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Papillon: "Carceri invivibili, protesteremo ad oltranza"
Roma One, 14 ottobre 2004
Intervista esclusiva - Vittorio Antonini, portavoce dell’associazione "Papillon", spiega i motivi dell’agitazione che dal 18 ottobre coinvolgerà i detenuti di 43 istituti di pena. Le modalità dell’iniziativa e la delusione per la mancata intesa alla Regione Lazio. Un indulto e un’amnistia reale ed efficace; l’applicazione concreta della Legge Gozzini; una limitazione categorica della carcerazione preventiva. Queste le richieste principali alla base della protesta che l’associazione "Papillon" porterà avanti insieme ai detenuti da lunedì 18 ottobre. Vittorio Antonini, portavoce dell’ente che dal 2001 affianca gli "ospiti" delle carceri italiane, definisce "drammatica" l’attuale situazione di sovraffollamento e denuncia le cause che hanno portato all’agitazione che inizierà lunedì prossimo.
Perché questa protesta il 18 ottobre? "Negli ultimi due anni nonostante l’indultino lo stato delle carceri non è migliorato: una delle peggiori determinatasi negli ultimi 50 anni. Davanti ad una capienza di poco inferiore ai 42.000 posti, negli istituti ci sono 56.000 persone. In questa situazione qualsiasi tentativo di rieducazione è destinato a cadere".
Come si svilupperà l’agitazione? "In ogni carcere, laddove possibile, ci saranno gruppi di 5-10 detenuti che a rotazione organizzeranno uno sciopero della fame che durerà una settimana. Altre forme di protesta riguarderanno la massa dei detenuti come lo sciopero del carrello, quello dei lavoranti, brevi fermate di prolungamento all’aria o altri atti di questo tipo. Andremo avanti almeno fino a quando il Parlamento non darà risposte ai nostri quesiti".
Quali sono le vostre richieste principali? "Tre, alle quali se ne legano altre a cascate come quella di una riforma del codice penale. In primis, un provvedimento reale di indulto e amnistia che abbiano un carattere generalizzato; in secondo luogo, la possibilità di verifica delle ragioni che ostacolano l’applicazione piena e integrale della Legge Gozzini, anche per chi è rinchiuso nei bracci speciali; infine, una limitazione, in termini categorici, dell’utilizzo della carcerazione preventiva, specie quella in carcere".
Secondo voi quindi l’indultino non ha portato i risultati sperati? "Gli stessi parlamentari affermano che quella si è rivelata una legge truffa. Uno specchietto per le allodole da parte di un parlamento codardo che aveva bisogno di sventolare la bandiera della sicurezza sociale, un provvedimento nato anche dalla necessità di rispondere ad una richiesta sacrosanta proveniente dal mondo delle carceri e rafforzata anche dalla voce di Giovanni Paolo II".
Qual è la situazione a Roma? "È una situazione di sovraffollamento generalizzato a Regina Cieli, a Rebibbia nuovo complesso e Rebibbia Penale. Sono dati indiscutibili. Vivere in 4 metri per 4 in cinque, sei, sette persone o più, oppure anche trascorrendo solo una settimana con i suoi amici dentro uno spazio così angusto aggravato dalla situazione detentiva, porta inevitabilmente ad uno stato di disagio e di invivibilità".
Qual è il vostro parere sulla mozione approvata ieri dalla Regione Lazio? "Noi speravamo che si raggiungesse un’intesa tra maggioranza e opposizione, evitando, da ambo gli schieramenti, di utilizzare la drammatica, ripeto, drammatica questione carceraria, in termini di strumentalizzazione di carattere elettorale. La Regione può fare molto in termini di sanità, di istituzione di corsi professionali e di interventi per una efficace applicazione della Legge Gozzini".
Perché su una battaglia di civiltà come questo è difficile raggiungere un accordo? "Siamo rimasti sorpresi perché, da un lato, abbiamo visto consiglieri dell’opposizione come l’onorevole Mezzabotta dei Ds o Bonadonna del Prc, che si sono spesi molto denunciando la situazione; dall’altro, proprio il presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, personalmente, in più occasioni si è impegnato andando direttamente dentro gli istituti di pena: questo è un fatto rilevante per il primo rappresentante di un’istituzione. Nonostante questa convergenza, non è uscita una mozione unitaria. Credo, anzi ho paura, che l’avvicinarsi delle elezioni regionali possa deformare i contenuti di qualsiasi iniziativa posta in essere a livello regionale".
Che effetti determinano sul sovraffollamento l’applicazione della Bossi-Fini e la legislazione sugli stupefacenti? "Negativi e dannosi: almeno un terzo dei detenuti è straniero; la legislazione in materia di tossicodipendenza rischia veramente di aumentare di molte migliaia di unità il numero di detenuti. Quest’ultima circostanza è pericolosa perché grave dal punto di vista terapeutico, in quanto lo stato attuale non garantisce l’applicazione di quei trattamenti necessari per un tossicodipendente. Per quanti riguarda i detenuti stranieri, non avendo la residenza e un lavoro, non hanno alcuna possibilità di usufruire delle misure alternative al carcere".
