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"L’Italia ha il più alto tasso di stranieri carcerati in Europa"
Redattore sociale, 19 maggio 2004
È quanto afferma uno studio dell’Istituto Cattaneo. Il sociologo Ambrosini: "Dato che riflette le difficoltà degli stranieri ad accedere a misure alternative". Le sanatorie? Un meccanismo a orologeria, con effetti "di breve entità e durata limitata" sul numero di reati commessi da immigrati clandestini. È quanto afferma uno studio dell’Istituto Cattaneo, le cui conclusioni sono state anticipate oggi dal Corriere della Sera. Lo studio inquadra il rapporto tra sanatorie (quattro quelle realizzate in Italia nel 1990, 1995, 1998, 2002) e reati commessi da immigrati clandestini. Non solo: dallo studio emerge che l’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di immigrati carcerati sul totale della popolazione detenuta (nel 2003 erano il 31,3) per cento. Due elementi messi in relazione (reati commessi e stranieri in carcere), ma su cui il sociologo Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia all’Università di Genova e ricercatore della Caritas ambrosiana, e Luigi Pagano, direttore del carcere di San Vittore, puntualizzano: "Nel nostro Paese - dice Pagano - il numero di coloro che beneficiano di misure alternative al carcere è pari a 50mila persone circa. Di questi, gli stranieri rappresentano una percentuale irrisoria". Un dato che si spiega, commenta Ambrosini, con la "minore capacità di autotutela degli immigrati". Irregolari, senza un domicilio, faticano ad accedere a misure alternative al carcere: una realtà che può, in parte, spiegare l’alto tasso di carcerazione degli immigrati in Italia. "Eppure - prosegue Pagano - la stragrande degli stranieri commette reati che prevedono pene inferiori ai tre anni, pene per cui gli italiani riescono facilmente a ricorrere a misure alternative. La permanenza in carcere non è quindi motivata dalla gravità dei reati o dalla maggiore pericolosità degli stranieri, ma dalla loro difficoltà nell’accedere a sconti e benefici di legge". Una puntualizzazione che, secondo Ambrosini, vale anche per altri aspetti emersi dallo studio dell’Istituto Cattaneo. "Si possono fare alcune considerazioni - dice Ambrosini -. La prima è che senz’altro esiste un effetto emulazione: le frequenti sanatorie spingono in molti a partire nella speranza che nel giro di pochi anni possano venire regolarizzati. Perciò, ma è noto, dopo una sanatoria e un calo del numero degli irregolari segue una fase in cui i clandestini tornano a crescere rapidamente". Un’osservazione che, però, và disgiunta dal discorso sulla criminalità. "Dobbiamo evitare a tutti i costi le generalizzazioni - dice Ambrosini -. Pensiamo all’ultima sanatoria: donne peruviane e filippine, rumene, persone irregolari impiegate nel lavoro di cura, fino a poco tempo fa senza permesso di soggiorno, ma non certo criminali". Infine, commenta Ambrosini, "è necessario tenere presente che le sanatorie rappresentano un punto di partenza e non di arrivo: è sempre possibile cadere di nuovo nell’irregolarità e nella precarietà". Come rivela una ricerca della Caritas sugli immigrati regolarizzati in Lombardia, presentata lo scorso 30 aprile. Dalle interviste risultava che il 43,3 per cento degli immigrati sta svolgendo un’ occupazione diversa da quella per cui era stata chiesta la regolarizzazione. Bulgaria: pugno duro sulle droghe, eliminata dose minima personale
Osservatorio sui Balcani, 19 maggio 2004
"Ce
lo hanno chiesto le madri dei tossicodipendenti", dichiarano i sostenitori
degli emendamenti alla vecchia legge. "Solo populismo, non farà che
alimentare la corruzione nella polizia", afferma chi ha votato contro. Quest’ultimo
si è poi soffermato su l tema delle droghe leggere affermando che qualcuno
nella società civile bulgara è per la loro legalizzazione, come in Olanda.
"Ma la Bulgaria è un Paese differente. Le droghe sono un disagio recente e
non vi è alcuna ragione per favorirne il propagarsi. Se i tossicodipendenti
sono nel Paese tra i 100.000 ed i 200.000 non c’è ragione per farli diventare
500.000".
