Rassegna stampa 22 febbraio

 

Cagliari: Commissione Diritti Civili, carceri sarde stanno esplodendo

 

Sardegna Oggi, 22 febbraio 2005

 

La risoluzione sulla situazione delle carceri in Sardegna approvata all’unanimità dalla commissione consiliare "Diritti civili" sarà inviata alla Giunta regionale alla quale l’organo consiliare chiede di sollecitare un incontro urgente con il governo nazionale la realizzazione di una radicale riforma dell’Amministrazione penitenziaria in Sardegna e la predisposizione di un complesso di misure organiche in materia sanitaria, di lavoro e per il reinserimento nella società dei detenuti.

È stata illustrata, stamattina, la risoluzione sulla situazione delle carceri in Sardegna approvata all’unanimità dalla commissione consiliare "Diritti civili", presieduta da Paolo Pisu (PRC). Dopo la fase di studi e di indagini si deve ora passare alla fase operativa. "Questa risoluzione - ha detto Pisu - è una prima sintesi del lavoro svolto in questi mesi dalla commissione. L’abbiamo presentata perché era necessario un documento ufficiale della commissione in materia in quanto si sta discutendo il Piano socio assistenziale sardo e si sta aprendo il confronto Stato - Regione". Il lavoro della commissione, infatti, non si ferma e giovedì è prevista una visita nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros.

In Sardegna, hanno detto i commissari, la situazione delle carceri è gravissima ed è giunto il momento in cui le massime istituzioni si facciano carico delle competenze che le riguardano. Nell’isola, infatti, c’è una grave violazione dei diritti dei carcerati. La percentuale dei detenuti malati è altissima e questi reclusi sofferenti anziché scontare la pena in un carcere di detenzione attenuata, come prevede la legge, sono rinchiusi in strutture che, spesso, peggiorano la loro situazione e mettono in pericolo la vita degli altri. L’edilizia carceraria, poi, è di tipo ottocentesco e non si riesce a sapere che fine abbiano fatto i fondi per costruire le nuove carceri.

Davanti a questa situazione la commissione "diritti civili" chiede alla giunta regionale di sollecitare un incontro urgente con il governo nazionale per superare la lunga fase di inattività che ha caratterizzato questi ultimi anni. La commissione chiede anche la realizzazione di una radicale riforma dell’Amministrazione penitenziaria in Sardegna e la predisposizione di un complesso di misure organiche in materia sanitaria, di lavoro e per il reinserimento nella società dei detenuti. Nella risoluzione si chiede infine la creazione di una specifica struttura dell’amministrazione regionale con il compito di coordinare, d’intesa con l’amministrazione penitenziaria, tutti gli interventi pubblici e privati.

La giunta, entro sei mesi, dovrà riferire alla commissione quanto è stato fatto sulla base delle richieste formulate nella risoluzione. Un appello è stato rivolto da Maria Grazia Caligaris (Sdi-Su) ai magistrati e ai giudici perché utilizzino al massimo, per quanto è nella loro discrezionalità, le misure alternative al carcere. Ha chiesto, inoltre, al DAP (il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) di impedire, o quanto meno ridurre, il trasferimento dei detenuti dalla Penisola in Sardegna. Alessandro Frau (Progetto Sardegna) ha sottolineato l’aspetto sanitario del carcere di Buoncammino, in cui il centro clinico non funziona e il reparto per i malati detenuti di Is Mirrionis non è mai stato operativo. A questo poi bisogna aggiungere i problemi con la droga all’interno delle strutture carcerarie.

Milano: l’ex presidente della Consulta, volontario nel carcere

 

Corriere della Sera, 22 febbraio 2005

 

Ha scelto di fare volontariato in carcere, di aiutare i detenuti di Bollate nella stesura delle pratiche che li riguardano e nei rapporti con i magistrati di sorveglianza. L’ex presidente della Corte costituzionale, il professor Valerio Onida, lasciata la Consulta a fine gennaio, una volta la settimana varca il cancello del penitenziario milanese e, con un ex giudice del lavoro e un avvocato civilista, collabora gratuitamente a mandare avanti l’attività dello Sportello giuridico, un ufficio organizzato dalla direttrice della struttura, Lucia Castellano. "Il carcere - dice Onida - è un mondo che andrebbe conosciuto di più. E il volontariato può aiutare a realizzare un sistema più efficiente e umano".

Fino a tre settimane fa presidente della Corte Costituzionale, ora il professor Valerio Onida varca il cancello del carcere di Bollate ogni sette giorni. Come volontario, aiuta i detenuti italiani e stranieri a scrivere le domandine e a chiedere permessi. A gestire, cioè, i rapporti con i magistrati di sorveglianza.

"Il carcere - dice - è un mondo che andrebbe conosciuto di più. E il volontariato può aiutare a realizzare un sistema carcerario più efficiente e umano". Scaduto il mandato di nove anni come giudice della Consulta, mentre il Parlamento ancora non decide chi dovrà sostituire lui e l’ex collega Carlo Mezzanotte, Valerio Onida, 68 anni, professore di diritto costituzionale, aiuta i carcerati insieme con un ex giudice e un avvocato.