Si può dire che gli stranieri scontano tutta la pena in prigione? "Sì. Per loro alcune leggi, come la Gozzini, non esistono. Fino al 1997 inoltre, esistevano una serie di norme che permettevano ai detenuti stranieri di chiedere volontariamente di scontare gli ultimi tre anni di pena nel proprio paese: tale possibilità è stata negata dalla Consulta determinando conseguenze facilmente immaginabili". Salute: anche in carcere la campagna "2004, anno del cuore"
Giustizia.it, 14 ottobre 2004
La campagna promossa dall’amministrazione penitenziaria per la prevenzione ed il pronto soccorso delle patologie legate ad eventi cardiaci è riuscita. Aderendo all’iniziativa della Sanità: "2004, anno del cuore", la direzione dell’amministrazione penitenziaria, detenuti e trattamento, ne ha fatto un obiettivo del suo programma d’azione per l’anno e ha chiesto alle strutture territoriali di dotare gli istituti penitenziari di defibrillatori semiautomatici, portatili, di piccole dimensioni e di facile utilizzo per assicurare l’immediato soccorso ai detenuti. La maggior parte dei provveditorati ha già acquistato alcuni macchinari e i corsi di formazione per l’adeguato utilizzo sono pronti. L’editoriale su salute e carcere da oggi in linea, consente di cogliere la portata dell’iniziativa e gli obiettivi che persegue il direttore dell’ufficio trattamento, Sebastiano Ardita, nell’occuparsi della cura dei detenuti. La salute dei detenuti non è solo un "problema politico", e neanche una questione tecnica o medico-legale, ma il terreno su cui si misura e si confronta il livello di evoluzione di quel complesso di regole che va sotto il nome di sistema penale. La pena detentiva è stata concepita dal nostro Costituente nel modo più dinamico e più geniale: ossia come una opportunità per risanare lo strappo che il reato ha provocato tra il singolo e la società. Il diritto penale italiano nasce infatti e si giustifica a tutela dell’uomo, dei suoi beni giuridici, della vita, della sua integrità fisica e morale, giungendo a prevedere anche legittimi momenti di sofferenza, - nella privazione della libertà personale - ma sempre nell’ambito di un progetto di cui sono parte il detenuto e la società. Una pena così finalizzata è una scommessa la cui riuscita è rimessa ad entrambi i protagonisti della vicenda penitenziaria. Essa non può, né deve, generare patimenti accessori che ne snaturino il significato, perché la società non può permettersi che si risolva in una sofferenza "inutile". Per questa ragione siamo chiamati ogni giorno a proporre ai detenuti una offerta di trattamento che possiamo definire una opportunità di riabilitazione, riguardo alla quale ogni probabilità di adesione è legata al rispetto per la dignità della persona cui essa è rivolta. E quale persona potrà sentirsi rispettata nella sua dignità, ove riscontrasse disinteresse da parte dello Stato per le malattie che ne compromettono la salute, ne limitano l’autonomia e la funzionalità? È per questo che abbiamo concentrato ogni sforzo a tutela della salute dei detenuti, perché vorremmo comunicare un messaggio di speranza che vada al di là delle sbarre. Cinque PEA (Programmi esecutivi d’Azione) puntati sulla sanità; iniziative per i tossicodipendenti; sostegno psichiatrico e prevenzione dei suicidi; campagne di prevenzione per le malattie infettive e progetti per telemedicina, sono solo l’inizio di quanto ci ripromettiamo di attuare per dare senso al nostro impegno a tutela della salute di chi è recluso. Abbiamo unito la nostra forza e la nostra voce a quella dei medici penitenziari, degli infermieri, e di quanti, ogni giorno, operano in questo settore: la passione e la dedizione con cui essi agiscono esalta la professione sanitaria sino a farne una autentica missione. Questa idea di rispetto del diritto alla salute non va però confusa con sentimenti di buonismo, di perdonismo o con concezioni che tendono a criminalizzare la società a fronte degli errori commessi da chi è detenuto. Perché questo modo di pensare farebbe torto tanto a chi sconta una pena, quanto alle Istituzioni ed alle vittime dei reati. La salute di chi è recluso va rispettata perché la sua tutela trova un fondamento nell’incrocio tra le esigenze del diritto e quelle della ragione, che ad esso inevitabilmente sottendono. Le prime richiedono di fare chiarezza rispetto alla confusione mediatica sul significato della pena, e di superare un retaggio di cultura ottocentesca, che tende a volte a far ritenere il carcere come un luogo ove si consuma la vendetta della società nei confronti di chi ha violato la legge. Per questo motivo spesso diciamo che il grado di civiltà di un sistema si desume dalla capacità di riconoscere diritti, anche a coloro che hanno violato i diritti altrui. Ed è per la stessa ragione che proviamo indignazione quando si scopre un abuso nei confronti di chi si trova nella condizione di detenuto. Le esigenze della ragione spiegano quelle del diritto. Se vogliamo un carcere che insegni ad apprezzare la legalità, dobbiamo costruire un mondo penitenziario il più possibile privo di contenuti repressivi. Perché è la diffusione degli atteggiamenti costruttivi che determina mutamenti positivi nella società. Abbiamo imparato a nostre spese che la violenza genera altra violenza, perché diffonde nella società sentimenti di odio e di rivalsa. Il carcere è un pianeta attorno al quale ruotano molti satelliti. Esso in primo luogo interagisce con le famiglie dei detenuti, che sono parte della società, e vivono la contraddizione di essere ad un tempo estranee alle colpe dei congiunti, ma di doverne condividerne al tempo stesso le sofferenze. Non so a chi è mai capitato di incrociare lo sguardo di un bimbo che esce dal colloquio con il papà detenuto: è certo che in quegli occhi si coglie una sofferenza incolpevole. La consapevolezza che la salute e la dignità del proprio congiunto in carcere è rispettata funge da importante conforto per le famiglie, e al contempo orienta l’atteggiamento dei giovani verso lo Stato. E viceversa la trascuratezza, l’insensibilità alle problematiche personali, vengono intese come offese alla dignità e segnano un solco tra le Istituzioni e quella parte della società che condivide le sofferenze dei ristretti. Il carcere è anche un paradosso della società, perché è frequentato spesso da che ha violato la legge per bisogno e non da chi ha dato causa a quel bisogno. E di ciò in molti siamo consapevoli. "Esso è legittimato a togliere solo la libertà, ma a volte toglie pure qualcos’altro". Impedire che ciò avvenga è uno degli scopi dell’amministrazione penitenziaria, per garantire alla società una giustizia che funziona, - perché risana, riabilita e consentendo ai detenuti di continuare a sperare. Queste considerazioni bastano a far sì che la tutela della salute in carcere divenga presupposto irrinunciabile affinché lo Stato compia la sua parte nel conseguimento di quell’obiettivo di pacificazione - non formale - che è fondamento stesso della giuridicità.
Sebastiano Ardita, Direttore Generale della Direzione generale dei detenuti e del trattamento Lazio: centri di assistenza per gli agenti e corsie per i detenuti
Corriere della Sera, 14 ottobre 2004
Assistenza psicologica per gli agenti e corsie riservate ai detenuti: è la risposta della Regione all’emergenza sovraffollamento nelle carceri del Lazio. Il Consiglio regionale ha approvato la mozione della Casa delle libertà che raccomanda alla Giunta Storace di favorire l’apertura di centri di assistenza psicologica per il personale di polizia penitenziaria e l’attivazione di reparti destinati ai detenuti negli ospedali "Sandro Pertini" di Roma e "Belcolle" di Viterbo. La maggioranza di centrodestra prende così posizione sull’allarme sovraffollamento dei detenuti nella regione: mille reclusi in eccesso nei 14 istituti di pena, quasi 500 soltanto nella Capitale e sulla richiesta di aiuto fatta dalla Cisl Fps, il sindacato di polizia penitenziaria: pochi agenti e turni di lavoro insostenibili. Una situazione che due settimane fa aveva indotto Salvatore Bonadonna, capogruppo di Rifondazione comunista alla Regione a chiedere il dibattito in aula. Un dibattito che ieri si è risolto con una rottura. Maggioranza e opposizione non hanno trovato nessun accordo: promosso il documento della Casa delle libertà, bocciato quello del centrosinistra che critica la mozione approvata perché "non fa alcun riferimento al sovraffollamento". A difendere la scelta del centrodestra ci pensa Donato Robilotta, assessore regionale agli Affari istituzionali: "Nel mondo delle carceri esistono problemi e sofferenze - spiega l’assessore - abbiamo votato contro la mozione dell’opposizione perché non si può certo dire che la Regione Lazio non abbia fatto fronte ai problemi. In questo modo non si dice il vero". Una scelta difesa anche da Francesco Giro, capogruppo regionale di Forza Italia: "I diritti dei detenuti per essere difesi non hanno bisogno né degli slogan, né della demagogia della sinistra. Anche noi giudichiamo a rischio la situazione delle carceri a Roma e nel Lazio - spiega Giro - ma non ci sogniamo di trasformare una vicenda così delicata in una polemica politica". Non la pensano così Salvatore Bonadonna, il consigliere che per primo aveva sollevato la questione, e il suo collega di partito Enrico Luciani: "Da parte nostra - ribattono - c’era tutta l’intenzione di arrivare a una mozione unitaria, ma questo Storace non l’ha permesso. Chiedevamo semplicemente una posizione decisa per cambiare radicalmente rotta e arrivare a impegni precisi nei settori della sanità, dell’assistenza socilae e della formazione e, allo stesso tempo, per colmare le gravi carenze di organico della polizia penitenziaria". Una posizione condivisa anche da Giulia Rodano, consigliere regionale Ds, che definisce "palliativi" le misure decise dal Consiglio e giudica "minimizzante" l’atteggiamento della maggioranza su una situazione di "assoluta emergenza".