La campagna mirava comunque a promuovere un dibattito sulla questione perché la situazione languiva e mancava solo un mese all’approvazione o meno dell’emendamento proposto dal partito "Il nuovo tempo", ha commentato il quotidiano Dnevnik. C’è qualcuno che ha reagito comunque molto negativamente a quest’iniziativa. Tra questi Kamen Vlachov, parlamentare del Movimento Nazionale Simeone II, secondo il quale qualcuno pretende di essere democratico ed europeo ed invece fa solo propaganda a favore dell’uso di droghe. "Questa non è una campagna, è un crimine".
Corruzione nella polizia
Tra le ragioni sostenute a favore degli emendamenti al codice penale in merito al possesso di stupefacenti quella che spesso la possibilità di avere una modica quantità ad uso personale era utilizzata dagli spacciatori per evitare la punizione della legge e corrompere la polizia. I detrattori della nuova legge sostengono però che permarrebbero ambiguità e spazi che continuano ad alimentare la corruzione. Nella stampa si riporta che in questi giorni un ragazzo trovato a fumare uno spinello avrebbe dovuto pagare ad un poliziotto una mazzetta di 258 euro. "L’eliminazione della dose minima personale è solo populismo" afferma Mihail Mikov, parlamentare del Partito socialista bulgaro "il provvedimento non farà che aumentare la corruzione in seno al Ministero degli interni". "Qualsiasi cosa accada io la mia canna continuerò a fumarmela" afferma V., studente ventiseienne di Varna. Studia con successo psicologia e prima dell’emendamento al codice penale vendeva marijuana via internet. Si pagava sul suo conto corrente e poi, il giorno successivo, consegnava la merce. Ora non lo fa più ma è convinto che questo nuovo provvedimento avrà vita breve. "Si può trovare marijuana in centro a Sofia, basta conoscere i posti. Ora occorre essere però più vigili" ricorda un manager di 36 anni di una famosa agenzia di pubbliche relazioni di Sofia "e soprattutto avere in tasca circa 26 euro per corrompere un poliziotto che eventualmente ti beccasse".
Cagliari: giovane detenuto oristanese muore a Buoncammino
L’Unione Sarda, 19 maggio 2004
La morte lo ha colto nel sonno. Quando i compagni di cella lo hanno avvertito che stava arrivando la colazione, Samuele Pili (ventinovenne di Capoterra) non è saltato giù dal letto come faceva sempre. Ed è bastato poco per capire che la vita lo aveva abbandonato nel silenzio della notte del carcere di Buoncammino. Quale sia stata la causa non è certo: ieri il medico legale Vincenzo Paribello ha effettuato la perizia ma non se ne conoscono i risultati. L’episodio - che segue di poco tempo la morte di altri detenuti nel carcere cagliaritano - risale a domenica mattina ed ha suscitato viva impressione poiché il giovane aveva alle spalle un passato da emigrato in Germania e una lieve condanna per uno scippo. "Un tipo comunque tranquillo" ha commentato chi lo conosceva a Capoterra dove abitava in via Mazzini 12. Del resto anche la sera che ha preceduto la tragedia tutto sembrava regolare. Lo ha ammesso il direttore Gianfranco Pala che subito si è interessato al caso informando la magistratura e i parenti del giovane. "Non stava molto bene in salute - ha dichiarato il direttore - ma nulla lasciava pensare a una eventualità del genere. È andato a dormire ma l’indomani mattina i compagni di cella lo hanno trovato privo di vita". Samuele Pili divideva la cella con altri cinque giovani. Abbastanza normale, in questo periodo di affollamento: il numero dei detenuti va ben oltre la capienza prevista. Ma il carcere sul colle in questo periodo è stato chiamato in causa soprattutto per le condizioni igienico-sanitarie. Una interrogazione firmata da consiglieri comunali medici (di tutti i gruppi) è stata portato all’attenzione del sindaco: si chiede una visita in carcere per verificare la situazione. Se ne parlerà sicuramente in questi giorni vista l’attualità del problema. Ma che Buoncammino sia un carcere con un alto indice di detenuti malati o sieropositivi non è una novità. È una situazione che anche il personale sta vivendo drammaticamente poiché le alternative non sono poi molte. Si è pensato ad un uso del carcere minorile di Quartucciu per risolvere questa lacuna ma nonostante impegni e promesse la questione è sempre al palo: difficile trasferire anche i minorenni se non si trovano locali