Rassegna stampa 4 novembre

 

Sanità: l’identikit del detenuto nella fotografia dell’ISS

 

Adnkronos Salute, 4 ottobre 2004

 

È un uomo di nazionalità italiana, intorno ai 30 anni, in un caso su due tossicodipendente. È questo l’identikit del malato di HIV, epatite B o epatite C recluso nelle carceri italiane secondo un’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità dal novembre 2001 al febbraio 2002, in otto istituti penitenziari. Obiettivo: capire se i detenuti siano più a rischio di contrarre un’infezione da HIV, epatite B o C rispetto alla popolazione generale. Su un numero complessivo di 5.500 detenuti, hanno partecipato all’indagine 973 soggetti, provenienti per la maggior parte dal Sud e dalla Sardegna e per il restante dal Centro e dal Nord Italia.

"Lo studio da noi condotto ci ha consentito di trarre alcune importanti conclusioni per migliorare le condizioni di vita di quei reclusi che vedono aggravarsi il proprio stato di salute a causa della concomitanza di carcere e malattia", afferma Gianni Rezza, direttore del Centro Operativo Anti Aids dell’ISS e responsabile dell’indagine, "ora sappiamo che le infezioni da HIV, epatite B e C, sono prevalenti nella popolazione carceraria e che la tossicodipendenza è il principale fattore di rischio per questo tipo di infezioni".

I risultati mostrano che l’HIV predilige i detenuti piuttosto giovani, quasi tutti di nazionalità italiana e che hanno già fatto l’esperienza del carcere almeno una volta nella vita. Sul campione totale preso in esame, composto da 973 detenuti, 73 risultano sieropositivi: tra questi 7 donne e 66 uomini. Prevalgono quelli con un’età inferiore o uguale ai 35 anni che sono 44, mentre i restanti 29 hanno più di 35 anni. Sul fronte dei comportamenti a rischio, al primo posto si colloca lo stato di tossicodipendenza che accomuna circa 50 detenuti.

Tra gli altri, si contano 16 eterosessuali e solo 3 omosessuali ‘non tossici’. Altro fattore di rischio è rappresentato dai rapporti sessuali non protetti: se 42 detenuti hanno preso adeguate misure precauzionali, ben 31 hanno ammesso di aver avuto rapporti non protetti. Di media, inoltre, sono già stati in carcere quattro volte nella vita per una durata di circa due mesi e mezzo. Numerosi, per l’esattezza 55, coloro che hanno almeno un tatuaggio sul corpo, mentre sono solo 11 i carcerati che, per diversi motivi, hanno ricevuto una trasfusione di sangue.

Caratteristiche simili ai sieropositivi presentano i detenuti colpiti da un’infezione di epatite B o C. Anche in questo caso bersagli privilegiati sono soggetti di nazionalità italiana (poco meno del 90%) e di sesso maschile. Ma qui il numero di casi riscontrati è molto più elevato: 882 individui sui 973 presi in esame risultano avere contratto una delle due infezioni. Più precisamente, 370 detenuti, divisi in 26 donne e 344 uomini, lamentano un’epatite C e 512, di cui 58 donne e 454 uomini, un’epatite B.

Sul fronte dei comportamenti a rischio, la maggioranza (667 contro 215) ha praticato rapporti sessuali protetti, mentre pochi hanno tatuato una parte del corpo, soprattutto i contagiati da epatite C, in relazione ai quali su 221 soggetti se ne contano solo 13 con un tatuaggio.

Molti mostrano avere una dipendenza cronica dalle droghe (390 soggetti) ma prevalgono gli eterosessuali non tossici, che sono 488. Il fenomeno riguarda soprattutto gli ammalati di epatite B, dove a fronte di 169 tossicodipendenti si contano 340 soggetti eterosessuali non tossici. Pochissimi i contagiati omosessuali: uno nel caso dell’epatite C e 3 per l’epatite B. Infine questo gruppo, pur avendo spesso già sperimentato gli effetti del carcere, risulta nel complesso meno recidivo con una media di tre reclusioni nel corso della vita per una durata di circa due mesi.

