|
A conclusione l’indagine della Commissione Giustizia del Senato
Agi, 8 dicembre 2004
"107 gli istituti carcerari visitati; 28 i centri dei servizi sociali per adulti, cui è affidato il complesso compito di sovrintendere all’esecuzione penale al di fuori del carcere; 12 le comunità di recupero per tossicodipendenti. 24 i Presidenti dei tribunali di sorveglianza e 5 i difensori civici incontrati oltre a 116 amministratori di enti locali (regioni, province e comuni). Particolare attenzione, inoltre, ai tre ospedali psichiatrici giudiziari (di Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto e Castiglione delle Stiviere) la cui delicatissima opera non sfugge a nessuno. E, infine, la visita alle scuole di formazione professionale per la Polizia Penitenziaria, a Monastir e a Verbania, cui è in qualche modo affidato il futuro del corpo. È questo il significativo bilancio al dicembre 2004 del lavoro svolto dalla Commissione Giustizia del Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul sistema carcerario nazionale dalla stessa deliberata d’intesa con il Presidente del Senato, Prof. Marcello Pera". Lo afferma il sen. Antonino Caruso, presidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama. "Si è trattato - spiega - di un lavoro complesso e faticoso a cui si è alternata la quasi totalità dei senatori che compongono la commissione avendo lo scopo di acquisire conoscenza e consapevolezza di un mondo che non manca di "fare notizia" in occasione di fatti tragici, ma che nella sua quotidianità è il più delle volte trascurato e senz’altro non conosciuto nel profondo. E, ancora, quello di dedicare attenzione - anche con la presenza fisica dei parlamentari - ai direttori degli istituti, agli educatori, ai cappellani, al personale di polizia penitenziaria, ai rappresentanti delle associazioni e del volontariato: a tutti quelli, insomma, che a vario titolo concorrono a far funzionare il sistema. Il lavoro della Commissione deliberatamente svolto lontano dai riflettori è quasi al termine - prosegue Caruso - poiché mancano solo la visita nelle Marche e nel Lazio. Poi sarà il momento di tirare le fila, organizzando tutte le informazioni e le notizie raccolte, e valutando quali siano gli interventi legislativi occorrenti e possibili. Proporrò di costituire per questo un comitato ristretto cui certamente dovranno partecipare i Vice Presidenti della Commissione, Borea e Zancan che hanno coordinato, in molte occasioni, il lavoro delle delegazioni in visita. Intanto giovedì 9 dicembre - conclude Caruso - il Presidente del Senato Pera riceverà in dono due sculture realizzate nei laboratori degli istituti di pena e che saranno consegnate al Senato da due detenuti accompagnati dal direttore del carcere di Trieste, dott. Enrico Sbriglia, e da quello della casa di reclusione di Opera, dott. Fragomeni. Si tratta di un’occasione, anche simbolica, per riaffermare l’attenzione del Senato verso situazioni, a volte dolorose, cui una società davvero civile non può mancare di prestare ascolto". Lettera da Rebibbia Femminile: "Il valore di un detenuto"
Il Manifesto, 8 dicembre 2004
Nella notte tra il 25 e 26 novembre scorso, una donna, di nazionalità russa di 39 anni, si è suicidata impiccandosi alla sponda del letto. Non una parola è stata detta dagli organi di informazione o dai nostri cari politici che tanto dicono di interessarsi alle condizioni carcerarie. La donna era detenuta nella sezione "infermeria" e a causa delle sue precarie condizioni psicologiche era sottoposta a sorveglianza a vista, sorveglianza che evidentemente non è stata effettuata. Per questo riteniamo l’amministrazione carceraria completamente responsabile di quanto è accaduto. Non sappiamo se questa indifferenza, dipenda dalla mancanza di comunicazione dell’episodio, o dal totale menefreghismo nei confronti delle condizioni in cui siamo costrette a vivere e che spesso portano a episodi di questo genere. Questa è l’ennesima dimostrazione di quanto valga la vita di una detenuta/un detenuto.
