali
La Gazzetta del Mezzogiorno, 21 febbraio 2005
Un uomo di 34 anni, arrestato due giorni fa a Corato (Bari) per tentativo di violenza sessuale su una quattordicenne, si è impiccato nel carcere di Trani. L’uomo sia al momento dell’arresto sia ieri nel corso dell’udienza durante la quale il gip del Tribunale di Trani ha convalidato l’arresto, si era proclamato innocente. Secondo l’accusa, l’uomo - che al momento dei fatti era in leggero stato di ebbrezza - il 18 febbraio scorso, a Corato, in una strada del centro del paese, si era avvicinato ad una ragazzina di 14 anni, si era calato i pantaloni mostrandole i genitali e aveva tentato di abbracciarla. La ragazzina, spaventata, era riuscita a fuggire e aveva raccontato tutto ai suoi amici e ad una pattuglia di carabinieri, che poco tempo più tardi arrestarono il 34enne. Ieri, nel corso dell’udienza dinanzi al gip, l’arrestato si era difeso dicendo che si era abbassato i pantaloni solo per un bisogno fisiologico e che la ragazzina era passata in quel momento. Palermo: denuncia di Caselli; troppa legalità e giustizia irritano
Giornale di Vicenza, 21 febbraio 2005
"Troppa legalità e giustizia in Italia provocano l’orticaria". Lo ha detto il procuratore generale di Torino, Caselli, al convegno su "Mafia e potere", organizzato a Palermo da Magistratura democratica, Cgil e associazioni Libera e Giuristi democratici: "Fino a quando si indaga sulla manovalanza va tutto bene ma quando si alza il tiro cominciano le delegittimazioni". "È accaduto" ha continuato Caselli, "ai colleghi di Milano all’epoca di Mani pulite e ai magistrati che si occupano di mafia. Nessuno mette in discussione il primato della politica ma molte volte questo, per qualcuno, significa tentazione di sottrarsi al controllo della giurisdizione. È una costante: la giustizia fa il suo corso e la politica si auto assolve. Si sono celebrati processi all’ala militare della mafia conclusisi con centinaia di anni di carcere, per i processi ai politici ci sono state condanne significative, ed assoluzioni per insufficienza di prove, e per prescrizione in cui, comunque, si davano per dimostrate determinate ipotesi accusatorie. In questi casi, con differenze fra i vari schieramenti, ma, unita da un filo trasversale, la politica tende a negare, a rimuovere". "Mai come in questo momento il tema dei rapporti mafia-politica è eluso o lasciato sullo sfondo nonostante non manchino gli spunti di riflessione sull’argomento", aveva detto il procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato aprendo i lavori del convegno: "Viviamo il gelo in silenzio tombale su tutto ciò che riguarda rapporti tra mafia e potere. Un silenzio che assume i connotati della regressione culturale. Il nostro è un Paese che invecchia senza crescere in termini di cultura democratica". Gioia Tauro: boss Giuseppe Piromalli, 84 anni, muore agli arresti
Giornale di Calabria, 21 febbraio 2005
Saranno funerali degni di un boss, con tanto di corteo, decine di corone di fiori e commemorazioni celebrative, quelli che si svolgeranno domenica pomeriggio per onorare la memoria di Giuseppe Piromalli, di 84 anni, uno dei principali protagonisti della storia della ‘ndrangheta, morto sabato mattina nella sua abitazione di Gioia Tauro, circondato dai parenti. Il vecchio boss, protagonista di mille battaglie e di mille vicende di mafia, capo di una cosca che appartiene alla storia stessa della ‘ndrangheta, con potenti collegamenti con Cosa nostra e la mafia italo-americana, ha dovuto arrendersi al cancro che lo aveva aggredito da alcuni anni. Nel 2003, poiché le sue condizioni di salute erano diventate incompatibili col regime carcerario, gli erano stati concessi gli arresti domiciliari. Piromalli, così, dopo 20 anni di detenzione, stanco e malato, era tornato nella sua vecchia casa di Gioia Tauro, circondato dall’ affetto dei suoi familiari e dei suoi amici più intimi, protetto come un’icona, simbolo vivente di una ‘ndrangheta che ha sempre basato il suo potere sui vincoli familiari e sul carisma dei capi. Qualcuno dice che negli ultimi tempi si era isolato e che non volesse vedere più nessuno. "Ormai - dice qualcuno - era stanco e rassegnato alla morte". La storia criminale di Giuseppe Piromalli inizia nel 1978 quando don Peppino subentra nel comando dell’ omonima cosca al fratello Girolamo, detto "Mommo", stroncato anch’egli da un male incurabile a poco meno di 60 anni. Non fu facile per Peppino Piromalli prendere il posto del fratello, potentissimo e considerato persona di grande saggezza. "Il cambio della guardia al vertice della cosca - spiega Salvatore Boemi, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e grande esperto di ‘ndrangheta - coincise con un brusco cambio di rotta. Da espressione della mafia agricola, la cosca Piromalli assunse il controllo dei lavori edili legati alla realizzazione delle grandi opere pubbliche nella Piana di Gioia Tauro". La cosca Piromalli entrò subito in guerra col gruppo dei Tripodi. Peppino Piromalli fu accusato di avere ordinato una serie di omicidi contro elementi della cosca rivale e si rese irreperibile. La sua latitanza, però, si concluse il 24 febbraio del 1984 quando fu arrestato, a conclusione di una storica operazione, dai carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro al comando dell’ allora capitano Gilberto Murgia. Da allora Piromalli è sempre stato in carcere ed ha visto la sua cosca sfaldarsi in due gruppi: il primo gestito dal nipote Giuseppe jr., con diramazioni soprattutto nel nord Italia, ed il secondo gestito dalla famiglia dei cugini Molé, veri dominatori negli ultimi anni degli affari illeciti nella Piana di Gioia Tauro, ed in primo luogo degli appalti per la realizzazione del grande porto container. Dopo l’arresto, per Piromalli arrivarono le condanne: la prima, clamorosa, comminatagli dalla Corte d’ assise di Palmi, nel luglio del 1985, ad undici ergastoli per altrettanti omicidi, poi ridotti ad uno in seguito all’ annullamento della sentenza da parte della Corte di Cassazione, e la seconda nel 1986 nel cosiddetto processo alla mafia delle tre province. A determinare la condanna di Piromalli furono soprattutto le dichiarazioni di Pino Scriva, primo grande pentito della ‘ndrangheta ed un tempo fedelissimo del boss. "Fu proprio nel corso del processo conclusosi con la condanna ad 11 ergastoli - dice ancora Salvatore Boemi - che la potenza di Peppino Piromalli raggiunse il suo livello massimo: il boss, imputato con altre 59 affiliati della sua cosca, ordinò ad un certo punto a tutti i difensori di ritirarsi del processo in segno di protesta contro il pentito Scriva, accusato di avere offeso alcuni avvocati. La Corte d’assise nominò alcuni difensori d’ufficio che però rifiutarono l’incarico. Il processo registrò una lunga pausa e si concluse praticamente senza discussione con l’intervento dell’ allora presidente dell’ ordine forense di Palmi, avv. Filippo Napoli, che tra l’altro era un civilista. Piromalli, facendo ritirare gli avvocati, sperava di fare saltare il processo, ma il suo proposito non si realizzò per l’ostinazione del presidente Saverio Mannino. Fu una grande prova di forza dello Stato". Giustizia: una grazia non fa primavera, di Paolo Pillitteri
L’Opinione, 21 febbraio 2005
Si sa, la grazia è un gesto da Sovrani. E Jannuzzi, sovranamente miracolato dall’incubo della giustizia all’italiana, può ben dirsi fortunato. Intanto, nelle more di una legge tuttora in itinere, si è salvato dagli esiti parlamentari della legge stessa che, tra le altre delizie, riserva il carcere ai giornalisti diffamatori. Capirai E poi, può sempre dire di non averla richiesta personalmente, e allo stesso modo il ministro Castelli può sottolineare che lui non ha graziato proprio nessuno. Dopodiché, un coro parlamentare s’alza al cielo quirinalizio con un bipartisan "Exultate!", lasciando da solo l’on. Di Pietro a