Roma: diritti detenuti, esperienze comparate Argentina - Italia

 

Redattore Sociale, 4 ottobre 2004

 

"L’iniziativa nasce con la volontà di affrontare le problematiche relative alla tutela dei detenuti, cercando di diffondere il riconoscimento dell’uguaglianza, della libertà e della giustizia per la salvaguardia dei diritti fondamentali di tutti i cittadini". Così la Vicepresidente della Provincia di Roma, Rosa Rinaldi ha aperto

questa mattina il convegno "Costituzione e diritti dei detenuti, esperienze comparate: Argentina e Italia". Il convegno internazionale è stato promosso dal dipartimento di Scienze giuridiche e politiche dell’Università di Camerino e rientra nel quadro delle iniziative di cooperazione tra la Provincia di Roma e quella di Buenos Aires.

"Non possiamo rinunciare - ha aggiunto l’assessore alla Cultura, Vincenzo Vita - all’obiettivo di estendere e ampliare i diritti dei detenuti, un impegno da valorizzare e perseguire con spirito profondamente democratico. Il dialogo sulla cultura è il dialogo sui diritti e fare politiche culturali significa avvicinarsi sempre di più a questo tema sul quale c’è maggior consapevolezza rispetto al passato".

Il convegno si articola in due giorni di lavoro nel corso dei quali intervengono, tra gli altri, l’ambasciatore argentino in Italia, Victorio Taccetti, il vicedirettore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Emilio di Somma, Guido Calvi, il Senatore e membro della commissione Giustizia, il rettore dell’università di Camerino e presidente del consorzio interuniversitario italiano per l’Argentina, Fulvio Esposito, il presidente dell’Accademia dei Lincei, Giovanni Conso. La conclusione è prevista per domani, venerdì 5 novembre, con l’intervento della vicepresidente della Provincia di Roma, Rosa Rinaldi. 

Ettore Ziccone: il caso di Aurelia è il p complicato del Lazio

 

Il Messaggero, 4 ottobre 2004

 

"La situazione di Civitavecchia - ha dichiarato il Dottor Ettore Ziccone, Provveditore regionale del Lazio - è la più difficile e complicata della Regione Lazio. Soprattutto per le agenti donne". Si conclusa così l’intensa giornata che ieri ha impegnato Cgil-fp, Cisl, Uil, Sappe ed Osapp, con metodi diversi, nell’ennesimo tentativo di trovare soluzioni adeguate alla mancanza di agenti di polizia penitenziaria nel carcere di Civitavecchia.

Così mentre nel carcere di Aurelia, Cgil-fp, Uil, Cisl e Sappe sottoponevano al Provveditore regionale la piattaforma redatta dalla Cgil, l’Osapp e una delegazione di agenti di polizia penitenziaria manifestavano il proprio dissenso a Porta Tarquinia.

"Chiediamo il commissariamento del Dap - ha affermato il segretario nazionale del sindacato autonomo, Leo Beneduci - perché da maggio scorso e poi dal 14 ottobre non è riuscito a risolvere la difficile situazione degli agenti del super carcere. La settimana prossima torneremo in Piazza Montecitorio per manifestare ancora una volta il nostro dissenso e continueremo il presidio nel cortile della casa circondariale di Aurelia".

La piattaforma sindacale proposta dalla Cgil-fp è stata intanto accettata dal dottor Ziccone. "Invierò una lettera al dipartimento - ha dichiarato al termine della riunione il dottor Ziccone - chiedendo al Dap l’immediato invio di 6 unità femminili e l’asegnazione del personale Gom a Civitavecchia. Nel frattempo - ha concluso il Provveditore - cercherò di far aumentare da 17 a 25 le unità in arrivo a Civitavecchia". Alla soddisfazione espressa da Diego Nunzi, segretario locale della Cgil-fp si è però sovrapposta l’insofferenza degli agenti che dal 9 ottobre scorso partecipano alternandosi al presidio di protesta dell’Osapp.

"Nel Lazio mancano 269 unità e il Dap ne ha assegnate soltanto 60 in tutto - ha specificato Leo Benuduci - 17 delle quali a Civitavechia. La situazione si è aggravata poi negli ultimi giorni con l’arrivo della brigatista Diana Blefari, assegnata domenica scorsa alla sezione femminile". Una sezione estremamente in emergenza, ridotta da 9 a sole 6 unità.