L’allarme
Secondo i dati del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (aggiornati al 30 giugno scorso), nei 14 istituti penitenziari del Lazio ci sono 5.756 detenuti. Mille in più rispetto alla capienza prevista.
La capitale
Nelle cinque carceri di Roma (Rebibbia, Rebibbia femminile, Rebibbia Nuova Costruzione, Rebibbia III e Regina Coeli) i detenuti sono 3.270 contro una capienza di 2.940. Le situazioni più critiche si registrano a Regina Coeli (che ospita 74 reclusi in eccesso) e Rebibbia Nuova costruzione in cui i detenuti in più sono addirittura 413.
La regione
Gli istituti penitenziari nel resto della regione confermano l’emergenza sovraffollamento. I problemi maggiori sono a Cassino (204 detenuti contro i 154 posti disponibili), a Civitavecchia (562 detenuti stipati in una struttura che ne può contenere 340). Problemi anche a Latina (49 "ospiti" in eccesso) e a Frosinone (invece di 322 i reclusi sono 431). Proposta legge della Lega per limitare benefici a "pentiti"
Reuters, 14 ottobre 2004
La Lega ha illustrato oggi una proposta di legge per limitare l’accesso dei collaboratori di giustizia ai benefici penitenziari e negarli ai pluriergastolani come l’ex boss della mafia Giovanni Brusca, invitando il premier Silvio Berlusconi ad avallare il provvedimento. Lo ha detto il capogruppo della Lega alla Camera, Alessandro Cè, in una colorita conferenza stampa a Montecitorio, dove due suoi colleghi deputati si sono levati la giacca per esibire una maglietta con scritto "Io sto con Abele" e "Caino sconti la pena" (scritta verde su fondo bianco). Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha concesso a Brusca, ora collaboratore di giustizia, la possibilità di ottenere permessi premio di cui può usufruire ogni 45 giorni o al massimo ogni due mesi, scatenando una serie di reazioni negative tra i politici. "La Lega vuole essere coerente con il programma della Casa delle libertà che parla di certezza della pena", ha detto Cè ai giornalisti. Secondo la proposta di legge, la libertà condizionale, i permessi premio e la detenzione domiciliare possono essere concessi dalla magistratura soltanto dopo che il collaboratore abbia scontato almeno la metà della pena o, nel caso dell’ergastolo, almeno 21 anni di carcere. La legislazione vigente pone i paletti rispettivamente a un quarto della pena e 10 anni di carcere. L’applicazione di questi benefici non si applicherebbe però a chi abbia riportato più condanne all’ergastolo. Il permesso premio a Brusca, condannato a vari ergastoli per un centinaio di omicidi confessati, è stato motivato per la sua buona condotta in carcere, ha riferito ieri il suo avvocato. Ex-braccio destro del boss Totò Riina, Brusca è stato arrestato nel maggio del 1996 e si è autoaccusato di un centinaio di omicidi, fra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Mario Santo Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido su suo ordine. Brusca azionò anche il telecomando per far esplodere la bomba nella strage di Capaci, che provocò la morte del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie e della loro scorta. Nel presentare la proposta il leghista Cè ha chiesto l’esplicito appoggio di Berlusconi, dicendo che finora "su questioni della giustizia ha un’attenzione un po’ strabica". Il disegno di legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, cavallo di battaglia del ministro leghista della Giustizia Roberto Castelli, langue in Senato dove i partner di maggioranza dell’Udc hanno presentato nuovi emendamenti, dopo che in primavera era passato alla Camera grazie al voto di fiducia.
Benefici
I pentiti in carcere hanno diritto ad alcuni benefici che però non scattano subito. Secondo la legge bisogna aver scontato almeno un quarto della pena o, in caso di condanna all’ergastolo, almeno 10 anni
Assistenza
Il pentito che ha diritto al programma di protezione potrà contare su alloggio, spese per il trasferimento, assistenza legale e un assegno
I tempi
Sono previsti sei mesi per elencare tutto quello che si vuole rivelare agli inquirenti. È la "dichiarazione di intenti" che preannuncia il tenore del pentimento
Testimoni
La legge prevede anche garanzie e aiuti per i testimoni. La loro protezione va garantita "fino al cessato pericolo" indipendentemente dalla fase del processo. Castelli: dialogo su giustizia, ma senza snaturare la legge
La Padania, 14 ottobre 2004
Situazione carceraria, riforma della giustizia, rapporto con gli alleati di governo, Europa, riforme. Sono stati tanti i temi toccati dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli ieri in visita a Milano, dove ha incontrato il sindaco Albertini, e a Genova, dove ha visitato il Salone Nautico. Nel capoluogo lombardo il Guardasigilli ha partecipato ad un incontro nel corso del quale è stato ufficializzato il passaggio del carcere minorile Beccaria al ministero alla Giustizia, che lo gestirà per 30 anni. I dettagli tecnici dell’accordo sono stati illustrati dal primo cittadino, mentre l’esponente del governo ha sottolineato i motivi di questo passaggio: "Abbiamo ritenuto che fosse la soluzione migliore per gestire al meglio un istituto così importante - ha detto il numero uno di via Arenula - sia per questioni storiche, sia perché si occupa dei nostri ragazzi che hanno difficoltà e vanno restituiti alla Società". Un tema importante, che ha offerto a Castelli lo spunto per rispondere all’Osapp, uno dei sindacati della polizia penitenziaria, che nei giorni scorsi lo aveva invitato a trascorrere una giornata in carcere con gli agenti per verificare l’effettivo rapporto numerico tra agenti e detenuti che, ad avviso del sindacato, non è quello fornito dal ministero.
Carceri
"Io vivo in carcere a Regina Coeli e faccio le vacanze in Sardegna in un’altra struttura carceraria. Frequento tantissime carceri e non ho bisogno degli inviti per sapere come è la situazione dei penitenziari italiani. La conosco bene". Questa la replica di castelli, che ha proseguito spiegando che: "I dati sono quelli. Il corpo di polizia penitenziaria italiano è il più pletorico d’Europa. Il problema è che sono male distribuiti e non riusciamo a intervenire con l’efficacia che vorremmo, vediamo grandissime resistenze, alcune delle quali assolutamente giustificate, da parte del sindacato. Noi - ha sostenuto il Guardasigilli - abbiamo aperto un tavolo e io ho sempre auspicato che lavori alacremente per rivedere gli organici, la disposizione sul territorio, i turni, insomma tutta la questione. Perché credo che mai come in questo caso, la ragione sia da tutte e due le parti. Ha ragione il ministro, ha ragione il sindacato". Castelli ha inoltre confermato che è in previsione l’aumento di organico di 1.500 uomini su tutto il territorio nazionale, "almeno 1.200 per il Nord dove c’è una grande sofferenza di organico". Sempre a proposito di carceri, Castelli è anche tornato a riaffermare l’esigenza di "restituire i vecchi penitenziari, che spesso si trovano in zone centrali e hanno un alto valore storico-artistico, alle città per reperire risorse finanziarie sul mercato e costruire nuove strutture. Noi abbiamo un piano vastissimo, volto a questo obiettivo - ha dichiarato - . Dovranno però essere gli Enti locali, in base al loro piano regolatore, a farsi avanti. Purtroppo - ha osservato -vedo molte amministrazioni contrarie. Invece la loro collaborazione è importante per trovare una soluzione adeguata a questa necessità di spazi".