recriminare, non si capisce bene su che cosa. Tant’è. E meno male che il circuito mediatico giudiziario è un pallido ricordo. Tutto è bene quel che finisce bene, certo. Ma è finita davvero con la grazia presidenziale questa questione, anzi "la" questione della libertà di stampa sottesa alla legge sulla diffamazione? La grazia concessa da Ciampi è una legge - sui generis - ad personam, che fa onore al Presidente della Repubblica ma non certo al Parlamento, a questa classe politica, alla attuale classe dirigente. Tanto più che si sono alzati fino ad ora i più alti lai dell’opposizione proprio contro i provvedimenti ad personam, omettendo di ricordare che per Adriano Sofri, per dire, si è predisposta una legge ad hoc che, quasi certamente, si trasformerà in un provvedimento di grazia. Ad personam. Scommettiamo che anche su certe cupe vicende degli anni settanta e su taluni dei loro protagonisti scatteranno, prima o poi, grazie personali? Magari sullo "schema Moranino" in occasione di elezioni presidenziali? L’incapacità, anzi, l’impotenza della politica ad assumere collegialmente responsabilità che appartengono solo a lei, come un provvedimento generale di clemenza piuttosto che una legge seria a difesa della libertà di stampa, è di tutta evidenza. L’impossibilità a chiudere epoche del passato negli unici termini possibili che sono quelli della politica costringe le attuali élite dirigenziali a delegare ad altri ciò che compete esclusivamente al Parlamento. Non si vuole uscire dal pantano in cui un’intera classe dirigente si agita perché non si sente davvero tale, perché un senso di provvisorietà e di complessi di colpa attraversa i due schieramenti. Infine, perché non ci si vuole liberare definitivamente dalla tutela/commissariamento della politica da parte di Poteri Forti, Neutri, Irresponsabili, Impunibili. Altro che uniquique suum… Lamezia Terme: il Sen. Iovene (Ds) oggi in visita al carcere
Asca, 21 febbraio 2005
Il Sen. Nuccio Iovene, dei Democratici di Sinistra, capogruppo in Commissione Diritti Umani del Senato, ha visitato oggi la Casa Circondariale di Lamezia Terme, accompagnato dal Consigliere Regionale Franco Amendola e da Gianni Speranza, candidato a Sindaco di Lamezia Terme per il centrosinistra. Como: detenuto di 54 anni muore durante trasporto all’ospedale
Lettera a Riccardo Arena - Radio Carcere, 21 febbraio 2005
Vincenzo e Cosimo dal carcere di Como: "Caro Riccardo, ti scriviamo questa lettera per comunicarti l’ennesimo decesso di un nostro compagno di detenzione. Sabato 12 febbraio 2005 è morto qui nel carcere di Como Carlo, aveva 54 anni. Carlo era detenuto nella terza sezione del carcere di Como, ovvero nella sezione dei tossici… così la chiamano… è una classificazione che suona già come un dispregio ed è una sezione dove i detenuti sono doppiamente prigionieri… prigionieri della galera e della loro malattia…in questa sezione i detenuti tossicodipendenti non vengono curati ma solo imbottiti di tranquillanti che non sono curativi e che quindi diventano un’ulteriore vessazione. Carlo vegetava in carcere, e in quella sezione. Vegetava con una condanna a 3 anni e 7 mesi di reclusione. La magistratura di sorveglianza, con 8 mesi di ritardo aveva fissato a Carlo per il 16 marzo un’udienza per discutere su un’ eventuale misura alternativa… troppo tardi per il cuore di Carlo che ha smesso di battere prima. Carlo, detenuto nel carcere di Como è morto in nome del popolo italiano, è morto in nome della tutela del diritto alla salute, Carlo è morto per l’inerzia della Magistratura di Sorveglianza. Carlo, 54 anni, che era detenuto per la prima volta, lascia 5 figli di cui uno ancora in tenera età. Noi crediamo che Carlo non abbia retto al fardello che è il carcere, alle condizioni in cui si è costretti, al sovraffollamento, all’inerzia, al degrado, all’indifferenza… questo ha spezzato il cuore del nostro compagno, morto il 12 febbraio mentre lo portavano in ospedale.