E mentre l’Osapp attende dalla settimana scorsa la convocazione del Sindaco Alessio De Sio per la firma del protocollo d’intesa, il Sappe si è incontrato ieri con il sottosegretario alla Funzione pubblica, senatore Learco Saporito che ha assicurato il suo intervento presso il responsabile del Dap, Tinebra, affinché il caso Civitavecchia venga tenuto nella dovuta considerazione. 

Costa d’Avorio: rivolta di detenuti ad Abidjan, 7 morti

 

Ansa, 4 ottobre 2004

 

Una violenta rivolta è esplosa ieri tra i detenuti del carcere Maca, il più grande penitenziario del paese, situato nel distretto Yopougon di Abidjan. Secondo fonti di polizia citate da Reuters e Irin, la rivolta sarebbe scoppiata a causa della mancanza di acqua nella prigione per ben 5 giorni. Medici Senza Frontiere, che ha un proprio ufficio nel carcere, ha dichiarato che i morti sarebbero almeno 7 e i feriti più di 30.

La rivolta sarebbe scoppiata ieri sera e sarebbe proseguita fino alla mattina di mercoledì. I carcerati avrebbero divelto porte e sbarre di metallo, assaltando l’ufficio di MSF e tentando di evadere. Secondo il direttore del carcere alcuni, anche se il numero non è quantificabile, ci sarebbero riusciti. La polizia insieme a forze paramilitari avrebbe circondato il penitenziario, sparando lacrimogeni per bloccare la fuga dei detenuti. Almeno due sarebbero stati uccisi dalle forze di sicurezza. La prigione di Maca è in cronico sovraffollamento. Costruita per contenere 1.500, al momento ne ospiterebbe circa 5.500. L’ONU ha promesso l’apertura di un’inchiesta su quanto accaduto.

 

Bologna: un convegno e uno stand su "comunicare il carcere"

 

Osservatorio sulla legalità, 4 ottobre 2004

 

Il dialogo fra chi gestisce le carceri italiane, i detenuti, le loro famiglie, le vittime dei reati, i volontari ed anche quei cittadini che gettano uno sguardo sul mondo carcerario solo in occasione di fatti eclatanti, è l’oggetto di uno stand presente a Bologna alla tre giorni del Salone europeo della comunicazione pubblica dei servizi ai cittadini ed alle imprese.

Lo stand - interamente realizzato presso il laboratorio di falegnameria dell’istituto penitenziario di Roma Rebibbia Nuovo Complesso - offre notizie dall’Amministrazione penitenziaria italiana sui progetti realizzati nelle carceri o per i condannati in regime alternativo. L’esposizione si è aperta ieri e chiuderà i battenti domani.

Per meglio comunicare con i soggetti interessati, l’amministrazione si è avvalsa della consulenza scientifica dell’Università Lumsa di Roma che ha realizzato una ricerca realizzando focus group con gli operatori penitenziari e somministrando un questionario a persone detenute o sottoposte a misure alternative.

È stata anche analizzata l’informazione giornalistica sugli eventi legati direttamente o indirettamente al carcere, e sono state realizzate 500 interviste ad un campione rappresentativo della popolazione italiana, mentre per le personalità del mondo politico ed istituzionale si è proceduto con interviste.

Dei risultati di tale ricerca, e delle strategie conseguenti, si parlerà oggi alle ore 16.30 nel padiglione 20 sala D, in un convegno dal titolo "La centralità dell’Amministrazione penitenziaria nel sistema giustizia: linee di strategia della comunicazione" organizzato in collaborazione con l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari.

Al convegno partecipano il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tinebra (in predicato - sembra - per la direzione nazionale antimafia) e diversi docenti universitari dello Iulm di Milano e della Lumsa di Roma.

Negli Istituti di pena italiani sono attualmente detenute 56.000 persone, mentre 38.000 sono quelle ammesse alle misure alternative al carcere e seguite dai Centri di Servizio Sociale per adulti. 

Sala Consilina: "problema carcere", due incontri con Castelli

 

La Città di Salerno, 4 ottobre 2004

 

Saranno addirittura due gli incontri che questo pomeriggio a Roma il ministro Castelli terrà per discutere e dare eventuali risposte sulla soppressione del carcere di Sala Consilina. In extremis, il ministro Calderoli, grazie all’intervento della responsabile di Alleanza federalista, Tiziana Bove Ferrigno di Padula, già candidata con la Lega Nord alle ultime elezioni per il Parlamento europeo, è riuscito a fissare un appuntamento per oggi alle 17 tra Castelli e una delegazione degli avvocati dei Tribunali di Sala Consilina e di Lagonegro, attualmente in astensione dalle attività per protestare contro la chiusura della casa circondariale.