Un gruppo di detenute di Rebibbia femminile, Roma Roma: un mercatino di Natale a Rebibbia…
Vita, 8 dicembre 2004
Gli inquilini di Rebibbia, l’8 dicembre esporranno i loro manufatti a Sant’ Angelo Romano. Il ricavato dalle vendite, per far acquistare olio e caffè ai detenuti. Un mercatino di oggettistica e di arte figurativa realizzata dai detenuti di Rebibbia, provenienti da 126 paesi, per la festività dell’Immacolata. La mostra, dove esporranno i loro manufatti, si svolgerà al castello di Sant’Angelo Romano, che per l’occasione, l’8 dicembre, resterà aperto dalle 9 di mattina fino alle 19. Un progetto di solidarietà, infatti, l’intero ricavo effettuato dalle vendite, verrà utilizzato per l’acquisto di generi di prima necessità. La presidente dell’Inner Wheel, Fausta Iannaccone Ammaturo, sostenitrice dell’iniziativa, ha specificato che, " con gli oggetti da loro realizzati, che tra l’altro hanno prezzi contenuti, i detenuti, potranno acquistare dolciumi, olio, caffè e pasta". L’invito esplicitato ai visitatori, in pratica, è quello di contribuire alla spesa dei detenuti spontaneamente. "Se poi i visitatori - ha infatti aggiunto la Iannaccone Ammaturo - oltre ad acquistare qualche oggetto, segnaposti, centrotavola o giocattoli, volessero portare dei generi alimentari, saranno benefattori due volte". L’opera a fin di bene, ha unito insieme oltre all’assessore alla cultura di Sant’ Angelo Romano, Filoteo Recchioni, anche il cappellano del carcere di Rebibbia, Don Roberto, che ha sostenuto la partecipazione popolare. "Partecipare alla mostra - ha detto Don Roberto - sarà un atto di bontà cristiana verso chi è troppe volte dimenticato". Una nuova normativa in materia di diffamazione di Bruno Tucci, Presidente ODG del Lazio
Giustizia.it, 8 dicembre 2004
La Camera dei Deputati, dopo una lunga discussione e grazie al voto favorevole di una ampia maggioranza, ha di recente approvato il testo di un disegno di legge che regolamenta in maniera innovativa il reato di diffamazione a mezzo stampa, questione cruciale per garantire quella libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente sancita. Fortemente ridotte le sanzioni per i trasgressori: annullata la misura detentiva, la diffamazione è punibile con una sanzione pecuniaria il cui ammontare massimo è di diecimila euro. Rinnovato peso assume l’istituto della rettifica: la pubblicazione di una smentita priva di ulteriori commenti è sufficiente per evitare una condanna. In attesa del definitivo sì del Senato, l’editoriale di Bruno Tucci evidenzia le dinamiche che hanno portato a questa svolta, come pure le possibili connessioni che si potrebbero creare tra il mondo del giornalismo e quello della Giustizia. L’Ordine dei giornalisti del Lazio ha organizzato per il 7 dicembre a Palazzo San Macuto (Sala del Refettorio) un convegno-dibattito per discutere le innovazioni introdotte dalla riforma delle norme sulla diffamazione a mezzo stampa approvate in prima lettura dalla Camera dei Deputati. Le novità più importanti sono la cancellazione della pena detentiva e la non punibilità nel caso in cui l’autore dell’offesa provveda alla pubblicazione di dichiarazioni o rettifiche. Se la riforma passerà anche l’esame del Senato i giornalisti rischieranno solo pene pecuniarie, che nel massimo potranno arrivare a diecimila euro, ma anche l’interdizione da uno a sei mesi dalla professione nel caso di recidiva. Inoltre la sentenza di condanna sarà trasmessa all’Ordine professionale di appartenenza per eventuali sanzioni disciplinari. Nel tentativo di stroncare il mercato delle citazioni miliardarie la nuova legge ha previsto un tetto di trentamila euro ai risarcimenti per i danni morali e solo quando il giudice è chiamato a decidere secondo equità. Resta ovviamente senza limite la pretesa di chiedere il risarcimento di danni patrimoniali quasi sempre indimostrabili e