Una volta la settimana, codice sottobraccio, fa il giro delle celle, ascolta i detenuti e li riceve in una stanzetta al primo piano del penitenziario milanese. Bollate è il primo e unico carcere ad aver organizzato in Italia lo "Sportello giuridico". Si tratta di un ufficio di consulenza gratuita per i reclusi nel quale da un anno e mezzo prestano la loro opera l’ex giudice del lavoro Franco Cecconi e l’avvocato civilista milanese Franco Moro Visconti aiutati da tre detenuti.

Lo sportello è stato organizzato dalla direttrice, la dinamica Lucia Castellano, come "sperimentazione di cogestione tra operatori del volontariato e detenuti" spiega lei stessa.

Il carcere di Bollate è tra i migliori d’Italia per strutture e organizzazione. Inaugurato nel 2000, occupa una superficie di 400 mila metri quadri con 970 posti di cui solo 820 occupati. Negli altri penitenziari la situazione è drammaticamente diversa. Il numero dei detenuti supera costantemente la capienza, a volte in modo inaccettabile per un paese civile. L’ufficio, in realtà, "è l’istituzionalizzazione del vecchio scrivano", aggiunge la dottoressa Castellano. Un tempo, ma è così ancora in molte carceri, a compilare domande e suppliche era il detenuto più acculturato, quello che sapeva quanto meno leggere e scrivere.

La grande quantità di richieste, non di rado assurde e inammissibili, finisce per intasare gli uffici dei giudici di sorveglianza i quali spesso non riescono a evaderle tutte in tempi brevi, così come spererebbero i detenuti. Con il perverso risultato che non vengono rispettati i diritti dei reclusi i quali, per tutta risposta, ripresentano le domande a raffica.

La dottoressa Castellano ha delegato i tre giuristi a "fare da trait d’union, da legame, tra le istanze degli utenti (i reclusi, ndr ) e i magistrati di sorveglianza", con lo scopo di aiutare gli uni e gli altri. Per il futuro progetta perfino di riuscire a ottenere che i tre detenuti che collaborano attivamente con lo sportello si rechino personalmente in tribunale per evadere le pratiche. "I primi frutti positivi si vedono già" assicura la direttrice, "orgogliosa" di poter contare anche sull’opera del professore.

Il presidente emerito della Consulta, uno dei maggiori costituzionalisti italiani, quasi non vuole parlare di questa attività di volontariato. "Perché no? Non c’è nulla di strano", risponde cortesemente quando gli si chiede la ragione della scelta, dopo che la notizia si è diffusa ieri negli uffici del tribunale di sorveglianza di Milano.

Si sa che, esaurito il 30 gennaio l’incarico di giudice costituzionale, dopo essere stato vice e poi presidente della Consulta, Onida è tornato a fare il professore di diritto costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza nell’Università Statale di Milano.

Il costituzionalista ammette che, nonostante durante i nove anni alla Consulta si sia "occupato più volte di diritto penitenziario", le norme che regolano il mondo del carcere non sono esattamente la sua materia. Garantisce, però, di essere "pronto ad adeguarsi".

Ma perché un giurista di così alta levatura, stimato da politici e accademici, che ha trattato argomenti decisivi per la vita del Paese (Lodo Schifani, illegittimità di alcuni punti della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, referendum sulla procreazione assistita, solo per citare le più recenti pronunce della Consulta) decide di fare il volontario e per di più in carcere? "Perché il volontariato - riflette Onida - è uno dei modi con cui la società cerca di rispondere alle necessità ed è, purtroppo, una forma di supplenza alle istituzioni, anche quando le strutture sono buone come a Bollate".

Il professor Valerio Onida è entrato la prima volta nella casa di reclusione la settimana scorsa. Dovrà fare, per così dire, un breve "tirocinio" affiancando uno degli altri due giuristi. "Bisogna imparare tutto, anche perché la popolazione carceraria è varia e talvolta è perfino difficile capire le richieste dei detenuti". Dietro le sbarre, riflette, si vede "l’applicazione pratica del diritto, quando diventa carne e sangue".

Medio Oriente: Sharon fa liberare 500 detenuti palestinesi

 

Corriere della Sera, 22 febbraio 2005

 

I cancelli del carcere di Ketziot, nel deserto del Negev, si sono aperti quando mancava poco all’alba. E il primo pullman di detenuti è scivolato fuori, con gli uomini che mostravano indice e medio aperti in segno di vittoria, i polsi ancora chiusi dalle manette di plastica.

Prima di mezzogiorno era tutto finito: i primi 500 prigionieri palestinesi liberati dalle carceri israeliane erano tornati a casa. Ognuno di loro, prima di poter salire sugli autobus, aveva dovuto firmare un documento, nel quale si impegnava ad abbandonare per sempre la lotta armata contro Israele. Ma tutti, prigionieri e carcerieri, sapevano benissimo che quella firma valeva meno della carta su cui era vergata: martedì scorso i soldati israeliani hanno ucciso Atsem Mansour, militante palestinese di Tanzim, mentre cercava di attaccare un insediamento israeliano nei pressi di Nablus. E Mansour era stato liberato giusto un anno fa, in cambio di un israeliano accusato di spionaggio e dei cadaveri di tre soldati uccisi dagli Hezbollah. Ariel Sharon comunque sembra voler mantenere le promesse di Sharm el Sheikh e, anzi, il suo consigliere e portavoce Dov Weisglass fa sapere che liberazione di prigionieri e ritiro da Gaza sono solo le prime "dolorose concessioni che il premier è disposto a compiere". Secondo Weisglass "entro un periodo ragionevole arriveremo a conversazioni sull’assetto finale con i palestinesi e, allora, saranno sollevate anche tutte le questioni territoriali". Quando? "Prima della fine del secondo mandato di George W. Bush, ovvero entro la fine del 2008".

