"Il
nuovo codice separerà gli illeciti
penali
da quelli amministrativi"
Redattore
sociale, 31 gennaio 2004
Vincenzo
Militello, docente di Diritto penale all’Università di Palermo, è membro
della "Commissione Nordio", il gruppo di lavoro presieduto dal
procuratore della Repubblica di Venezia Carlo Nordio, istituito dal ministero di
Giustizia, per mettere a punto la riforma del codice penale. La Commissione si
è insediata nel novembre 2001, il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha
auspicato che la parte generale di riforma del codice possa essere sottoposta al
Consiglio dei ministri entro la prossima estate. Tra i molti temi che la
Commissione sta affrontando vi è quello della revisione delle pene e del
concetto di reato, cui sta lavorando anche Vincenzo Militello.
Professor
Militello, quali orientamenti stanno prevalendo all’interno della Commissione?
"Premesso che non esistono ancora
documenti ufficiali, posso dire che la Commissione si sta muovendo lungo due
direzioni; da un lato quella della netta separazione degli illeciti penali da
quelli amministrativi, dall’altro il tentativo di ancorare la definizione di
reato alla pena prevista per un particolare comportamento criminoso: ovvero,
saranno reati solo quei comportamenti per i quali il codice prevederà la pena
detentiva".
Significa
che le fattispecie di reato saranno ridotte?
"In sostanza è questa la
direzione in cui stiamo andando. Finora rientravano nell’area penale reati
oggettivamente di modesta entità. L’aspetto nuovo è la depenalizzazione
delle contravvenzioni (reati minori, ndr) dalla categoria dei reati in cui
figuravano insieme ai delitti".
Quindi,
sanzioni amministrative per le contravvenzioni e pene detentive per i delitti?
"Schematicamente si può dire così.
A questo si aggiunge un’ulteriore orientamento della Commissione: una volta
stabilito quali reati comportano la pena detentiva si dovranno mettere a punto
meccanismi di conversione della stessa che permettano l’uscita dal circuito
carcerario".
Per
quali reati varrà questo meccanismo?
"L’indicazione è che la
reclusione in carcere, dati i costi umani ed economici che comporta, sia
prevista per reati che comportano pene superiori a 4 anni".
Quali
potrebbero essere gli effetti di questa rivisitazione sulla realtà carceraria?
"Questo è un punto di domanda.
Oggi circa 30 mila detenuti nel nostro Paese godono a vario titolo di misure
alternative al carcere. Se i dati sulla criminalità e i tipi di reato
rimanessero quelli di oggi, credo che cambierebbe poco".
Dalla
riforma del codice penale non c’è quindi da aspettarsi una riduzione del
sovraffollamento nelle carceri italiane?
"In astratto non credo, ma è una
valutazione possibile solo alla prova dei fatti".
Il
convegno di domani ripercorre il pensiero di Eugen Wisnet. C’è una
riflessione di tipo culturale negli orientamenti che la Commissione sta
prendendo, o sono motivati solo dalle esigenze di maggiore efficienza del
sistema giustizia?
"Prevale una valutazione pratica,
ma è certo che l’effetto sarà anche culturale. L’area penale sarà
rigorosamente delimitata a differenza di quanto accade ora, nella percezione
dell’opinione pubblica sarà più chiaro quali sono i reati e quali no".
Come
giudica la strada intrapresa dalla Commissione?
"A mio parere, vi è un rischio:
introdurre un elemento di rigidità. Mi sembra corretto decidere che alcuni
reati siano puniti con il carcere e per altri siano previsti meccanismi di
conversione della pena. Ma credo anche che dobbiamo lavorare su una maggiore
flessibilità del sistema che deve essere in grado di distinguere tra caso e
caso. Per riprendere Wiesnet: il diritto e la valutazione della pena deve avere
come riferimento la "premura", l’attenzione, nei confronti del
soggetto che ha commesso un delitto".