molto spesso strumentali a quella che è stata definita una vera e propria monetizzazione dell’onore. Uno dei punti più controversi riguarda la rettifica, un istituto che non ha mai trovato pratica e concreta applicazione nel mondo dei media perché ad essa è stata preferita la più remunerativa via della querela o della citazione civile. Per ovviare a questo stato di cose, l’ordine dei giornalisti aveva suggerito di considerare la richiesta di rettifica come condizione di procedibilità sia per le azioni penali che per quelle civili. La Camera ha ritenuto invece di elevare la sua pubblicazione a condizione di non punibilità. L’esperienza dirà se è stata una scelta felice oppure no. Di certo non tutte le innovazioni introdotte dalla riforma hanno riscosso il consenso degli operatori del mondo dei media. Alcuni hanno suscitato dubbi e perplessità soprattutto per quanto riguarda la quasi certezza che alla sentenza di condanna faccia seguito la pena accessoria dell’interdizione dalla professione. Per questi e per altre motivi l’Ordine dei giornalisti del Lazio ha invitato gli addetti ai lavori ad un pubblico confronto con i componenti della Commissione Giustizia della Camera che hanno dato vita alla proposta di legge, nell’auspicio che dal dibattito possano emergere spunti di riflessione utili ad un eventuale miglioramento delle norme. In sintesi le novità più significative sono:
Diffamazione: la nuova legge piace anche all’opposizione
Gazzetta del Sud, 8 novembre 2004
Piace sostanzialmente anche all’opposizione la nuova legge sulla diffamazione a mezzo stampa, approvata alla Camera il 26 ottobre scorso. Un provvedimento che ha come punti principali l’abolizione del carcere per i giornalisti e il concetto di rettifica come causa di non punibilità. È quanto emerso dal convegno "Luci e ombre della nuova legge sulla diffamazione" organizzato a San Macuto dall’Ordine dei giornalisti del Lazio. A sintetizzare la posizione della maggioranza è stata Iole Santelli, sottosegretario alla Giustizia, che ha parlato di "legge di compromesso. Non è la migliore possibile – ammette – ma è stato rotto l’argine di un diritto penale solo di pena detentiva". Per il sottosegretario è una legge che "si può migliorare ma – chiede in vista del prossimo passaggio della norma in Senato – cerchiamo di non sprecare questa occasione". Sulla stessa linea Anna Finocchiaro, responsabile Giustizia dei Ds, che ricorda la "grande difficoltà" della discussione alla Camera. A suo avviso, nonostante la necessità di alcune modifiche, come il punto sulla responsabilità oggettiva dei direttori, "il testo porta comunque importanti innovazioni non solo legislative ma anche di natura culturale". In particolare ritiene "un grande passo in avanti", una "rottura culturale", l’aver stabilito che "se c’è la riparazione della dignità del soggetto che si ritiene diffamato non c’è azione penale". Ma avverte: "Non è tutto acquisito definitivamente. Ci sono alcune modifiche da fare, ma valorizzerei ciò che è stato fatto. Questo purtroppo è un paese nervoso, in politica c’è troppo rancore e non vorrei che anche questo tipo di risultato tornasse ad essere messo in discussione". A difendere il risultato ottenuto finora è anche Gaetano Pecorella, presidente Commissione Giustizia della Camera, secondo cui "quando una legge scontenta tutti, vuol dire che è equa". Per Pecorella infatti questa legge "scontenta gli avvocati perché diminuiscono le cause, e i giornalisti perché lascia in piedi le sanzioni". Riferendosi poi alla norma transitoria sulla retroattività della conversione della pena della reclusione in pena pecuniaria, afferma che essa "risponde a un principio di civiltà". Posizione non condivisa da Guido Calvi, capogruppo Ds in commissione Giustizia al Senato, che dà un giudizio complessivamente positivo sulla legge, ma per il quale la norma transitoria è invece "un condono surrettizio". Calvi ritiene inoltre "un passaggio opportuno" la proposta di "vedere la rettifica come condizione essenziale per avviare il procedimento", mentre l’interdizione "è uno strumento straordinariamente punitivo per un giornalista rispetto a una sanzione penale". Dubbi sull’applicazione dell’istituto della rettifica ai siti Internet sono stati espressi da Enzo Carra della Commissione Giustizia, che tra l’altro si chiede: "Come funziona la rettifica in tv? Come sui giornali? Si rischia di avere una serie a catena di diffamazioni e contro-diffamazioni". La possibilità di miglioramento della legge, "senza però buttare il bambino con l’acqua sporca" è sottolineata dal presidente dell’Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca, che però è contrario alla norma secondo cui la sospensione del giornalista venga decisa dal giudice: "Loro sono tanto vigorosi nel sostenere la loro autonomia, non si capisce perché non dovrebbero rispettare l’autonomia dei giornalisti". E sul rapporto tra cronista e direttore, propone "una distribuzione della responsabilità" di quest’ultimo in un "reticolo di gruppi che abbiano una delega effettiva". Unica voce fuori dal coro, quella dell’avvocato Grazia Volo, per la quale questa legge "tende a una normalizzazione della professione giornalistica". Condannato a 20 anni per piccoli furti; Cassazione annulla
Repubblica, 8 novembre 2004
A febbraio, il Gip di Trapani l’aveva condannato a 20 anni, 5 mesi e 20 giorni sommando le singole condanne per una serie di piccoli furti. La vicenda del 28enne trapanese Giuseppe Barraco, un ladruncolo che sarebbe dovuto restare in carcere fino al 2019, aveva suscitato scalpore: "Nell’Italia degli impuniti, a mio figlio danno vent’anni per quattro furtarelli" aveva commentato sua madre, Antonina Polizzi. Adesso la prima sezione penale della Cassazione ha annullato la decisione, rinviandola allo stesso Gip. Barraco privilegiava i furti in spiaggia ai danni di bagnanti distratti, e la sottrazione di schede telefoniche in tabaccheria. Il Gip aveva avuto la mano pesante, scegliendo di considerare i reati singolarmente senza valutarli come rapportabili ad un "atto unico". Per questo i difensori del giovane hanno presentato ricorso in Cassazione, ed hanno ottenuto ragione. Cagliari: consiglieri ragionali, "carcere in emergenza sanitaria"
L’Unione Sarda, 8 novembre 2004
Uscendo da lì si stringe il cuore, anche a un consigliere regionale. È l’effetto del carcere, incluso Buoncammino, che ieri mattina è stato visitato dalla commissione diritti civili della regione. È la prima visita, prima di una serie che toccherà tutti gli istituti penitenziari, per stilare un rapporto sui problemi e le soluzioni da trovare. Paolo Pisu, presidente della commissione (consigliere di Rifondazione e sindaco di Laconi) denuncia il sovraffollamento, l’emergenza sanitaria (il 60% della popolazione a Buoncammino è tossicodipendente, il 60% malato di epatite, il 25% soffre di disturbi psichici). La sua proposta è la "decarcerazione": trovare pene alternative alla detenzione. La responsabilità delle carceri non è della regione, ricorda infine, ma del ministero della Giustizia. Giorgio La Spisa (FI), primo a uscire dall’enorme portone verde, è assalito dai ragazzi del Comitato cinque novembre. Sono i giovani iscritti al corso di Scienze politiche, riuniti in comitato dal cinque novembre scorso (da qui il nome), che andranno avanti nello sciopero della fame fin quando "non arriva il 118 a portarci via", minaccia Simona Deidda. Il suo compagno di lotta - così si definiscono - Roberto Loddo chiede un indulto generalizzato di tre anni, e non starà zitto fin quando il presidente della Regione non darà un segno di umanità, almeno verso i 32 detenuti sieropositivi. La Spisa esce turbato, "è impressionante". Maria Grazia Caligaris (del listino, in quota