Anche l’interlocutore di Sharon, il presidente palestinese Mahmoud Abbas, sta cercando di rispettare i patti e di dare al suo popolo un governo stabile e sicuro, in grado di proporsi come interlocutore credibile. Ma non è impresa facile. Ieri il Consiglio legislativo palestinese avrebbe dovuto varare un nuovo governo, presieduto da Ahmed Qurei, noto con il nome di battaglia di Abu Ala. Ma la votazione è stata rimandata ad oggi e la riunione - che inizialmente era pubblica - è stata trasformata in un incontro a porte chiuse.

Perché i nomi proposti da Ahmed Qurei per il nuovo governo sono stati subito bocciati da 14 dei 17 parlamentari che hanno preso la parola. E il premier ha lasciato l’aula, il viso stravolto da una smorfia di rabbia. La scelta di cambiare solo 4 dei 24 uomini che dovrebbero comporre il nuovo gabinetto gli si è ritorta contro. E nemmeno la mediazione di Mahmoud Abbas (che aveva strappato un sì al comitato centrale di Al Fatah) era riuscita ad attenuare l’ostilità del Consiglio. "Mi auguro un voto negativo. Perché se alla fine Ahmed Qurei otterrà la fiducia - diceva ieri pomeriggio il vice presidente del Parlamento Hassan Kreishe - sarà una sconfitta per il nostro Parlamento".

Il Consiglio chiede a gran voce un rinnovamento e l’espulsione completa della vecchia guardia di Arafat, accusata da più parti di corruzione. "Il nuovo esecutivo vedrà la luce solo quando al suo interno non ci saranno corrotti" tuonava nei corridoi della Muqata Jaml Shati, deputato del Fatah. Il premier invece si è presentato con solo quei quattro nomi nuovi, compresi i due imposti da Mahmoud Abbas: il generale Nasser Yussuf, destinato al posto di ministro degli Interni, e Mohammed Dahlan, "l’uomo forte" di Gaza che dovrebbe guidare i negoziati con Israele.

Niente da dire anche su Nasser al Kidwa, nipote di Arafat, oggi rappresentante all’Onu e destinato alla poltrona di ministro degli Esteri. Una figura importante, molto amata e non coinvolta in scandali. Così come Dalah Salameh, storica militante del Fatah destinata al ministero degli Affari Sociali. Ma è poco, troppo poco per sperare di poter battere Hamas alle prossime elezioni. E, se Ahmed Qurei non otterrà la fiducia, oggi dovrà dimettersi. Un guaio, per Mahmoud Abbas.

Catanzaro: un proiettile in busta per medico del carcere di Siano

 

Quotidiano di Calabria, 22 febbraio 2005

 

Una busta gialla con dentro un proiettile di pistola calibro 7,65. Sul retro il nome di un medico e, sotto, l’indirizzo del carcere di Siano. Nella casa circondariale del capoluogo presta, infatti, servizio il destinatario della missiva spedita da Lamezia Terme e giunta, nella mattinata di ieri, al centro di distribuzione della posta della struttura penitenziaria.

Ad accorgersi del suo strano contenuto sono stati proprio alcuni agenti di polizia penitenziaria, durante la suddivisione quotidiana della corrispondenza. Immediato è scattato l’allarme e la busta è stata aperta con grande attenzione, trovando al suo interno l’amara sorpresa: un proiettile di pistola calibro 7,65. Ad accompagnarlo anche un messaggio con minacce di morte.

Un’intimidazione plateale ai danni di un professionista (del quale la direzione del carcere non ha voluto rendere noto il nome) che, già da diversi anni, presta il suo servizio all’interno dell’istituto di pena. Già, perché stando ai primi commenti, quello del medico intimidito era un servizio più che un lavoro. A sostenerlo con forza Patrizia Carrozza, coordinatrice delle carceri per la Regione Calabria, che ha espresso piena solidarietà al professionista vittima delle minacce. "Condanno con forza questo vile attentato ­ ha affermato ­ e mi affido pienamente alla magistratura affinché faccia luce sull’accaduto. La gravità dell’episodio sta nel fatto che si tratta di una minaccia non solo personale, ma all’intero sistema di gestione della casa circondariale, che lede la democrazia e il lavoro che quotidianamente si fa a favore dei detenuti".

"Il medico intimidito ­ ha proseguito Patrizia Carrozza ­ lavora da anni in questa struttura e lo fa con grande serietà e sensibilità. Questo attacco è un tentativo di mettere a tacere chi vuole contribuire alla crescita di un ambiente di per sé difficile, ma è un tentativo inutile, che certo non fermerà il nostro lavoro". Una convinzione questa, che, a quanto pare, è stata ribadita dallo stesso destinatario della missiva, il quale nell’affermare di non riuscire a spiegarsi il motivo del gesto, ha aggiunto che non si lascerà spaventare dalle minacce e che porterà avanti il suo lavoro con rinnovato impegno".

Milano: nel carcere di S. Vittore parte la sfida Milan-Inter

 

Corriere della Sera, 22 febbraio 2005

 

È iniziato ieri, a meno di una settimana dal "vero" derby, in programma domenica sera, il torneo "Superderby" nel carcere di San Vittore. Fino a venerdì scenderanno in campo oltre 100 detenuti, divisi in una squadra con la maglia rossonera e una con quella nerazzurra.

