Rassegna stampa 19 febbraio

 

Giustizia: decreto legge per aggirare resistenze alle estradizioni

 

Gazzetta del Sud, 19 febbraio 2005

 

Estradizioni più facili e adeguamento alle regole dettate da Strasburgo. Questi i due risultati che si prefigge di ottenere il provvedimento varato ieri dal Consiglio dei ministri con il quale si modificano i cardini del procedimento in contumacia. Il decreto legge modifica il codice di procedura penale in ottemperanza a quanto stabilito dalla Corte europea e in più cerca di aggirare la possibilità di rifiuti dinanzi a richieste di estradizione per rifugiati all’estero.

Al momento sono 140 i terroristi fuggiti dall’Italia e per almeno una dozzina di questi i magistrati francesi stanno valutando le richieste italiane. Secondo la Corte di Strasburgo, però, l’Italia non offre sufficienti garanzie in favore di chi è stato condannato in contumacia. E non c’è dubbio, lo conferma il ministro, che "questo decreto influirà sulle vicende francesi". Un appuntamento tra tutti sembrerebbe aver spinto il governo a un decreto d’urgenza: il pronunciamento definitivo del Consiglio di Stato di Parigi, l’11 marzo prossimo, sull’estradizione di Cesare Battisti, l’ex leader del Pac che si è reso irreperibile. I suoi legali, a Parigi, hanno preparato memorie difensive nelle quali si insiste proprio sulla presunta irregolarità del processo in contumacia italiano rispetto al diritto internazionale e a quello francese. La decisione finale può rappresentare un precedente favorevole o sfavorevole nei confronti del nostro Paese e dell’intento, ribadito ieri da Castelli, di "praticare tutte le strade possibili perché giustizia sia fatta". Sullo sfondo pesano anche le recenti vicende della strage di Primavalle e la lunga storia giudiziaria di Alessio Casimirri, ultimo Br del commando che uccise Moro, riparato in Nicaragua e per il quale è stato chiesto per via diplomatica che si consenta al condannato di scontare l’ergastolo in quel paese di cui è diventato cittadino. Tutto ciò si traduce in tre punti per ritoccare l’articolo 175 del codice di procedura penale con la previsione di maggiori garanzie nell’impugnazione di provvedimenti pronunciati quando gli imputati sono assenti. In questo modo il latitante condannato in contumacia potrà presentare ricorso anche in caso di sentenze definitive.

O almeno così lascia intendere il ministro della Giustizia, Castelli. Allungati anche i tempi per impugnare una sentenza in contumacia: da dieci giorni si passa a trenta. In caso di estradizione dall’estero il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato. Il provvedimento, infine, rende più celeri le notificazioni all’imputato non detenuto che abbia nominato un difensore di fiducia senza provvedere a eleggere un domicilio. Secondo il presidente dell’Unione Camere penali, Ettore Randazzo, non si va nella direzione indicata dalla Corte europea: si è sostituito "il diritto del contumace di provare di non aver avuto effettiva conoscenza del procedimento con la circostanza, più onerosa per l’interessato, che ciò "risulti agli atti"". Giudizi positivi, invece, dall’Anm.

"Giocare da libero in galera", conversazioni con Adriano Sofri…

 

Il Tirreno, 19 febbraio 2005

 

Cos’è nato prima, il pallone o la politica? È intorno a questo snodo cruciale - dico sul serio - dei nostri tempi, che gira "Giocare da libero", il libro di Teo De Luigi, scritto in forma di conversazione con Sofri.

Com’è tristemente noto, Sofri continua a trascorrere i suoi tardi anni nel carcere di Pisa, e si potrebbe ironicamente dire che questa condizione gli dà molto tempo libero: ne approfitta, dunque, anche per riscoprire la gioia di giocare a pallone. Sofri gioca con i detenuti sul campetto di peluche del Don Bosco ma gioca anche politicamente, è ovvio. Cioè giocando riflette sul significato di questo gioco tanto plebeo quanto divino (ricordate quei palleggi di Charlie Chaplin col pallone-mappamondo?) e riflette anche su chi veramente dà le pedate al pallone, e su dove il pallone - rotola rotola - può andare a finire.