Sdi) rilancia: i familiari dei detenuti hanno ragione, queste non sono realtà di rieducazione. E poi: "Buoncammino va chiuso". Le celle delle donne non hanno nemmeno il bidet, racconta, i medici sono solo due, aiutati da tre infermieri. "La visita di tre anni fa della commissione diritti civili, scorsa legislatura, non ha cambiato nulla". Cosa potrà fare questa? "Intanto capire lo stato delle cose". A cambiarlo, lentamente, è certo il lavoro silenzioso di chi, al carcere, dedica le sue giornate. Da qui, il laboratorio di ceramica per le detenute, la mostra di manufatti nell’istituto delle suore di San Vincenzo, grazie al lavoro di suor Angela, il teatro in lingua sarda tenuto da Gian Paolo Loddo, i due campi di calcetto che si inaugurano a giorni con un torneo, annuncia Claudio Massa, responsabile dell’area educativa. Nuoro: continua processo per morte Luigi Acquaviva
L’Unione Sarda, 8 novembre 2004
Con la drammatica deposizione di Harald Klostermaier è ripreso ieri mattina davanti al giudice monocratico del Tribunale di Nuoro il processo per la morte di Luigi Acquaviva, il detenuto napoletano trovato impiccato alle sbarre della sua cella il 23 gennaio del 2000, che vede sotto accusa otto agenti penitenziari di Badu ‘e Carros. Angelino Calaresu è accusato di omicidio colposo, mentre Antonio Deidda, Vittorio Leoni, Giovanni Dessì, Franco Ignazio Trogu, Guido Nurchi, Mario Crobu e Antonio Salis devono rispondere solo di lesioni (avvocati Antonio Busia, Giuseppe Luigi Cucca, Pasquale Ramazzotti e Lorenzo Soro). All’epoca dei fatti Klostermaier, di nazionalità tedesca, era detenuto nella sezione Alta sicurezza del carcere di Badu’e Carros, la stessa nella quale, dentro la cella numero 10, venne trovato il cadavere di Acquaviva, morto dopo un pestaggio furibondo da parte degli agenti penitenziari, secondo la tesi dell’accusa. Klostermaier ha confermato in aula come in quel periodo ci furono diversi pestaggi ai danni dei detenuti. Ha anche raccontato di aver sentito le "scariche di botte" rifilate ad Acquaviva, il 22 gennaio del 2000. "Dopo che lo portarono in cella - ha poi proseguito - lo sentivo lamentarsi". Durante la notte quei lamenti cessarono, poi seppe che era morto. Alla prossima udienza prevista per l’11 gennaio saranno sentiti altri due testimoni, poi potrebbe esserci la sentenza. Milano: in platea a San Vittore anche la vedova Gucci
Corriere della Sera, 8 novembre 2004
"Guardate, è in gabbia anche lei...": e a quel punto anche le ultime file tacciono. Perché d’accordo, quasi nessuno dei circa duecento detenuti seduti nella platea del terzo raggio ha avuto tempo e modo di studiarsi il libretto della Riconosciuta : ma le sbarre di una prigione, come quelle che rinchiudono Europa all’inizio del secondo atto, a San Vittore le riconoscono tutti. Finisce con l’applauso, proprio come alla Scala vera. E con due auspici in più: "Sarebbe bello che ci fossero delle repliche anche qui" conclude Claudio (rapina, 7 anni) tornando in cella. "E che magari dopo la Scala - aggiunge Marco (spaccio, 4 anni) - finissero di ristrutturare anche le parti più vecchie di questa galera". Del resto per San Vittore era una "prima" più assoluta che mai. Mai successo, fino a ieri, che a qualcuno venisse in mente di organizzare una diretta, maxischermi e tutto il resto, tra l’inaugurazione della stagione lirica più importante del mondo e l’interno di un carcere. E loro, da dentro, hanno risposto meglio di un coro. Ciascuno a suo modo. I viados che scherzano sulle calzamaglie attillate dei ballerini, la sezione femminile con Patrizia Reggiani - la vedova di Maurizio Gucci - attentissima in seconda fila come negli anni in cui andava in platea sul serio. I tossici in trattamento, i rapinatori fortunati con la cella al terzo raggio già ristrutturato e i disperati che stanno al sesto, quelli che in carcere studiano e gli extracomunitari