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Giustizia: decreto legge su contumacia, linea dura con latitanti
Il Messaggero, 19 febbraio 2005
"I latitanti? Non abbiamo mai smesso di cercare di garantire la giustizia. Per noi sono tutti da riportare in Italia". Il guardasigilli Roberto Castelli dichiara guerra a chi è sfuggito alla condanna espatriando clandestinamente, e spiega in questo modo la richiesta, effettuata attraverso vie diplomatiche, di far scontare in Nicaragua la pena ad Alessio Casimirri, condannato all’ergastolo per il caso Moro, l’unico del commando Br di via Fani che non è mai stato arrestato. "In alcuni casi - sottolinea il ministro - ci scontriamo con ostacoli insormontabili. Lo abbiamo visto con Lollo in Brasile, in passato con Zorzi in Giappone e con Casimirri, caso eclatante, perché la legislazione, in questo caso il Nicaragua, non consente l’estradizione. Questi paesi sono sovrani sul loro territorio, è un dato insuperabile". Ora però sembra che la risposta al problema sia pronta. Il Governo ha messo a punto un decreto legge che modifica le regole del processo in contumacia per aggirare le difficoltà che il nostro Paese incontra (o potrebbe incontrare) nel riavere condannati rifugiati all’estero. L’argomento sarà uno dei punti all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri fissato per oggi. Castelli lo ha definito "un passo significativo", altrimenti - aggiunge - "rischiamo che i latitanti non ci vengano consegnati a seguito del pronunciamento della Corte dei diritti dell’uomo europea". Il decreto è composto da tre articoli e modifica più punti dell’articolo 175 del Codice di procedura penale anche alla luce di una recente sentenza della Corte europea di Strasburgo che ha condannato l’Italia per la lesione dei diritti di difesa dei condannati in contumacia e che rischia di vanificare le richieste di estradizione. Vengono previste maggiori garanzie di difesa per l’imputato che è stato condannato in contumacia. In particolare, il secondo comma è riscritto in modo da permettere di impugnare la sentenza "se risulta dagli atti che" l’imputato "non ha avuto effettiva conoscenza del procedimento e non abbia volontariamente rinunciato a comparire e sempre che l’impugnazione o l’opposizione non siano state già proposte dal difensore". In questo modo viene soppresso l’onere di provare la conoscenza del provvedimento. Vengono, inoltre, allungati i termini per impugnare una sentenza in contumacia, da dieci a trenta giorni. Il decreto, infine, aggiunge due nuove disposizioni agli articoli 157 e 161 con l’obiettivo di rendere più celeri le notificazioni all’imputato non detenuto che abbia nominato un difensore di fiducia, senza provvedere a dichiarare o eleggere un domicilio. Cagliari: in Sardegna manca sezione femminile del carcere minorile
Redattore Sociale, 19 febbraio 2005
In Sardegna manca una sezione femminile del carcere minorile e anche una struttura per l’accoglienza di minorenni con patologie psichiatriche. Se una ragazza viene arrestata deve scontare la pena in un istituto per minori della penisola e lo stesso avviene nell’altro caso. Il problema è stato evidenziato dal presidente facente funzioni del Tribunale dei minori Marinella Polo e dal procuratore generale Ettore Angioni durante un’audizione davanti alla commissione "Diritti civili" del Consiglio regionale, presieduta da Paolo Pisu (Prc), impegnata in un’indagine conoscitiva sulla situazione delle carceri nell’isola. Quanto al carcere minorile, i magistrati hanno detto di non essere contrari a cedere l’istituto di Quartucciu, a patto che si trovi, nel contempo e in via definitiva, una struttura vicina al tribunale dei minori che abbia la funzione di favorire la rieducazione e il recupero dei ragazzi. La soluzione adatta