alternativi adeguati. Il problema di fondo resta - a prescindere dall’indice di mortalità tra i detenuti - l’inadeguatezza del carcere e quindi la necessità di nuove strutture magari attrezzate anche sotto il profilo ospedaliero. Proprio nelle ultime settimane il ministero della Giustizia ha confermato gli stanziamenti per la realizzazione del nuovo carcere già individuato in un’area del Comune di Uta e che è stato già recintato in vista dell’apertura dei cantieri. Nonostante l’allarme-sanitario e l’emergenza-affollamento, non si sa nulla di concreto. Anzi, proprio gli addetti ai lavori, continuano a dichiararsi completamente all’oscuro di ogni iniziativa ministeriale a breve o lunga scadenza. Il che rende ancora più angosciosi gli episodi come quello avvenuto domenica mattina. Nessuno ascolta il grido di dolore che ogni giorno si leva dalle carceri di Buoncammino. Ancona: s’impicca in carcere, salvato e portato in ospedale
Dopo le manovre rianimatorie del caso il detenuto è stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale regionale di Torrette dalla Croce Gialla. All’ospedale l’uomo è stato sottoposto agli esami del caso fino a tarda serata. Le sue condizioni comunque non destano particolare preoccupazione. Torino: la Valle del Po più curata grazie ai detenuti
L’Eco del Chisone, 19 maggio 2004
Da oggi prenderanno servizio presso l’Ufficio tecnico del Comune di Sanfront, per una settimana di lavoro, due detenuti in semilibertà attuando così, per quanto concerne il centro della Valle Po, il progetto "Monviso oltre le sbarre" per lavori socialmente utili a protezione dell’ambiente patrocinato dalla Comunità montana di Paesana sulla base delle richieste avanzate dai sindaci. In realtà sono solo cinque i Comuni che hanno aderito all’iniziativa (Crissolo, Castellar, Paesana, Sanfront e Barge), oltre alla stessa Comunità montana per un programma di lavori che si esaurirà il 30 giugno. Per quanto concerne Sanfront, i due operai saranno impiegati soprattutto per l’esecuzione di manutenzioni ordinarie sul territorio in base ad un ordine di priorità predisposto dall’ufficio competente. Nel caso specifico si provvederà, ad esempio, alla ritinteggiatura di tutti i tavoli e panche dell’area adibita a spazio pubblico in via Comba Albetta, presso la frequentatissima sorgente "La Comba". Si eseguiranno poi altri interventi di verniciatura delle varie ringhiere dei ponticelli sparsi su tutto il territorio comunale. Tale iniziativa è stata giudicata positiva dall’Amministrazione, la quale ritiene così di poter realizzare modesti interventi che altrimenti sarebbe difficile concretizzare causa la carenza numerica in atto del personale esterno. Roma: difficoltà per la scuola nel carcere di Rebibbia
Associazione Papillon, 19 maggio 2004
Da venerdì scorso, di fatto, l'Istituto tecnico commerciale di Rebbibia non funziona più. Gli uomini del Gom (Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria) che da tre mesi pattugliano la sezione penale del carcere di Rebibbia a Roma hanno chiesto e ottenuto dal direttore dell'istituto, Stefano Ricca, che dopo la prima ora di lezione gli studenti - detenuti rientrino in cella per la conta. La procedura dura un'ora e mezza. "Molti di loro dopo un tempo così lungo hanno preferito non tornare in classe", spiega Anna Grazia Starnati, docente e rappresentante Rsu per i Cobas. Il provvedimento voluto dall'unità speciale della polizia penitenziaria (gli stessi che erano nella caserma genovese di Bolzaneto nel 2001) è unico nel suo genere. In nessuna sezione carceraria in Italia le lezioni scolastiche vengono interrotte per la conta dei detenuti. La direttiva, però, è solo l'ultimo passo di una serie di piccoli e grandi abusi partita tre mesi fa, con l'arrivo dei Gom nel carcere. Perquisizioni degli insegnanti all'ingresso e all'uscita. Verifiche dei permessi che durano anche due ore. "Ultimamente hanno preso l'abitudine di entrare in classe quando noi non ci siamo, aprire il quaderno degli studenti e chiedere che cosa hanno studiato", racconta la Starnati. Persino le chiacchiere durante l'intervallo vengono impedite: "Cosa fate? Perché vi siete assembrati qui?" si sono sentiti chiedere alcuni detenuti durante la ricreazione. Infine, venerdì scorso la decisione di far rientrare i detenuti nelle celle senza nessun ordine di servizio ai docenti. Friuli: proposta di legge regionale sul difensore civico dei detenuti