Riforma della giustizia
Nel rispondere alle domande dei cronisti sulla riforma dell’Ordinamento giudiziario, che mercoledì inizierà il suo iter a palazzo Madama, Castelli si è detto "disponibile alla massima flessibilità". Ma con un punto limite ben preciso: "Quello di correre il rischio di vanificare la legge. È chiaro che questo non può accadere". Per il resto, ha aggiunto, "credo che tutti quanti dobbiamo farne non una questione di principio, ma dimostrare tutti un po’ di umiltà, perché credo che la cosa più importante per tutta la Cdl sia quella di vedere questa legge varata". Il ministro si è detto "sempre più convinto che si tratti di una buona legge. Al di là di quelle affermazioni di principio, mai dimostrate - ha osservato - secondo le quali la legge sarebbe incostituzionale e vorrebbe minare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. C’è stato un elettore - ha raccontato - che mi ha detto una cosa illuminante: non so che cosa stai facendo, perché non mi intendo di queste cose, ma per il semplice fatto che hai tutte queste opposizioni, vuol dire che hai centrato nel segno. Questo è il commento che viene dall’uomo della strada, che ha sempre più buonsenso di tutti". Lei ritiene che ci sarà un maxi-emendamento oppure che ogni partito presenterà i suoi? "Io auspico una soluzione condivisa - ha risposto Castelli - anche questa settimana ho visto un po’ tutti e rivedrò in settimana un pò tutti per vedere di arrivare ad una soluzione condivisa e in cui non ci siano né vincitori né vinti. È chiaro che ad un appuntamento del genere la Cdl si deve presentare compatta".
"Sinistra schizofrenica sul potere di grazia"
Di riforma in riforma, a proposito della discussione di quella istituzionale in corso alla Camera, Castelli ha commentato la bocciatura dell’articolo 24 a proposito della controfirma del governo sugli atti del presidente della Repubblica. "Da un lato - ha sostenuto - propongono una legge Boato con la quale sostanzialmente si dava la facoltà al presidente della Repubblica di agire da solo. E dall’altro bocciano questa previsione costituzionale". Il voto di ieri mattina, secondo l’esponente del Carroccio, allontana anche la possibilità di grazia a Bompressi e Sofri. "Finché sono io ministro - ha affermato - credo che non avranno la grazia. Anche alla luce di questo malaugurato voto alla Camera che non ho capito". Civitavecchia: Osapp, un sit in per chiedere rinforzi
Il Messaggero, 14 ottobre 2004
Si inasprisce la lotta della polizia penitenziaria del carcere di Aurelia. Da lunedì alle 14, infatti, gli aderenti al sindacato autonomo Osapp (una trentina di unità) hanno organizzato il sit in permanente, fuori dall’orario di servizio, davanti all’ingresso del penitenziario per protestare contro la drammatica carenza di personale. Gli agenti puntano il dito contro l’amministrazione penitenziaria, che pur conoscendo la gravissima situazione della struttura civitavecchiese "non provvede ad alcun incremento dell’organico, né tanto meno adotta misure provvisorie che possano alleviare i disagi del personale. E nella sezione femminile la situazione è ancora più grave, vicina ormai al collasso". Per questo l’Osapp ha deciso di rompere gli indugi. Il sit in proseguirà sicuramente fino a domani alle 18 quando il segretario regionale della sigla, Giuseppe Proietti Consalvi, sarà ricevuto a Roma dal Provveditore regionale. "Ma se dall’incontro non scaturiranno impegni certi e a breve scadenza - annunciano i dimostranti - la protesta andrà avanti ad oltranza. Ad Aurelia così non si può continuare. Ogni giorno che passa la nostra incolumità è sempre più a rischio". Avellino: festa Polizia Penitenziaria, "servono più agenti"
Il Mattino, 14 ottobre 2004
Si è rinnovato ieri mattina l’annuale appuntamento con la festa del corpo di polizia penitenziaria che, per disposizione del Ministero, dallo scorso anno non è più legato al 12 settembre, giorno di San Basilide, protettore degli agenti che operano nelle carceri della penisola. Quella di ieri dietro le sbarre di Bellizzi, è stata una giornata di festa con visitatori e autorità, civili e militari che sono state accolte con picchetto d’onore dalla direttrice del penitenziario, Cristina Mallardo, dal suo vice Paolo Pastena, e dal comandante degli agenti, Berardino Iovine. Presenti tra gli altri il procuratore della Repubblica di Avellino, Aristide Romano, il prefetto Ippolito, il questore Papa, il colonnello dei carabinieri Di Blasio, e quello della Finanza, D’Ambrosio. Ad officiare la santa messa è stato S. E. monsignor Antonio Forte. Toccante l’omelia del pastore della Diocesi che ha esaltato il delicato e oscuro lavoro del personale: "Quella del detenuto è una realtà difficile da vivere e voi agenti siete chiamati ad un compito delicato che richiede professionalità e disponibilità affinché la dignità umana non venga mai calpestata". Concetto che è stato ripreso dalla direttrice, Cristina Mallardo: "Malgrado la carenza di personale ed i pochi mezzi a nostra disposizione devo ringraziare i miei agenti che, con sacrificio e professionalità, riescono a rendere vivibile la nostra realtà. Con un incremento del personale, cosa che ho da tempo provveduto a richiedere al Ministero, la situazione potrebbe migliorare. Oggi il nostro penitenziario registra un sovraffollamento che definirei medio. A Bellizzi Irpino ospitiamo 406 detenuti, 100 dei quali extracomunitari ed 86 di alta sicurezza, ma il numero ottimale dovrebbe scendere di almeno 100 unità. Specie nel reparto femminile non è facile gestire un padiglione di 26 detenute e dieci bimbi con un corpo di polizia femminile che avrebbe bisogno di almeno altre 15 unità". Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento del comandante, Berardino Iovine: "Attualmente a fronte dei 406 detenuti ho a disposizione solo 300 agenti che spesso finiscono per alternarsi in turni massacranti. Per entrare nella norma occorrerebbero almeno altri 80 uomini. Il lavoro, comunque, non ci spaventa". E l’Ugl penitenziari, in serata, ribadisce la necessità di un incontro urgente sul problema della carenza di organico e sull’organizzazione del lavoro. Roma: unità di riabilitazione per detenuti con malattie mentali
Redattore Sociale, 14 ottobre 2004