Quello che ne viene fuori è un libriccino importante e intelligente, anche se un po’ troppo passatista: a me sarebbe piaciuto che non si fosse fermato al 1968-1978. Avrei voluto sentire Sofri, per esempio, sul nazionalismo post-1982, quando il tricolore riconquistò le piazze. O su Maradona, il giocatore più politico della storia. O ancora sugli ultrà, che sono pur sempre nati proprio negli anni Settanta quando si chiamavano Brigate o Feddayn. Peccato, ma si può sempre sperare in un sequel, in una seconda puntata, magari da abbinare ad una sperabile partita della libertà...

Un punto importante che Sofri segnala è che i maitres dell’intellighenzia di sinistra non hanno mai capito un granché di queste faccende, e non si può che convenire. Nel mitico decennio, si sa, molti di loro erano sempre morettianamente presi da altre velleità, e mai pasolinianamente attratti dalle curve o dai campetti di periferia. Ma il peccato è precedente e anche successivo. Per esempio, si potrebbe ricordare che durante il breve periodo al governo dopo la Resistenza, Togliatti & C. ebbero la possibilità di mettere le mani sul baraccone del calcio, forse perfino sui quattrini del Coni: invece si fecero scippare il business dalla Dc: segnatamente da un certo Giulio Andreotti.

I maitres non l’hanno capita allora che avevano - o pensavano di avere - l’egemonia; non la capiscono bene nemmeno oggi. Nel ‘46 si fecero fregare da Andreotti, 50 anni dopo hanno fatto replay con Berlusconi. Il quale ha di nuovo dimostrato che il pallone può rotolare lontano; e per di più si sta togliendo da vent’anni lo sfizio di padroneggiare politicamente proprio una delle squadre storiche della classe operaia, il Milan dei "casciavid" di Arese e della Bovisa.

Ma perché la sinistra non capisce? Perché è afflitta da broccaggine mesta, avrebbe detto Gianni Brera. Perché coglie in ritardo il significato e non coglie affatto il significante della cosa-pallone e delle sue potenzialità. Sente la forza sociale della bestia, ma non ci sa e non ci vuole giocare. Ne diffida illuministicamente, non trova la gabbia per rinchiuderla e allora meglio occuparsi d’altro. Non è questo, del resto, l’unico terreno in cui i nostri hanno finito col lasciare campo - il loro campo - ad altri.

Tuttavia, ora proprio Sofri fa fare alcuni importanti passi avanti alla questione. Quando dice, ad esempio, che tra pallone e politica alla fine vince sempre il pallone (forse qui esagera persino) e che vincere a pallone, in fondo, è più bello che vincere in politica (anche qui forse esagera). In realtà, io credo che, ora come agli albori della questione, non tocchi al gladiatore battere l’imperatore davanti alla folla del Colosseo. Succede solo nei film, per quanto Spartaco ci sia andato abbastanza vicino: lui che giocava a pallone - così pare - con le teste dei centurioni romani uccisi. Ma è sicuramente vero che i circenses hanno sempre avuto, anche in negativo, una loro forza autonoma e imprevedibile: considerarli solo un cascame becero e una manifestazione del potere è un grave errore culturale e politico. Proprio all’imprevedibilità del pallone, del resto, Sofri dedica le pagine per me più importanti del libro. È bello, dice, perché c’è sempre qualcosa che ti può venire bene anche quando non te l’aspetti e hai tutto contro: un contropiede, un passaggio smarcante, soprattutto uno di quei pallonetti che a lui piacciono tanto. Una metafora essenziale che si potrebbe completare così: da quanti anni la politica non ci fa vedere - invece - un bel contropiede o una palombella rossa? Siamo sempre su questo triste zero a zero, e forse moriremo ai supplementari.