In panchina anche Leonardo, già attivo da tempo con "Fondazione Milan" per il sostegno alle attività sportive all’interno del carcere. Un rappresentante della squadra vincitrice ritirerà il premio domenica sera a San Siro poco prima della partita Inter-Milan.

Lodi: alcol e droghe; parla il direttore dei servizi sociali dell’Asl

 

Il Cittadino, 22 febbraio 2005

 

Il tema del disagio giovanile è stato a lungo dibattuto dal "Cittadino" nelle scorse settimane, con personalità spiccate che sono intervenute nel dibattito: dirigenti scolastici, rappresentanti delle associazioni dei genitori, persino il prefetto e il questore di Lodi hanno fatto pervenire al nostro giornale interventi qualificati. L’iniziativa è stata molto importante e non fine a sé stessa, al punto che il prefetto ha convocato per lunedì prossimo un tavolo di lavoro, con lo scopo di approfondire l’argomento.

Riteniamo molto importante, da parte nostra, come giornale, contribuire a fornire ai soggetti interessati alcuni dati preziosi, da utilizzare come bagaglio culturale a servizio di quanti sono interessati all’argomento. Si inseriscono in questo contesto le due pagine che presentiamo oggi, traboccanti di numeri e di cifre, anticipate da una lunga e articolata intervista rilasciataci dal dottor Luca Polli, direttore dei Servizi Sociali dell’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Lodi.

 

Le rilevazioni effettuate dal Servizio Territoriale per le Dipendenze (Ser.T.) dell’Azienda Sanitaria Locale, che si rivolge alle persone con problemi di dipendenza patologica dalle droghe, alcool, farmaci, tabacco e, più recentemente, dal gioco d’azzardo, evidenziano un costante incremento dell’utenza che ricorre ai servizi pubblici di aiuto ed assistenza nel contrasto delle dipendenze. Ciò significa che il fenomeno è in crescita anche nella nostra comunità?

Non abbiamo elementi statistici per affermare che l’incremento degli accessi ai nostri servizi sia la conseguenza di un corrispondente aumento delle dipendenze a livello del nostro territorio. In alcuni casi si tratta sicuramente di persone affette da tempo da dipendenze, in particolare da droghe e alcool, che decidono di rivolgersi a noi perché si sono rese conto che da sole o nell’ambito della famiglia il problema non era più gestibile.

 

E quindi?

Il dato comunque ci dice che non dobbiamo e non possiamo abbassare la guardia. La collaborazione di tutte le istituzioni e del privato sociale è, al riguardo, fondamentale. Grazie a questa collaborazione, l’Asl della Provincia di Lodi ha conseguito notevoli risultati nella lotta alle dipendenze, sia in termini di intervento diretto, sia in termini di prevenzione.

 

Veniamo ad un esame più dettagliato dei dati rilevati. Incominciamo dalla tossicodipendenza.

Nella tossicodipendenza, in primo luogo - e questo è un buon segno - non è evidente un incremento della popolazione al di sotto dei 20 anni. La nostra interpretazione del dato è che questo periodo coincide con la fase di primo utilizzo della sostanza dove non si sono ancora verificati aperti problemi di dipendenza e la patologia non è ancora così manifesta da indurre il ragazzo a chiedere aiuto ai servizi. Invece è presente un aumento significativo della popolazione tra i 20 ed i 30 anni.

 

E questo cosa significa?

Rispetto alla situazione di rischio sopradescritta, in questa fascia d’età, continuando l’uso e l’abuso della sostanza, insorgono i problemi propri della patologia. L’incremento può anche indicare una maggiore facilità all’accesso dei servizi nel periodo d’insorgenza degli eventi problematici legati alla tossicomania. Infine, l’incremento sopra i 39 anni, mostra una sempre più evidente tendenza all’invecchiamento della popolazione tossicomanica. Tale dato è ulteriormente confermato dall’elevata percentuale di soggetti con lavoro stabile e regolare (58%) che è un indicatore di maggiore inserimento nel tessuto sociale della popolazione osservata ma che contestualmente può rappresentare un’ulteriore criticità.

 

La droga più diffusa è ancora l’eroina?

Sì. La sostanza d’abuso primaria (definibile come la droga che induce il soggetto a richiedere aiuto) è ancora l’eroina, con un tasso percentuale del 75 % indubbiamente in decremento costante negli anni (nel 2003 l’80%).

 

E la cocaina?

È in aumento l’uso di cocaina come sostanza primaria (dal 12% nel 2003 all’attuale 17%). L’uso di ecstasy è presente nell’1% dei casi. La sostanza di abuso secondaria (cioè la droga che spesso si accompagna alla primaria) è con il 58 % la cocaina seguita dai cannabinoidi al 19 % e dall’ alcool al’13 %. Tale informazione si traduce sempre più in un fenomeno di policonsumo e polidipendenza ed in una maggiore difficoltà nel trattamento.

 

La dipendenza da alcool come è strutturata?

Anche in questo caso non si evidenzia un incremento significativo della popolazione giovanile. Ciò implica un ripensamento degli interventi attuati sul territorio.

 

Per fare cosa?