era stata trovata qualche anno fa - ha ricordato il procuratore generale - ma il ministro della Giustizia non ha neanche risposto alla lettera del magistrato che proponeva di acquisire l’area di via Dante (ex biochimico sardo), di ristrutturarla e ampliarla per trasformarla sia in carcere per detenuti minorenni sia in uffici giudiziari. "Con una spesa di 12 miliardi di vecchie lire, ha aggiunto Angioni, "avremmo potuto avere una struttura idonea, cedere Quartucciu ai detenuti maggiorenni e restituire Buoncammino al Comune di Cagliari". Ma nel frattempo l’area è stata venduta a un privato e il progetto è rimasto sulla carta. La necessità di individuare un’area idonea è stata sottolineata dalla commissione, che si è impegnata a chiedere al ministro della Giustizia di attivarsi per trovare al più presto un locale da destinare alla giustizia minorile. Giustizia: islamici scarcerati, il giudice Forleo ha sbagliato…
Corriere della Sera, 19 febbraio 2005
Revocando gli arresti di due accusati di terrorismo internazionale dopo essersi dichiarata incompetente a processarli, il giudice Clementina Forleo si è fatta tradire da "un’errata interpretazione delle norme", che sul piano del diritto equivale a "una patologia". Ma il suo scivolone giuridico non è tanto grave da rappresentare addirittura un "provvedimento abnorme", come invece avevano ipotizzato alcuni importanti esponenti politici come il ministro della Giustizia Roberto Castelli. È molto tecnico e non entra nel merito della controversa distinzione tra guerriglia e terrorismo l’atteso verdetto del tribunale del riesame sui due presunti reclutatori di Al Ansar, i tunisini Drissi Noureddine e Kamel Hamraoui, arrestati nel novembre 2003 anche per il nuovo reato (270 bis) introdotto dopo gli attentati dell’11 settembre. Il 24 gennaio scorso il gip Forleo, con una decisione che le è costata persino vergognose minacce di morte (decine di telefonate e lettere anonime), aveva fatto cadere questa accusa, riconfermando però il carcere per gli altri reati di falsificazione di passaporti e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nell’udienza d’appello, la Procura chiedeva di ripristinare l’arresto anche per terrorismo, mentre gli avvocati Ilaria Crema e Giuseppe De Carlo difendevano la piena legittimità dell’ordinanza contestata. Il tribunale del riesame, però, non ha accontentato né la difesa né l’accusa, fermandosi a un verdetto procedurale: da un lato ha bocciato l’ordinanza, ritenendola viziata da un "errore" giuridico qualificato come "inedito"; dall’altro, ha negato al pm il ripristino dell’arresto per terrorismo, ma solo per ragioni di competenza. Dato che lo stesso gip Forleo "ha trasmesso gli atti a Brescia", dove il nuovo gip Roberto Spanò "ha già emesso un nuovo provvedimento di arresto anche per terrorismo", a questo punto il verdetto del tribunale milanese "assumerebbe infatti la mera valenza di un’affermazione di diritto priva di qualsiasi conseguenza pratica". All’inizio delle 17 pagine di spiegazioni, il tribunale si limita a ricordare, ma senza prendere posizione, la motivazione del giudice Forleo, secondo cui è dimostrato che quei due "fondamentalisti islamici" facevano parte di "una cellula" che dall’Italia inviava volontari con soldi e documenti falsi "in strutture di addestramento paramilitare in Iraq", ma "non risulta provato" che avessero "finalità di terrorismo", cioè che programmassero attentati "anche contro i civili" con "obiettivi trascendenti l’attività di guerriglia in un contesto bellico". Secondo il pm Armando Spataro, invece, era comprovata anche questa "finalità di terrorismo", perché il giudice Forleo aveva "erroneamente dichiarato inutilizzabili" prove validissime, come le testimonianze dei kamikaze mancati di Al Ansar (deposizione raccolte