Vincenzo e Cosimo, carcere di Como Cento (Verdi): no a carcere privato per tossicodipendenti
Apcom, 21 febbraio 2005
Il deputato Paolo Cento, vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera, ha inviato un’interrogazione urgente ai ministri dell’Interno e della Giustizia sul nuovo carcere per tossicodipendenti che aprirà il 21 marzo a Castelfranco Emilia, interamente progettato dalla comunità di San Patrignano, che sarà anche impegnata nella sua gestione. Cento chiede ai ministri di venire subito a riferire in Parlamento su questo progetto di carcere privato "che - ha dichiarato - sembra piuttosto una sorta di San Patrignano 2, di cui la stessa Regione Emilia-Romagna è rimasta all’oscuro fino a oggi". "Non è accettabile - aggiunge il deputato Verdi-Unione - che un carcere venga pensato, istituito e gestito come si trattasse di un’azienda privata. Il Governo, che sarà tra l’altro presente all’inaugurazione, deve dare spiegazioni alle istituzioni locali, al Parlamento e ai 140 detenuti tossicodipendenti che stanno per inviati lì per il trattamento. E tutto questo nonostante sul territorio esistano già da oltre dieci anni i Servizi di custodia attenuata". "Non vorremmo - conclude Cento - che il silenzio che il governo ha messo su questa operazione sia in realtà un’anticipazione di fatto delle proposta di legge Fini sulle droghe, per altro ancora in fase di discussione iniziale in Parlamento". Vicenza: calzoncini e pallone… studenti sul campo del carcere
Giornale di Vicenza, 21 febbraio 2005
In primavera oltre ai ragazzi del Rossi e del Canova giocheranno a calcio in carcere anche gli studenti dell’istituto alberghiero Artusi di Recoaro. Nell’ambito delle attività di valenza sociale del Centro sportivo italiano c’è anche il progetto "Carcere e scuola", la cui finalità è principalmente culturale per i ragazzi e di integrazione sociale per i detenuti. Già da un paio d’anni una squadra di studenti maggiorenni dell’Istituto tecnico industriale "Rossi" entra a San Pio X per un paio di partite di calcio con selezioni di detenuti sia nel periodo autunnale che in quello primaverile. Dall’anno scorso anche gli studenti dell’Istituto per geometri Canova partecipa all’attività. In questi giorni il progetto è stato allargato ad altre scuole superiori del Vicentino: tra queste il liceo Pigafetta (dove si svolgerà in marzo un corso dedicato alla legalità) e l’istituto alberghiero "Artusi" di Recoaro Terme. Di recente il presidente del comitato provinciale del Csi Enrico Mastella ha illustrato il progetto al gruppo di ragazzi maggiorenni e ai loro docenti di educazione fisica che calcheranno il campo erboso dell’Istituto di pena. Il progetto che il Csi propone è già stato testato per un decennio a Verona, dove la partecipazione è altissima e al carcere femminile di Montorio sono ammesse anche le ragazze. Il progetto prevede in un primo momento un’attività di carattere sportivo (nel caso del carcere maschile una partita di calcio); successivamente un’ assemblea per discutere della realtà carceraria nel nostro Paese come parte integrante della società (ospiti il direttore del carcere, gli educatori, il magistrato di sorveglianza il comandante degli agenti di polizia penitenziaria); infine è possibile su richiesta della scuola organizzare un corso di educazione alla legalità tenuto da un avvocato e da alcuni insegnanti esperti della materia. Il Csi da anni organizza una serie di attività sportive per i detenuti del San Pio X: tutte le settimane due docenti di educazione fisica svolgono con gli ospiti attività nella palestra interna; il Real Csi Vicenza, selezione del campionato dilettanti di calcio, è protagonista mensilmente di una partita a pallone che si svolge internamente alla struttura di via Dalla Scola. Verona: l’orchestra dei giovani va a suonare in carcere
L’Arena di Verona, 21 febbraio 2005
