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Oltre
500 detenuti morti in tre anni, per suicidi o per scarse cure Vita, 4 maggio 2004
Dal 2001 al 2003 oltre 500 detenuti sono morti nelle carceri italiane per ‘‘malasanità ‘‘ o perché si sono suicidate: in media uno ogni due giorni e circa la metà aveva meno di 40 anni. É uno dei dati che Livio Ferrari, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, ha sottolineato oggi ai deputati delle Commissioni Affari sociali e Giustizia della Camera riunite per l’indagine conoscitiva sulla sanità penitenziaria. Nell’audizione
svolta nella tarda mattinata sono stati ascoltati i rappresentanti di alcune
associazioni di volontariato che operano nel settore, in particolare, l’onlus
Antigone, la Lega italiana per la lotta all’Aids, A Roma insieme, La
Fraternità e, appunto, la Conferenza volontariato giustizia. D’altronde, hanno ricordato le Associazioni, circa 17 mila detenuti risultano tossicodipendenti, diecimila hanno forme di disagio mentale, altri diecimila sono colpiti da malattie infettive (soprattutto epatiti), mentre tornano scabbia, tubercolosi e sifilide, tutte malattie che sembravano ormai appartenere al passato. Nel documento consegnato ai deputati, Antigone ricorda tra l’ altro i risultati di una recente ricerca finanziata dall’ Istituto superiore di sanità su 175 operatori sanitari (dei quali 103 medici) di Istituti di pena in sette regioni. É risultato, per esempio, che il 72,3 per cento degli intervistati ritiene insufficiente o largamente insufficiente il budget destinato dal suo Istituto alla sanità; che nella metà delle carceri, all’ ingresso non viene consegnato alcun materiale informativo di carattere sanitario e solo nel 27,7 per cento degli istituti si consegnano opuscoli di educazione sanitaria. Inoltre, in meno della metà degli Istituti c’é una Guardia medica per tutte le 24 ore, mentre in un solo Istituto su quattro é presente un defibrillatore e in più della metà ci vogliono almeno 12 ore per avere i medicinali di base. Si comprende allora perché - é stato fatto notare -, per esempio, nel 57,5 per cento delle carceri italiane si sono registrati casi di Tbc e nel 66 per cento di scabbia. C’é poi oltre la metà dei medici che ritiene che in carcere vi sia un rischio medio-alto di contrarre l’epatite B e per un terzo di loro quello di contrarre l’Hiv/Aids in carcere é un rischio probabile: ma negli ultimi tre anni quasi il 60 per cento degli Istituti non ha predisposto alcuna iniziativa di prevenzione specifica. Tutto ciò, ha sostenuto Ferrari, in un quadro nel quale il ministero della Giustizia avrebbe progressivamente ridotto i fondi per la sanità penitenziaria: 16 milioni di Euro in meno nel 2003, pari al 30 per cento dello stanziamento per il 2002, che già era ridotto del 20 per cento rispetto al 2001. A ciò si aggiunga, hanno sottolineato le Associazioni di volontariato, che le Sezioni a custodia attenuata (previste dal Testo Unico sulle tossicodipendenze del ‘90) ‘‘ospitano’’ solo il 14 per cento dei detenuti tossicodipendenti e che soltanto in pochi Istituti di pena é stato attivato il ‘‘Presidio nuovi giunti’’ che dovrebbe fornire un primo sostegno alle persone appena arrestate, che poi sono quelle tra le quali si verificano più frequentemente suicidi e atti di autolesionismo. Risulterebbe anche che nelle carceri i dispensari farmaceutici non sarebbero adeguatamente aggiornati e i medicinali sarebbero quelli della generazione precedente agli ultimi ritrovati. Quanto poi al trasferimento delle competenze della medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia a quello della Salute, previsto dal decreto legislativo 230/99, l’attuazione risulta praticamente solo sulla carta e comunque molto parziale e, per le associazioni, non é chiaro nemmeno come siano stati utilizzati i dati della sperimentazione attuata in alcune regioni. ‘‘Purtroppo - ha aggiunto infine fra Giuseppe Giuliano Prioli, fondatore dell’Associazione La Fraternità - tra le cose che più mancano nelle carceri ci sono il sostegno morale e il rapporto umano: vi sono detenuti che non hanno mai potuto parlare con qualche operatore del volontariato perché la nostra presenza non c’é. Siamo forse scomodi?’’
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