Da una parte per favorire l’accesso dei giovani ai servizi in caso di patologia latente o in atto, dall’altra sensibilizzare le famiglie e le comunità locali al fine di prevenire le conseguenze dell’uso e abuso della sostanza. L’incremento più evidente è nella fascia tra i 30 e 39 anni, probabile età d’insorgenza della sintomatologia legata all’abuso di alcool, mentre è osservabile un tendenziale stabilità o decremento delle fasce d’età più avanzate che da sempre hanno detenuto il massimo grado d’interesse del problema.

 

Con che cosa ci si ubriaca maggiormente? Con i liquori o la birra?

No. La sostanza maggiormente utilizzata è ancora il vino, attualmente al 47 %; seguono in ordine decrescente ma in costante aumento negli anni la birra, 24 % nel 2004 contro il 16% nel 2001, i superalcolici all’11 %.

 

Che cosa è stato fatto per contrastare le differenti dipendenze?

Le azioni messe in campo in questi ultimi anni dalla nostra Azienda Sanitaria Locale sono state numerose e differenziate, perché il problema delle dipendenze è nelle nostre società un fenomeno complesso, che va affrontato nella sua interezza. L’Asl ha cercato di dare voce alle esigenze non solo sanitarie e terapeutiche, ma anche umane, psicologiche, di dignità delle persone colpite da diverse forme di dipendenza.

 

E cosa avete fatto?

Abbiamo creato un sistema di servizi, tutti accreditati secondo la normativa regionale, mettendo insieme quelli forniti dall’Asl con quelli del privato sociale, utilizzando un approccio multidisciplinare, attuando politiche in pieno raccordo con le quelle della Regione Lombardia e seguendo la normativa statale. Vorrei, infine, sottolineare l’importanza della collaborazione continuativa e fattiva con la Provincia di Lodi nell’ambito dell’Osservatorio Provinciale Dipendenze.

 

Con quale struttura operativa?

All’interno del Dipartimento delle dipendenze dell’Asl, il Servizio Territoriale per le dipendenze (Ser.T.) è il principale servizio operativo, presente con un presidio in ogni distretto; si rivolge a tutte le persone con problemi di dipendenza patologica dalle droghe, alcool, farmaci, tabacco e forme più recenti come ad esempio il gioco d’azzardo".

Giustizia: Anm; se la legge è da cambiare, devono farlo i politici

 

La Provincia di Como, 22 febbraio 2005

 

"Il giudizio abbreviato e il connesso beneficio premiale della riduzione di un terzo della pena rispondono ad una scelta legislativa ben precisa". A pronunciarsi sulla riforma dei tempi processuali è Giovanni Nardecchia, segretario della giunta distrettuale milanese dell’Associazione Nazionale Magistrati e giudice al Tribunale di Como.

 

Il rito abbreviato snellisce i tempi della giustizia. Ma di fronte a crimini efferati c’è il rischio di emettere pene indulgenti?

Il rischio c’è, ma è un rischio collegato ad un indubbio vantaggio rappresentato dall’accelerazione dei tempi dei processi. Oggi la gran parte dei processi non arriva alla fase dibattimentale e viene definita in sede preliminare.

 

Il vantaggio tecnico prima di tutto?

Non spetta ai magistrati giudicare. È preoccupante però che si arrivi a un ripensamento sull’onda di vicende processuali che hanno sconvolto l’opinione pubblica. Sarebbe forse più opportuno avere un atteggiamento un po’ più distaccato ed una visione di lungo periodo che valuti, ad esempio, in primo luogo l’impatto che tali riforme avranno sui processi in corso. A tal proposito mi è sembrato sintomatico che il Ministro Alemanno in questi giorni abbia chiesto i dati sugli effetti della legge Cirielli.

 

Ma come si scioglie il nodo dell’assurdità della pena?

Posso capire che faccia specie, soprattutto in alcuni casi. Ma spetta al potere legislativo comparare i due interessi in gioco, lo svantaggio connesso all’applicazione di pene apparentemente sproporzionate alla gravità di un reato ed il vantaggio di estendere al massimo l’ambito di applicazione di un istituto che, come detto, accelera i tempi della giustizia. Ove si pensasse all’opportunità di un controllo pubblico si potrebbe introdurre la possibilità per il Pm di appellare la sentenza qualora ritenga la pena irrogata troppo bassa.

 

Sarebbe giusto applicare il rito abbreviato solo in caso di crimini non particolarmente efferati?

Quando si fa una scelta mi sembra coerente farla per tutti. Ma anche in questo caso la decisione spetta alla politica.

 

I magistrati rischiano di diventare impopolari?

Innanzitutto va rilevato che a fronte della richiesta di rito abbreviato dell’imputato, né il Pm né il giudice possono oggi opporsi, se non in casi del tutto marginali. E poi una volta scelto il rito abbreviato, ad esso consegue obbligatoriamente la riduzione di pena di un terzo. Di fronte a eventi gravi, che sconvolgono l’opinione pubblica, l’informazione gioca un ruolo essenziale. Siamo arrivati ad un cortocircuito mediatico - giudiziario. Un caso mi pare esemplare: alcuni giorni fa il tribunale dei Minori di Milano ha dovuto smentire una notizia inesistente: che fosse imminente l’applicazione di una misura premiale, alternativa alla detenzione, ad un minore coinvolto in un efferato omicidio. I magistrati non possono più trincerarsi dietro al silenzio o mantenere un atteggiamento di distacco di fronte alle proprie decisioni, quando esse sono fatte oggetto di disinformazione o manipolazione. Meglio informare, che è cosa chiaramente ben diversa dal partecipare a processi in piazza o in tv.