All’incontro parteciperanno anche Calderoli e la stessa Bove Ferrigno; saranno presenti il presidente del Tribunale di Lagonegro, l’avvocato D’Aniello, altri delegati per l’ordine forense di Sala Consilina e una delegazione dell’ordine forense di Lagonegro

L’incontro precederà di circa un’ora un secondo incontro fissato tra il ministro Castelli, i senatori Santelli e Borea e l’onorevole Brusco, al quale, stante quanto riferisce la stessa Bove Ferrigno, parteciperà anche il sindaco di Sala Consilina, Gaetano Ferrari. Dunque, nonostante i dubbi fino all’ultimo minuto relativi all’incontro di una delegazione dei rappresentanti locali, sia sociali che istituzionali con Castelli, ieri sera è giunta la conferma delle convocazioni direttamente da Calderoli.

Convocazioni che finalmente dovrebbero portare a fine serata una serie di risposte sulla vicenda carcere. Risposte si spera rassicuranti per la struttura salese, la cui permanenza significherebbe, per istituzioni, avvocati e cittadini, anche una rilevante garanzia che la realizzazione del nuovo carcere prevista da anni, sia ancora realmente nei programmi del ministero di grazia e giustizia. 

Milano: il Grande Fratello diventa un Grande Fardello

 

Vita, 4 ottobre 2004

 

Cosa succederebbe se in un carcere entrasse il Grande Fratello con tanto di nomination per decidere chi deve uscire dalla casa (di reclusione s’intende)? Se lo sono chiesto due registi, Marianna Schivardi e Simone Pera. La risposta è contenuta nel Grande Fardello, parodia made in jail della più grande produzione televisiva del pianeta. Protagonisti i detenuti del carcere milanese di San Vittore e la cooperativa Estia che ha coordinato il progetto, presentato ieri nel capoluogo milanese.

Il cuore del filmato è senza dubbio il confessionale, da dove i reclusi hanno dato sfogo alle loro rivendicazioni, senza mai rinunciare all’ironia sopratutto verso se stessi. 

Avezzano: cinque indagati per morte detenuto marocchino

 

Il Messaggero, 4 ottobre 2004

 

Per il presunto suicidio del marocchino Adardour Yassine, di 21 anni, avvenuto qualche mese fa al carcere di Avezzano, continuano le indagini della Magistratura e cinque persone sono state iscritte nel libro degli indagati. Lo ha rivelato Elettra Deiana, parlamentare di Rifondazione comunista, che ieri ha visitato proprio la casa circondariale San Nicola di Avezzano.

Gli avvocati difensori del povero Yassine, Graziella Rubeo e Felice Iacoboni, hanno sostenuto che "a tutt’oggi non è stata ancora depositata la perizia medica che dovrà accertare la compatibilità tra il Dna del deceduto e le macchie di sangue che furono trovate sul lenzuolo del letto dello stesso. A questo punto sorge un dubbio inquietante: se Yassine è morto per soffocamento mentre era in cella da solo, da dove sono venute quelle tracce di sangue?

"La dinamica del decesso - ha affermato l’onorevole Deiana - è molto incerta". Secondo la versione ufficiale, il marocchino si sarebbe impiccato con un lenzuolo ma, anche questo particolare, secondo Deiana, appare debole "in quanto lo spazio tra il supporto del televisore dove è stato legato il lenzuolo ed il pavimento non consente ad una persona di rimanere sospesa, neanche piegando le ginocchia; inoltre i segni riscontrati sul collo del poveretto assomigliano a quelli che possono essere provocati da una cinghia, peraltro trovata sul posto, piuttosto che da un lenzuolo".

Allora, qualcuno potrebbe essere entrato nella cella di Yassine? Ecco perché figurano indagati tre agenti del penitenziario e due detenuti. "Da una indagine che ho potuto effettuare sul posto - ha continuato Deiana - è emerso che si tratta di un carcere fatiscente, indecoroso, con celle molto piccole e al di sotto di ogni limite consentito dalle leggi vigenti". Le conseguenze di un così grave disagio possono avere delle conseguenze nella quotidianità, sia per i detenuti, sia per il personale dipendente.