Senza dimora: a Livorno italiane il 73% delle persone accolte

 

Redattore Sociale, 19 febbraio 2005

 

"Stiamo lavorando per attivare un tavolo permanente che riunisca Comune, Provincia, associazioni di volontariato, in modo che ciascuno possa portare la propria esperienza per una progettualità più incisiva". Così Luca Tinghi, Vicedirettore della Caritas diocesana di Livorno, riassume quello che la città sta portando avanti nei confronti delle persone senza dimora. "Insieme all’Arci gestiamo un dormitorio che offre otto posti letto.

Si tratta di due appartamenti autonomi ma affiancati, che consentono di accogliere uomini e donne". L’accesso avviene attraverso il Centro Ascolto, attivo presso la sede Caritas, in Via del Seminario 59. Secondo Caritas la città ospita circa 70 persone senza dimora, che vivono la strada. La Mensa della Caritas è gestita in convenzione con il Comune di Livorno, è aperta la sera dal lunedì al sabato, la domenica e i giorni festivi anche a pranzo.

"Accogliamo in media 45 persone - continua Tinghi -, nel 73% dei casi si tratta di italiani". Ad Antignano è attiva un’altra mensa più piccola, che può accogliere 15 persone, a cui si accede tramite il Centro Ascolto e gestita dalla Caritas parrocchiale. Una realtà significativa è quella della "residenza di soccorso", attivata in città da alcuni anni come servizio a favore di chi voglia iniziare un percorso di effettivo reinserimento nel contesto della società.

"È attiva la convenzione tra Comune di Livorno e Caritas, Arci, Ceis Livorno. Si tratta di uno strumento importante che consente a chi è privo della residenza - dunque dell’iscrizione all’anagrafe della popolazione – di attivare il procedimento per ottenere la "residenza di soccorso", che vale per un periodo di due anni e che nei casi di particolare necessità può essere rinnovata. Il percorso prevede un colloquio con l’assistente sociale, una volta verificati i requisiti (tra cui essere nati a Livorno), si costruisce un ‘miniprogetto’ centrato sulle esigenze della persona, con l’obiettivo di costruire il percorso dei successivi due anni. Un periodo che deve servire proprio a creare gli strumenti per poi proseguire la strada in modo autonomo.

Nel corso del 2004 abbiamo attivato – Caritas, Arci e Ceis e - circa 150 residenze di soccorso, a favore di immigrati ma anche di molti italiani.". Presso la Parrocchia di San Giovanni Bosco inoltre sono attive le Ronde della Carità, gruppi di volontariato che si muovono per le strade della città e ogni sera offrono circa 35 pasti caldi. "L’obettivo - precisa Tinghi - è affrontare i problemi secondo una logica che non contempli solo l’emergenza, ma un sistema di servizi che possa aiutare a costruire percorsi di vita, a prescindere dal fatto che la strada sia frutto o meno di una scelta consapevole".

Cuba: marcia di protesta delle mogli dei dissidenti in carcere

 

Associated Press, 19 febbraio 2005

 

Le mogli di molti dissidenti prigionieri nelle carceri cubane hanno marciato per chiedere la liberazione dei mariti, manifestando nella Piazza della Rivoluzione all’Avana. Le donne, chiamate "Signore in bianco" perché indossano abiti bianchi con t-shirt che riportano le foto dei mariti arrestati, hanno chiesto la liberazione dei dissidenti, molti dei quali condannati a lunghe pene detentive.

Iglesias: i deputati alla Regione, "un lavoro per i detenuti"

 

L’Unione Sarda, 19 febbraio 2005

 

Subito un intervento della Regione per far partire i cantieri lavoro per i detenuti. E allo stesso tempo avviare il processo di recupero attraverso i corsi di formazione e garantire una maggiore assistenza sanitaria. La richiesta, indirizzata agli amministratori regionali parte da Francesco Carboni e Pietro Maurandi, i due parlamentari sardi che ieri mattina hanno visitato il carcere circondariale di Iglesias. Una visita per "conoscere la reale condizione di vita all’interno della struttura detentiva situata nella zona industriale di Sa Stoia". "Abbiamo potuto appurare che il problema legato alla mancanza di acqua calda è stato risolto - spiega Pietro Maurandi - i responsabili ci hanno informato che si trattava di un guasto alla caldaia, finalmente riparato".