Trapani: laboratori, dipinti e opere artigianali per i detenuti

 

La Sicilia, 22 febbraio 2005

 

Rieducazione e solidarietà. È su questi binari che è stato condotto il progetto della Fidapa che sabato scorso ha visto l’inaugurazione, nel complesso monumentale di San Pietro, di una mostra di dipinti e di altre opere artigianali decorate realizzati da una decina di detenuti del carcere marsalese ai quali è stata data l’opportunità di partecipare ad alcuni "laboratori" svoltisi negli ultimi mesi con il patrocinio del Comune. Sono stati gli stessi carcerati che hanno deciso di devolvere l’incasso della mostra, che chiuderà i battenti oggi, al centro di accoglienza per minori "Oasi Don Bosco".

Il progetto realizzato tra le mura del carcere di piazza Castello è stato proposto per "favorire la socializzazione, intesa come scambio ricreativo e comunicativo dei detenuti".

All’interno della struttura penitenziaria, si è cercato, insomma, di preparare i carcerati al rientro nella società. E ciò attraverso attività a metà strada tra il ricreativo e il formativo. I laboratori, infatti, oltre alla pittura, hanno riguardato la drammatizzazione e la musica. Tra gli obiettivi, anche quello dell’educazione alla "non violenza, alla legalità ed al rispetto delle regole, nonché alla civile convivenza".

Ogni laboratorio (in tutto 160 ore) è stato organizzato e guidato da un professionista del settore. A coordinare il progetto è stata Maria Rosa Guttadauro, che ha sottolineato come anche dei laboratori di drammatizzazione siano venute fuori delle "cose veramente belle". Anziché lavorare su testi già preparati, come in un primo tempo progettato, ai carcerati, infatti, è stata data la possibilità di scrivere i loro "sentimenti" e le dolorose "esperienze".

Abbiamo avuto un buon risultato" dice Maria Rosa Guttadauro. L’iniziativa si inserisce nel solco delle altre attività socio-ricreative organizzate nei mesi scorsi dalla direzione del carcere d’intesa anche con alcune scuole della città, i cui alunni hanno trascorso, socializzando, alcune ore con i detenuti.

Alcuni di questi, ad iniziativa del direttore Paolo Malato, potrebbero anche compiere delle escursioni in luoghi di interesse culturale ed archeologico. "La detenzione - ha infatti più volte sottolineato Paolo Malato - non può essere finalizzata soltanto alla punizione di chi nella vita ha sbagliato, ma anche alla redenzione e al reinserimento nella società di queste persone".

Bologna: progetto di legge regionale, un garante per i detenuti

 

Redattore Sociale, 22 febbraio 2005

 

Un garante per i diritti dei detenuti. È quanto proposto dal progetto di legge regionale presentato oggi dal consigliere del Prc Leonardo Masella. L’idea mira a istituire, presso il Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna, l’Ufficio del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. "Nella legislazione nazionale vigente - si legge nella relazione di presentazione del progetto di legge -, i soggetti ai quali sono attribuiti poteri ispettivi sono principalmente parlamentari e consiglieri regionali.

Si tratta di andare oltre questa restrizione e di inserire nuove figure dotate di prerogative di controllo, quale appunto l’Ufficio regionale del garante". Oggetto della sua attività non saranno solo gli istituti penitenziari, ma ogni luogo in cui si trovano persone recluse, temporaneamente o permanentemente, come gli istituti penali per minori, i centri di permanenza temporanea per immigrati irregolari, gli ospedali psichiatrici giudiziari, fino ad arrivare alle caserme dei carabinieri e ai posti di polizia.

Il progetto di legge di Rifondazione comunista propone un ufficio del garante pienamente autonomo e indipendente, composto da cinque membri eletti dal Consiglio regionale e scelti tra magistrati, professori universitari in materie giuridiche o sociali, avvocati e altre personalità che si battono per i diritti ma cha non siano parlamentari, ministri o amministratori pubblici (fra i quali un presidente), e che permanga in carica per cinque anni.

Ma quali sono le funzioni dell’ufficio del garante? Le sue finalità sono volte ad assicurare che ai detenuti siano erogate le prestazioni inerenti il diritto alla salute, il miglioramento della qualità della vita, l’istruzione e la formazione professionale e ogni altra iniziativa finalizzata al recupero, alla reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro; segnala agli organi regionali eventuali fattori di rischio o di danno per le persone recluse; interviene nei confronti delle strutture e degli enti regionali in caso di accertate omissioni o inosservanze; propone agli organi regionali interventi amministrativi e legislativi da intraprendere per contribuire ad assicurare il pieno rispetto dei diritti di chi sta dietro le sbarre o iniziative concrete di informazione e promozione culturale sui temi delle garanzie delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.

Per garantire la miglior funzionalità possibile all’Ufficio del garante, la proposta di legge prevede che venga istituita, a suo supporto, una Consulta regionale per i diritti dei detenuti, costituita dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, dal presidente commissione volontariato e da rappresentanti di associazioni di detenuti, organizzazioni per i diritti umani e rappresentanti sindacali.