da uno Stato civile come la Norvegia) e tutti gli elementi trasmessi non dai servizi segreti (Bnd) ma dalla polizia tedesca (Bka). Il tribunale invece si è fermato alla prima obiezione procedurale del pm: proprio perché si era dichiarata incompetente, il giudice Forleo non avrebbe dovuto revocare gli arresti; ma visto che i due imputati sono già stati riarrestati anche per terrorismo a Brescia, il verdetto milanese è ormai diventato "inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse". Oggi intanto la sezione di prevenzione del tribunale di Milano decide se accogliere la richiesta della questura, appoggiata dai pm, di applicare misure amministrative di sicurezza a Mohammed Daki, il marocchino-amburghese che l’unico imputato ad essere davvero tornato in libertà. Daki ora rischia il soggiorno obbligato a Reggio Emilia con dovere di firmare per due volte al giorno il registro della polizia. Una misura che punta a tenerlo in Italia in attesa dell’appello che potrebbe rimandarlo in carcere: proprio per questo la legge Bossi-Fini vieta l’espulsione. Texas: eseguita condanna a morte con iniezione letale
TG Com, 19 febbraio 2005
Un texano condannato per avere ucciso quattro persone, fra cui sua madre e un bambino di quattro anni, è stato messo a morte giovedì sera, con un’iniezione letale, nel carcere di Huntsville. La strage avvenne in un caravan a Stockdale, una cinquantina di chilometri a sud-est di San Antonio, nel 1995. Condannato in base alla testimonianza della ex fidanzata, Bagwell si è detto sempre innocente. Giustizia: Corte Strasburgo; il sado-maso non è un diritto
Reuters, 19 febbraio 2005
La Corte europea dei Diritti umani ha respinto il ricorso di due cittadini belgi, un magistrato 60enne e un medico di 56 anni, che avevano contestato la condanna per pratiche sadomasochiste estreme sostenendo che era stato violato il loro diritto al rispetto della vita privata. Nella sentenza, la Corte ha indicato che "se una persona può rivendicare il diritto di esercitare delle pratiche sessuali nel modo più libero possibile, il rispetto della volontà della vittima di queste pratiche costituisce un limite a tale libertà". La vittima, nella fattispecie la moglie del magistrato, compariva su una videocassetta - esibita durante il processo ai due uomini nel 1997 davanti alla Corte d’appello di Anversa - implorando i suoi carnefici di porre fine al suo supplizio. Nei "giochi sessuali" venivano usate fruste, aghi, pinze, cera bollente, scosse elettriche, e si ricorreva anche alla sospensione di diverse parti del corpo. Gli episodi più violenti avvenivano in luoghi privati, perché non tollerati neanche nei club sado-maso. Il magistrato, denunciato per lesioni ma anche per incitamento alla prostituzione e al vizio - aveva affittato la moglie come "schiava" a un club sado-maso - era stato condannato a un anno di carcere e 2.500 euro di multa con la sospensione, più l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Il medico aveva ricevuto una condanna a un mese di carcere con la sospensione e 185 euro di multa, sempre con il beneficio della sospensione della pena. I due uomini avevano fatto ricorso anche perché ritenevano di essere stati condannati senza che i fatti di cui sono stati ritenuti responsabili siano espressamente previsti dalla legge. La Corte ha respinto anche questo ricorso, affermando che "le pratiche in questione erano talmente violente e dunque senza dubbio talmente rare che l’assenza di giurisprudenza in merito non sarebbe sorprendente". Firenze: emergenza freddo, appello associazioni al comune
Comunicato stampa, 19 febbraio 2005