Il Gazzettino, 19 maggio 2004
"A giorni - spiega Franzil - la proporremo a tutte le forze che compongono Intesa democratica e siamo convinti che troveremo l’appoggio dei partiti di maggioranza". Ne è certo anche Metz: "I Verdi porteranno avanti questa proposta assieme a Rifondazione, perché questa è una cosa da cui non si può più derogare. La situazione delle carceri pone una problematica altissima, data dal sovraffollamento (nelle carceri friulane, a dicembre, i detenuti erano 716 contro una capienza massima di 493, ndr) e da notevoli carenze strutturali". L’obiettivo, spiegano i consiglieri, è offrire alla Regione l’opportunità di sfruttare tutti i margini di intervento a sua disposizione per "facilitare il reinserimento sociale e tutelare la dignità dei detenuti". Il primo passo è proprio l’istituzione del "garante" dei carcerati, un "mediatore super partes che - spiega Franzil - curerà i problemi dei detenuti assieme al direttore del carcere e farà da garante rispetto alla magistratura che i loro diritti siano rispettati". Insomma, non lascerà più solo chi si trova dietro le sbarre - e magari parla un’altra lingua e professa un’altra religione - a confrontarsi con l’autorità. Ma garantirà anche un rapporto di trasparenza fra i detenuti e tutte le pubbliche amministrazioni e i soggetti concessionari di pubblici servizi o convenzionati con il pubblico, che interagiscono con l’amministrazione penitenziaria (in campo di assistenza sanitaria e sociale, di formazione professionale, di avviamento al lavoro...). Con poteri che "pesano": dal semplice sollecito in caso di omissione dei provvedimenti dovuti, fino al ricorso alla magistratura nei casi più gravi di inadempienza, per l’attivazione di un procedimento disciplinare. Ma la proposta di legge guarda con attenzione anche alla tutela della salute dei carcerati. Che, per assicurare "uniformità di trattamento", dovrebbe passare alle cure dei professionisti e delle strutture del sistema sanitario regionale, con la previsione di un diretto coinvolgimento delle Ass e degli ospedali, attraverso apposite convenzioni. Terzo step, il lavoro, "importante strumento di reinserimento sociale delle persone condannate": la strada maestra individuata dai consiglieri è quella di dare un mercato agli oggetti e ai servizi prodotti dalle cooperative di carcerati, cui la Regione e gli enti e le aziende da essa dipendenti dovrebbero riservare una quota di almeno il 10% dei loro acquisti e delle loro forniture. Corte Costituzionale: sotto accusa durata custodia cautelare
Associazione Papillon, 19 maggio 2004
È scontro aperto - sulla delicata materia della custodia cautelare - tra la Cassazione (favorevole a un’interpretazione delle norme che consente di prolungare la durata della custodia) e la Corte Costituzionale (contraria alla dilatazione del carcere preventivo, rimproverata all’Italia anche dalla Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani). Infatti gli ermellini hanno stabilito che finché la Consulta non dichiarerà incostituzionali le norme sulla custodia - ma si limiterà solo ad indicare in quale modo devono essere applicate in senso garantista (con le sentenze interpretative di rigetto) - la Cassazione si riterrà libera di continuare a interpretare queste norme alla lettera. Ossia in maniera "penalizzante per il sacrificio della libertà", ma conforme al "diritto vivente": cioè nella direzione finora più seguita dai tribunali di sorveglianza e più penalizzante per i detenuti in attesa di condanna definitiva. In particolare - con la sentenza 23016, depositata oggi e relativa a una udienza svoltasi innanzi alle Sezioni Unite, lo scorso 31 marzo, proprio in tema di custodia - la Cassazione ha autorizzato se stessa a far orecchie da mercante innanzi ai pareri della Consulta che, dice, non valgono come se avessero forza di legge. "Le decisioni interpretative di rigetto della Corte Costituzionale non hanno efficacia erga omnes, a differenza di quelle dichiarative dell’illegittimità costituzionale di norme, e pertanto determinano solo un vincolo negativo per il giudice del procedimento in cui è stata sollevata la relativa questione". In pratica tutte le volte che la Consulta non dichiara anticostituzionale una norma, ma indica solo in quale modo la