Candido Cannavò e il carcere

 

Bimbi in cella e oasi d’umanità

i miei otto mesi a San Vittore

 

Candido Cannavò racconta la sua esperienza di cronista volontario

 

Il Corriere della Sera, 09.02.2004

 

A un certo punto anche l’autista della Gazzetta dello Sport, che da otto mesi l’accompagnava a San Vittore e da otto mesi taceva discreto, a un certo punto pure era troppo preoccupato per non chiedere che cosa ci andasse a fare ogni giorno Candido Cannavò al 2 di piazza Filangieri: "Direttore, sia sincero - gli puntò gli occhi negli occhi -, che cosa sta succedendo?". Bisogna capirlo, l’autista. E bisogna capire tutti noi che ci siamo chiesti la stessa cosa, appena l’abbiamo saputo, e Ferruccio de Bortoli che se lo domanda nella prefazione e l’ex tipografo uxoricida di via Solferino che a pagina 229 lo riconosce in una cella del quarto piano: che ci va a fare, tra gli ergastolani, un giornalista che evitava perfino i tribunali di Biscardi? Cosa cerca, fra tante storie di cronaca nera, uno che ha fatto della rosea la sua vita?

 

"Un volontario, sì. Per otto mesi ho fatto il giornalista volontario. Nella mia carriera ho seguito dieci olimpiadi, non so quante partite o Giri d’Italia, sempre con lo stesso metodo: borsa in spalla, taccuino alla mano, molta curiosità. Qui, lo stesso. E’ stato un omaggio al mio lavoro, un senso nuovo da dare alle mie giornate. A 73 anni mi si è spalancata una vita inimmaginabile, ho incontrato un’altra felicità. Ho capito perché tanta gente vada là dentro ad aiutare e trovi risposte ai dubbi esistenziali, alle crisi personali. Lì si sta ai confini della vita, difficile non essere sinceri. Bisogna provarlo, San Vittore".

Ci vuole umiltà da cronista, "umiltà", direbbe il Crozza che ha messo Cannavò tra le maschere del teatrino fubbaliero. Ma che la prova non finisca qui, a queste cronache dal carcere pubblicate con Rizzoli sotto il titolo "Libertà dietro le sbarre" e dopo un prologo del cardinale Dionigi Tettamanzi, si capisce dall’ufficio che l’uomo in rosa tiene dietro corso Garibaldi, dove le foto con Pelé e Ferrari adesso lasciano spazio all’ultimo numero del "Due", il magazine dei detenuti, o al cd rom "Avanzi di galera" con le ricette scritte dal cuoco dei raggi.

 

Come il male d'Africa

 

"Domani ci rientro", dice Candido che ormai ha contratto la carcerite, una specie di mal di Messico, di mal d’Africa: "Il mal di San Vittore è una dolorosa, irreversibile, dolce abitudine per tutti i volontari che lo frequentano. All’inizio tutto sembra buio, difficile. Poi, via via esci dal tunnel dell’ignoranza per arrivare a una conoscenza sempre più profonda di uomini e cose. Detenuti, agenti, funzionari, volontari, dirigenti, avvocati, educatori, medici: tutti sulla stessa barca. E io con loro".

"L’è finì al du", è finito al 2, dicono i vecchi milanesi di chi sta dentro. "Prison=asile=usine=école", scrivevano sui muri del Maggio francese: il carcere t’annulla come la fabbrica o le scuole. Questa malconcia discarica di vite a perdere affascina, commuove, indigna Cannavò: "Lo ammetto, sarà giudicato un libro un po’ buonista. L’ho scritto con assoluta sincerità. Prendi Marco Medda: ha ammazzato due o tre persone, ha provato a evadere a ripetizione, è uno che dice "nel mio mestiere", però dopo trent’anni da ergastolano è anche uno che merita non dico rispetto, ma almeno d’essere ascoltato. Invece il nostro rapporto col carcere è sbagliato, ipocrita, controproducente. E’ un mondo che non interessa a nessuno: basta che stiano chiusi e non escano.

