Rassegna stampa 5 novembre

 

"Qualcosa so di Paolo", articolo di Luigi Manconi

 

Dal sito dell’Associazione "A Buon Diritto"

 

Gli ultimi mesi sono stati particolarmente crudeli per quanto riguarda le carceri italiane. Cresce l’affollamento, aumenta il numero dei suicidi e dei casi di "malasanità"; parallelamente si alimenta una polemica grottesca, se è vero che chi ricopre importanti cariche istituzionali continua a parlare delle prigioni come di "alberghi a cinque stelle".

Riportare l’attenzione dell’opinione pubblica sui dati di fatto si fa vieppiù difficile, perché il discorso pubblico è inquinato da troppi fattori emotivi. Da anni è in corso una campagna politica e mediale di natura ansiogena, alla quale è difficile non cedere.

L’emergenza sicurezza è diventato uno dei punti chiave della vita pubblica, nonostante molti dei dati reali, relativi ai fenomeni di criminalità piccola e grande, vadano in direzione opposta. E chi ha brandito questa emergenza lo ha fatto, non senza calcolo, per motivare la retorica della "certezza della pena", che poi significa una "giustizia inesorabile". Ma auspicare l’inesorabilità della giustizia vuol dire ridurre questa a un mero apparato sanzionatorio.

Eppure, la giustizia dovrebbe essere qualcosa di più. Cavalcare quella retorica significa allora coltivare una grave presbiopia, che induce a preoccuparsi ossessivamente che a ogni reato corrisponda una punizione esemplare; e a trascurare condizioni e criteri di tale punizione. L’importante, insomma, è che una condanna venga emessa.

Di cosa succede dopo, non ci si cura. Dall’inizio dell’anno, secondo le prime parziali stime, in carcere si sono tolte la vita 32 persone. Si tratta, per lo più, di giovani, e con reati di scarso rilievo alle spalle. Lo ricordava Adriano Sofri, sul Corriere della Sera, pochi giorni or sono: "(…) di fronte a questo stato di dissipazione di corpi umani per la prima volta, nella storia repubblicana e pre-repubblicana, da 13 anni non c’è stata nessuna misura di clemenza".

L’indultino non può essere considerato tale: una goccia in un oceano, dal momento che ha rimesso in libertà, nell’arco di un anno, poco più di 5.000 detenuti: molti dei quali sarebbero comunque usciti di lì a breve, visto che la misura si applicava solo a condannati con meno di due anni da scontare.

Quelli che qui riportiamo sono frammenti di una testimonianza di Graziano Scialpi, recluso nel carcere "Due Palazzi" di Padova, pubblicata integralmente sul sito dell’associazione Ristretti Orizzonti (www.ristretti.it: un sito prezioso, indispensabile non solo a chi si interessi di carcere, ma a chiunque voglia fare politica seriamente). Spiega come la giustizia non può mai dirsi giusta se, oltre ad accertare l’illecito o il crimine, non è in grado di determinare una pena equa e utile alla società (e allo stesso condannato).

"Non conoscevo Paolo. Non abbiamo avuto modo di conoscerci. (…) Però, anche se poco, qualcosa so di lui. Appena è entrato in cella mi è sembrato che fosse un pesce fuor d’acqua. Impressione che ha trovato conferma quando mi ha spiegato che stava scontando tre mesi per resistenza a pubblico ufficiale: avrebbe dovuto tornare in libertà il 14 ottobre. In secondo luogo mi sono reso conto che non era messo bene, nel senso che non aveva fonti di sostegno o qualcuno che lo seguisse nella carcerazione.

Infine ho capito che aveva notevoli problemi a livello fisico. (…) Sabato mattina (11 settembre), dopo aver bevuto il caffè insieme a me, Paolo si è vestito e, trascinando la gamba sinistra, è andato nella saletta ricreativa, dove è possibile trascorrere le ore d’aria, mentre io sono restato in cella a studiare. Ma, dopo nemmeno mezz’ora, è ritornato, dicendo di non sentirsi bene. Dopo essersi steso sulla branda, si è alzato di scatto ed è corso in bagno, squassato da conati di vomito. Iniziando a preoccuparmi, gli ho chiesto cosa sentisse, se aveva male di stomaco.

Lui mi ha risposto che sentiva i sudori freddi, che stava molto male, ma che non era lo stomaco. Rendendomi conto della sua sofferenza, ho chiamato l’agente in servizio al piano, spiegandogli che il mio compagno si sentiva molto male. Dopo aver chiesto l’autorizzazione per telefono, l’agente è tornato per informarsi se Paolo ce la faceva a scendere all’infermeria da solo. (…) Dopo una ventina di minuti è ritornato in cella. Gli ho chiesto cosa gli avesse riscontrato il medico e lui mi ha risposto: Mi ha fatto un’iniezione, mi ha dato delle gocce e mi ha detto di mangiare in bianco. Quindi si è steso sulla branda girandosi e rigirandosi senza trovare pace. (…)

Dopo qualche minuto si è addormentato all’improvviso. (…) Subito ha iniziato a russare forte e il suo respiro era sofferente, intervallato da apnee di dieci-quindici secondi. (…) È andata avanti così per una decina di minuti, finché il respiro si è interrotto per 15, 30, 45 secondi. Ho alzato gli occhi e l’ho guardato, cercando un segno che avesse ripreso a respirare senza che me ne fossi accorto, ma Paolo era immobile e i secondi passavano sempre più veloci. Mi sono alzato gli sono andato vicino e l’ho chiamato, ho urlato il suo nome più volte, scuotendolo per un braccio. Poi gli ho tastato il collo, cercando un battito che non c’era.

Mi sono affacciato alla porta della cella, gridando all’agente che era lì vicino di chiamare il medico, perché il mio compagno aveva smesso di respirare. Quindi sono tornato da Paolo, gli ho steso le gambe e ho iniziato a praticargli il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. La seconda volta che ho soffiato, dalla sua bocca è uscito un fiotto di rigurgito liquido.