Nasce la prima unità di riabilitazione per detenuti con malattia mentale. Infatti è stato siglato oggi da Raffaela Milano, assessore capitolino alle Politiche sociali e promozione della salute, insieme al Direttore della Casa di reclusione Rebibbia sezione Penale Stefano Ricca e al Direttore generale della Asl Roma B Cosimo Speziale, il protocollo d’intesa per la realizzazione della prima unità di assistenza e riabilitazione per detenuti con malattia mentale all’interno del penitenziario romano. Il servizio è rivolto ai 17 detenuti della sezione per persone affette da disturbo psichico, che hanno commesso reati e sono state riconosciute semi-inferme di mente, con disturbo psichico grave stabilizzato. La sezione, che ha 17 celle singole, occupa un piano della Casa di Reclusione Penale Uomini di Rebibbia. Il progetto prevede la nascita di una unità di riabilitazione modulata secondo un approccio comunitario, che segua i detenuti della sezione sia come accompagnamento sociale che sotto il profilo delle cure. Obiettivo dell’iniziativa è quello di migliorare la qualità della vita dei detenuti affetti da disturbo psichico grave attraverso la partecipazione ad attività terapeutiche-riabilitative e risocializzanti, come premessa per un reinserimento lavorativo e sociale. Renderà operativo il servizio un’équipe multidisciplinare che comprende assistenti sociali, educatori professionali, psichiatri, psicologi, infermieri. Il personale di polizia penitenziaria sarà appositamente formato. Si tratta di un’esperienza innovativa, che vede impegnate diverse istituzioni (Asl, Carcere, Comune) e che per la prima volta permetterà di portare all’interno del carcere il modello sperimentato nella rete cittadina dei 24 Centri diurni per persone con malattia mentale attivati dal Comune di Roma in collaborazione con i Dipartimenti di Salute Mentale delle Asl. "Un progetto innovativo che si inserisce nel più ampio piano cittadino per il carcere e che è rivolto a migliorare la qualità di vita dei detenuti che soffrono di questa patologia - ha dichiarato l’Assessore alle Politiche Sociali e Promozione della Salute Raffaela Milano - allo stesso tempo, considerando il Carcere come XX municipio della città, questo progetto ribadisce l’impegno del Comune al fianco delle persone affette da problemi di salute mentale e dei loro familiari. È infatti indispensabile combattere l’isolamento e fare in modo che tutta la comunità cittadina, dai luoghi di lavoro alle scuole alle carceri sia responsabilizzata nell’accoglienza e nel sostegno di chi vive questa grave situazione". Alla firma del protocollo sono intervenuti, tra gli altri, la Presidente della IV Commissione Politiche Sociali Luisa Laurelli, la Presidente della Consulta cittadina per la salute mentale Daniela Pezzi, il Presidente della Consulta cittadina per il carcere Luigi Di Mauro, il Direttore del Dipartimento salute mentale della Asl Roma B Maurizio Bagicalupi, il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Ettore Ziccone. "American Gulag", reportage curato da Claudio Giusti
IC Press, 14 ottobre 2004
In America ci sono più di 2.200.000 persone in prigione. 715 prigionieri ogni 100.000 abitanti, uno ogni 140 persone: il record mondiale di imprigionamento. 100.00 detenuti sono in isolamento. 128.00 sono ergastolani. 110.00 i minorenni in riformatorio, ma non si conosce il numero dei minori in carcere con gli adulti. Il Michigan da solo ha 300 minorenni condannati all’ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato. Dei 700.000 che si trovano nelle prigioni locali 400.000 sono, più che in attesa di giudizio, in attesa d’avvocato: aspettano cioè che qualcuno si degni di trovargli uno straccio di difensore d’ufficio. Le persone in libertà vigilata sono 4.800.000 e a questi occorre aggiungere 5 milioni di ex detenuti che hanno perso il diritto di voto. Trent’anni fa, nelle carceri federali e statali, c’erano 200.00 detenuti, oggi sono 1.400.000: il più grande esperimento di imprigionamento di massa dai tempi di Stalin. Metà dei detenuti sono neri. Se il tasso di incarcerazione per i bianchi è di 366 per 100.000 per i neri è 2209 e in molti stati supera abbondantemente i 10.000. In un quarto degli stati il 10% dei maschi neri adulti è in galera. Questo si spiega perché, pur essendo il 13% dei drogati, i neri sono il 35% degli arrestati per possesso di droga, il 55% dei processati per questo reato e il 75% di quelli che stanno scontando una pena per questo delitto. Un terzo dei ventenni di colore è in prigione o in libertà vigilata e per i giovani neri passare un certo periodo di tempo in prigione è diventato un "rito di passaggio" come lo era per noi fare il servizio militare. Ogni giorno le carceri della contea di Los Angeles accolgono 6.000 nuovi detenuti e ogni anno le 18.000 polizie americane arrestano 13.700.000 persone (ma più probabilmente sono 15 milioni). Di queste circa 3 milioni sono minorenni: almeno 500.000 sotto i 15 anni, 120.000 fra i 10 e i 12 e 20.000 sotto i 10. Sono stati arrestati bambini di meno di 6 anni. Le esecuzioni sono state 934 e nel braccio della morte ci sono circa 3.500 persone fra cui alcuni minorenni e molti pazzi. Un terzo delle esecuzioni sono avvenute in Texas, 152 sotto Giorgino Bush. 117 innocenti sono stati rilasciati e non sappiamo quanti sono stati uccisi, ma, vista la scarsa qualità dei processi americani, devono essere stati molti. L’ex governatore dell’Illinois George Ryan ha detto che il sistema giudiziario americano non è in grado di stabilire chi è innocente , chi è colpevole e nemmeno il grado di colpevolezza. Ha ragione. Gli americani non fanno i processi, non fanno gli appelli e non motivano le sentenze. Più del 90% delle condanne per crimini gravi è ottenuto grazie al patteggiamento. Lo stesso avviene per il 56% delle condanne per omicidio preterintenzionale e volontario. La gran parte dei piccoli reati sono sbrogliati in meno di un minuto da tribunali locali in cui la presenza dell’avvocato difensore non è prevista e spesso nemmeno consentita. I processi, quando si fanno, sono caratterizzati da una estrema sommarietà e dalle scarse garanzie che vengono concesse agli imputati poveri, cui vengono forniti avvocati incompetenti, impreparati, quando non ubriachi, drogati e addormentati. Le condanne sono spesso ottenute grazie a confessioni estorte a suon di botte, a pentiti fasulli, testimoni bugiardi e a referti di laboratori compiacenti. I Procuratori non si fanno scrupolo di mentire e di far sparire prove favorevoli alla difesa: tanto non gli succede nulla. L’appello (nei rari casi in cui viene accolto) ha templi biblici e non prevede la libertà provvisoria del condannato, così che il Parlamento del Texas ha dovuto fare una legge apposita per mettere in libertà i 13 innocenti della "strage di Tulia". Le condizioni carcerarie sono spesso atroci, tanto che una prigione della Georgia è stata definita da un giudice federale "una nave di schiavi" . In questo immenso gulag le violenze e gli stupri sono innumerevoli e nessuno si prende il disturbo di censirli, come nessuno sa quanti siano i suicidi in carcere e quante siano le persone uccise ogni anno dalle 18.000 polizie americane. Nulla di questa infinita quantità di dolore giunge alle orecchie degli italiani, mentre gli stolidi cantori del sistema americano si baloccano con puerili comparazioni sul numero delle intercettazioni telefoniche. Napoli: Castelli interpellato per salvare la vista di Gaetano
L’Articolo.it, 14 ottobre 2004