Firenze: appello per uscire dalla logica "dell’emergenza freddo"

 

Redattore Sociale, 22 febbraio 2005

 

C’è tensione a Firenze sulla questione delle persone senza dimora che vivono in città. Alcune realtà del volontariato, movimenti e organismi politici esprimono un forte dissenso verso le modalità con cui l’amministrazione comunale affronta il problema, ribadendo "la necessità di uscire dall’emergenza freddo per comprendere che ormai viviamo in una continua e crescente emergenza sociale".

"In pochi mesi a Firenze sono morte 6 persone senza dimora - si legge in un appello diffuso oggi - un triste record passato sotto silenzio". L’appello (firmato al momento da Comunità di base delle Piagge, Associazione L’Aurora, Fuori Binario, Casa dei diritti sociali, Emergency Firenze, comunità Isolotto Firenze, L’Altracittà-giornale della periferia, Gruppo Cons. Unaltracittà/Unaltromondo, Agenzia di Base, Firenze Social Forum, Giovani Comunisti, PRC fed. Fi, FLC-Snur-CGILUniversità di Firenze, RSU Ateneo Fiorentino, Statunitensi contro la guerra, Casa della solidarietà Rete Radiè Resch Quarrata, Ass. I care, Rete Radiè Resch Firenze, Filo Rosso, Emmaus Scandicci, Unione Inquilini, Emergency Sesto Fiorentino, Verdi in Movimento, Centro Sant’Apollinare Fiesole) intende ricHiamare l’attenzione sul fatto che "nei giorni scorsi è stata chiusa la stanza messa a disposizione dal comune all’interno della stazione di Firenze Santa Maria Novella, che consentiva di accogliere una ventina di persone".

Lo scorso sabato 19 d’altra parte l’assessore alla marginalità Lucia De Siervo ha invitato le associazioni di volontariato ad indirizzare i senza dimora all’Albergo Popolare di via della Chiesa ricordando che l’emergenza freddo, iniziata il 15 novembre scorso, durerà fino al 31 marzo. "Ogni giorno – ha ricordato De Siervo - sono disponibili all’Albergo Popolare, mediamente 15 posti, e da questo sabato ne saranno aggiunti altri 20, per un totale di 35 posti.

Mi preme ricordare che il comune tiene sotto controllo l’intera situazione dell’emergenza freddo e, ad oggi, abbiamo avuto ogni giorno posti disponibili. Ma se si riterrà opportuno, abbiamo anche a disposizione una struttura pubblica da destinare a ricovero per i senza fissa dimora". I firmatari dell’appello stanno organizzando per giovedì 24 un incontro pubblico sul tema della partecipazione dei cittadini alla questione della marginalità sociale adulta.

Pisa: D’Alema incontra Sofri, insieme elogiano il Papa

 

Il Mattino, 22 febbraio 2005

 

L’occasione era la presentazione dell’opera musicale realizzata dall’associazione Sermig e dedicata al Papa "Dal basso della Terra". Ma il luogo e i relatori apparivano decisamente singolari, per scelta e assortimento: a discuterne nel carcere di Pisa erano stati chiamati Massimo D’Alema, Adriano Sofri e il cardinale Ersilio Tonini.

Inevitabile che fosse la circostanza a caratterizzare l’appuntamento. E che l’ex leader di Lotta Continua, anche correndo il rischio di andare fuori tema, dicesse: "È una situazione grottesca e impudica che da dodici anni non ci sia una amnistia nel nostro Paese dopo che l’ultima se la fecero i politici per se stessi". Poi, il Papa. Sofri: "I detenuti di tutta Italia e forse di tutto il mondo sono molto affezionati al Papa, che non si è mai dimenticato di ricordarli.

Il primo appello del Papa per un gesto di clemenza verso i detenuti rimase del tutto inascoltato. Poi, in occasione del Giubileo, quando andò in Parlamento, noi detenuti pensavamo non ripetesse quell’appello. Il Papa fece invece quel discorso vibrante. Per questo i detenuti hanno ottime ragioni per volergli bene". D’Alema: "Noi, come persone di sinistra, dobbiamo essere grati al Papa per aver fatto cadere l’impero sovietico.

Dopo la caduta di quel mondo lui ha cominciato a rivolgere qualche critica all’altro mondo. Ha colto l’ingiustizia di questo mondo e ha posto il problema di un mondo più giusto". Il presidente dei Ds ha poi raccontato, brevemente, del suo unico incontro con Giovanni Paolo II: "Era la prima volta che un presidente del consiglio ex comunista, non credente, incontrava il Papa.

C’era un vasto contenzioso tra il governo e la Chiesa italiana a proposito dei finanziamenti delle scuole ed era un incontro carico di attese. Di tutto questo si è parlato, naturalmente, con la segreteria di Stato. Poi, quando mi sono trovato da solo con il Papa nessuno di questi problemi esisteva, nessuno. C’era un uomo, con un tavolo in mezzo, che mi guardava negli occhi con uno sguardo di una intensità straordinaria che mi mise la mano sulla mano".

Castrovillari (CS): spettacolo in carcere con appello per la Sgrena

 

Quotidiano di Calabria, 22 febbraio 2005

 

Ieri mattina la Casa circondariale ha ospitato l’esito del laboratorio teatrale con i detenuti del 3° A dal titolo "Vite", un lavoro curato dall’attore-regista Dario De Luca (con la collaborazione di Rosario Mastrota) della compagnia teatrale Scena Verticale. Un’esperienza nuova, forse una delle prime realizzate, che ha coinvolto i detenuti protetti e che ha preso spunto dall’opera di Samuel Beckett "Aspettando Godot". Oltre alla libera ispirazione ai testi beckettiani il saggio è stato "arricchito" dagli scritti originali dei detenuti per un lavoro che poi ha collimato con la vita di Gesù, "la vita" per eccellenza.