Mercoledì il Vigasio Artensemble andrà a suonare per i detenuti nel carcere di Montorio. Il concerto è stato organizzato dall’associazione di volontariato Progetto Carcere 663, che ha già portato a Montorio altri complessi musicali. La Vigasio Artensemble è un’orchestra composta da Paolo Tubini e Marco De Rossi alle trombe; Lucia Abram e Anna Mirandola ai flauti; Chiara Colpo, Valeria Sinigaglia, Marco Piazzi, Michele Merlini, Carlo Mirandola, Fulvio Mirandola, Massimiliano Pennacchioni e Matteo Accordini ai sax; Matteo Girelli e Andrea Bonachini ai tromboni; Riccardo Dolci alla chitarra; Davide Rudella al piano; Tommaso Turella al basso; Riccardo Zaffani alla batteria. L’orchestra è una sorta di vivaio costituitosi all’interno dell’associazione culturale Vigasio Arte Musica che, diretta da Rizzardo Piazzi, propone un repertorio melodico internazionale in chiave swing. Il gruppo, al lavoro già da circa tre anni, offre una carrellata musicale molto ampia: dalle canzoni italiane di Rascel e Modugno ai temi latini più noti come Tico Tico o Mambo Jambo; dallo swing più sfrenato di Glenn Miller alle contaminazioni jazzrock di Hancock, Mancini, Zawinul; repertorio che potrà essere apprezzato anche sabato 12 marzo dalle 20.30 a ingresso libero nel teatro San Giacomo di Borgo Roma, evento organizzato dalla Quinta Circoscrizione e dai circoli Noi di Tomba e S.Giacomo. Per informazioni: 045.582857. Pisa: al don Bosco presentato album di Olivero e Tabasso
Redattore Sociale, 21 febbraio 2005
Storie di vita, dal punto di vista degli ultimi, dalla voce di chi non ha voce. Viene presentato questa mattina intorno alle 13 alla casa circondariale Don Bosco di Pisa "Dal basso della terra", opera musicale dedicata al Pontefice Giovanni Paolo II, frutto del lavoro di Ernesto Olivero, fondatore e animatore del Sermig di Torino (Arsenale della Pace) e Mauro Tabasso, giovane compositore che da anni collabora con il Sermig. "Non si tratta solo di un album, di una raccolta di canzoni, o di un’opera in senso convenzionale - si legge dal sito dedicato al lavoro, www.dalbassodellaterra.it - ma di un progetto di più ampio respiro, che ha coinvolto centinaia di persone da ogni parte del mondo, che si sono prestate ora come cantanti ora come strumentisti, esprimendo le più varie culture, etnie, ceti e religioni". I testi di Olivero - 21 i brani dell’album, per 58 minuti di musica - sono stati ispirati dai numerosi incontri che hanno segnato la sua vita, con detenuti, profughi, missionari, giovani, uomini e donne qualunque, poveri e ricchi. Il risultato è contenuto in brani poco convenzionali, dal forte impatto emotivo. Mauro Tabasso ha composto le musiche, utilizzando ritmi, strumenti e colori dalle tradizioni musicali di vari paesi del mondo. L’album è stato registrato in Brasile - tra gli ospiti dell’Arsenale della Speranza di San Paolo - tra i bambini di strada di Salvador de Bahia, in un monastero di clausura in Italia, in una scuola europea, ad Amman in Giordania e in molti altri luoghi. I 21 brani dell’opera ospitano dunque musicisti e strumenti indiani, nord e sud americani, africani e australiani, cantanti arabi, israeliani e italiani. Sono pochi i "professionisti", in maggioranza si tratta di gente comune portata in studio di registrazione. "È una Messa dei poveri della terra", ha detto Ernesto Olivero, un’opera dedicata a Giovanni Paolo II "non tanto perché Pontefice quanto perché uomo che, dal basso della terra, si sforza di dare un segnale preciso, affermando la sua esistenza, il suo amore e la sua dignità ancora prima dei suoi diritti". Alla presentazione di oggi partecipano Ernesto Olivero, Adriano Sofri, il Maestro Salvatore Accardo, il Vescovo di Pisa Alessandro Plotti e Massimo D?Alema. L’Assieme strumentale dell’Arsenale della Pace e la cantante Nair eseguiranno per i detenuti alcuni dei brani dell’album. Una seconda presentazione dell’opera si terrà giovedì 24 al carcere Le Vallette di Torino, in attesa del concerto ufficiale diretto dal Maestro Accardo, che sabato 26 alle ore 21 troverà spazio all’Arsenale della Pace. L’album sarà in vendita dal 25 febbraio, su etichetta Ala Bianca Records, distribuito da Warner Music Italia. Vibo Valentia: intesa tra Amministrazione Penitenziaria e Provincia