sua applicazione non collida con la nostra carta fondamentale, "il giudice conserva il potere - dovere di interpretare in piena autonomia le disposizioni di legge". "Purché ne dia una lettura costituzionalmente orientata - precisa la Cassazione - ancorché differente da quella indicata nella decisione interpretativa di rigetto". In questa maniera la Suprema Corte - dopo che per ben tre volte (l’ultima con una dura reprimenda l’estate scorsa) la Consulta, con sentenze interpretative di rigetto, l’aveva richiamata a diminuire i tempi di custodia - ha relegato i pareri dei giudici costituzionali al rango non vincolante di "precedenti autorevoli", ma nulla più. Quanto ai detenuti in attesa di giudizio definitivo, si rassegnino a rimanere al fresco, come già avviene - e come non vorrebbe la Consulta - anche per molti anni. Infatti per la Suprema Corte - che è il giudice ultimo delle custodie cautelari - vale il principio per cui anche se un detenuto ottiene un annullamento con rinvio dell’ordinanza di carcerazione, per lui non scatta il timer del computo dei termini di fase. Perché per gli ermellini il calcolo dei tempi massimi - entro i quali è concesso tenere qualcuno in prigione senza condanna in giudicato - non deve essere computato a partire dal primo giorno di custodia, ma deve essere calcolato in base alla durata della carcerazione subita in ogni singola fase della propria vicenda processuale. In pratica, in questo modo, non si arriva mai a superare il limite del raddoppio del periodo cautelare oltre il quale bisogna essere rimessi in libertà. Con buona pace della Consulta fautrice del calcolo non spezzettato della custodia. Finisce in tribunale il libro su "Sandokan" Francesco Schiavone
La Repubblica, 19 maggio 2004
Approda al tribunale di Torino il caso di Francesco Schiavone, presunto camorrista a capo del clan dei casalesi, passato agli onori delle cronache con il soprannome di Sandokan. Un personaggio quasi leggendario partito dal nulla in una sperduta cittadina della Campania e accusato tra le altre cose di associazione camorristica, detenzione di armi e omicidio. Un libro, scritto da Nanni Balestrini e pubblicato recentemente dalla casa editrice Einaudi, dal titolo "Sandokan, storia di camorra", racconta la vicenda della sua incredibile ascesa al potere. Ma Schiavone, che è attualmente detenuto nel carcere di Viterbo e si trova ancora sotto processo, ha chiesto al tribunale di Torino che la pubblicazione fosse immediatamente sequestrata da tutte le librerie del Paese. Secondo Sandokan, quel libro, pubblicato mentre ancora sono in corso i processi che lo vedono imputato, potrebbe condizionare a suo sfavore il libero convincimento dei giudici. Dal punto di vista della legge, si sono scontrati due diritti fondamentali: da una parte, quello di un indagato che va considerato innocente fino a quando la sentenza non è definitiva. A questo proposito, Schiavone lamentava il fatto che quel libro avesse anticipato la sua condanna. Dall’altra, il diritto di cronaca in forza (come sostenuto dai legali dell’Einaudi, Alberto e Luciano Mittone) del quale l’autore del libro, sulla base degli atti processuali diventati pubblici, ha ricostruito in forma romanzata la spericolata carriera del presunto boss dei "casalesi". Il collegio presieduto dal giudice Emanuela Germano Cortese ha respinto la sua richiesta, convinto che la pubblicazione del libro e la sua diffusione abbiano un valore di interesse pubblico e di cronaca. "Siamo molto soddisfatti della decisione dei giudici", commentano i rappresentati della casa editrice torinese che ha replicato in aula alle accuse di Schiavone. Balestrini racconta la storia di un gruppo di giovani del casertano che per sfuggire alla miseria e a un futuro certo di duro lavoro della terra sceglie di mettere in piedi un’organizzazione di traffico di droga e di armi. L’autore presenta la vicenda sotto forma di romanzo. Protagonista, un compaesano di Sandokan che assiste all’ascesa del boss e alle metamorfosi dei suoi coetanei attratti dal fascino della malavita. Il gruppetto, desideroso di arricchirsi, deve prima fare strage del clan dei camorristi rivali che detengono il potere e il controllo della zona. Poi, in poco tempo, mette in piedi un immenso impero economico internazionale più potente e ricco della stessa mafia siciliana. Ma nel paese dove la camorra prevale sullo Stato di diritto, la storia di Sandokan si conclude con una sanguinosa guerra interna e con la sua cattura, unico boss sopravvissuto. Fuori dal romanzo, Francesco Schiavone fu catturato nel 1998 nel suo rifugio segreto ricavato accanto alla sua villa. I poliziotti si trovarono davanti a una suite a cinque stelle che nulla avrebbe avuto da invidiare a quella di un re dei narcotrafficanti. Decreto Legge Urbani approvato e pronto alle modifiche