Nel frattempo l’agente ha aperto la porta della cella, permettendo di entrare a due lavoranti che si trovavano in sezione. Insieme abbiamo tirato giù dalla branda Paolo, adagiandolo sul pavimento di cemento nudo. Dopo averlo tenuto per qualche momento girato sul fianco, per permettere ai suoi polmoni pieni di liquido di spurgarsi, sono ripresi sempre più frenetici il massaggio cardiaco, la respirazione bocca a bocca, i pugni sullo sterno, mentre altri detenuti si accalcavano sulla porta della cella, affannandosi a dare consigli del tipo: fagli bere un po’ d’acqua, tiragli su le gambe, mettigli un po’ di aceto sotto il naso. Nessuno voleva accettare la realtà tragica della situazione. (…)

Dopo un’eternità, i cinque - sette minuti che sono necessari a percorrere il tragitto dall’infermeria al terzo piano, è arrivato il medico, ha auscultato il muto petto di Paolo e ha dato ordine di metterlo sulla barella. Mentre i ragazzi sollevavano il corpo, il medico ha guardato nel nulla del muro bianco di fronte a sé, mormorando: Lo avevo visto cinque minuti fa…

Poi sono partiti verso l’infermeria. Di Paolo in cella sono rimaste la macchia del rigurgito polmonare sul pavimento, la chiazza sulle lenzuola provocata dal rilassamento della vescica e le sue povere cose che, due ore dopo, ho dovuto mettere in un sacco nero di plastica e consegnare a magazzinieri meravigliati di quanto poco possedesse. Qualcosa so di Paolo. So che aveva lavorato per 25 anni come verniciatore, emigrando anche in Germania, e che i solventi gli avevano corroso i polmoni, rendendolo invalido. So che aveva avuto un grave incidente che lo aveva sciancato, facendogli trascinare la gamba e costringendolo a fare iniezioni per il mal di schiena. (…) So che aveva due figli piccoli che non lo conosceranno.

Proprio venerdì sera, non so come, il discorso era caduto sulla morte e lui mi aveva detto: A me interessa vivere solo finché i miei figli saranno maggiorenni. Qualcosa so di Paolo. So che non era un criminale, ma un poveraccio, come ce ne sono tanti. So che non avrebbe mai dovuto entrare in carcere per una condanna di tre mesi. So che, con le patologie di cui soffriva, non avrebbe dovuto finire in carcere nemmeno con una condanna a tre anni".

Se a qualcuno tutto ciò appare pietistico o demagogico, beh, è solo affar suo.

Milano: "Piano Freddo" per i senza dimora, 1492 posti letto

 

Redattore Sociale, 5 novembre 2004

 

L’inverno è alle porte, il Comune di Milano presenta l’annuale Piano freddo per l’accoglienza delle persone senza dimora: 1492 posti letto (di cui circa 400 in strutture non identificate), 180 in più dello scorso anno, 7 unità mobili, una spesa complessiva di 625mila euro. Questi i numeri presentati ieri dall’assessore ai Servizi sociali Tiziana Maiolo.

Mentre oggi sono state le associazioni del volontariato a presentare le attività che svolgeranno nei mesi invernali per i senza dimora, ieri era stato il Comune che da anni collabora con le stesse realtà del Terzo settore. L’assessore Maiolo ha detto ieri che i posti nei centri di accoglienza per senza dimora dovrebbero essere 1492, tra strutture pubbliche e private (la sede della protezione civile di via Barzaghi, il dormitorio di viale Ortles, le strutture di via Maggianico e via Anfossi), di questi però 410 posti saranno reperiti in "realtà convenzionate" non meglio specificate.

In rialzo, ha detto la Maiolo, la spesa complessiva per il "Piano freddo" rispetto allo scorso anno: 625mila euro complessivi contro i circa 400mila previsti lo scorso anno dal piano freddo, e, oltre ai posti letto, verrà incrementato il numero delle unità mobili che passano da sei a sette, con lo scopo di intercettare il bisogno sulla strada.

Ma chi sono gli homeless milanesi? "Numericamente - ha detto la Maiolo – si dice siano 3500, forse 4mila, dati poco sicuri, è difficile individuare questo tipo di popolazione e capirne l’andamento". In realtà le associazioni concordano su queste cifre, ma sostengono anche che il numero di senza dimora è in crescita.

Il Comune ha presentato alcuni dati da cui emerge un profilo particolare degli utenti dei centri di accoglienza comunali (a cui non accedono naturalmente i tantissimi senza dimora stranieri e senza permesso di soggiorno): italiani in aumento e soprattutto donne (il 15 per cento degli utenti delle strutture pubbliche), un’età media sempre più bassa (il 25 per cento ha tra i 30 e 40 anni), una percentuale di stranieri (regolari) ferma al 30 per cento. "Una situazione nuova - ha ricordato poi la Maiolo - è quella dei padri separati: genitori che perdono la casa perché nella maggior parte dei casi il figlio viene affidato alla madre e conseguentemente anche la casa. Se l’uomo poi perde il lavoro rischia in situazioni di disagio di finire sulla strada".

Resta sempre allarmante la condizione dei tantissimi stranieri senza permesso di soggiorno che, come ha sottolineato Mario Furlan, presidente dei City Angels, sono la parte "meno visibile del disagio. Vivono nelle aree dismesse dove sono sorte vere e proprie comunità straniere: rom rumeni, albanesi marocchini in situazioni di grave precarietà", ha detto Furlan.

Ma le ultime ricerche segnalano la crescita di donne che frequentano le mense per i poveri, lavorano a periodi alterni e spesso sono costrette a passare la notte in strada. Un bisogno ormai "strutturale", che richiede un’attenzione al di là dell’accoglienza invernale. Un concetto sottolineato da Raffaele Gnocchi, responsabile dell’ufficio Politiche sociali di Caritas che ha sollecitato l’assessore Maiolo e il Comune ad "avviare un tavolo di confronto permanente su questi temi. La nostra città è diventata volente o nolente un crocevia di realtà diverse e di situazioni di emarginazione sociale. Vorremmo che questi temi ricevessero più attenzione e confronto tra Comune e realtà che si occupano di questi problemi". Secca la risposta di Maiolo: "Il confronto c’è e le iniziative del pian freddo lo dimostrano, le scelte politiche però toccano solo all’amministrazione".

Mons. Pasini: povertà ed esclusione sociale non sono fatalità

 

Redattore Sociale, 5 novembre 2004

 

"Rifiutiamo di considerare la povertà e l’esclusione sociale una fatalità, quasi un tributo da pagare per lo sviluppo di un paese. Consideriamo la permanenza della povertà, dentro un contesto di ricchezza, una sconfitta della democrazia e del modello di sviluppo a cui essa si ispira. Da almeno 10 anni le persone che in Italia vivono sotto la linea della povertà sono attorno ai 7 milioni".

Lo ha ricordato mons. Giuseppe Pasini, presidente della Fondazione Zancan, alla presentazione del Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta "Vuoti a perdere", illustrato questa mattina alla stampa presso la Sala Ucsi. Purtroppo la povertà non è soltanto "un fenomeno italiano - ha proseguito Pasini -. Ad esso fanno riscontro i 50 milioni di poveri dell’Unione Europea dei 15, prima quindi del recente allargamento, e i 35 milioni di poveri degli Stati Uniti, ossia della nazione più ricca del mondo". Cifre che contengono "un messaggio eloquente: il sistema socio-politico non ha saputo o non ha voluto eliminare o almeno progressivamente ridurre la presenza di queste persone correttamente qualificate come cittadini incompiuti.