L’associazione l’Aurora, Fuori Binario, la Casa dei diritti sociali, la Comunità di base delle Piagge denunciano la chiusura della stanza che accoglieva 20 persone per le notti fredde alla Stazione di S.M. Novella. È ancora freddo ma la gente non può più trovare riparo là dentro. Insieme a Cgil, Cisl, Arci e movimenti di Firenze, i senza fissa dimora chiedono alla cittadinanza di aderire all’appello per inserire quel luogo almeno nel piano dell’accoglienza invernale ed evitare che salga il numero dei morti per freddo nella città "dell’accoglienza". Tel. 348.3310565 maria.zipoli@tin.it. Giustizia: maggioranza divisa su riforma e salva-Previti
Il Manifesto, 19 febbraio 2005
Sulla giustizia maggioranza in alto mare su due provvedimenti "controversi" come la legge "Salva-Previti" e il nuovo ordinamento giudiziario del ministro Castelli. Sulla controriforma della magistratura respinta per incostituzionalità da Ciampi è ormai scontro durissimo tra una parte di An (quella "destra sociale" capeggiata dal ministro dell’agricoltura Gianni Alemanno) e il resto della maggioranza. Un senatore di An vicino ad Alemanno, Roberto Salerno, ha infatti presentato un emendamento in senato che tutela il ruolo del Csm nelle nomine dei giudici (il principale dei rilievi avanzati da Ciampi) e per questo non piace agli altri condomini della Casa delle libertà. Il guardasigilli giura però che la legge non si tocca: "Ho spiegato ad Alemanno che la riforma dell’ordinamento giudiziario è come un castello di carte, se tocchi una cosa minima cade giù tutto...". A fianco del ministro si schiera Ignazio La Russa, uno dei "saggi" sulla giustizia e compagno di partito di Alemanno. E a quanto pare dentro An il sostegno a spada tratta a Castelli non solleva molti entusiasmi. I tempi in ogni caso stringono, "se a Montecitorio la legge non viene messa in calendario entro maggio non passa più", dice un esponente azzurro. Tra regionali e finanziaria il parlamento ha poco tempo a disposizione. Non a caso ieri Castelli ha incontrato il presidente della camera Casini proprio per discutere del calendario dei lavori. Sul fronte "Cirielli-Salva Previti" intanto la commissione giustizia del senato ha rinviato ieri i lavori per l’assenza del presidente Nino Caruso, sempre di An. Con ogni probabilità anche questa norma come l’ordinamento giudiziario arriverà in aula la prossima settimana senza un relatore e senza essere stata discussa completamente dalla commissione. Contro la legge che stanga i recidivi, premia gli incensurati e vanifica gli effetti della legge Gozzini per i detenuti, si è di nuovo espressa l’Associazione nazionale magistrati, che ieri ha lanciato un appello ai parlamentari a non approvarla perché "vanificherebbe il processo e renderebbe inutile il lavoro dei magistrati". Germania: scritture sul rapporto tra donne e carcere
Inform, 19 febbraio 2005
Di imminente pubblicazione un volume contenente - tra l’altro - le lettere che i carcerati italiani in Germania inviarono al Corriere d’Italia. Il volume dal titolo "Che qualcuno passi a sentire come stiamo", a cura di Mauro ed Elke Montanari, verrà edito per i tipi Delegazione MCI/Udep e sarà a disposizione delle istituzioni. Il libro contiene un capitolo dedicato al rapporto tra le donne e il carcere. "Come cercano di tenere la testa sopra l’acqua e come cercano di non perdere la loro personalità; come cercano di non abituarsi ai limiti della libertà come se fosse vita normale; come imparano a re-golarsi con la loro sessualità, con l’eroti-smo; come soffrono di fronte ai loro figli della colpa; come si sostengono l’una con l’altra; come diventano però anche, col tempo, cattive, aggressive, vendicative." (L. Rinser 1987) Le donne vengono giudicate molto meno rispetto agli uomini. Sono la metà del genere umano, ma solo il 23% tra i sospettati di reato (Bundeskriminalamt, PKS 2003) e vengono condannate più raramente degli uomini. Quando esse vanno in prigione, la famiglia viene