Asca, 18 maggio 2004
Il Decreto Urbani è legge dello Stato. Con l’ultima votazione del Senato diventa legge dello Stato uno dei più contestati decreti sulla rete Internet. Pronta una modifica in tempi brevi per scongiurare il carcere per "l’uso personale". Il Senato ha approvato oggi in via definitiva il Decreto Legge Urbani. Il Decreto Legge che reca norme contro "la diffusione telematica abusiva di materiale audiovisivo" e "a sostegno delle attività cinematografiche e dello spettacolo" diventa legge dello Stato con voto favorevole per la maggioranza, contrario per Verdi, Rifondazione Comunista e Comunisti italiani e astensione per l’Ulivo. Ma il Parlamento è pronto a modificarlo di nuovo. Il Senato ha anche approvato un ordine del giorno che impegna il Governo ad una modifica in tempi brevi delle norme sulle sanzioni penali per chi diffonde materiale audiovisivo, sul bollino virtuale SIAE e sugli aumenti per i dispositivi di conservazione digitale. Di fronte agli impegni del governo anche i 750 emendamenti presentati dal senatore Verde Fiorello Cortiana a fini di ostruzionismo sono stati ritirati. Ritirati quasi tutti gli altri emendamenti da parte dei senatori di opposizione. Alla fine dunque si risponderà piccola legge Urbani con una legge ancora più piccola che servirà a riparare i danni della prima formulazione. Non si conclude dunque l’iter della prima legge in Italia che toccava da vicino il file sharing. Approvato su forti pressioni dello stesso Urbani nel marzo 2004, il Decreto Legge numero 72, 22 marzo 2004 era, nella prima formulazione, una legge pot-pourri che oltre a trattare nel primo articolo le norme per combattere la condivisione di materiale protetto su Internet, includeva anche dispositivi per favorire la diffusione delle opere cinematografiche e dello spettacolo. In questa prima formulazione le pene solo per chi condivideva filmati protetti da diritto d’autore arrivavano a 1500 euro. Il Decreto viene promulgato dal Presidente della Repubblica il 22 marzo. Entro il 22 maggio, dopo 60 giorni, deve essere convertito in legge, pena il decadimento. Nei primi giorni di Aprile il decreto passa all’esame della commissione Cultura della Camera dei Deputati con relatrice Gabriella Carlucci. Monta intanto la protesta degli utenti del Web, ma lo scherzetto che si prepara loro è una vera beffa. Le lobby della SIAE e dell’industria cinematografica si danno da fare. In Commissione il decreto riformula le pene: elimina la sanzione iniziale di 1500 euro per chi condivide file fra utenti ma introduce, senza che nessun parlamentare se ne renda apparentemente conto, una correzione alla legge sul diritto d’autore che sanziona con il carcere chi "per trarne profitto" mette in condivisione un’opera protetta, sostituendo la precedente e più restrittiva formulazione "per fini di lucro". Introduce anche, assieme ad altre modifiche, un bollino virtuale SIAE da inserire nei siti Web che presentano opere d’ingegno e una tassa sui supporti di memorizzazione digitale di 0,36 euro per giga byte e una tassa sui software di masterizzazione da corrispondere alla SIAE. La prima correzione non è da poco, i termini "profitto" e "lucro" sono ben documentati nella giurisprudenza italiana in materia di diritto d’autore e suddividono i casi di uso personale (il "profitto" che se ne trae non comprando l’opera) e il "lucro" (il guadagno che se ne trae vendendo l’opera). Più in là la Carlucci si giustificherà dicendo che la Commissione credeva di venire incontro alle esigenze degli utenti non avendo compreso la portata delle modifiche. La legge viene approvata dalla Camera dei Deputati il 22 aprile e il giorno dopo viene trasmessa al Senato che la discute in Commissione cultura fra il 27 e il 5 maggio. La trattazione in commissione, oltre ad alcuni aggiustamenti sugli altri articoli, si incentra sulla norma che