La lotta alla povertà tanto declamata dai vari governi, che si sono succeduti nel nostro Paese, non è approdata finora a risultati significativi di efficacia". Il Rapporto, infatti, "non riguarda propriamente la povertà economica, ma l’esclusione sociale e la cittadinanza incompiuta. È evidente che i due fenomeni non sono alternativi, bensì complementari, quasi due facce della medesima realtà", ha precisato il presidente della Fondazione Zancan.

In questo scenario, Pasini ha suggerito alcune strategie possibili: innanzitutto, "l’avvio di nuove politiche di sviluppo economico e occupazionale, attente prioritariamente al sud e arricchite di ammortizzatori sociali in grado di superare dignitosamente le fasi di disoccupazione forzata"; in secondo luogo, "una ripresa della lotta alla povertà, ricuperando e perfezionando la sperimentazione del Reddito minimo d’inserimento, avviato nella precedente legislazione e ora sospeso, che abbinando il sostegno economico temporaneo con l’accompagnamento della persona e l’inserimento lavorativo dovrebbe consentire il superamento dell’assistenzialismo e aprire alla speranza di uscire dalla povertà".

Infine, Pasini ha auspicato "l’avvio di serie politiche sociali e socio - assistenziali in grado di garantire sulla base della legge 328/2000 il diritto per tutti a fruire dei livelli essenziali di assistenza sociale analoghi a quelli esistenti nel campo sanitario. La mancata definizione di questi livelli da parte del governo, ha impedito finora che la copertura di alcuni bisogni vitali divenisse diritto esigibile...

L’attuazione di questo provvedimento politico, prima che le competenze della devolution passino alle Regioni, eviterebbe il rischio ulteriore che il diritto di cittadinanza resti incompiuto per una parte dei cittadini italiani".

"Una soluzione molto praticata dalle famiglie è il debito differito - ha affermato Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan -. Le famiglie acquistano spostando in avanti nel tempo il problema di come pagare e sperando in tempi migliori. Questo consente di mantenere un tenore di vita apparentemente buono, salvo non sapere quanto potrà reggere.

La questione del debito differito non riguarda solo i giovani con lavori flessibili ma anche altre fasce significative della società; per esempio, le persone che andranno in pensione dopo il 2008 non avranno la certezza di poter vivere dignitosamente con il solo reddito pensionistico".

Ascoli: accordo On the Road - Questura per protezione sociale

 

Redattore Sociale, 5 novembre 2004

 

La Questura di Ascoli Piceno e l’Associazione On the Road hanno firmato un protocollo di intesa sull’applicazione dell’art. 18 a favore delle vittime del traffico di esseri umani. Si tratta di una importante formalizzazione di ciò che ad oggi era "solo" una prassi consolidata, ed inoltre ufficializza una serie di passaggi interpretativi e conseguenti applicazioni di carattere innovativo ed estensivo. L’accordo, come sottolinea On the Road, "è frutto della collaborazione pluriennale, fattiva ed efficace tra la Questura e l’Associazione, volta a garantire protezione e tutela alle persone vittime del traffico di esseri umani e ad incrementare il contrasto alle organizzazioni criminali dedite al traffico di persone migranti e al loro sfruttamento".

Il protocollo contiene una definizione chiara delle prassi applicative dell’art. 18, in particolare: un percorso sociale oltre a quello giudiziario; una autodichiarazione di identità nel caso manchino i documenti ufficiali; il rilascio di un permesso di soggiorno valido solo per l’Italia in attesa delle revoche dei decreti di espulsione; la conversione del permesso di soggiorno da art. 18 a motivi di lavoro, non solo subordinato ma anche parasubordinato.

Il protocollo verrà ora proposto anche alle altre Questure dei territori in cui On the Road opera direttamente (vale a dire quello delle province di Teramo, Macerata, Pescara, Chieti. E, anche se la collaborazione è meno frequente, Campobasso e Isernia).

Afferma On the Road: "Nel panorama europeo e mondiale l’Italia occupa la posizione di paese leader nel settore. Tale posizione di eccellenza si impernia sull’art. 18 del Decreto Legislativo n. 286/98 (Testo Unico sull’Immigrazione). Una norma innovativa che, ponendo al centro la relazione tra persone immigrate e l’assoggettamento a condizioni di sfruttamento e diversificate forme di violenza, intende sostenere le vittime di tali violenze e coercizioni e contrastare il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale o di altro genere.

In particolare la normativa prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno alle vittime del trafficking e la realizzazione di un percorso di inclusione sociale mediante i programmi di assistenza e integrazione sociale. In tale sistema – continua - è cruciale il rapporto di collaborazione tra le Questure e i servizi sociali dei Comuni o le organizzazioni no profit accreditate, e cioè iscritte all’apposito Registro Nazionale previsto dal Testo Unico sull’Immigrazione e dal relativo Regolamento di Attuazione.

All’art. 18, dall’anno scorso, si affianca un ulteriore strumento, la Legge n. 228/2003 recante "Misure contro la tratta di persone", che prevede pene molto severe per i trafficanti, maggiori possibilità per la confisca dei beni, un più incisivo potere investigativo per le forze dell’ordine. Il reato di traffico viene infatti equiparato per molti versi ai delitti di stampo mafioso".

Il protocollo tra la Questura di Ascoli Piceno e l’Associazione On the Road costituisce un documento che, definendo le procedure di applicazione dell’art. 18, ne valorizza a pieno la duplice valenza di strumento di tutela delle vittime e di contrasto alla criminalità.

"La forza dell’art. 18 – continua l’associazione - risiede infatti nell’offerta di una opportunità concreta alle vittime di sottrarsi allo sfruttamento e di ottenere un permesso di soggiorno e la partecipazione ad un programma di assistenza e integrazione sociale.

Ciò sia nel caso in cui sporgano denuncia ("percorso giudiziario"), sia nel caso in cui, non essendo nella condizione di denunciare, rivolgendosi agli enti sociali preposti, forniscono comunque informazioni utili per le indagini ("percorso sociale"). È proprio la protezione delle vittime a creare quel clima di fiducia che porta le stesse a collaborare con le forze dell’ordine e la giustizia e quindi a fornire gli elementi utili al contrasto alla criminalità organizzata che le sfrutta.

Il protocollo, dunque, non solo interpreta correttamente e pienamente lo strumento dell’art. 18 ma può anche rappresentare una "buona prassi" a livello nazionale, visto che non tutte le Questure hanno saputo apprezzarne in toto la validità, limitandosi spesso ad una interpretazione "premiale" che di fatti ne riduce le potenzialità".

In sintesi il protocollo si caratterizza per i seguenti elementi: stabilisce le procedure per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione sociale ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. 286/98. In particolare, sono indicate le modalità di accesso, prosecuzione e uscita dal programma di assistenza e integrazione sociale ai sensi dell’art. 18; ripercorre poi tutte le fasi dell’iter amministrativo, stabilendo requisiti e presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno.