punita in modo particolare. Soprattutto per i bambini il tempo di carcerazione rappresenta una ferita profonda. I figli soffrono molto quando sono divisi dalle madri e vengono portati da sconosciuti o presso istituzioni. Da una parte rimpiangono le madri, dall’altra devono fare i conti con i loro sensi di colpa. Proprio una delle persone che avrebbe potuto e dovuto segna-re la via ha fallito. Ha fallito in modo particolare di fronte a loro, anche se viene punita dalla società. La reazione dell’ambiente è tale che solo raramente i bambini trovano un sostegno per reggere la violenza che viene fatta ai loro sentimenti. Per tutta la famiglia è difficile e-laborare in modo positivo questo penoso momento e ricostruire un rapporto di fiducia uno verso l’altro. Per le donne carcerate (ma spesso succede anche agli uomini) il senso di colpa nei confronti della famiglia e la nostalgia dei bambini sono un problema enorme. Quando donne non rientrano da un periodo di vacanza dal carcere, è spesso perché non sopportano un nuovo distacco dai figli. In più, visto che il numero delle donne carcerate è particolarmente basso, succede che le carceri siano lontane dal luogo in cui abitano. Quando madri e figli vogliono visitarsi reciprocamente, sanno che questo costa tempo e denaro, e spesso entrambi non li hanno. Le donne carcerate sono un gruppo piccolo nella popolazione carceraria. Con una qualche sorpresa, anche noi abbiamo dovuto accorgerci di avere ricevuto soltanto lettere da uomini. Tuttavia, anche se alle donne italiane forse è mancata la consapevolezza o il coraggio di rivolgersi al Corriere d’Italia, vogliamo fare una riflessione particolare sulla loro situazione. Le donne carcerate hanno bisogno di offerte particolarmente buone e specifiche per ritrovare, dopo la detenzione, una relazione bella con la loro vita e con quella dei familiari. Per esempio già all’inizio della detenzione hanno bisogno di sostegno per imparare nuove forme di esistenza senza droghe, senza uomini violenti; per imparare un rapporto positivo con i bambini. Devono imparare come si affrontano i debiti e come possono la-sciarsi aiutare da consulenti per la fami-glia o da consulenti per l’educazione dei ragazzi, quando sono sovraccaricate da qualcosa. Dopo il rilascio hanno bisogno spesso di un sostegno duraturo, come ad esempio il soggiorno in appartamenti comuni appositamente seguiti. Esse possono così trovare nuove vie per la vita, per sé e per i figli. Come madri, sorelle, figlie, compagne e mogli di condannati, le donne sono particolarmente toccate da un provvedimento come il carcere. Per prime vivono la discriminazione e il pregiudizio dell’ambiente. La loro emotività si disgrega. Spesso hanno la sensazione che si è mentito loro per anni. La loro fiducia nei partner, nei mariti, nei fratelli, nei figli, nei padri è distrutta. Allo stesso tempo avrebbero bisogno di un rapporto fisso e che offrisse loro particolare sicurezza nella difficoltà del momento. Come madri si sentono impotenti quando si tratta di proteggere i figli da una violenza esterna che soprafa anche loro. Non ce la fanno con l’organizzazione della vita quotidiana. Improvvisamente scoprono montagne di debiti che crescono ogni giorno, così come la pressione delle banche. La scuola, il padrone di casa, i danneggiati si rivolgono direttamente a loro. Da dietro le sbarre, peraltro, il loro congiunto ha bisogno più che mai sia di loro che della loro relazione, anche se aveva mentito per anni, se le aveva picchiate, violentate. Quali sensi di colpa sopravverrebbero se esse interrompessero proprio ora la relazione? Che aspetto ha il futuro? E quando co-mincia? Come mostrare al figlio una immagine maschile positiva così che non diventi anche lui un criminale? Non è cominciata così anche la carriera di