L’attenzione dei due parlamentari, però, è stata concentrata soprattutto sulle attività finalizzate al reinserimento dei detenuti nella società. "Non si possono fare corsi di formazione - aggiunge Maurandi - perché nella maggior parte dei casi si tratta di detenuti extracomunitari di passaggio e quindi non in grado di seguire corsi di lunga durata".

A sollecitare invece un intervento dell’amministrazione regionale, per migliorare il funzionamento della struttura detentiva è Francesco Carboni, che è anche vice presidente del comitato carceri all’interno della Commissione Giustizia alla Camera. "Sia chiara una cosa - premette - nel corso della nostra visita abbiamo potuto constatare un operato eccellente sia della direzione sia del personale della polizia penitenza. Il punto però è un altro. Si tratta di mettere tutto il personale in condizioni di operare bene fornendo supporto e risorse economico finanziarie". Piccola premessa per sollecitare un intervento dell’esecutivo regionale.

"È necessario che si studino progetti per portare avanti il lavoro e in questo caso deve svolgere un ruolo importante e non certo secondario la Regione". Quanto agli spazi a disposizione dei circa sessanta detenuti attualmente ospitati nel carcere di Iglesias, Carboni aggiunge. "Non si deve dimenticare che proprio a fianco al muro di cinta, ma nella parte esterna, è stato realizzato un campo di calcetto che non può essere utilizzato".

Pecche anche per l’assistenza sanitaria, dato che manca il medico in pianta stabile. "In questo caso si dovrebbe fare una convenzione con la guardia medica - precisa Carboni - ma si devono fare i conti con i tagli operati dal Governo proprio sul sistema penitenziario. Ma vanno comunque trovate altre soluzioni". Per cercare di avviare attività lavorative all’interno della struttura detentiva la direzione aveva lanciato un appello anche agli imprenditori del territorio. In cambio si spazi e agevolazioni fiscali si chiedeva l’assunzione, seppur per tempi ridotti, dei detenuti. "Abbiamo avuto qualche incontro con gli imprenditori locali - fa sapere la direttrice Elisa Milanesi - ma sino a questo momento non si è riusciti a concretizzare nulla". Un altro tema che sarà affrontato dal Comitato carceri.

Iglesias: serve più assistenza e formazione per i detenuti

 

L’Unione Sarda, 19 febbraio 2005

 

Subito un intervento della Regione per far partire i cantieri lavoro per i detenuti. E allo stesso tempo avviare il processo di recupero attraverso i corsi di formazione e garantire una maggiore assistenza sanitaria. La richiesta, indirizzata agli amministratori regionali parte da Francesco Carboni e Pietro Maurandi, i due parlamentari sardi che ieri mattina hanno visitato il carcere circondariale di Iglesias. "Abbiamo potuto appurare che il problema legato alla mancanza di acqua calda è stato risolto - spiega Pietro Maurandi - i responsabili ci hanno informato che si trattava di un guasto alla caldaia, finalmente riparato".

A sollecitare invece un intervento dell’amministrazione regionale, per migliorare il funzionamento della struttura detentiva è Francesco Carboni, che è anche vice presidente del comitato carceri all’interno della Commissione Giustizia alla Camera. "Sia chiara una cosa - premette - nel corso della nostra visita abbiamo potuto constatare un operato eccellente sia della direzione sia del personale della polizia penitenza.

Il punto però è un altro. Si tratta di mettere tutto il personale in condizioni di operare bene fornendo supporto e risorse economico finanziarie". Piccola premessa per sollecitare un intervento dell’esecutivo regionale. "È necessario che si studino progetti per portare avanti il lavoro e in questo caso deve svolgere un ruolo importante e non certo secondario la Regione". Pecche anche per l’assistenza sanitaria, dato che manca il medico in pianta stabile. "In questo caso si dovrebbe fare una convenzione con la guardia medica - precisa Carboni - ma si devono fare i conti con i tagli operati dal Governo".