che parlano a fatica anche l’italiano. Le donne nella rotonda centrale. Poi due cancelli, una porta blindata. Dall’altra parte gli uomini. La polizia penitenziaria con la divisa tirata a lucido. Per partecipare alla serata bastava compilare una domanda: "E chi lo ha chiesto - spiega Gloria Manzelli, la nuova direttrice del carcere insediatasi giusto una settimana fa - in assenza di impedimenti particolari di natura giudiziaria è stato accontentato". Nomi conosciuti e altri no. Volti come quello di Ruggero Jucker, in carcere per l’uccisione della fidanzata, con lo sguardo fisso sullo schermo: "Sì, la lirica mi piace. Ma a Salieri preferisco Mozart": a metà del primo atto torna in cella. O personaggi come Cristiano, in prigione per narcotraffico, che ora commenta l’opera con acume da critico: "Del resto mi arrestarono proprio il 7 dicembre di cinque anni fa, mentre uscivo dalla prima della Scala". Si abbassano le luci. Nelle prime file ascoltano tutti, più indietro meno: ma nessuno parla ad alta voce. "Noi stiamo in sei, per 23 ore al giorno, in una cella di sette passi per tre - riconosce Gennaro (rapina) - e questa era un’occasione per uscire almeno in corridoio". Aldo (truffa): "Molti di noi sapevano poco di opera, ma molti stasera torneranno in cella con la voglia di saperne di più". E all’intervallo tutti nel "foyer", subito ribattezzato "Foyer la Rotonda", con un buffet che ovunque par d’essere tranne che in galera: il "Marchesi" di San Vittore è una onlus che si chiama "Procaccini", ci lavorano sette disabili psichici che hanno fatto i miracoli. "Sembra di ceramica vera", sorride Patrizia Reggiani accennando al piatto di carta che ha in mano. "Non sapevo - dice - cosa avrei provato nel rivedere una prima della Scala da dentro il carcere... Ma adesso sono contenta. Volevo vedere soprattutto il teatro ristrutturato e l’ho visto. Mi spiace solo che le inquadrature fossero un po’ strette...". Sassari: via libera per costruire il nuovo carcere…
L’Unione Sarda, 8 novembre 2004
Per un nuovo penitenziario, in sostituzione di san Sebastiano, saranno disponibili entro il prossimo anno i denari necessari alla sua costruzione. Lo ha assicurato, nero su bianco, il prefetto di Sassari Salvatore Gullotta in una nota inviata al consigliere provinciale di Progetto Sardegna, Antonello Unida, autore, nel mese scorso di uno sciopero della fame davanti al penitenziario sassarese, per chiedere il suo spostamento in un’area più idonea, e, soprattutto, per pretendere un carcere più umano. "Il segretario generale della presidenza della Repubblica sulla grave situazione in cui versa la casa circondariale di Sassari - scrive il Prefetto - ha chiesto di informarla che, da notizie acquisite dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, risulta che entro il 2005 saranno disponibili i finanziamenti per la realizzazione di un nuovo edificio penitenziario". Quindi, par di capire, i soldi si sono ritrovati. Una certa cautela, comunque, porta a frenare gli entusiasmi: già dopo i fatti clamorosi del carcere di Sassari, quando il malumore all’interno del penitenziario era sfociato in una serie di pestaggi, era stato assicurato a più riprese che i finanziamenti per la costruzione di un nuovo carcere stavano per essere inseriti in una finanziaria. Anzi, ad un certo punto, si era parlato anche di una ventina di milioni di euro già disponibili. Milioni che poi erano stati dirottati altrove per altre esigenze penitenziarie. Ma non solo: più tardi lo stesso ministro degli Interni, Beppe Pisanu, aveva garantito che entro il 2004 si sarebbe potuto dare inizio alla costruzione del nuovo carcere. A tutt’oggi niente di tutto ciò si è verificato. Ora è la volta di una nota ufficiale a garantire la notizia che i soldi ci sono e che quindi, entro il 2005, sarà possibile entrarne in possesso per realizzare finalmente un carcere che