prevede il carcere per gli utenti che condividono file "per trarne profitto". Tutti sembrano ora dare ragione agli utenti: nessuno si dichiara favorevole alla norma che equipara chi per uso personale scarica file dalla rete con chi lo fa come attività criminale per fini di guadagno, truffando sia i detentori di diritto d’autore sia lo Stato per mancati incassi d’Iva e tasse. C’è troppo poco tempo per correggere il decreto: il 22 maggio è sempre più vicino e tutti i finanziamenti allo sport e al cinema cadrebbero nel vuoto. Le ipotesi per cambiare triettoria sono varie: l’ostruzionismo per far decadere il decreto, lo stralcio del primo articolo riguardante la pirateria dal decreto legge, un ordine del giorno che impegni il governo a riparare con norme successive. Il senatore verde Fiorello Cortiana presenta 750 emendamenti per far decadere il decreto e contemporaneamente in commissione presenta alcuni ordini del giorno per impegnare il Governo alla modifica del decreto. Il resto è storia di queste ore. Sia il ministro Urbani, sia il relatore Asciutti si impegnano a rivedere le norme, auspicano la creazione di un gruppo di lavoro sulla materia e presentano un ordine del giorno che si avvicina a quelli del senatore Cortiana. Cortiana e gran parte dei senatori ritirano i propri emendamenti, il Governo esprime parere contrario su tutti gli altri. Si va alla votazione, il Decreto passa e diventa legge di Stato. Cd-rom made in Rebibbia: "L’olivo: una storia lunga una vita"
Roma One, 18 maggio 2004
Si
titola così il prodotto multimediale realizzato da quasi 300 detenuti del
carcere capitolino. Distribuito dalla Fai - Cisl, nasce da un’idea del prof.
Russo. La Garavaglia: "Un progetto straordinario". Tema centrale del cd è l’olivo, la cui storia si dipana attraverso un percorso espositivo che va dalla coltivazione della pianta all’estrazione dell’olio, passando per il retaggio storico, letterario, artistico e religioso che lo ha accompagnato nel tempo. "Un prodotto di grande valenza culturale e sociale - come sottolinea la vicesindaco Garavaglia - E che andrebbe distribuito da produttori, ovicoltori e scuole". Sentenza Cassazione: detenuti in 41 bis non possono usare computer
Gazzetta del Sud, 18 maggio 2004
In particolare, la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un detenuto – il capoclan camorrista Ciro Grimaldi – che protestava contro l’ordinanza con cui il giudice di sorveglianza di Viterbo aveva detto "no" alla sua richiesta di avere, in prigione, un personal computer "per motivi di studio e di lavoro". Il magistrato aveva motivato la decisione spiegando che "l’utilizzazione di personal computer, comportando il possesso di floppy disk, consentiva una rapida comunicazione dei dati, rendendo più facile l’elusione dei controlli". E Piazza Cavour ha confermato questo punto di vista, aggiungendo che proprio il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, con la circolare 3556/2000, ha vietato ai sorvegliati speciali il PC tra le sbarre. Carcere austro-svizzero in Romania: progetto congelato
Swissinfo, 18 maggio 2004
Berna rinuncia per il momento a collaborare con l’Austria per costruire un carcere in Romania, poiché tale paese non rappresenta una priorità per la Svizzera. In visita a Vienna, il consigliere federale Christoph Blocher ha tra l’altro discusso con il suo omologo Dieter Böhmdorfer dell’accordo di Schengen. La Svizzera rinuncia alla costruzione di un carcere in Romania, sebbene l’idea di far purgare all’estero le pene dei detenuti stranieri rimanga allo studio. Lo ha dichiarato lunedì a Vienna il consigliere federale Christoph Blocher, capo del dipartimento di giustizia e polizia (Dfgp). "Anche se abbiamo soppresso l’obbligo del visto per i rumeni a partire dal 1° febbraio di quest’anno, i detenuti di questo paese non rappresentano una questione prioritaria", ha aggiunto Christoph Blocher, nel corso di una conferenza stampa al termine dei colloqui con i ministri austriaci dell’interno, Ernst Strasser, e della giustizia, Dieter Böhmdorfer. Tuttavia,
l’idea austriaca di costruire un penitenziario all’estero rimane allo studio
anche in Svizzera, ha precisato Blocher, che non ha però voluto citare altri
paesi che potrebbero entrare in linea di conto. "Dobbiamo prima discutere
con le autorità di tali paesi", ha aggiunto il consigliere federale.