Inoltre, in linea con il dettato normativo, ribadisce la possibilità di intraprendere il percorso di assistenza e integrazione sociale anche in assenza di una formale denuncia della persona (il cosiddetto "percorso sociale").

Ed ancora: recepisce le indicazioni fornite dalle circolari del ministero dell’interno (in particolare consente il rilascio del permesso di soggiorno in attesa delle revoche da parte delle prefetture dei decreti di espulsione); esplicita la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per motivi umanitari anche nel caso in cui la persona sia titolare di un contratto di lavoro parasubordinato, registrando in tal modo i mutamenti del mondo del lavoro e accogliendo le istanze provenienti dagli esperti del settore.

La funzione ultima dell’accordo è quella di chiarire e snellire le procedure per il rilascio del permesso di soggiorno, nonché quella di dare chiara e piena interpretazione alla norma attraverso l’elaborazione di procedure condivise.

Quanto ai risultati raggiunti dall’Associazione On the Road nel contrasto della tratta grazie all’applicazione dell’art.18 (con il progetto denominato "Sconfinando: dalla tratta all’autonomia"), ecco i dati relativi al periodo maggio 2003-maggio 2004.

Il progetto, realizzato dall’Associazione On the Road nei territori di Marche, Abruzzo e Molise con la compartecipazione di numerosi enti locali e con la collaborazione delle Prefetture, delle Forze dell’Ordine, della Magistratura, dei servizi sanitari e di altre agenzie del territorio, ha visto prendere in carico 85 persone, di cui 46 ex novo (39 persone sono invece in continuità con il periodo precedente). Le ragazze sono soprattutto rumene (30) e nigeriane (22), seguono a grande distanza le altre tra cui albanesi (9) e ucraine (7).

La maggior parte delle ragazze sono state contattate dalle Forze dell’Ordine (29), mentre 14 si sono rivolte autonomamente, 10 sono state contattate dalle unità mobili, 10 dagli enti del privato sociale, 8 dai clienti stessi e 6 si sono rivolte al numero verde antitratta.

Infine, per ciò che concerne l’oggetto dell’accordo con la Questura di Ascoli Piceno, va detto che l’attività svolta con le questure stesse ha portato all’attivazione di 78 procedure (per rilascio del permesso di soggiorno per attivazione del percorso sociale o del percorso giudiziario, per un totale di 68, ma anche per altri motivi: rinnovo, conversioni per lavoro o conversioni per altro motivo), di cui la maggior parte (41) proprio con la Questura di Ascoli Piceno.

Caritas: indagine su povertà famiglie e accesso ai servizi

 

Redattore Sociale, 5 novembre 2004

 

Nel Rapporto Caritas-Fondazione Zancan "Vuoti a perdere", sono stati pubblicati anche i risultati della prima indagine nazionale sulla relazione tra povertà delle famiglie italiane e accesso ai servizi sanitari, condotta insieme alla Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg).

Tra i dati emersi dal "case-study" del V Rapporto, solo il 3% dei pazienti stranieri (rispetto al 4,2%, percentuale di immigrati rispetto alla popolazione italiana) ricorre ai medici di famiglia, e l’incidenza scende all’1% nel Mezzogiorno. Gli immigrati, quindi, utilizzano spesso in modo strumentale il pronto soccorso.

Sono i medici di famiglia, oggi, a valutare i reali bisogni sanitari dei cittadini e a regolare l’accesso a tutti gli altri servizi offerti dal Servizio sanitario nazionale (Ssn). Ogni medico di famiglia, in Italia, assiste in media 1.059 cittadini. Complessivamente, nel 2001 i medici di famiglia erano 46.907.

L’indagine ha cercato di sondare l’accesso ai servizi offerti dal Ssn, con particolare riferimento ad alcune categorie di cittadini a rischio di emarginazione ed esclusione sociale: anziani, malati cronici, persone con problemi di alcol e tossicodipendenza, immigrati, persone affette da demenza, cittadini senza dimora. Un questionario via internet è stato inviato a un campione rappresentativo di 1.836 medici di medicina generale; ha risposto ben il 79%.

Dai risultati emergono i problemi che "impediscono un pieno accesso ai diritti di salute da parte delle fasce deboli considerate". Innanzitutto, "l’assistenza primaria fornita dai medici di famiglia, pur garantita in tutto il paese, mostra delle lacune nell’integrazione con gli altri servizi territoriali, soprattutto in relazione all’assistenza ai pazienti psichiatrici e a quelli affetti da dipendenza da alcol o sostanze stupefacenti".

Inoltre si registrano "notevoli variabilità tra il Nord e il Sud del paese, con minore presenza di servizi nelle regioni meridionali". Un altro nodo concerne riguarda "le politiche di integrazione, che dovrebbero garantire i diritti di cittadinanza tout court, con particolare riguardo agli immigrati e ai nomadi, particolarmente esposti al rischio di esclusione sociale". Anche se il Servizio sanitario italiano, in definitiva, "risulta tra i pochi sistemi al mondo in grado di garantire gratuitamente ai cittadini l’assistenza integrativa sociosanitaria". Di seguito, alcune aree critiche.

Anziani: l’Assistenza domiciliare integrata (Adi) erogata a domicilio dei pazienti - nella quale sono previsti, oltre al medico di medicina generale anche altre figure professionali (l’infermiere, il terapista della riabilitazione, il medico specialista, oltre che assistenti sociali, operatori addetti all’assistenza e volontari) - è attivata nel 100% dei casi contattati nel Nord-Est e in percentuali elevate nel Nord, Centro e isole, mentre al Sud più di 1/4 del territorio ne risulta sprovvisto. Al Nord, in più della metà dei casi sono sufficienti 48 ore per attivare il servizio e, comunque, entro 7 giorni più del 90% delle Adi richieste sono attivate. Nel Sud, solo il 27% delle richieste vengono soddisfatte entro 48 ore e il 67,4% entro 7 giorni, mentre il 13,2% di attivazioni richiede più di un mese per l’attivazione.

Dipendenze. I dati indicano una media nazionale di 7,5 pazienti su 100 con problemi di dipendenza da alcol (con un picco di 10,8 pazienti nel Nord-Est) e 3,4 con dipendenza da sostanze per medico intervistato. Si evidenzia un netto scollamento fra le strutture specialistiche che si occupano di dipendenze e i medici di famiglia. La situazione migliore è quella del Nord-Est, dove nel 39% dei casi i medici di famiglia collaborano con i SerT., nel 23,2% con i centri di disassuefazione. La situazione peggiore è quella del Sud, dove la collaborazione è limitata al 19,7% dei casi nei confronti dei SerT e al 9% nei confronti dei centri di disassuefazione.