Il ministro Castelli e Albertini hanno proposto la biblica soluzione finale, demolire San Vittore e liberarci della sua sinistra presenza che tanto appanna l’immagine d’una Milano patinata, frivola, devota solo alla dea Immagine. Il terribile mostro di cemento però ha un’anima, è fatto di persone che non si cancellano dalla nostra coscienza. E’ un simbolo della vita di Milano come la Scala, il Duomo, la Fiera, San Siro, i Navigli. Là dentro, un giorno, io ho incontrato anche un bambino di sette giorni - sette giorni! - e mi sono vergognato d’un Paese che fa la legge Finocchiaro sulle misure alternative per le madri in carcere e poi non l’applica. Mi vergogno d’una prigione che dovrebbe tenere 800 persone, ne ha ospitate anche 2.500 e non scoppia solo perché ha un direttore sapiente come Luigi Pagano.

Le celle dei "protetti", al sesto raggio, sono spelonche repellenti, vergognose. Dovrebbero impallidire i ministri che si riempiono la bocca di parole o i potenti che s’accorgono del carcere solo quando ci finiscono. Nelle celle c’è un’umanità che è spesso migliore di quella che sta fuori. Qualche giorno fa, mi sono imbattuto in Calisto Tanzi che m’ha guardato stupito: "Cannavò, che ci fa lei qui?". "E’ quello che vorrei chiedere io a lei", gli ho risposto. Chissà quante volte avrò scritto "meno male che nel calcio ci sono personaggi come Tanzi"...".

Il silenzio e le grida - Bisogna coltivare il proprio giardino, diceva il Candide di Voltaire, e Candido ha trovato fra i retrocessi dalla società qualcun altro di cui prendersi cura. L’unica che non gli ha concesso confidenza è stata Patrizia Gucci, isolata col suo furetto, smarrita nella testarda solitudine d’una signora che disdegna le feste con le altre detenute. Ma gli altri… "La scintilla è nata da un incontro con Melodia, guineana, ex modella, otto anni perché stava con uno che si portava addosso 125 grammi di cocaina. Lui ha confessato e patteggiato una pena più lieve, lei no perché pensa che "l’innocenza non si patteggia". Di San Vittore s’è fatta una ragione, crede che poteva andarle peggio, magari una disgrazia in discoteca". Melodia è il pretesto per entrare negli altri gironi, dove il silenzio degli innocenti è coperto dalle grida di chi non ha nulla da perdere, fra mamme che allattano e tre che tentano il suicidio, fra quelli che lavorano al call center Telecom (lo sapevate che, quando chiamate il 12, a volte vi rispondono loro?) e chi parla solo con lo slang dei galeotti e sogna ancora un "taccagno" (coltello) per mettere insieme qualche "saltabanconi" (rapinatore) e fare finalmente la "fresca" (i soldi).

Narcos e terroristi, trans e infami, zingari e tossici: al contrappello non manca nessuno. Molte donne. La mangiafuoco di strada perduta nella droga dopo un viaggio in Olanda. La tassista della mala fregata da un turco. Le sarte che cuciono costumi per il Regio di Parma e vestiti per gli atelier di Montenapo o di Porto Rotondo. Le detenute che ascoltano un concerto in carcere di Viola Valentino e le dicono, sfacciate: "Pensavamo fossi solo una raccomandata…". Le cinesi che sposano gl’italiani.

 

Il detenuto innamorato

 

La figlioletta d’una guardia che organizza la festa di compleanno e all’entrata perquisisce tutte le compagne d’asilo, perché è così che ha visto fare da mamma. Il mago dei computer che Tronchetti Provera assumerebbe subito, non ci fossero di mezzo due ergastoli, e il vetraio Santino che fa piccoli capolavori per Milly Moratti. La fine annunciata di Gabriele Cagliari e la schiena dritta di Sergio Cusani. Di questo mondo non ha solo scritto, Candido: "Piano piano, s’impara anche il comportamento del carcere. Una volta è venuto da me un detenuto innamorato d’una che stava fuori. Voleva un colloquio, diciamo così, privato: "Cannavò, ci metta una parola buona". Quel tipo d’incontri è possibile solo se uno è sposato. Però sono andato dal direttore Pagano e ci ho provato lo stesso, ho ricordato che eravamo sotto Natale, l’ho commosso…". E com’è finita? "Tutto pensavo, a 73 anni, meno che di fare il Cupido".

 

 

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