Forlì: entro 2005 bando la per costruzione del nuovo carcere

 

Corriere della Romagna, 19 febbraio 2005

 

Nel futuro addio al vecchio carcere Forlì. Dopo essere stata adottata dal Consiglio comunale lo scorso mese di aprile, la variante urbanistica che ratifica la localizzazione della nuova Casa circondariale di Forlì al Quattro e predispone la viabilità di servizio alla struttura come tracciato sostitutivo della Tangenziale-ovest, tornerà al vaglio dell’assise lunedì per l’approvazione definitiva.

Un passaggio formalmente necessario dopo che la variante al Piano regolatore è stata sottoposta alle osservazioni dei cittadini e alle contro deduzioni degli uffici comunali e, ieri, all’osservazione preventiva da parte della seconda commissione consiliare presieduta da Alessandro Castagnoli. "Il provvedimento torna in Consiglio con piccole rettifiche relative alla viabilità che non snaturano affatto il progetto, trattandosi di variazioni di pochi metri del tracciato, ma semmai lo migliorano - spiega l’assessore all’urbanistica Gabriele Zelli -.

Al posto della Tangenziale-ovest (di fatto già accantonata nel 2001 dopo il ‘no’ della Commissione ministeriale per la valutazione degli impatti ambientali ndr) realizzeremo un’arteria che da San Varano scavalcherà Villanova sovrapponendosi alla via Ossi, costeggiando il carcere e congiungendosi poi all’Asse d’arroccamento all’altezza di via Padulli". Previsione - alla quale si aggiungono altre modifiche alla viabilità - comunque ancora da progettare, ma dopo l’avvallo definitivo della Provincia, l’Amministrazione potrà porre mano alle carte.

Per quanto concerne il nuovo penitenziario del Quattro che sarà finanziato in tutti i suoi 39 milioni 767mila euro dai Ministeri di giustizia e delle infrastrutture, il progetto resta secretato al Provveditorato per le opere pubbliche di Bologna (diramazione territoriale dei due dicasteri). "Nelle scorse settimane abbiamo avuto precise rassicurazioni - tranquillizza però Gabriele Zelli - ed entro la fine del 2005 i Ministeri provvederanno all’assegnazione dell’incarico di progettazione della intera struttura".

Giustizia: Castelli; voglio consegnare alla giustizia 140 terroristi

 

Il Corriere di Como, 19 febbraio 2005

 

Superare gli ostacoli che a livello internazionale l’Italia ha avuto nell’ottenere l’estradizione di latitanti italiani all’estero. Con un decreto legge che modifica il procedimento in contumacia allineandolo all’Europa, il governo - fa sapere il ministro Roberto Castelli - "intende fare tutto il possibile per assicurare alla giustizia i 140 terroristi che sono fuggiti dall’Italia".

La modifica all’art.175 del codice di procedura penale nasce di fatto dalla necessità di porre rimedio a una recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea di Strasburgo che ha ritenuto insufficiente il sistema delle garanzie in favore di chi è stato condannato in contumacia. Ma perché tanta urgenza?

Quanto peso ha avuto, nella scelta di percorrere la strada di un decreto legge, la vicenda del rogo di Primavalle e la latitanza (fino alla prescrizione della pena) di Lollo, Clavo e Grillo? "Zero - risponde Castelli - Questi problemi ce li stiamo ponendo già da prima". Poi aggiunge: "Questo decreto sicuramente influirà sulle vicende francesi". O meglio, sull’estradizione di quella dozzina di terroristi italiani rifugiati in Francia che il governo di Roma ha chiesto a quello di Parigi già dal 2002.

Castelli non fa nomi e si limita a dire che "le autorità francesi stanno valutando caso per caso la situazione", né ha avuto necessità di sentirsi con il collega Dominique Perben riguardo al decreto varato ieri ("è una modifica interna al nostro codice"). Ma l’urgenza di allineare il nostro codice in modo tale da riaprire l’impugnazione dei provvedimenti ("anche le sentenze definitive") nel caso in cui risulti che il contumace non ne era a conoscenza, non è escluso che sia una mossa studiata dal governo italiano per fronteggiare un appuntamento imminente: il definitivo pronunciamento del Consiglio di Stato di Parigi, il prossimo 11 marzo, sull’estradizione di Cesare Battisti.