Immigrati. A fronte dell’ordinarietà del fenomeno migratorio (2.500.000 unità gli immigrati regolarmente presenti in Italia, pari al 4,2% della popolazione), le difficoltà di accesso ai servizi da parte degli immigrati sono dovute a: scarsa conoscenza della lingua italiana (31,9%), scarsa conoscenza della rete dei servizi (34,9%), difficoltà economiche (29,2%). Minor peso viene attribuito alla "possibilità/capacità di veder rispettati i propri diritti" (17,1%) o a motivi religiosi o culturali (12,4%).

Demenza. Interessa circa 600 mila italiani: circa 15, in media, per ogni medico di famiglia. La malattia di Alzheimer è la forma più frequente di demenza, rappresentando oltre la metà dei casi. Le risposte dei medici che hanno partecipato all’indagine non sembrano, però, essere in linea con questi dati epidemiologici. I medici che dichiarano di avere meno di 5 pazienti affetti da demenza sono ben il 43,6% al Sud, mentre nelle altre regioni si aggirano intorno al 30%. La maggior parte dei medici dichiara di avere 6 -10 pazienti, mentre percentuali più basse dichiarano più di 10 pazienti con demenza.

Malattia mentale. I servizi di supporto alle famiglie con malati psichiatrici presentano una diffusione maggiore rispetto a quelle con malati affetti da demenze, almeno al Sud e nelle isole. Ma (salvo nel Nord-Est ), in più della metà dei casi non esiste un rapporto di collaborazione fra medico di famiglia e Servizio di igiene mentale, quindi viene a mancare la continuità terapeutica.

Sassari: Unida e Loi sospendono lo sciopero della fame

 

L’Unione Sarda, 5 novembre 2004

 

Dopo cinque giorni di sciopero della fame ed altrettante notti passate all’addiaccio, consigliere provinciale Antonello Unida ed il presidente dei detenuti non violenti Evelino Loi hanno interrotto la protesta sotto le mura delle carceri di San Sebastiano: i due contestatori, infatti, sono stati ricevuti dal prefetto Salvatore Gullotta, al quale hanno espresso i motivi della loro protesta, legata alle condizioni disperate ed allo stato fatiscente del carcere di San Sebastiano.

Il rappresentante del Governo ha assicurato che fin dalla "prossima settimana sarà attuato un lavoro di monitoraggio presso il penitenziario sassarese, informando costantemente il ministero della Giustizia e quello dell’Interno sulle condizioni di vita all’interno della struttura carceraria". Una vita che, come spiega Antonello Unida, lo stesso prefetto ha definito "non degna di un essere umano".

Evelino Loi ha messo in evidenza la situazione dei detenuti tossicodipendenti che avrebbero necessità di una diversa sistemazione, in comunità terapeutiche, ricordando inoltre che "sia a Sassari che nel resto dei penitenziari italiani l’azione dei detenuti non violenti continua". Dal suo canto, il consigliere Antonello Unida ha illustrato al rappresentante di governo, oltre alla gravissima condizione dell’intero istituto di pena, la grande preoccupazione per lo stato di totale degrado del braccio femminile, per la carenza dell’organico della polizia penitenziaria e degli operatori sociali. Antonello Unida, inoltre, ha ottenuto di poter partecipare alle operazioni di controllo promesse dal prefetto.

Perugia: detenuta da 3 mesi per bancarotta, s’impicca in cella

 

La Nuova Sardegna, 5 novembre 2004

 

Era stata la titolare di una società, la Confezioni italiane Srl, con sede a Sassari, fabbrica di magliette e tute da ginnastica, dichiarata fallita nel ‘93. Si è tolta la vita dopo essere stata abbandonata dai suoi soci e quando a pagare il conto con la giustizia è rimasta sola perché era lei, Angelina Giordano, 55 anni, due figli, di Prato, la rappresentante legale. La fine di Angelina Giordano, secondo il suo legale e la famiglia, è una morte annunciata.

"Che si sarebbe potuta suicidare lo hanno detto le perizie prima ancora che finisse in carcere" dice senza paura di abusare di un luogo comune l’avvocato Massimo Taiti che ha seguito solo l’ultima parte della vicenda giudiziaria e che pochissimo conosce della storia del fallimento. E domenica sera le guardie carcerarie l’hanno trovata impiccata in cella nel carcere femminile di Perugia.

È stato un suicidio, è vero, ma secondo l’avvocato difensore di Angelina Giordano ci sarebbero precise responsabilità dell’amministrazione carceraria e, in parte, del tribunale di sorveglianza di Perugia, che avrebbe dovuto dare una risposta all’istanza di scarcerazione presentata ad agosto, meno di un mese dopo essere finita dietro le sbarre.

La donna, in cura per depressione, non si era nemmeno presentata al processo che si era svolto Sassari dove è stata giudicata in contumacia senza neanche l’ausilio di un legale di fiducia. Ritenuta "irreperibile", non ha presentato appello e la condanna, così, è diventata definitiva.

Per lei si sono aperte le porte del carcere per 4 anni, la pena per la bancarotta fraudolenta. In quel momento è arrivata la telefonata all’avvocato Taiti: "Mi tiri fuori perché non resisto". L’istanza è partita subito. "Sembra incredibile, ma non hanno trovato il tempo di dare una risposta", dicono i familiari.

Angelina Giordano è stata arrestata il 21 luglio perché è diventata definitiva la condanna. "Possiamo affermare la incompatibilità assoluta con l’attuale regime carcerario e la necessità che quanto più rapidamente possibile sia instaurato un trattamento terapeutico corretto e operante al di fuori di un qualsiasi istituto di pena" ha scritto il neurologo Giovanni Giammaroli in una perizia psichiatrica che l’avvocato Taiti ha allegato alla sua prima istanza di scarcerazione, lo scorso 11 agosto. L’esito della vicenda sembra già scritto nella perizia, quando il medico afferma che le ansie e le paure di Angelina "finiscono con l’esaurire il carico di energia psichica necessaria per continuare a vivere".

A quella istanza non è stata data alcuna risposta da parte del Tribunale di sorveglianza, e nemmeno a una successiva, datata 8 ottobre. Nel frattempo le condizioni di Angelina Giordano sono andate gradualmente peggiorando, ma nessuno nei palazzi della giustizia, fatta eccezione per il suo avvocato, se n’è reso conto. Tanto che, e qui arrivano le presunte responsabilità dell’amministrazione carceraria, le è stato lasciato l’accappatoio con la cintura, che poi la donna ha usato per impiccarsi.

Potevano salvarla? In questi casi è sempre difficile dirlo, sono tanti i detenuti che ogni giorno affermano di non poter stare un’ora di più in carcere e gli avvocati che presentano istanze. Certo è che nelle carte in possesso della difesa non ce n’è una che dimostri qualche attività del giudice di sorveglianza. Si può dunque affermare, col senno di poi, che il caso meritava almeno una risposta più veloce, positiva o negativa che fosse. La risposta Angelina Giordano se l’è data da sola.