Tutto è cominciato a Radio Carcere. E la vicenda di Gaetano Ruggero è diventata un caso di cui ora si occupa anche il Parlamento. È la storia di un detenuto che, nel padiglione Napoli di Poggioreale, aspetta che qualcuno lo salvi dalla cecità. Ora se ne dovrà interessare anche il ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli. Sarà costretto a farlo perché oggi il caso di Gaetano è al centro di un’interrogazione parlamentare a firma di quattro deputati diessini, che alzano il velo sulla tragedia personale di questo carcerato chiedendosi perché oggi, in un istituto penitenziario che dovrebbe "rieducare" alla vita normale, è invece negato anche il diritto alle cure mediche. Eh sì, perché Gaetano ha contratto la grave malattia al nervo ottico proprio mentre era dietro le sbarre per scontare una pena di cinque anni. Pochi, ma abbastanza perché alla pena del carcere si aggiungesse quella, non stabilita da nessun giudice, di perdere la vista. Dunque, la storia. Radio Carcere, programma di Radio Radicale condotto da Riccardo Arena, è un filo diretto con il mondo carcerario, di cui si sforza di raccontare le vicende. Un programma ovviamente molto seguito dai detenuti e anche dalle loro famiglie, l’unico che apre i microfoni al mondo al di qua delle sbarre. A Radio Carcere, quest’estate, telefona un camionista, che racconta a Riccardo Arena la storia di suo fratello: detenuto nel carcere di Larino, in provincia di Campobasso, ha contratto una grave infezione al nervo ottico. Una malattia rara e pericolosa, curabile solo se presa in tempo. Ovviamente, per Gaetano è troppo tardi. Perde l’occhio, e anche l’altro è gravemente compromesso. Avrebbe bisogno di cure immediate, tempestive ed efficaci. Viene trasferito da Larino a Poggioreale, dove c’è un centro clinico. Ma, evidentemente, cambia poco. Nel carcere napoletano Gaetano non è al centro clinico, bensì al sovraffollato Padiglione Napoli. E la sua malattia peggiora. Riccardo Arena, dai microfoni di Radio Carcere gli dà voce, e la sua storia la ascolta anche Rosalba Forcione, una donna di Bologna. Fa parte di Cittadinanza Attiva, anche lei ha un problema agli occhi, e dunque abbraccia come se fosse anche sua la causa di Gaetano. Telefona al direttore di Poggioreale, gli manda un telegramma, inonda di e-mail le caselle di posta di onorevoli e istituzioni. Ma Vincenzo Siniscalchi, parlamentare Ds napoletano, presidente della Giunta Autorizzazioni della Camera, è già un ascoltatore di Radio Carcere. Le sollecitazioni di Rosalba Forcione spalancano dunque una porta aperta, e Siniscalchi, insieme con i colleghi Aldo Cennamo, Franca Chiaromonte e Eugenio Duca, ha fatto già partire un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia. Il tempo, però, continua a trascorrere senza che qualcuno imprima una svolta nella vicenda di Gaetano: "Intendo sollecitare la risposta a questa interrogazione - dice Siniscalchi - perché ha un’enorme interesse all’interno della situazione delle carceri, che è sempre più preoccupante, e non vorrei che il ministro dilati i tempi della risposta oltre ogni ragionevole durata. In particolare, su questa interrogazione si appunta anche l’interesse del Comitato Carceri della Commissione Giustizia, che nei giorni scorsi ha visitato anche il carcere di Poggioreale". Anche ieri sera, Radio Carcere è tornata ad occuparsi di Gaetano Ruggero, mandando in onda un’intervista al vicepresidente del Comitato Carceri della Commissione Giustizia della Camera Francesco Carboni. "Io non mollo - dice Riccardo Arena - torno alla carica, ci mancherebbe. Carboni ha detto che tornerà a visitarlo, che tornerà apposta. Ora c’è il fatto nuovo dell’interrogazione parlamentare, i familiari sono contenti, però passeranno mesi...Qui il problema è duplice: da un lato c’è Gaetano Ruggero, la negazione del diritto alla salute in carcere che ha un nome e un cognome, ma poi ci sono i detenuti ignoti con lo stesso problema. Quanti Gaetano Ruggero ci sono in carcere? E questa è la domanda, perché se io scopro per caso che uno sta diventando cieco a causa del carcere, qui può succedere di tutto. Lui sta lì, non lo cura nessuno, e burocraticamente è tutto a posto, perché risulta in un centro clinico. Ma la giustizia e i diritti umani vanno al di là della carte". Inutile, su questa vicenda, interpellare il direttore del penitenziario di Poggioreale Salvatore Acerra. Così come non ha parlato con il collega di Radio Radicale, come si è negato alla signora Rosalba, decide di non rilasciare neanche a noi nessuna dichiarazione. Quello che ha dire lo dirà solo al ministro Castelli. Registriamo questo suo commento: "Se c’è stata un’interrogazione parlamentare dovrà rispondere direttamente il ministro. Mi sembra poco corretto dare al giornale notizie in anteprima. Altrimenti mi sostituirei io al ministro. Non posso rispondere perché c’è l’interrogazione, poi perché non le posso dire nulla perché violerei la privacy del detenuto. La situazione è stata già posta all’attenzione di molte autorità giudiziarie, per cui faccia fare il giusto corso all’intero iter e alla fine si saprà meglio come stanno le cose". Gaetano Ruggero aspetterà, ancora. Dal 18 ottobre riprende la protesta pacifica dei detenuti
Vita, 14 ottobre 2004
L’appello dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici: "È necessario dare risposte concrete a quel grido di dolore". "Il 18 ottobre ricomincia la protesta pacifica dei detenuti nelle carceri italiane. La richiesta di attenzione al tema generale delle condizioni di vita carceraria, avanzata in questa occasione in particolare dalla associazione Papillon, merita ascolto da parte della collettività e un mutamento di prospettiva politica capace di incidere davvero sui fenomeni che determinano il continuo aumento della popolazione detenuta e il peggioramento inevitabile delle modalità di detenzione". Lo sottolinea un comunicato dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici. I giuristi democratici ricordano "come la legge Bossi-Fini (ma anche la precedente normativa, sia pure in misura più contenuta), da una parte, e la legislazione in tema di stupefacenti, per ragioni diverse, rappresentano i principali meccanismi normativi che determinano il riempimento delle carceri di immigrati e di tossicodipendenti" e che "finché non si interverrà sul meccanismo di ingresso delle persone migranti,evitando di destinarle ad un futuro certo di illegalità se non regolari al momento dell’ingresso nel territorio italiano, il flusso migratorio renderà sempre più drammatico il carcere". "Per migliaia di detenuti la pena non potrà mai essere tesa al reinserimento sociale, ma solo all’esclusione - aggiungono - E al sovraffollamento non ci sarà altro rimedio se non la costruzione di un numero indeterminato di nuove carceri, magari con gestione privata delle stesse. Sotto altro profilo, la presenza massiccia di detenuti tossicodipendenti evidenzia la necessità di interventi coraggiosi, che sperimentino la possibilità di scelte alternative, quali la liberalizzazione delle droghe leggere e la somministrazione controllata di sostanze quali l’eroina, nel tentativo, che però è ineludibile, di spezzare il legame tra il consumo del narco-traffico e le organizzazioni criminali. E poi ci sono immediati e urgenti interventi concreti da realizzarsi, in tema di sanità penitenziaria, di aumento degli organici del personale, la costruzione di alloggi per ex-detenute e detenuti, per coloro che possono beneficiare di misure alternative, la costruzione di una rete di opportunità e protezione sociale che permetta di utilizzare al meglio le misure alternative alla detenzione. E, infine, il tanto atteso e promesso provvedimento di clemenza, che andrebbe approvato per il solo fatto di essere stato assicurato più volte alle persone detenute. Ma con l’avvertenza che un provvedimento di tal natura non è un rimedio, e che in assenza di altri e più strutturati interventi in poco tempo tutto tornerebbe come prima". Sofri: si riaccendono le speranze per la grazia