L’ex leader dei Pac è ormai irreperibile, ma i suoi avvocati (due noti professionisti parigini), nelle loro memorie difensive, fanno leva proprio sulla presunta irregolarità del processo in contumacia italiano rispetto al diritto internazionale e a quello francese del processo in contumacia italiano. Forse anche per questo si doveva rimediare al più presto alla recente sentenza della Corte europea di Strasburgo (novembre 2004) che ha condannato l’Italia per aver inflitto una pena a un nomade senza che questi fosse a conoscenza del processo a suo carico.

Se il Consiglio di Stato di Parigi dovesse accogliere le tesi dei difensori di Battisti, allora questo rappresenterebbe un pericoloso precedente per l’estradizione dalla Francia di quella dozzina di latitanti italiani che si sono macchiati di gravi reati di sangue. Nella lista inviata a Parigi, dopo l’incontro tra Castelli e Perben del 2002, ci sono: gli ex Br Enrico Villimburgo e Roberta Cappelli, condannati all’ergastolo per diversi omicidi e per i quali la richiesta di estradizione è partita assieme a quella di Battisti; gli ex Br Giovanni Alimonti e Maurizio di Marzio, condannati rispettivamente a 22 e 15 anni per una serie di attentati che hanno provocato morti; l’ex Br Enzo Calvitti, condannato a 21 per il tentato omicidio di un funzionario di polizia; Vincenzo Spanò, ritenuto uno dei leder dei Comitati organizzati per la liberazione proletaria (Colp); Massimo Carfora, membro dei Colp, condannato all’ergastolo; Walter Grecchi, autonomo, condannato a 14 anni per l’omicidio del poliziotto Antonino Custrà; Marina Petrella, ex Br, condannata all’ergastolo per l’uccisione di un commissario di polizia nel 1981; Giovanni Vegliacasa, ex membro di Prima Linea; Giorgio Pietrostefani, condannato a 22 anni di carcere assieme a Sofri e Bompressi per l’omicidio del commissario Calabresi, è latitante dal 2000. Infine c’è il caso di Alessio Casimirri, l’ultimo Br del commando che uccise Aldo Moro e che da 21 anni è latitante in Nicaragua. Il governo ha tentato di ottenerne l’estradizione ma senza successo, perché Casimirri è ormai cittadino nicaraguense. L’ultimo tentativo per assicurarlo alla giustizia il Guardasigilli l’ha compiuto recentemente, chiedendo per via diplomatica che Casimirri sconti l’ergastolo in Nicaragua. Ma Castelli ripete di non voler citare casi particolari: "Un caso vale l’altro".

Bergamo: 32enne appena scarcerato muore di overdose

 

Il Giorno, 19 febbraio 2005

 

L’ultima dose è stata fatale, B.C. 32 anni, di Vertova, tossicodipendente, è morto per una oversdose. La vittima, aveva precedenti penali per diversi reati e solo il giorno prima aveva lasciato il carcere. A trovarne il corpo privo di vita sono stati alcuni operai di una impresa edile impegnati in un cantiere di via Magrini. Quando ieri mattina sono arrivati hanno trovato nascosto tra due assi di legno il cadavere. Sulla gamba c’era ancora la siringa sporca.

Monza: nel carcere aprirà presto un reparto psichiatrico

 

Il Giorno, 19 febbraio 2005

 

Il reparto di osservazione psichiatrica nel carcere di Monza è pronto. Mancano gli ultimi ritocchi, poi, resta soltanto di aspettare il via libera del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per iniziare ad accogliere i primi malati psichici detenuti in altre carceri lombarde che non hanno un servizio di psichiatria giornaliero o celle attrezzate per contenere le crisi dei pazienti-reclusi. Una questione di giorni.