Treviso: Caritas, parte il progetto "Minori alla porta"

 

Vita, 5 novembre 2004

 

La Caritas Tarvisina ha inaugurato il nuovo progetto "Minori alla porta", avviato anche con un contributo dell’8 per mille. Sono moltissime le situazioni cui fa fronte, come quella di Nadia, che è nata 20 giorni fa. "La sua mamma era arrivata in Caritas alla fine di agosto, accompagnata dall’ennesimo cliente della notte prima che si era impietosito" spiega in un comunicato il direttore Caritas, Bruno Cavarzan. "Ora vivono entrambe in una comunità di accoglienza, la giovane dovrebbe cominciare il percorso di reinserimento sociale".

Oppure, ancora, quella di Jarir, che di anni ne ha 16, è in Italia da 4 e 2 li ha trascorsi all’IPM (Istituto penale minorile) di Treviso perché il suo avvocato non l’ha difeso in processo. Ha rubato un lettore cd. Adesso la Corte d’Appello ha deciso di "metterlo alla prova", gli ha ridato la libertà e lo ha affidato ad una famiglia accogliente.

"I dati dicono che nel nostro territorio sono in aumento il disagio e le devianze dei minori, le forme di bullismo, di aggressività, di trasgressione" prosegue don Cavarzan. "La cronaca segnala quotidianamente episodi incresciosi e fatti drammatici in cui sono coinvolti come vittime o piccoli criminali. Solo per dare un numero, nel 2003 in Veneto sono stati 2576 i ragazzi allontanati dalle famiglie di cui 713 in affido familiare e 1863 in strutture di accoglienza. Di fronte a tutto ciò la Caritas Tarvisina ha ritenuto doveroso intervenire".

Le iniziative avviate sono molteplici: i domicili di alcuni volontari concordati con i servizi sociali dei Comuni; le "adozioni a vicinanza" di figli di detenuti della casa circondariale di Santa Bona, il lavoro di rete solidale nel territorio per sostenere mamme sole con figli a carico, l’attività all’interno dell’IPM di Treviso, i doposcuola. "L’aspetto più interessante – è più innovativo – dell’intero progetto riguarda le famiglie accoglienti. In pratica la Caritas sta cercando di creare un gruppo di famiglie che rifletta sul tema dell’apertura e dell’accoglienza come carisma specifico della famiglia nella comunità".

Si tratta, finora, di persone che hanno già avuto – o ancora sono in atto – esperienze di adozione o affido nelle sue varie forme. Una di esse, supportata da coppie di amici con cui stanno compiendo un percorso di riflessione, apre le porte di casa sua un pomeriggio alla settimana e accoglie bambini di mamme che lavorano, 1 giovane psichico, 1 gruppo di volontari, alcuni fidanzati: normalità e disagio si riuniscono in una forma di accoglienza che ha creato relazioni importanti e punti di riferimento solidi. Un’altra famiglia accoglie durante il fine settimana un giovane che vive in una comunità per minori. Gli fa respirare aria di casa.

Per raccogliere tutte le informazioni sul territorio e avviare il progetto l’Osservatorio delle povertà e delle risorse della Caritas di Treviso ha pubblicato, con il contributo qualificato di alcuni massimi esperti del settore, un quaderno "Minori alla porta. Il disagio dei minori privi di affetti e sicurezze. Un appello alle famiglie e alle istituzioni". In esso confluiscono importanti contributi di esperti del settore, con l’obiettivo di articolare una riflessione attenta sulle difficoltà in cui vivono tanti bambini: tappati a in casa davanti alla televisione oppure in giro per strada tutto il giorno fino al rientro dei genitori. Senza contare quelli i cui genitori sono separati o proprio non li hanno.

Per ricevere informazioni o materiale sul progetto contattare la Caritas diocesana di Treviso, via Longhin, 7 – 31100 Treviso, tel. 0422.576816 caritas@diocesitv.it, www.caritastarvisina.it

Eboli: torna "il filo di Arianna", la voce dei giovani detenuti

 

La Città di Salerno, 5 novembre 2004

 

Dopo oltre un anno di inattività, nuova uscita de "il filo di Arianna", la rivista realizzata dai ragazzi dell’istituto penitenziario cittadino. Nuovo il direttore, Vincenzo Caputo, nuova la redazione e nuova anche la veste grafica della rivista che per ora punta su una tiratura di 1000 copie. "Si tratta di una scommessa importante, di quelle nelle quali la posta in palio è alta", ha esordito Caputo alla conferenza stampa di presentazione.

L’incontro si è svolto all’interno dell’istituto a custodia attenuata di Eboli, alla presenza della direttrice, Stella Scialpi, delle responsabili dell’area educativa, Caleca e Garofalo, e soprattutto con la partecipazione dei ragazzi dell’istituto. È stata l’occasione per fare il punto sulle attività dell’Icatt di Eboli e il momento per valorizzare il lavoro svolto da una redazione composta interamente da ragazzi ospiti dell’istituto che cura il trattamento dei detenuti ex tossicodipendenti.

"È un’opportunità importante che mettiamo a disposizione di questi ragazzi Ð ha spiegato la direttrice Ð un modo per sensibilizzare i loro interessi e valorizzare le loro attitudini. Credo sia un momento importante che si inserisce nel processo di reintegrazione di questi soggetti". Concordi alla direttrice sono gli stessi detenuti.

Per Prisco, che con Ferrara, Cannavacciuolo, Nisi, Giordano, Accettola, Grasso e Faggiano formano la redazione, il giornale è come un telefono: un modo per diffondere all’esterno la voce di chi è recluso. "Il periodico dell’Icatt di Eboli - spiega il direttore Caputo - è già una realtà. È un progetto che si protrae dal 1998. Salgo, dunque, su un treno già in corsa. L’itinerario sarà ampio. Le fermate, si spera, le meno possibili. Cercherò di alleggerirlo, renderlo snello, accattivante. Il "filo di Arianna" sarà un periodico di informazione, di dibattito, di riflessione. Sarà il manifesto di una realtà".

Caltanissetta: il Comune sostenga la protesta dei detenuti

 

La Sicilia, 5 novembre 2004

 

La richiesta viene avanzata da Alfredo Maffi, presidente della sezione nissena dell’associazione "Papillon", con una lettera aperta a tutti i consiglieri comunali. "La situazione delle carceri italiane - scrive Maffi - ha raggiunto da troppo tempo un rarissimo livello di degrado sia fisico che giuridico.

Il sovraffollamento delle celle, la carenza cronica (spesso la mancanza) del servizio sanitario, del servizio socio assistenziale e del servizio educativo, svuotano la vita dei detenuti di ogni dignità. La mancanza di lavoro dentro le carceri e la mancanza di servizi assistenziali efficaci scaraventano molti detenuti e le loro famiglie nella povertà. Lo stesso dicasi per la quasi totale assenza di aiuto agli ex detenuti che rende l’uscita dal carcere un inferno di precarietà e vanifica molti tentativi di reinserimento sociale".