figli, fratelli, padri? Ma soprattutto, come farcela? Nessuno può farcela così. Per questo le donne hanno bisogno di più. Più sostegno per vivere la loro vita di mogli, madri, sorelle, figlie o compagne di carcerati. Affinché esse, le loro famiglie, i loro figli abbiano una chance. (Elke Montanari-Corriere d’Italia/Inform). "Che qualcuno passi a sentire come stiamo. Lettere di carcerati italiani in Germania". Quaderni Udep 2005. A cura di Mauro ed Elke Montanari. Progetto di Annette Vontra. ISBN 3-00-015328-4. Introduzione del Cardinale Karl Lehmann. Roma: Shakespeare interpretato dai detenuti di Rebibbia
Redattore Sociale, 19 febbraio 2005
"Con il teatro vogliamo offrire un’ulteriore opportunità di reintegrazione ai detenuti, che spesso in carcere perdono la propria identità. Attraverso la settima arte desideriamo contribuire a dare una speranza per il futuro e la coscienza del presente anche nel braccio di massima sicurezza, che viene considerato dai detenuti come un carcere nel carcere e dove molti di loro si lasciano andare senza stimoli". È il commento del consigliere provinciale con delega alle Politiche dell’Handicap, Tiziana Biolghini, che ha incontrato il Direttore del carcere di Rebibbia, Carmelo Cantone e i responsabili della Fondazione "Enrico Maria Salerno" per fare il punto sul laboratorio teatrale realizzato all’interno del braccio G12 di massima sicurezza e per l’organizzazione, per il 24 febbraio prossimo, dello spettacolo "La tempesta" di William Shakespeare, nella versione di Eduardo De Filippo e mai rappresentato in Italia, interpretato e diretto dai detenuti con il patrocinio della Provincia di Roma. "In tutta Italia - spiega Biolghini - ai detenuti in regime di massima sicurezza è preclusa nei fatti qualsiasi possibilità di recupero, fisico, affettivo e mentale, dal momento che i servizi educativi e sociali non operano alcun tipo di monitoraggio, acutizzando così il senso di emarginazione. Proprio per questo, oltre a promuovere un carcere di prospettive e non di espiazioni, la Provincia di Roma patrocinerà il prossimo 24 febbraio il primo spettacolo del laboratorio teatrale di Rebibbia, che per l’occasione metterà in scena lo spettacolo di Shakespeare". Salerno: cinema al carcere, iniziativa per i detenuti di Fuorni
Salerno Notizie, 19 febbraio 2005
Nella sala teatro della casa circondariale di Fuorni sarà proiettato domani il film "The Terminal". Sì, avete sentito bene. L’iniziativa "Il Cinema ci avvicina", inserita nel progetto "Carcere e Territorio", vuole creare un momento di incontro tra i detenuti ed il tessuto cittadino aprendo le porte del carcere agli alunni di 15 istituti superiori del salernitano e agli studenti universitari. In tutto saranno 12 le pellicole proiettate, divise in due moduli da qui a dicembre, ogni quindici giorni. Al termine di ogni film previsto anche un dibattito cui parteciperanno anche alcuni professori del dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università di Salerno per arricchire il confronto con realtà tra loro differenti. I film proiettati, il sabato alle ore 9, saranno "The Terminal" (19 febbraio), "Piccoli Affari Sporchi" (5 marzo), "Il Grande Freddo" (19 marzo), "Big Fish" (9 aprile), "Tutto su mia madre" (23 aprile), "Voglia di tenerezza" (14 maggio), "Antwone Fisher" (28 maggio). Al termine del primo modulo da febbraio a giugno, si terrà una tavola rotonda alla presenza delle Autorità Giudiziarie, Istituzionali e di alcuni giornalisti. Il secondo ciclo di proiezioni è previsto da ottobre a dicembre 2005. Roma: a Rebibbia summit di artisti per le madri detenute
Vita, 19 febbraio 2005