Detenzione meno costosa
Già lo scorso 23 aprile, in occasione dell’inaugurazione del penitenziario di Cazis nei Grigioni, il consigliere federale Blocher aveva dichiarato che sarebbe opportuno cercare un’alternativa, data la presenza di molti stranieri nelle carceri svizzere. La settimana scorsa un portavoce del ministero della giustizia di Vienna aveva confermato l’interesse dell’Austria per la costruzione di un carcere in Romania, cui associare la Confederazione. A tal proposito l’Austria pensava a un accordo bilaterale con la Svizzera per creare sinergie e ridurre le spese nell’ambito dell’esecuzione delle pene. Tuttavia, tra la Svizzera e l’Austria non è stato preso nessun accordo di cooperazione in questo settore, hanno dichiarato entrambi i ministri. Alla base di questo progetto erano state sollevate considerazioni finanziarie: un detenuto in Austria costa 100 euro al giorno, in Romania solo 10 euro. Il carcere da 250 posti in Romania - nel rispetto delle norme dell’Unione europea - costerebbe 3,5 milioni di euro, un decimo di quanto verrebbe a costare in Austria. In base al protocollo aggiuntivo della Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate, gli Stati firmatari potranno dall’anno prossimo rimpatriare i detenuti stranieri anche contro la loro volontà. Il parlamento svizzero ha già approvato tale accordo, mentre l’Austria lo deve ancora ratificare.
Anche Schengen al centro dei colloqui
Con il ministro dell’interno austriaco, Ernst Strasser, il consigliere federale Blocher ha discusso soprattutto di temi legati alla collaborazione bilaterale in materia di polizia, al terrorismo e a questioni inerenti l’Unione europea. I due ministri hanno sottolineato la stretta collaborazione tra i due paesi. Christoph Blocher ha pure accennato alla questione delle frontiere esterne degli stati appartenenti all’accordo di Schengen. Entrambi i ministri si sono trovati concordi nell’affermare che è necessaria una stretta collaborazione, da approfondire specialmente tra Svizzera e Austria nell’ambito dello scambio di dati. Il ministro dell’interno austriaco ha inoltre illustrato le esperienze fatte finora e le attese dell’Austria in merito all’allargamento dell’UE ad Est. I due ministri hanno trattato anche la questione dell’inserimento dei dati biometrici nei passaporti, nonché le misure nei due Stati volte a soddisfare le nuove esigenze in termini di sicurezza, tutelando nel contempo gli interessi legittimi dei cittadini. Anche con il ministro dell’interno, il capo del Dfgp ha discusso di questioni legate al terrorismo. Il consigliere federale Blocher ha affermato che, dopo gli attentati di Madrid, la situazione in materia di sicurezza in Svizzera non è fondamentalmente mutata. La Svizzera prende però sul serio la lotta contro il terrorismo e il suo finanziamento. Il consigliere federale Blocher ha inoltre dichiarato che la Svizzera è interessata alla continuazione della pluriennale collaborazione tra i capi dei servizi d’informazione e di sicurezza internazionali (Club de Berne).
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