Per cancellare questa condizione, "Papillon" e i detenuti delle carceri chiedono la fine dell’abuso della carcerazione preventiva, (circa il 40% dei detenuti sono in attesa di giudizio), l’applicazione effettiva della legge "Gozzini", il recepimento dell’uso delle pene alternative al carcere per i reati minori la scarcerazione e anticipata per i detenuti che ne hanno i requisiti, il rispetto del diritto alla salute, un vero indulto o una amnistia che alleggerissero realmente l’attuale sovraffollamento che non è stato neanche scalfito dall’indultino approvato dal Parlamento l’anno scorso. Ora Maffi chiede solidarietà ai consiglieri comunali nisseni con la convocazione di una seduta all’interno del carcere.

Thailandia: contro Aids governo distribuisce profilattici ai detenuti

 

Ansa, 5 novembre 2004

 

Per contrastare la lotta all’Aids, il governo thailandese ha deciso di avviare un progetto che prevede la distribuzione di 100mila profilattici in 100 prigioni statali. Lo ha reso noto il ministro delle Giustizia, Pongthep Thepkanjana, a margine della 15.ma conferenza mondiale dell’Aids.

I dati finora disponibili sulla diffusione del virus nelle carceri thailandesi non sono affidabili, perché ai detenuti non viene fatto alcun test. Le prigioni del Paese ospitano circa 260mila reclusi: 7 mila in più di due anni fa, quando il precedente ministro aveva dichiarato che erano già al limite della capienza.

Giappone: carceri sovraffollate per l’aumento dei crimini

 

Ansa, 5 novembre 2004

 

Qualcosa si sta incrinando in uno dei paesi considerati, a ragione, tra i più sicuri al mondo come il Giappone, se i suoi penitenziari fanno registrare un costante aumento dei tassi di sovraffollamento. La denuncia è contenuta nel Libro Bianco sulla criminalità 2003 reso noto oggi dal ministero della giustizia giapponese. Nell’anno in questione il tasso di sovraffollamento delle carceri ha raggiunto 116,6%, un livello mai raggiunto dall’inizio di questo rilevamento statistico nel 1972.

E, nello stesso anno, il numero assoluto della popolazione carceraria in Giappone ha superato per la prima volta dal 1960 quota 60.000, arrivando a 61.500. "Ci sono detenuti costretti a dormire nelle biblioteche dei penitenziari e ad aspettare fuori il loro turno per mangiare alla mensa" rileva il rapporto. La colpa? Un considerevole aumento dei crimini di ogni tipo, che nel 2003 hanno superato per la prima volta nel dopoguerra i 500.000 casi in un anno, toccando quota 554.600.

In particolare, 1.452 casi di assassinio, +4% rispetto al 2002, 7.664 rapine a mano armata, +9,7%, 2.472 stupri, +4,9%, 2.070 incendi dolosi, +13,1%. Particolarmente preoccupante il balzo delle truffe telefoniche a danno di anziani note sotto il nome "ore-ore saghi" (truffe sono io, tradotto in italiano): malintenzionati che spillano danaro a incauti anziani spacciandosi al telefono per figli o nipoti: "Sono io, ho bisogno di soldi, mandameli subito".

Nel 2003 i casi sono ammontati a 6.054, con danni per complessivi 4,3 miliardi di yen (31 milioni di euro al cambio attuale). "Il Giappone - ammonisce il Libro Bianco - sta diventando una società dal crimine facile".

Stando ad un recente sondaggio, l’86% della popolazione giapponese ritiene che il paese diventato molto meno sicuro in questi ultimi 10 anni, soprattutto a causa dell’aumento degli immigrati, in particolare dalla Cina. Fatto forse vero per assassini e rapine, meno invece per la truffe telefoniche "sono io, sono io", frutto di gente di lingua materna giapponese.

Stando ad alcuni giornali, queste truffe sarebbero avvenute di recente numerose nelle zone colpite dai violenti terremoti della fine di ottobre nella prefettura di Niigata. Nonostante i giustificati allarmi del Libro Bianco, il Giappone continua ad avere un tasso di incarcerazione dei più bassi tra i paesi sviluppati, con 61.500 detenuti su una popolazione di 127 milioni di abitanti, vale a dire 45 detenuti su 100.000 abitanti, contro 95 dell’Italia, 116 dell’Australia, 686 degli Stati Uniti).

Sala Consilina: carcere rimane aperto, ma a spese del Comune

 

La Città di Salerno, 5 novembre 2004

 

Il carcere di Sala Consilina in via Gioberti resterà in funzione fino alla realizzazione del nuovo, i cui lavori potrebbero iniziare già a dicembre 2005. Il ministro di grazia e giustizia, Roberto Castelli, si è infatti detto disponibile a garantire l’apertura della struttura. Il Comune, però, nel frattempo dovrà assumersi le spese che dovessero rendersi necessarie per migliorare le condizioni di funzionalità e sicurezza dell’attuale carcere.

La disponibilità del governo è stata confermata anche dal ministro delle riforme, Roberto Calderoli che, grazie all’intervento della padulese Tiziana Bove Ferrigno, candidata con la Lega alle ultime consultazioni per il parlamento europeo, ha reso possibile l’incontro tra Castelli e la delegazione degli avvocati dei Tribunali di Sala e Lagonegro e dello stesso sindaco Ferrari.

"Superato l’ostacolo della sistemazione della struttura con minimi requisiti di decoro e di sicurezza, c’è la piena volontà del governo e della maggioranza di mantenere aperta la struttura fino alla realizzazione della nuova - conferma Calderoli - per il nuovo carcere è pronto un emendamento per fine anno. Seguiranno gli interventi del dipartimento di amministrazione penitenziaria.

A dicembre verrò io stesso nel Vallo di Diano per accelerare i tempi e far partire le procedure per la costruzione della nuova struttura. Inoltre, posso garantire che non c’è alcun rischio di chiusura del Tribunale di Sala". Il sindaco Ferrari nel corso della riunione ha dato la disponibilità al ministro Castelli per finanziare la manutenzione ed è stato quindi deciso di costituire una commissione tecnica con esperti del Dap e un tecnico comunale che avranno il compito di quantificare le spese necessarie. Un iter infine che porterà alla revoca del decreto.

All’incontro hanno partecipato, oltre ai ministri, la Bove Ferrigno, il sottosegretario Santelli, e i parlamentari Leo Borea e Franco Brusco, che dopo una prima riunione hanno accolto la delegazione costituita da avvocati dell’ordine forense di Sala Consilina e Lagonegro, con gli avvocati Daniello e il presidente dell’ordine lagonegrese Aldinio, dal sindaco Ferrari e dagli assessori Cartolano, Rivellese e Cavallone.