sostituisca San Sebastiano. Da ricordare, a questo proposito, che da tempo era stato anche individuata l’area in cui dovrebbe sorgere il nuovo edificio carcerario. Era stata infatti definita idonea un’area di Bancali, a pochi chilometri dal centro della città, dove erano stati effettuati diversi sopralluoghi che garantivano l’idoneità del sito, sia per la facilità di collegamento, che per la sicurezza. Mancavano soltanto le risorse finanziarie. Ora, secondo la nota del Prefetto Salvatore Gullotta, che riporta l’assicurazione della Presidenza della Repubblica, anche quelle sarebbero pronte all’uso. Non è improbabile, a questo proposito, che sia stata la lettera che, in occasione della sua visita in città, era stata consegnata al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, dallo stesso consigliere provinciale Antonello Unida, che sul problema del carcere sassarese aveva attuato diverse battaglie, a suggerire la risposta della segreteria presidenziale. Nella stessa nota, inoltre, vengono assicurati, per il carcere di San Sebastiano, "compatibilmente con le risorse disponibili", interventi atti a garantire la sicurezza e la conformità delle norme igienico sanitari, oltre alla revoca dei "provvedimenti di distacco presso altri istituti del personale della Polizia penitenziaria in servizio a Sassari". Amnesty: furgoni Fiat in Cina... ma sono camere della morte
La Padania, 8 novembre 2004
Grazie ad Amnesty International abbiamo scoperto il caso di uno dei pochi prodotti italiani che riescono ad avere grande successo in Cina: i furgoni della Fiat. Peccato che il loro utilizzo non sia quello di trasportare oggetti da una parte all’altra, ma sia ben più macabro. A causa dell’elevato numero di esecuzioni che vengono compiute Pechino ha ideato i "boia itineranti", che girano proprio su furgoni Fiat adattati allo scopo. Lo ha denunciato la Sezione Italiana di Amnesty International, chiedendo all’azienda torinese di non rendersi complice di una violazione del fondamentale diritto umano, quello alla vita. Da quando la Cina ha adottato il metodo di esecuzione dell’iniezione di veleno, le autorità hanno sollecitato i tribunali locali a dotarsi di camere di esecuzione mobili, onde poter accelerare i tempi ed evitare di dover trasferire i condannati da una città all’altra. Secondo Amnesty, la pena di morte in Cina continua a essere applicata in modo esteso e arbitrario, spesso influenzata da interferenze politiche. Negli ultimi quattro anni, con il lancio delle cosiddette campagne "Colpire duro", è aumentato considerevolmente il numero dei condannati a morte anche per reati di lieve entità, in precedenza puniti con il carcere. All’indomani dell’11 settembre 2001, inoltre, la Cina ha intensificato la repressione contro la minoranza uigura del Xinjiang, eseguendo condanne a morte per reati politici. I dati di Amnesty International, che riguardano solo i casi accertati, parlano di 1.060 condanne a morte eseguite nel corso del 2002. Secondo altre fonti, il numero delle esecuzioni potrebbe essere fino a dieci volte superiore. Il "Beijing News" ha pubblicato la notizia dell’acquisto di un furgone da parte dell’Alta corte della Provincia di Liaoning, nella Cina nord-orientale, subito attrezzato per diventare una "camera della morte" itinerante. La notizia è stata poi confermata da un funzionario di polizia della stessa Alta corte, addetto alle esecuzioni, il quale ha dichiarato alla France Presse che altri tribunali (diciassette, secondo fonti ufficiali cinesi), stanno procedendo all’acquisto dei furgoni. Si tratta di furgoni Iveco, del gruppo Fiat, prodotti a Nanchino e che costano 400.000 yuan, circa 40.000 euro. Il presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, Marco Bertotto, in una lettera indirizzata alla Fiat ha ricordato le responsabilità che l’azienda, capogruppo della Iveco, si assume con questa