"Mi è parso di capire - ha sottolineato Deiana - che vi è una gestione "familiare, alla buona", basata su molto volontariato: un istituto di pena dove non vi è mai stato un direttore ed anche adesso vi è una reggente". 

Cagliari: frate Nicola mi ha salvato dal carcere...

 

L’Unione Sarda, 4 ottobre 2004

 

"Fra Nicola mi ha aiutato a dimostrare la mia innocenza: oggi lo posso dire a voce alta". Per Giancarlo Loi, il giovane musicista cagliaritano arrestato due anni fa dalla polizia con l’infamante accusa di essere coinvolto in un giro di prostituzione on line, dietro il suo proscioglimento c’è la mano del Beato di Gesturi: non solo perché è un suo lontano parente ma soprattutto perché al nome del cappuccino salito all’onore dell’altare sono legati due episodi di questa vicenda tanto assurda quanto imbarazzante.

Almeno per lui e per chi lo conosce: parenti, amici, fidanzata. Non dice di essere un miracolato, però prende atto della straordinarietà dell’evento. E lo fa con molta serenità. Così come racconta senza tradire particolari emozioni il film della storia di cui è stato suo malgrado protagonista.

L’unica esitazione è il telefono o il campanello di casa: se squilla di notte o di prima mattina lo assale un attimo di panico e di paura. Del resto non è facile dimenticare del tutto quel 4 dicembre del 2002 quando due ispettori della Polpost, uno della Digos e uno della Mobile si presentarono nella sua casa di San Sperate (via Parrocchia) senza spiegare il motivo della loro visita.

"Mi hanno chiesto di seguirli a Cagliari - ricorda - ed io ho obbedito senza fare storie pur cercando di capire il motivo di questa improvvisata mattutina da parte della polizia". Preoccupato, certo, ma sino a un certo punto, poiché i tre ispettori durante il tragitto sembravano tre bravi giovani in gita con sosta ai grandi magazzini della Metro.

"Non avevo fatto colazione e così mi hanno offerto pasta e cappuccino: buon segno, ho pensato, vuol dire che sono in buone mani". Poliziotti, certo, fedeli esecutori di un ordine di cattura arrivato dalla Procura di Verbania, ma gente per bene. "Tant’è che una volta arrivati negli uffici di via Tuveri e messo al corrente del provvedimento mi hanno fatto pranzare con loro. Un pranzo come tra vecchi amici". Le cose magari si sono complicate dopo quando, dopo una sosta negli uffici di viale Buoncammino per le impronte digitali ("Quattro copie") si sono aperte le porte del carcere: cella 3C in compagnia di altri due detenuti.

"Qui ho scoperto, debbo ammettere, un altro mondo, la vera solidarietà degli uomini: basti pensare che quando ho varcato la porta ho trovato il letto già preparato. Sono rimasto senza parole, non potevo immaginare". I due compagni di cella gli hanno offerto la loro acqua ma anche tanta umanità e un paio di battute per liberare la mente dai brutti pensieri. Ma chi era sino a quel momento Giancarlo Loi oltre ad essere un giovane di 36 anni finito all’improvviso in prigione assieme ad altri 350 detenuti? Già, chi era. Potremmo definirlo un musicista visto che suona il piano, compositore e arrangiatore per etichette di buon nome.

Da Cagliari si era trasferito a Milano (regno della musica) per sfruttare un talento naturale che l’aveva spinto con successo nelle discoteche a fare il dj: Alex Remark ma anche JK Lloid erano stati i suo nomi di battaglia in tanti locali alla moda sul litorale del Poetto. Ma Giancarlo Loi era soprattutto un appassionato di internet. La sua idea geniale - dopo aver scritto canzoni e stampato decine di dischi - è stata di trasformare un giornaletto con gli appuntamenti per il popolo della notte (Milano by nigth) in un movimentato giornale on line.

