Il sistema penitenziario italiano

 

Il sistema penitenziario italiano

è tra i migliori del mondo?

 

La risposta di Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone ad un’intervista al direttore del Dap Giovanni Tinebra

 

Redattore Sociale, 10.02.2004

 

"Il sistema penitenziario italiano è tra i migliori del mondo. Per combattere il sovraffollamento delle carceri italiane bisogna costruire 24 nuovi penitenziari. L’indultino ha funzionato facendo uscire dalle patrie galere in pochi mesi ben 2.700 detenuti". Giovanni Tinebra, direttore del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero di Giustizia, racconta la sua positiva visione del sistema penitenziario italiano in una lunga intervista pubblicata sull’ultimo numero de "Le due città", mensile del Dap (n. 11-12 anno IV, novembre dicembre 2003 ma diffuso in questi giorni).

Tinebra afferma tra l’altro che "un fatto è certo: il nostro sistema penitenziario è sicuramente tra i migliori del mondo, sia sotto il profilo della gestione della sicurezza che, e soprattutto, di quella del trattamento. Potrei stare ore a descriverlo, ma voglio tenere conto solo dei fatti: siamo continuamente bersagliati da richieste che ci vengono da tutte le parti del mondo di contribuire alla formazione degli operatori penitenziari della formazione. Sto parlando dell’Afghanistan, come dei cinesi che desiderano insegnare ai loro formatori, dell’Albania dove stanno insistendo perché vogliono che continuiamo ad addestrare i loro formatori, del Kosovo e così via, per non parlare delle innumerevole missioni di studio che fanno da noi canadesi, svedesi, francesi".

Patrizio Gonnella, coordinatore nazionale dell’associazione Antigone, contattato da Redattore sociale, commenta l’intervista di Tinebra. "L’idea che le carceri italiane siano le migliori al mondo sinceramente ci lascia perplessi - osserva Gonnella -. E comunque non è un grande elemento di soddisfazione sapere che le nostre carceri siano migliori di quelle afghane o di quelle cinesi." Tinebra nell’intervista, parlando dell’indultino come strumento per combattere il sovraffollamento delle carceri, afferma: "A metà ottobre avevo parlato di 1.400 detenuti, prevedendo che entro la fine dell’anno sarebbero stati molti di più. Siamo già a 2.700 scarcerati, e questo porta a 54.700 unità l’intera popolazione carceraria, un numero che negli ultimi anni non avevamo più visto". Condivide questo ottimismo?

"L’indultino non è stato un provvedimento svuotacarceri ma un provvedimento al ribasso, che non ha coinvolto molte persone e non ha evidentemente risolto il sovraffollamento. Il 31 dicembre del 2003 i detenuti erano di nuovo poco meno di 56 mila. E va ricordato che la capienza regolamentare dei penitenziari italiani è di 42 mila posti. Nonostante l’indultino ci sono 13 mila detenuti in più rispetto alle disponibilità".

Secondo il direttore del Dap un altro valido strumento di lotta al sovraffollamento è la costruzione di nuove carceri. In particolare Tinebra annuncia la costruzione di 23 nuovi istituti, oltre ad un nuovo padiglione del carcere di Bollate, capace di accogliere da solo 500 ospiti.
"Secondo Antigone la politica di costruire nuove carceri per risolvere il sovraffollamento è una politica superata, che non dà buoni frutti. Negli Stati Uniti, la costruzione di nuove carceri non ha portato ad un miglioramento delle condizioni di detenzione ma ad un aumento dei detenuti. Invece, a nostro avviso, bisognerebbe avere il coraggio di mettere mano al sistema penale e separare reati penali da problemi sociali. Non si può finire in carcere perché si è tossicodipendenti. In questo senso la legge Fini sulle tossicodipendenze, portatrice di nuovo rigore nei confronti dei consumatori, ci fa temere ad un futuro aumento dei detenuti con problemi di tossicodipendenza".
Tinebra parla nell’intervista del recupero di Pianosa ed Asinara, un tempo isole penitenziario oggi dismesse, che potrebbero tornare ad ospitare detenuti che lavorino, in un regime attenuato.
"Meglio che Pianosa e Asinara non tornino ad essere carceri. Le carceri-isola sono doppiamente pericolose perché doppiamente isolate. E spesso, a causa di periodi di emergenza sul fronte della criminalità, si trasformano in carceri di massima sicurezza, dimenticando la loro missione di strutture aperte".

 

 

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