Ansa, 21 febbraio 2005
Giovedì 24 febbraio nella sala della Giunta provinciale di Vibo Valentia sarà firmato il Protocollo d’intesa fra il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Calabria e la Provincia di Vibo Valentia. L’intesa ha come finalità primaria l’inserimento dei soggetti in attività di formazione professionale e lavorativa sia all’interno degli Istituti penitenziari sia sul territorio per i soggetti in esecuzione penale esterna. Incentivando e favorendo la disponibilità del mondo dell’imprenditoria e della cooperazione, la collaborazione fra i due Enti punta a favorire e promuovere il lavoro delle persone che scontano condanne penali e quindi contrastare la recidiva. Saranno presenti alla firma il presidente della Provincia di Vibo Valentia Ottavio Bruni, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Paolo Quattrone, il direttore dell’ufficio dell’Esecuzione penale esterna Mario Nasone, il direttore della Casa circondariale di Vibo Valentia Rachele Catalano, il direttore della sede decentrata del Centro di servizio sociale di Vibo Valentia Rosaria Sei. Pisa: Sofri; grottesco e impudico che non ci sia amnistia
Adnkronos, 21 febbraio 2005
"È una situazione grottesca e impudica che da 12 anni non ci sia un’amnistia dopo che l’ultima se la fecero i politici per se stessi". Lo ha detto questa mattina, Adriano Sofri, dal carcere di Pisa. Sofri, prendendo la parola durante la presentazione di un’opera musicale dedicata al Papa, alla quale era presente anche il presidente dei Ds Massimo D’Alema, ha sottolineato l’affetto che tutti i detenuti d’Italia nutrono per il Santo Padre. Roma: progetto "Belli come il sole" per bambini di Rebibbia
Redattore Sociale, 21 febbraio 2005
"Colpevoli nati": così vengono definiti i 20 bambini da 0 a 3 anni reclusi con le loro madri nel carcere di Rebibbia femminile. Per loro è stato pensato il progetto "Belli come il sole", curato dalle associazioni "Il Pavone", "Blow Up" (costituita anche da detenuti ed ex detenuti) e "A Roma insieme". Stamani, presso la sede dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale, il Lavoro del Comune di Roma, l’iniziativa è stata illustrata da Patrizio Gonnella, dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale, il Lavoro, e dagli artisti Marina Rei, gli attori Stefano Fabrizi e Andrea Rivera, Francesco Di Giacomo del Banco di Mutuo Soccorso, che oggi pomeriggio nel teatro della Casa Circondariale di Rebibbia femminile daranno vita a un evento di sensibilizzazione. Lo spettacolo segue quello svoltosi il 10 gennaio scorso a Rebibbia Nuovo Complesso. "Belli come il sole" è un progetto pensato a favore dei bambini reclusi nel nido di Rebibbia (0-3 anni) che vivono i primi 1.000 giorni della loro vita in carcere. L’iniziativa mira a raccogliere fondi per i piccoli reclusi, finanziando attività ricreative per loro all’interno del penitenziario e case famiglia esterne al carcere che possano accoglierli con le loro madri. "Nessun bambino dovrebbe trascorrere gli anni fondamentali del proprio sviluppo psico-fisico in un carcere. È semplicemente una questione di civiltà: in un paese civile e democratico questo non può e non deve accadere che dei bambini stiano in galera - ha dichiarato l’Assessore Luigi Nieri -. Sosteniamo con decisione l’iniziativa "Belli come il sole" perché è funzionale affinché si parli di questa aberrazione, di bambini "colpevoli nati". Bisogna avere il coraggio di uscire dall’empasse istituzionale su questa vicenda: le circa 60 mamme che sono attualmente recluse negli istituti di pena italiani con i loro bambini, 13 nel solo carcere di Rebibbia qui a Roma, non debbono far paura alla nostra società: dovrebbero scontare la pena in strutture alternative al carcere, dove i loro bambini potrebbero vivere i primi fondamentali anni della loro vita con le proprie madri in un ambiente sano, e mai più dietro le sbarre". Legge Finocchiaro non decolla: 60 bambini 0-3 anni in cella