"Una follia", avevano bollato il progetto i sindacati nei mesi scorsi, che tuttavia è andata avanti. Scartato subito l’istituto di pena di Cremona vista l’impossibilità di trovare spazi adeguati, subito da Roma hanno spinto su Monza, nonostante il cronico sovraffollamento: i detenuti sono oltre settecento, 250 in più rispetto alla capienza tollerabile.

In via Sanquirico gli spazi li hanno trovati. Saranno dedicate cinque celle singole vicine all’infermeria del carcere. Ospiteranno un centro di osservazione clinica dove accogliere detenuti con problemi psichici in fase acuta per un periodo massimo di trenta giorni. Poi, lo psichiatra preparerà una sorta di cartella clinica e il detenuto rimandato nell’istituto do provenienza.

"I lavori di ristrutturazione dei locali sono praticamente finiti - ha spiegato il direttore della casa circondariale di Monza, Massimo Parisi -, restano soltanto gli ultimi dettagli. Già a partire da marzo potremmo diventare operativi". I diretti interessati, ovvero il direttore sanitario del carcere, Francesco Bertè, e lo psichiatra, l’unico per gli oltre settecento reclusi in via Sanquirico, Francesco Guerrieri, non hanno avuto ancora ordini: "Forse nei prossimi giorni arriveranno indicazioni precise dal Provveditorato", dicono. Resta anche da risolvere il problema agenti. Aumentano i carichi di lavoro ma di rinforzi se ne parla poco.

Anche la riapertura del nido per accogliere le detenute con i loro figli piccoli non ha portato ulteriori agenti donne in via Sanquirico. Il direttore e i sindacati chiedono e aspettano. Aspettano che il ministero della Giustizia definisca le assegnazioni delle agenti di polizia penitenziaria nelle carceri italiane che andranno poi discusse con i sindacati.

Sabato scorso le allieve del corso di formazione nelle scuole di Verbania e Parma hanno fatto il giuramento. Secondo il piano rivisto e aggiornato dalla Direzione generale del personale a Monza dovrebbero arrivare 17 agenti che si andrebbero ad aggiungere alle 35 già in servizio.

Modena: sezione femminile in crisi, agenti poche e stressate

 

La Gazzetta di Modena, 19 febbraio 2005

 

I sindacati Fp Cgil, Uil penitenziari, Sappe e la Fsa denunciano la grave carenza di organico e le difficili condizioni di lavoro delle agenti di polizia penitenziaria in servizio nel reparto femminile del S. Anna. Oggi sono soltanto 6 le agenti preposte alla vigilanza di 29 detenute, poiché 4 agenti sono dislocate in altre sedi, 3 sono dislocate negli uffici, una sola agente è preposta al servizio di traduzione, altre 3 non possono prestare servizio di vigilanza notturno poiché hanno compiuto 50 anni, mentre ve ne sono 2 che sono in congedo per maternità e vi è una sola ispettrice.

Per queste gravi carenze di organico e, di conseguenza e per l’aggravarsi delle condizioni di sicurezza carceraria, i sindacati hanno proclamato lo stato di agitazione e sabato terranno un presidio di volantinaggio in largo Aldo Moro.

Vincenzo Santoro, segretario di Fp Cgil sottolinea "unitariamente alla Uil ed alla Sappe, denunciamo i turni massacranti di lavoro sostenuti dalle colleghe e denunciamo una cronica carenza di organico di cui spesso sono costretti a farsi carico gli agenti maschi, soprattutto nelle traduzioni dal carcere agli ospedali o nelle perquisizioni dopo i colloqui coi familiari, funzioni che dovrebbero essere espletate da personale femminile, a rigore di legge, secondo un principio costituzionale. Da ormai un anno abbiamo aperto una vertenza con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e con il Ministero di Giustizia poiché tale situazione è una palese violazione dei trattati internazionali che prevedono la tutela della dignità delle detenute non garantendo al tempo stesso la sicurezza che è condizione irrinunciabile per chi è preposto a svolgere mansioni così delicate; infatti si sono verificati numerosi casi in cui una sola agente è stata adibita a mansioni di vigilanza, nell’intera sezione femminile; dunque, in tali condizioni è difficoltosa la sorveglianza delle detenute in tutti i momenti in cui queste, durante le diverse attività previste per il loro reinserimento sociale, non sono rinchiuse nelle celle". "Anche nel settore maschile noi denunciamo gravi carenze di organico poiché sono soltanto 26 gli agenti adibiti al servizio di traduzione (dentro o fuori dal carcere) di fronte a ben 437 detenuti; è previsto l’arrivo di due sole agenti".