Vita, 14 ottobre 2004
Lo affermano Silvio Di Francia e Franco Corleone, promotori della catena di solidarietà "Dall’oblio alla grazia". "Ora il presidente Ciampi ha tutte le carte a disposizione per decidere: i pareri suicidi della Procura Generale di Milano e le relazioni favorevoli dei Magistrati di sorveglianza. Il tempo delle decisioni è giunto finalmente. Non lasceremo solo il presidente della Repubblica e lavoreremo senza ricatti perché il senso di giustizia, l’umanità e i principi della Costituzione prevalgano". Lo affermano Silvio Di Francia e Franco Corleone, promotori della catena di solidarietà "Dall’oblio alla grazia", a sostegno della liberazione di Adriano Sofri. "Avevamo avuto ragione nel chiedere conto di una situazione intollerabile che diventava sempre più un mistero. La nostra sollecitazione è stata determinante nel far conoscere la sorte delle carte riguardanti l’aggiornamento dell’istruttoria per la grazia a Ovidio Bompressi. I cassetti del ministro Castelli si sono miracolosamente aperti e il fascicolo è volato in tempo reale al Quirinale", aggiungono. Roma: 180 mila euro per istruzione a detenuti e immigrati
Asca, 14 ottobre 2004
"La Provincia di Roma ha stanziato 180mila euro per promuovere l’educazione degli adulti carcerati e immigrati di Roma e provincia. Da oggi è disponibile il bando pubblicato dall’Amministrazione provinciale sul sito internet www.provincia.roma.it". Ne dà notizia Daniela Monteforte, assessore provinciale alle Politiche della Scuola a margine dell’inaugurazione della nuova ala del liceo scientifico di Anzio "Innocenzo XII" avvenuta questa mattina. Erano presenti Candido De Angelis, sindaco di Anzio e Aurelio Lo Fazio, capogruppo delle Margherita a Palazzo Valentini. "Con questo bando - ha proseguito la Monteforte - si promuovono percorsi formativi di educazione permanente rivolti alla popolazione adulta carceraria e immigrata di Roma e provincia, per accompagnare lo sviluppo della persona, facilitare l’inserimento professionale e l’integrazione sociale anche a fasce socialmente più deboli". "Le domande - ha concluso la Monteforte - devono pervenire, entro le ore 12 del 12 novembre 2004 all’indirizzo: Amministrazione provinciale di Roma - Dipartimento X - Servizio 6 - Ufficio "Politiche della scuola - Diritto allo Studio - Educazione Permanente - Bollo d’arrivo - Palazzo Valentini - via IV Novembre 119/a, 00187 - Roma". Vicenza: "Il carcere è un mondo senza luce..."
Il Gazzettino, 14 ottobre 2004
"Niente per caso": è questo il titolo del progetto, a rilevanza territoriale locale finanziato dal centro servizi per il volontariato della provincia di Vicenza, presentato ieri mattina ad Arzignano. La platea? Sette classi quarte dell’istituto "Da Vinci", che con molto interesse hanno assistito all’illustrazione del percorso di formazione e cultura alla legalità, prevenzione alla devianza, accettazione del diverso. Molto applaudito, anche per il suo modo di fare accattivante e coinvolgente, Claudio Stella, fondatore dell’associazione di volontariato penitenziario "Utopie fattibili", che ha realizzato il progetto consistente in due momenti: il primo, di presentazione, che si è svolto appunto ieri mattina ed uno successivo, caratterizzato da un serio lavoro che i ragazzi faranno in classe con gli insegnanti, discutendo quando emerso ieri, formulando delle proposte che poi, oltre ad essere pubblicate sul sito dell’associazione, www.utopiefattibili.org, sfoceranno in un forum aperto a tutti su temi specifici. "La devianza minorile è un problema enorme", ha detto Stella, conducendo poi l’attenzione dei ragazzi sulla prevenzione nel commettere reati, spiegando quanto male fa il carcere, non solo a chi lo deve fare, ma anche alle persone che gli stanno intorno. "Una negatività nella conduzione della propria vita", ha detto chiedendo poi agli studenti il significato della parola "carcere". Varie le risposte: da luogo chiuso a luogo che priva della libertà, da giusto per chi se lo merita a mondo senza luce, perfino è stato paragonato alla propria aula Ha partecipato anche Kamel Layachi, presidente del consiglio islamico provinciale: la sua figura ha un ruolo fondamentale nell’affrontare e cercare di risolvere il problema della tolleranza del diverso, che può essere il detenuto, l’extracomunitario, il portatore di handicap. Se poi si considera che il numero di extracomunitari detenuti è decisamente superiore agli altri, la posizione di Layachi si rafforza ulteriormente. Sul tavolo dei relatori anche il prof. Giuseppe Corato, insegnante di religione dell’istituto. Il progetto sta facendo il giro delle scuole, durerà un anno ed ha come obiettivo l’emergenza di attuare formazione di "prevenzione alla commissione di reati", perché la fascia di adolescenti dai 13 ai 18 anni è fortemente interessata alla devianza. La mancanza di valori e modelli rendono gli adolescenti deboli e facilmente veicolati verso la commissione di reati. L’educazione alla legalità ed "Apertura degli occhi su causa-effetto" è un sicuro deterrente. Vicenza: gli stranieri in carcere in continuo aumento
Il Gazzettino, 14 ottobre 2004