"Ero il rappresentante di una società americana che operava su internet. Continuavo a fare musica ma anche ad affittare qualche spazio nel dominio della bnserver.com: 30 euro con contratto regolare". All’improvviso però si era trovato in carcere. "In effetti - ricorda Giancarlo Loi - non riuscivo ancora a mettere a fuoco bene la vicenda che mi stava capitando: avevo capito che si trattava di una inchiesta nata dall’uso irregolare di uno spazio affittato ad un cliente. Ma io cosa c’entravo? Era tutto regolare: generalità, indirizzo, carte di credito, conto corrente, partita Iva e quant’altro richiede la legge sulla trasparenza".

Durante le ore trascorse in cella poi è via via affiorato nella memoria di Giancarlo Loi qualche ricordo più concreto: "Mi pare che quel sito (che ha funzionato solo per 3 mesi) fosse una specie di agenzia per modelle, di servizi per congressi, con hostess, come tanti ce ne sono, nulla di illecito".

Il 6 dicembre arriva la convocazione del magistrato cui era stata affidata la rogatoria della procura di Verbania. "Finalmente ero riuscito a mangiare: pasta, pollo e patate al forno, tutto buono, debbo dire. Prima dell’interrogatorio però, mentre frugavo ancora nella memoria alla ricerca di elementi da poter riferire al magistrato chiamato a raccogliere la mia deposizione (ed essermi invocato a Fra Nicola) ho avvertito una strana sensazione: mi sentivo leggero e libero, con uno strano calore addosso. Una sensazione unica e indescrivibile".

Parlare con il magistrato ("Una signora molto cortese e attenta") è stata una liberazione. "Alla fine mi ha detto di non preoccuparmi, che avrei avuto tutto il tempo per dimenticare e ripartire col mio lavoro". Mezz’ora dopo ero fuori anche se con gli obblighi del sorvegliato speciale: tre giorni di firma in questura ogni settimana. "Dopo una settimana - ricorda Loi - con mia madre mi sono recato nella chiesetta di viale Fra Ignazio per pregare sulla tomba di Fra Nicola. Mi sono ricordato del detenuto che era rimasto nella cella 3C e ho pensato di regalargli un rosario con una foto del Beato.

Ci siamo recati all’ingresso del carcere, in viale Buoncammino, e ho trovato quel giovane che mi aspettava sull’ingresso. Sono rimasto di sasso, incredulo: non aggiungo altro". Rinfrancato e rasserenato dal verdetto del giudice che nei giorni scorsi lo ha prosciolto da ogni accusa, Giancarlo Loi ha voltato pagina: basta con internet meglio la musica: in circolazione c’è un suo arrangiamento ("Alegria") che il cantante brasiliano Boby Marcelo ha trascinato in vetta alle classifiche mondiali.

"Adesso ho altri programmi" dice e nell’attesa si gode un verdetto che lo ripaga di tante amarezze". Ma se alle 7 squilla il telefono è una ferita che si riapre. "Purtroppo - ammette - è ancora così". E chissà per quanto tempo durerà.

Vigevano: ammanchi in carcere, chiesti tre rinvii a giudizio

 

Corriere della Sera, 4 ottobre 2004

 

Da una parte i milioni spariti dai conti correnti dei detenuti del carcere. Dall’altra i milioni apparsi su documenti ufficiali per coprire l’ammanco e "insabbiare" il caso. Ci sono voluti quasi 10 anni perché un’ispezione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, sollecitata forse da qualche detenuto che non si era visto restituire il denaro versato al momento del suo ingresso nel carcere della frazione Piccolini di Vigevano, scavasse in quel buco profondo 178 milioni di vecchie lire.

Falso, peculato e favoreggiamento sono i reati di cui ora sono imputati, a vario titolo, tre persone, che all’epoca dei fatti prestavano servizio nella casa circondariale: un agente della polizia penitenziaria, Giovanni Scopa, 37 anni, già da tempo trasferito a Vasto, in Abruzzo; Anna Maria d’Agnelli, 39 anni, tuttora capo area del servizio di ragioneria del penitenziario, e l’ex direttore, Luciano Mellone, 43 anni, ora alla guida del carcere di Taranto.

Per loro il procuratore reggente di Vigevano, Pietro Mondaini, ha chiesto il rinvio a giudizio. Secondo la Procura, tra il 1994 (anno di apertura del carcere) e il 1997, dalle "tasche" dei detenuti sarebbero spariti quei 178 milioni che risultano mancare all’appello dai libri contabili del carcere.