L’iniziativa si chiama "Belli come il sole". Il 21 febbraio nella sezione femminile del carcere romano si esibiranno fra gli altri Marina Rei, Stefano Fabrizi e Valerio Mastandrea. Prosegue l’iniziativa ‘Belli come il solè, a favore dei bambini, da 0 a 3 anni, che vivono con le madri detenute nella Sezione Nido del carcere di Rebibbia. Dopo l’evento spettacolo del 10 gennaio, lunedì 21 febbraio nel teatro della Casa Circondariale Rebibbia femminile vari artisti si esibiranno in uno spettacolo di sensibilizzazione sulla presenza in carcere di bambini e perché sia data piena attuazione alla Legge 8 marzo 2001 sulle detenute madri. Lunedì alle ore 11.30 si terrà una conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa, presso la Sala Blu dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie, per lo Sviluppo Locale e per il Lavoro del Comune di Roma, a Lungotevere de Cenci n. 5 al II piano. Promotori di "Belli come il sole" sono l’associazione culturale il Pavone, specializzata in creazioni di eventi, dall’Onlus Blow-up, costituita anche da detenuti ed ex detenuti, che da anni opera nel reinserimento sociale e da Gabriele Donini. Oltre l’Assessore alle Politiche per le Periferie, per lo Sviluppo Locale e per il Lavoro del Comune di Roma, Luigi Nieri, saranno presenti Marina Rei, Stefano Fabrizi, Valerio Mastandrea, Andrea Rivera, Francesco Di Giacomo e rappresentanti delle organizzazioni. L’evento-spettacolo sarà presentato da Valerio Mastrandrea. Marina Rei eseguirà i suoi grandi successi, in un concerto per due chitarre, voce e contrabbasso. Il cabarettista Stefano Fabrizi si esibirà in un pezzo di satira creato ad hoc. Il leader dei Banco del Mutuo Soccorso, Francesco Di Giacomo, suonerà con Maurizio Masi alla batteria,Rodolfo Maltese al basso e Paolo Sentinelli alle tastiere. Claudia Delli Ficorelli alla voce, inoltre, renderà omaggio a Gabriella Ferri. Andrea Rivera si esibirà in "Prossime aperture" "ideato - sottolinea l’artista romano - pensando alle aperture mentali che si spera possano portare anche ad aperture di porte fisiche". L’iniziativa "Belli come il sole" proseguirà nel corso dell’anno con eventi ed iniziative. Droghe: Corleone; non criminalizziamo, reprimere non serve
Repubblica, 19 febbraio 2005
Convegno contro "La criminalizzazione della canapa" questo pomeriggio a Milano: ci sarà Gian Luigi Gessa, neurofarmacologo all’Università di Cagliari, animatore del centro per la ricerca sulla Neurobiologia delle Tossicodipendenze, e Peter Cohen, sociologo dell’Università di Amsterdam, da sempre impegnato nello studio delle tossicodipendenze. L’appuntamento è stato voluto da Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia in quota ai Verdi, nominato dal comune di Firenze garante dei detenuti, e da Gad Lerner, giornalista, editorialista de La7.
Corleone, cosa pensate di fare contro l’inasprimento delle pene proposto dal governo? "Il governo vuole criminalizzare l’uso della canapa. Lo vuole fare attraverso una semplificazione della odierna legge, livellando sullo stesso piano eroina, cocaina e canapa. Noi vogliamo mantenere distinti i piani tra droghe leggere e droghe pesanti, e dimostrare che la canapa non deve essere criminalizzata"
È per questo che avete invitato un farmacologo e un sociologo al vostro convegno? "Cohen, il sociologo, dimostrerà che inasprire le pene non serve. Ha appena concluso uno studio comparativo tra la realtà olandese, più permissiva verso l’uso della canapa, e San Francisco, negli Stati Uniti, dove invece regna sovrana una legge proibizionista. Ebbene: dove la canapa è tollerata, il consumo è minore".
Ma l’uso della canapa provoca danni all’organismo. Questo il farmacologo non potrà negarlo. "Il professor Gessa non nasconderà i possibili danni all’organismo ma spiegherà pure gli enormi danni che provoca la detenzione in carcere. E con l’inasprimento delle pene, il numero dei detenuti per questioni di droga salirà vertiginosamente".