Redattore Sociale, 21 febbraio 2005
Non decolla la legge Finocchiaro, varata l’8 marzo 2001: istituisce il diritto delle detenute madri, con figli a carico minori di 10 anni, di scontare la pena in strutture alternative al carcere. Ma se le donne non hanno un domicilio, perché straniere con o senza permesso di soggiorno oppure rom, o per motivi di sicurezza, il magistrato di sorveglianza non consente la loro uscita. Per questo in Italia crescono dietro le sbarre 60 bambini da 0 a 3 anni. Il problema è stato sollevato questa mattina, in occasione della conferenza stampa di presentazione del progetto "Belli come il sole", svoltasi presso la Sala blu dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale, il Lavoro. Le misure alternative al carcere, quindi, restano un miraggio per tante giovani donne, la maggioranza delle quali straniere: "Non si può pensare che uno Stato possa aver paura di 60 madri con i loro bambini - ha osservato Patrizio Gonnella, dell’Assessorato, membro anche dell’associazione Antigone, impegnata sul fronte dei diritti dei detenuti -. Alcuni obiettano che, consentendo la libertà a queste donne, si creerebbe l’impunità a delinquere: ma chi sarebbe disposto a vivere 9 mesi di gestazione e avere un figlio per tutta la vita soltanto per evitare il carcere?". A Rebibbia l’associazione "A Roma insieme" va a prendere i bambini il sabato e la domenica e li porta a visitare i parchi, oppure organizza le feste di compleanno, ha riferito Gonnella. Ma servono strutture alternative adeguate, visto che - ricordano i promotori del progetto, l’associazione culturale Il Pavone e la cooperativa sociale Blow-up - "la permanenza in carcere di questi bambini è incompatibile anche con le condizioni igienico - ambientali e con i ritmi di vita che il carcere impone". Infatti nelle sezioni-nido "le regole interne, unite ai ben noti problemi delle strutture penitenziarie, creano seri problemi per le condizioni psico-fisiche dei bambini nella parte fondamentale della crescita. Questi giovanissimi detenuti senza colpa soffrono infatti di patologie ampiamente documentate, proprio nella fase formativa più importante per lo sviluppo della personalità e delle capacità di apprendimento". I fondi raccolti attraverso il progetto "Belli come il sole" finanzieranno iniziative per il reinserimento delle madri nella società civile e per supportare le case-famiglie già operanti sul territorio, oltre alla creazione di strutture alternative al carcere che possano accogliere i bambini attualmente reclusi. Per donazioni, ccp 76851005, causale "Belli come il sole", oppure conto corrente bancario 24286/36, intestato a "Associazioni culturale Il Pavone - Belli come il sole", Banca di Roma - filiale 26 - Abi 03002, Cin P, Cab 05053. Carrozza (Comitato Carceri): sul 41 bis bisogna riflettere
Quotidiano di Calabria, 21 febbraio 2005
"Il problema - spiega Patrizia Carrozza - è di duplice natura: non solo si priva il minore di un contatto corporeo con il congiunto, in una situazione di grande precarietà e mancanza affettiva, ma si relega anche il recluso, di per sé già in una situazione di massima privazione e alienazione spazio-sensoriale, del contatto con il proprio figlio o nipote. Credo sia necessario trovare soluzioni diverse per non aggravare le condizioni del carcere duro e creare ricadute negative sui minori che meritano una condizione diversa e maggiore attenzione, specie nelle sfere relazionali più intime e nei rapporti con i parenti reclusi".
|