E da un luogo di sofferenza, quale la Casa Circondariale, prima dell’inizio spettacolo è scaturito un appello per la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, anch’egli in questo momento nella condizione di reclusa. Un detenuto, Giuseppe, ha letto un messaggio dalle parole semplici, perfino sgrammaticato ma sicuramente carico di umanità e sensibilità. La reclusione della Sgrena, ingiusta e senza giustificazioni, ha quasi simboleggiato quella di tante persone che, a causa di errori personali, sta scontando la propria pena in un istituto. Condizione uguale ma antecedenti diversi per una "tragedia" che ha varcato le soglie del carcere.

"Il mio appello - ha aggiunto Giuseppe - viene da un luogo di sofferenza, un carcere, lo stesso luogo di sofferenza dove nostra sorella Giuliana è costretta a vivere, perché rapita. Non trovo né giusto né giustificato il vostro gesto in quanto Giuliana ha lottato per voi e per la vostra causa in prima linea. Ha fatto conoscere, al mondo intero, le atrocità e le barbarie che i vostri parenti hanno subito. Solo grazie al coraggio della testimonianza di Giuliana questo è stato possibile saperlo e vederlo. Senza di lei mai il mondo e l’ umanità intera avrebbe avuto cognizione di queste disumane atrocita"‘.

"Per questo suo amore verso il prossimo e per il suo costante impegno e aiuto fornito al popolo iracheno - ha proseguito Giuseppe - Giuliana merita, dal mondo intero e da voi, fratelli iracheni, il premio Oscar per la solidarietà e non la prigione. Bisogna ringraziare Giuliana Sgrena ed esserle riconoscenti per il suo impegno, il suo coraggio, le sue lotte che ha condotto in difesa dei diritti del popolo iracheno. Tutti dovremmo pregare e ringraziare Dio affinchè in Iraq vi fossero altre mille Giuliana Sgrena, poiché solo lei, grazie alla sua grande umanità, con i suoi scritti e le sue testimonianze, è riuscita a scuotere le coscienze dell’ umanità intera portando alla luce verità nascoste e mostruose che nessuno conosceva".

Lo spettacolo è scivolato via in un’atmosfera toccante con riferimenti alla condizione di reclusi ma sempre presenti nelle tragedie che colpiscono il mondo "esterno" come quella toccata ai bambini dell’Ossetia, una moderna icona del dolore raffigurata con posizioni immobili dai detenuti-attori nella crocifissione di Gesù, nella "Pietà" di Michelangelo e nell’"Ultima cena" di Leonardo.

Soddisfazione è stata espressa anche dal direttore del carcere, Fedele Rizzo, il quale ha annunciato che a breve una squadra di detenuti incontrerà al campo sportivo cittadino una rappresentanza del Castrovillari per un partita di calcio. Il tutto sulla scia del recupero personale dei detenuti.

Visibilmente commosso Mimmo Pappaterra che intervenendo alla fine della rappresentazione ha ricordato la grande valenza dello spettacolo messo in scena e la vitalità impressa dai detenuti nella recitazione. Soddisfazione è stata espressa anche dall’assessore allo sport e tempo libero, Anna De Gaio sempre attenta ed interessata alle esperienze positive che lasciano il segno.

Radicali: possibile da 15 anni creare istituti per tossicodipendenti

 

Agenzia Radicale, 22 febbraio 2005

 

Rispetto alle polemiche suscitate dalla prossima inaugurazione (21 marzo) di una struttura carceraria destinata esclusivamente ai detenuti tossicodipendenti, Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani) ha dichiarato: "Diceva Pasolini che chi si scandalizza è sempre male informato. Istituire carceri ad hoc per cittadini tossicodipendenti è non solo auspicabile ma possibile in Italia da ben quindici anni: la legge "Iervolino-Vassalli" (Dpr 9 ottobre 1990, n. 309) all’art. 95, prevede che "La pena detentiva nei confronti di persona condannata per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendente deve essere scontata in istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi. Con decreto del Ministro di grazia e giustizia si provvede all’acquisizione di case mandamentali ed alla loro destinazione per i tossicodipendenti condannati con sentenza anche non definitiva".

Ma non basta; il successivo art. 96, comma 3, prevede che "Le unità sanitarie locali, d’intesa con gli istituti di prevenzione e pena ed in collaborazione con i servizi sanitari interni dei medesimi istituti, provvedono alla cura e alla riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti o alcoolisti". Con il Dpr 230 del 1999, le Aziende sanitari locali hanno addirittura assorbito la medicina penitenziaria interna rispetto alla cura dei reclusi tossicodipendenti.

Pertanto, anche nell’istituto di Castelfranco Emilia dovrà esserci l’intervento del Ser.T. di riferimento, senza che questo, peraltro, escluda la possibilità di coinvolgere la comunità di San Patrignano nell’opera di recupero e riabilitazione. La legge, naturalmente, può essere modificata; dubito che la maggioranza di governo riesca a farlo entro il 21 marzo o il 3 di aprile!".

 

 

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