Gli altri paesi europei come si comportano? "In Gran Bretagna, ad esempio, la canapa è stata depenalizzata. In Italia vorrebbero invece cancellare le sei tabelle che distinguono le droghe e le pene accessorie per raccoglierle in un’unica tabella l’intero mondo degli stupefacenti, finendo per associare identiche pene sia per lo spaccio dell’eroina che per quello della canapa. Finiremmo per riempire le carceri senza risolvere il problema. E questo non lo vogliamo". L’appuntamento è alle 17.30, al Fastweb foyer in largo Franco Parenti 1, accanto al teatro Pierlombardo di Milano. Siracusa: sindacati scrivono a Castelli, penitenziario a rischio
La Sicilia, 19 febbraio 2005
Sono precarie le condizioni strutturali in cui versano gli edifici che ospitano il penitenziario di Augusta. Un’emergenza che interessa sia gli ambienti di lavoro che quelli di detenzione. A denunciare una situazione ritenuta gravissima, che va ad aggiungersi a quella organizzativa legata alla carenza di organico, sono il presidente della Federazione sindacati Autonomi, nonché segretario generale del Coordinamento Nazionale Polizia Penitenziaria Giuseppe Di Carlo e il segretario provinciale del Cnpp Massimiliano Di Carlo. "I cunicoli dell’istituto - dicono - sono addirittura inaccessibili e quasi completamente al buio, le tubazioni fatiscenti, da alcune fuoriesce vapore, l’illuminazione è a tratti non funzionante, i solai sono danneggiati da infiltrazioni, l’impianto elettrico non è a norma, così come lo stato degli edifici detentivi è assolutamente non conforme alla normativa, il cattivo odore permea l’intera struttura". I rappresentanti delle organizzazioni sindacali si rivolgono al Ministro della Giustizia, al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al Prefetto di Siracusa, al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, al direttore della casa di reclusione di Augusta e al segretario regionale del Cnpp sollecitando un immediato intervento al fine di tutelare l’incolumità, anche fisica, del personale di polizia penitenziaria che quotidianamente opera nella struttura. "La Fsa (Cnpp e Ugl) - aggiungono - vigilerà affinché la legalità nelle condizioni di lavoro venga ristabilita al carcere di Piano Ippolito. Nessuno dovrebbe assumersi la responsabilità della mancata predisposizione di interventi necessari in un luogo peraltro ad alto rischio sismico". Iraq: ad Abu Ghraib detenuto morì appeso per le braccia
Gazzetta del Mezzogiorno, 19 febbraio 2005
Nuovi agghiaccianti dettagli gettano lumi su una tecnica di interrogatorio usata dalla Cia su un prigioniero di guerra iracheno il cui cadavere è stato fotografato in mezzo a soldati americani sorridenti. Nuovi agghiaccianti dettagli gettano lumi su una tecnica di interrogatorio usata dalla Cia su un prigioniero di guerra iracheno il cui cadavere è stato fotografato in mezzo a soldati americani sorridenti a Abu Ghraib. Manadei al Jamadi, della cui morte si è avuta notizia solo l’anno scorso nel mezzo dello scandalo sul carcere delle torture, è morto durante un interrogatorio mentre era appeso per i polsi che erano stati ammanettati dietro la sua schiena. Al Jamadi è morto in una posizione nota come "impiccagione palestinese", si apprende da documenti ottenuti dall’Associated Press. Non è chiaro se questa posizione - condannata dagli attivisti per i diritti umani come tortura - rientrasse nella serie di "posizioni scomode" avallate dall’amministrazione Bush per gli interrogatori della Cia. Al Jamadi era uno dei detenuti "fantasma" di Abu Ghraib. La sua morte nel novembre 2003 divenne di dominio pubblico quando cominciarono a circolare le immagini dal carcere in una delle quali il suo cadavere in una busta di plastica piena di ghiaccio era stato fotografato in mezzo a un gruppo di secondini. L’iracheno era morto in una doccia dopo mezz’ora di interrogatorio e prima che gli agenti della Cia fossero riusciti a estrarne informazioni, secondo i documenti dell’Ap che consistono in testimonianze di secondini dell’esercito a una commissione d’inchiesta delle Forze Armate e all’ufficio dell’ispettore generale della Cia. Un sergente dell’Esercito, Jeffrey Frost, ha detto che le braccia di al Jamadi erano state piegate in una maniera che lui non aveva mai visto: "Ero sorpreso che non gli fossero uscite dalle spalle", ha testimoniato il militare agli investigatori. Frost e altre guardie erano state chiamate per cambiare di posizione il prigioniero che non collaborava. Una volta tolte le manette e abbassato il corpo, dalla bocca del detenuto uscì sangue a fiotti "come se avessimo aperto un rubinetto", si legge ancora nel documento. Un patologo civile consultato dall’esercito ha sostenuto che la posizione in cui al Jamadi era stato costretto potrebbe aver contribuito alla morte. L’uomo era stato catturato dai Seals della Marina che lo avevano picchiato prima di passarlo nelle mani della Cia. Il prigioniero era morto di lì a poco durante l’interrogatorio. Nove Seals e un marinaio sono stati incriminati nel caso dai magistrati militari di San Diego. Tutti tranne due hanno ricevuto punizioni amministrative.
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