"Gli stranieri in carcere sono. Occorrerebbe una legge importante, la "Bossi-Fini" va rivista. Sono troppo lunghi i tempi tra la notifica d’espulsione e il rimpatrio, e c’è un garantismo eccessivo delle persone fermate. Hanno l’espulsione, ma non vanno via e finiscono per delinquere, così ce le ritroviamo in carcere". È l’opinione dell’ispettore capo Mauro Scipioni, premiato ieri assieme ad altri colleghi all’istituto Canossiano durante la festa del Corpo di Polizia Penitenziaria, cui appartengono, per essersi distinti particolarmente in servizio. "Il nostro è un lavoro durissimo, perché il sovraffollamento del carcere significa lavorare il doppio - continua Scipioni - E la paga è sempre la stessa, nonostante la mole di lavoro: l’attività di polizia giudiziaria comporta numerosi incarichi. È un lavoro però che dà molte soddisfazioni professionalmente, perché la società lo riconosce di più". Sovraffollamento, cronica carenza di organico e limitatezza dei fondi, sono i tasti su cui continua a battere da anni il direttore della casa circondariale di Treviso Francesco Massimo, che si è soffermato sul lavoro svolto nell’ultimo anno. "C’è stato un aggravio del lavoro. Secondo gli organici fissati in Dipartimento il personale dovrebbe essere di 190 unità e invece sono 130. Ci sono 240 detenuti, contro un massimo di 134. Nonostante questo sono stati portati a termine i compiti che riguardano da un lato il personale e dall’altro i detenuti, perché i principi del Corpo sono "vigilare e redimere"". Per la loro abnegazione si sono segnalati oltre al già citato ispettore capo Mauro Scipioni, il sovrintendente Ernesto Santin, l’assistente capo Carmine Colapinto, gli agenti scelti Silvio Petrucci, Leonardo Totano, Lorenzo Pastore, e l’agente Graziano Ciriolo. Una targa è stata consegnata alle vedove di membri della Polizia Penitenziaria: Maria Antonietta Mastrogiacomo, Michela Piu ed Elena Serra. Il valore del lavoro del Corpo è stato sottolineato anche dal vescovo Andrea Bruno Mazzocato durante l’omelia nella Santa Messa: "Il servizio svolto dalla Polizia Penitenziaria è un importante servizio sociale, fatto a tutti noi. Una società funziona bene quando funzionano tutti gli aspetti del vivere civile. Talvolta le condizioni non sono facili, per questo è importante che chi fa questo lavoro sia motivato dalla dignità e dal valore della sua professione. Cremona: progetto Fratello Lupo, la Caritas per il carcere
La Provincia di Cremona, 14 ottobre 2004
Caritas e carcere, due realtà che da tempo si sono incontrate. Aprendo un colloquio che si è trasformato, strada facendo, in solidarietà concreta. Nell’ottica, cristiana e laica insieme, che le persone detenute devono essere restituite ed accolte dalla società che pure dalla loro azioni è stata sicuramente danneggiata. Da questo solidarietà concreta è nato il progetto Fratello Lupo presentato ieri mattina alla Caritas da don Antonio Pezzetti con don Felice Bosio, don Enrico Maggi e Marco Ruggeri. Significativamente affiancati dalla direttrice reggente del Carcere Maria Gabriella Lusi e dal vicecomandante della polizia penitenziaria Angelo Grassadora (persone che con don Bosio fanno onore al sistema penitenziario lombardo ed italiano). Ebbene il progetto Fratello Lupo comprende vari servizi offerti a detenuti (attualmente ce ne sono 310 a Cà del Ferro) ed ex detenuti: il centro d’ascolto attivo all’interno della Casa circondariale, l’ospitalità per permessi premio e per favorire l’incontro con le famiglie in visita per colloqui, l’assistenza spirituale, la catechesi, il sostegno materiale attraverso la distribuzione di indumenti agli indigenti in collaborazione con il servizio "baule" dell’Associazione Zona Franca. Come ha ricordato Marco Ruggeri, operatore Caritas all’interno del carcere cremonese, quello di cui hanno bisogno i detenuti sono aiuti materiali ma soprattutto morali. Cioè ascolto, attenzione, comprensione anche oltre le sbarre. Per far questo le parrocchie devono sentirsi interpellate e coinvolte in questo cammino, certo arduo ma da fare. Su questo ha insistito don Felice Bosio, da decenni apprezzato cappellano del carcere che ha insistito sull’appoggio morale che va dato ai detenuti. Secondo un piano pastorale che ha tre punti fermi: carità, catechesi, liturgia. E così si scopre che seminaristi, laici e preti vanno in carcere a fare dottrina e che la direzione, con notevole sensibilità, ha concesso locali e orari adatti. Certo, ha sottolineato don Felice, servono altri volontari, magari per animare i canti, ma l’aria è davvero cambiata ed il carcere è più vicino alla città. Basta vedere il bilancio annuale del Centro d’ascolto: 499 colloqui; sostegno a 199 detenuti; ospitalità presso le strutture diocesane per permessi premio; aiuto economico per acquisto di alimenti, acqua, farmaci. Ed altro ancora. Si può fare di più per dare speranza ai detenuti. Il progetto Fratello Lupo mira a questo, e la sua validità pedagogica è stata confermata dalla direttrice Lusi e dal vice comandante Grassadora. Il tutto con la benedizione del vescovo Dante Lafranconi che scrive: "Anche chi si trova in carcere a causa del male provocato non può essere lasciato a se stesso e dimenticato. Su questa convinzione si fonda il progetto Fratello Lupo che si ispira alla figura di Francesco d’Assisi ed al suo incontro con il lupo di Gubbio. Attraverso l’ascolto ed il sostegno materiale ed umano, il progetto vuole favorire la riabilitazione della persona testimoniando che con al misericordia di Dio e con la solidarietà dei fratelli ci si può rialzare anche dalle cadute più rovinose". Reggio Calabria: reinserimento, accordo Provincia-Provveditorato
Quotidiano di Calabria, 14 ottobre 2004
È stato firmato ieri, presso la sede della Provincia di Cosenza in Corso Telesio, un protocollo di Intesa fra il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione; Penitenziaria della Calabria, nella persona del Provveditore Regionale - dirigente generale Paolo Quattrone, e l’amministrazione Provinciale di Cosenza, rappresentata dal presidente, onorevole Gerardo Mario Oliverio, per l’inserimento dei soggetti in esecuzione di pena o in misura alternativa alla detenzione. Il progetto, curato dall’assessore all’Edilizia Pubblica e Scolastica avvocato Oreste Morcavallo, prevede attività di formazione professionale e lavorativa, sia all’interno degli Istituti sia all’esterno, per i soggetti in misura alternativa; nonché a favorire e promuovere l’attività lavorativa delle persone in esecuzione penale, in special modo incentivando e favorendo la disponibilità del mondo dell’imprenditoria e della cooperazione. "Rendendo operativo questo protocollo - ha dichiarato l’onorevole Mario Oliverio - oggi si è realizzato un momento importante di sinergia delle istituzioni, a favore dei soggetti più esposti, realizzando contemporaneamente un vantaggio per l’intero tessuto sociale; utilizzando le competenze dei detenuti, infatti, sarà possibile la realizzazione e la manutenzione di parte dell’arredo scolastico delle scuole del nostro territorio. È un primo passo - ha concluso il presidente - verso una maggiore attenzione delle Istituzioni pubbliche al recupero sociale dei detenuti, perché è importante e vitale che la società non resti indifferente di fronte alle problematiche carcerarie". Per l’assessore provinciale all’Edilizia Pubblica e Scolastica, avvocato Oreste Morcavallo, si tratta di "riempire di contenuti un accordo importante, che presenta una duplice finalità sociale: di reinserimento dei detenuti e di carattere educativo per gli studenti, che utilizzeranno il materiale che verrà prodotto dai detenuti stessi. È una grande occasione - ha concluso l’assessore Morcavallo - per suscitare nei giovani una maggiore comprensione verso i carcerati e il loro dramma sociale, nonché di rispetto per la "cosa pubblica" e il patrimonio comune".
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