La legge consente a chi viene richiuso in un penitenziario di accendere un conto corrente gestito da un ufficio "ad hoc", nel caso specifico dall’ufficio conti correnti detenuti della Casa circondariale di Vigevano.

In questo ufficio lavoravano all’epoca 4 dipendenti ma chi versava sul conto corrente i propri soldi non sempre se li vide restituire al termine dello sconto di pena. Nella maggior parte dei casi la magistratura non è stata in grado di risalire ai singoli responsabili degli ammanchi.

Giovanni Scopa, uno dei 4 agenti che all’epoca dei fatti era addetto alla gestione del servizio, è ora accusato del reato più grave: peculato. Sempre secondo la Procura, infatti, l’ex direttore Mellone e l’attuale ragioniera Anna Maria d’Agnelli, una volta scoperto l’ammanco, si sarebbero resi responsabili solo di falsi versamenti e ordini di pagamenti per mettere a tacere un possibile scandalo. Nei prossimi mesi il gip di Vigevano dovrà decidere se accogliere le richieste di rinvio a giudizio. 

Paola: la droga e il carcere, convegno alla casa circondariale

 

Quotidiano di Calabria, 4 ottobre 2004

 

Stamattina alle 9, si terrà presso la Casa circondariale di Paola la prima giornata di studi sulle tossicodipendenze. La manifestazione è maturata in seno alla realizzazione di un progetto promosso dal Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria,Paolino Maria Quattrone e dalla Direttrice dell’istituto Caterina Arrotta.

L’intervento che vedrà la presenza del noto criminologo Francesco Bruno, di Giacomo Pantusa, psichiatra di Paola, di Patrizia Carrozza coordinatrice del Comitato Permanente Regionale Antimafia per l’Educazione alla legalità, di Antonio Sanvito del Foro di Cosenza, avrà lo scopo di porre in luce le problematiche e le ragioni della tossicodipendenza correlata a forme patologiche e devianti. Il progetto realizzato da Tullia Lio e Maria Ferraro, ha permesso di delineare la problematica tenendo conto della multi disciplinarietà essendo la tossicodipendenza un fenomeno multiproblematico. 

Aids: Iss, sale a 40 anni l’età della diagnosi in Italia

 

Adnkronos, 4 ottobre 2004

 

Cresce in Italia l’età in cui il virus dell’Aids viene diagnosticato la prima volta, per lo più tra i 35 e i 39 anni. L’età media della diagnosi passa dai 29 anni del 1985 ai 40 anni del 2003 per l’uomo e dai 24 ai 38 anni per le donne.

Lo indica una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicata oggi sul sito www.iss.it. Lo studio conferma che l’Italia, che fino al 2001 ha fatto scenderei i nuovi casi di malattia, ora registra una curva epidemica costante. I casi noti di Aids fino a giugno 2004 sono circa 54.000 dall’inizio dell’epidemia. Circa 34.000 malati sono già deceduti, e si stima che siano 20.000 gli italiani affetti da Aids. Sarebbero inoltre 847 i nuovi casi registrati nel primo semestre del 2004.

"Numeri che - per l’Iss - confermerebbero una stabilità nel trend d’incidenza della malattia". Le regioni più colpite sono: Lombardia, Lazio, Liguria ed Emilia Romagna. Le città invece: Ravenna, Piacenza, Lecco, Varese, Rimini e Roma. Aumentano poi i contagiati degli stranieri, dal 4.5% del 1995 al 15% nel 2003. Oltre il 70% di loro ha un’età compresa tra i 25 e i 39 anni.

Quasi il 60% dei contagi è attribuibile all’uso di droghe per via endovenosa, ma è in aumento la proporzione dovuta alla trasmissione sessuale del virus, soprattutto tra gli eterosessuali che, praticando rapporti non protetti, rappresentano la categoria più colpita nell’ultimo anno.

L’Iss ha tracciato inoltre l’identikit del malato di Hiv, epatite B e epatite C recluso nelle carceri italiane. Secondo un’indagine condotta in otto istituti penitenziari, questi sarebbe italiano, di 30 anni, in un caso su due tossicodipendente. Dallo studio emerge che i detenuti sono più a rischio di contrarre queste infezioni a causa della tossicodipendenza. I detenuti inoltre vedono aggravarsi il proprio stato di salute a causa della concomitanza di carcere e malattia".

 

 

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