"Il mantenimento del carcere è un fatto estremamente positivo. Sono grato a quanti hanno offerto un valido contributo per la soluzione della vicenda e in particolare all’architetto Bove Ferrigno, grazie al cui interessamento è intervenuto il ministro Calderoli che a sua volta ha svolto un ruolo importantissimo".

Stati Uniti: esce calendario con foto segnaletiche dei vip

 

TG Com, 5 novembre 2004

 

Abbacchiati, depressi, con lo sguardo basso. È l’altra faccia dei divi di Hollywood che da Beverly Hills sono precipitati in un dipartimento di polizia per aver commesso qualche marachella e che ora vengono riproposti in un calendario, realizzato con la collaborazione del dipartimento americano. Droghe, violenza domestica o, come caso di Hugh Grant, serate con prostitute. Per chi non sa ancora tutto di queste illustri figuracce.

L’interprete di "Notting Hill" sarà Mr Gennaio nel calendario, ovviamente insieme a Divine Brown, la prostituta che nel 1995 venne trovata in una BMW con lui, mentre eseguiva "magistralmente" il suo lavoro. Dopo il blitz dei poliziotti, Grant finì al commissariato e la sua relazione con l’attrice Liz Hurley direttamente in cantina.

Il signor dicembre è invece Christian Slater, arrestato nel 1994 per possesso di arma da fuoco, mentre protagonista del mese di ottobre è Matthew McConaughey, "pizzicato" con della droga nella sua Austin. Poco prima i poliziotti avevano perquisito la sua casa e l’avevano sorpreso nudo, mentre giocava a bongos.

A maggio tocca invece a un mito cinematografico: Al Pacino, che nel 1961 finì in carcere perché gli agenti lo trovarono in possesso di un fucile. L’attore si scusò dicendo che era tutto previsto dal copione, ma finì ugualmente in manette a scanso di equivoci.

L’attore Robert Downey Jr con la sua condotta offriva una vasta gamma di fotografie segnaletiche, ma per il mese di giugno gli agenti hanno scelto quella dell’arresto avvenuto nel 1996, per possesso di droga e cocaina.

Il sex appeal dell’almanacco s’impenna nei mesi rimanenti con Keanu Reeves, in gattabuia nel 1992, Carmen Electra, la baywatch arrestata insieme al marito Dennis Rodman nel 1999 per violenze domestiche, e Anna Nicole Smith che ultimamente ha fatto di commissariati e tribunali una succursale del suo appartamento.

Roma: brindisi con il vino prodotto dai carcerati di Velletri

 

Vita, 5 novembre 2004

 

C’è perfino lo stemma della Repubblica sulle bottiglie di vino che arrivano dal carcere di Velletri, alle porte di Roma. Tre etichette che non lasciano spazio a dubbi. Si chiamano "Quarto di luna", "Le sette mandate" e "Il fuggiasco". Saranno in vendita sugli scaffali di supermercati e ipermercati laziali della Unicoop Tirreno, oltre che in quelli di Livorno.

Entro Natale, potranno essere acquistati anche negli altri punti vendita che la cooperativa ha in Toscana. I vini sono prodotti dalla coop. sociale Lazzaria, che opera all’interno della casa circondariale di Velletri, un carcere di media sicurezza in cui lavorano una quindicina di persone, fra detenuti ed ex detenuti. La produzione annua è di circa 40 mila bottiglie.

Unicoop Tirreno ne commercializzerà oltre trentamila, investendo in un progetto di recupero sociale unico in Italia, così come unico è il caso di una cantina che può inserire sulle sue etichette il sigillo della Repubblica Italiana.

Milano: production a San Vittore, dietro le sbarre si gira

 

Kataweb, 5 novembre 2004

 

"Se arrivassero gli extraterrestri e vedessero San Vittore non capirebbero niente: pieno di gente che passa la giornata a oziare quando fuori tutti si fanno il mazzo!". Il ragionamento è paradossale ma illuminante: in una battuta smaschera i pregiudizi e costringe a riconsiderare la funzione sociale della pena.

Chi lo pronuncia è Massimo, uno dei detenuti protagonisti di Il grande fardello, una scatenata parodia del format televisivo più famoso del mondo presentata ieri all’istituto di via Filangeri. Pensato inizialmente come saggio finale del corso di formazione professionale del Fondo Sociale Europeo organizzato nel carcere dalla Cooperativa Estia, il film ha attivato energie e risorse insospettate e si presenta ora come un prodotto di ottimo livello, sia dal punto di vista creativo che da quello tecnico.

"L’idea di partenza - ci spiega Marianna Schivardi che, insieme a Simone Pera, ha diretto il film - era di lavorare su un modello noto per ribaltarlo completamente. Si pensi soltanto che nel Grande fratello televisivo i concorrenti lottano per rimanere dentro, mentre è chiaro che a San Vittore questa non è un’ambizione particolarmente diffusa. E poi in tv la realtà è più che altro apparenza: dietro ci sono sceneggiatori e scalette rigidissime. Nel nostro caso una volta organizzato il dispositivo, che replica le situazioni del Grande fratello con prove, nomination, confinamento nel tugurio e conquista della suite, tutto è stato lasciato all’improvvisazione dei detenuti".

Di particolare interesse i momenti al confessionale con i protagonisti che, alle prese con un momento delicatissimo, dimostrano notevole autonomia di giudizio, organizzano ragionamenti e avanzano vere e proprie rivendicazioni. Il tutto con un’allegria impensabile e contagiosa, che dimostra come protagonisti e operatori abbiano affrontato il serissimo impegno con spirito ludico. Piuttosto che affrontare il problema del carcere attraverso filtri pensosi, Pera e Schivardi hanno invitato i loro attori improvvisati a impossessarsi del meccanismo del reality show e di giocarci liberamente.

Ad ascoltare Alberto che legge la sua agenda fittissima di impegni o Luca che si autopromuove davanti alla macchina da presa ci si rende conto dell’impressionante consapevolezza linguistica raggiunta dai protagonisti, che con la massima disinvoltura disarticolano il meccanismo tritatutto del format e ne usano i componenti a loro piacimento.

Di fronte a una così brillante dimostrazione di come fare buon uso della cattiva televisione, non resta che rimanere ammirati e sperare che il video abbia il massimo di diffusione possibile. La sua capacità di parlare allo stesso modo a chi sta dentro e a chi sta fuori è una risorsa preziosa, che dimostra l’importanza del lavoro di chi fa formazione professionale e animazione culturale in carcere.

Quest’anno la cooperativa Estia ha deciso di andare oltre la formazione e di confrontarsi con il mercato dei servizi di post-produzione digitale (gestione di archivi, duplicazioni e restauro di vecchi supporti magnetici, montaggio audio-video). Una sfida difficile ma, alla luce di questi risultati, tutt’altro che impossibile.

 

 

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