Prato: documento Ass. Aisc, "basta suicidi, basta sconfitte"

 

Il Tirreno, 19 febbraio 2005

 

Il suicidio di un detenuto avvenuto domenica sera alla Dogaia ha spinto l’associazione Aisc, che si occupa del sostegno ai detenuti, a intervenire sull’argomento. "Il suicidio di un detenuto è una "sconfitta e di sconfitte la Dogaia ne ha accumulate molte ed è giunto il momento di dire basta" - si legge nel documento -.

Il dramma che si è consumato nel carcere della Dogaia domenica pomeriggio, nonché negli anni precedenti, ci lascia impietriti. L’uomo che è riuscito a impiccarsi utilizzando pezzi di stoffa di indumenti e di lenzuola per costruire il cappio, nonostante che lo spioncino della sua camera di sicurezza fosse controllato dalle guardie, ci appare come una madornale presa in giro.

I suicidi in carcere sembrano non fermarsi da quel lontano 1998. La febbre dei suicidi non può non scatenarsi da condizioni di vita che meriteranno di essere seriamente approfondite. Il vero problema è che le stesse strutture penitenziarie italiane sembrano non rispettare l’incoercibile diritto di ogni detenuto di essere custodito in un ambiente che rispetti la dignità, oltre che la salute e la sicurezza. Chiediamo alle autorità che hanno piene capacità di intervenire affinché si metta fine a questi inquietanti episodi".

Milano: Totò Riina trasferito in ospedale per intervento di ernia

 

La Sicilia, 19 febbraio 2005

 

Un trasferimento in serata, coperto dal massimo riserbo e organizzato con misure di sicurezza eccezionali. Il trattamento particolare è stato riservato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a Totò Riina. L’ex capo di Cosa Nostra ha lasciato mercoledì sera il centro clinico del casa di reclusione di Opera, nell’immediata periferia di Milano, dove è detenuto dal 27 dicembre 2003, per il reparto penitenziario dell’ospedale S. Paolo di Milano dove giovedì è stato sottoposto ad un intervento per la riduzione di un’ernia.

Non è la prima volta che il boss dei boss viene trasferito all’ospedale San Paolo dopo il suo trasferimento a Opera dal supercarcere di Marino del Tronto a causa dell’infarto lo aveva colpito. Al San Paolo Riina c’era già stato lo scorso 26 maggio quando le sue condizioni di salute si aggravarono improvvisamente rendendo necessario un trasferimento d’urgenza nel nosocomio milanese.

A differenza di quello dello scorso maggio, il trasferimento di mercoledì è stato studiato nei minimi particolare. Il ricovero di Riina, infatti, era programmato così le misure di sicurezza sono state messe a punto attentamente per evitare qualsiasi possibilità di fuga. Totò Riina, che dovrebbe lasciare l’ospedale fra qualche giorno quando le sue condizioni si saranno stabilizzate, è arrivato in ospedale a bordo di un furgone blindato seguito dal cielo dagli elicotteri e scortato lungo il tragitto stradale dalla polizia penitenziaria. Imponenti i controlli anche in ospedale: Totò Riina viene seguito a vista da più di un agente e tutti coloro che entrano al San Paolo, compresi medici, infermieri e impiegati, vengono controllati. Off-limit anche i parcheggi e tutte le visite ambulatoriali vengono sospese in concomitanza di quelle alle quali si deve sottoporre l’ex boss di Cosa Nostra. Schierate fuori dall’ospedale pattuglie di tutte le forze dell’ordine, compresi i reparti speciali della polizia penitenziaria che cercano anche di calmare gli animi di pazienti e medici infastiditi dalla non gradita invasione di campo.

 

 

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