fornitura al governo cinese. Di fatto, un veicolo normalmente utilizzato per effettuare servizi di trasporto merci o persone, e quindi utile alla comunità civile, diventa parte essenziale di un apparato omicida puntato alla nuca della comunità stessa. La Dichiarazione universale dei diritti umani, nel suo Preambolo, richiede a tutti gli individui e a tutti gli organi della società di fare la propria parte per garantire il rispetto di tutti i diritti umani in ogni parte del mondo. Le imprese, soprattutto se grandi, transnazionali e potenti come la Fiat, essendo organi importanti della società internazionale, non possono sottrarsi a questo obbligo. Cassazione: ai "pentiti" condanne senza sconto…
Il Tempo, 8 novembre 2004
La collaborazione dei pentiti porta a risultati di "sicuro segno positivo" ma "non sono pochi i casi di collaboranti che, una volta tornati in libertà, hanno ripreso a commettere delitti anche gravi": proprio per scoraggiare queste "ricadute" la Cassazione approva le condanne che non concedono il massimo di sconto della pena nei confronti dei collaboratori di giustizia. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, è del tutto "legittimo" non concedere ai pentiti, "nella massima estensione", la riduzione degli anni di carcere prevista dalle "attenuanti per la collaborazione" e dalle "attenuanti generiche". Questo orientamento la Cassazione lo afferma nella sentenza 47451 - appena depositata - che ha messo la parola fine al processo ai killer dell’agguato di Via Carini (Palermo, 3 settembre 1982) nel quale vennero uccisi il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo (che morì il 15 settembre, per le ferite). In particolare la Suprema Corte ha confermato la condanna all’ergastolo per Antonino Madonia che, a bordo di una Bmw guidata da Calogero Ganci, sparò contro le vittime, e ha confermato la condanna a 12 anni e 8 mesi di reclusione al pentito Francesco Paolo Anzelmo che prese parte all’agguato ma non sparò. Parma: arrivano i rinforzi per il carcere di via Burla
La Gazzetta di Parma, 8 novembre 2004
Sono in arrivo 55 unità di rinforzo per la Polizia penitenziaria del carcere di via Burla. Trenta entreranno in servizio a Parma già entro lunedì. "Sembra che, con le proteste delle scorse settimane, qualcosa siamo riusciti a ottenere - spiega Alessandro Tamburello, segretario regionale dell’Osapp -. Non dimentichiamo però che gli agenti mancanti sono 150, quindi il risultato raggiunto è insufficiente, e se si pensa che con l’inizio del nuovo anno 20 - 30 uomini, per anzianità, termineranno il servizio, siamo quasi punto e a capo". È stata così indetta nella sede di Alleanza nazionale la conferenza stampa "al fine di continuare a sensibilizzare e l’opinione pubblica e le istituzioni su un problema che riguarda la sicurezza di tutta la cittadinanza - sottolinea Massimo Moine, segretario provinciale di An -. Riconosciamo l’azione anche di altre voci sulla condizione di carenza di organico negli istituti penitenziari e a maggior ragione noi, come partito di governo, solleciteremo, con un documento intriso di preoccupazione e numeri in difetto rispetto alla necessità, gli organi competenti affinché si ponga attenzione in maniera incisiva alla situazione". Uno status quo che tende al peggioramento, se si tiene conto dell’imminente apertura del reparto paraplegici (41 sono i detenuti affetti da paralisi in via Burla) e del fatto che agenti ausiliari verranno congedati per termine del servizio. La grave carenza di personale ha determinato pesanti condizioni di lavoro con inevitabili ricadute negative anche sulla situazione delle persone recluse: ciò potrebbe comportare rischi sia sul piano della sicurezza interna che di quella esterna agli istituti stessi. "I problemi, causati da un deficit di agenti penitenziari, si manifestano soprattutto sulla custodia e sulle tradotte - aggiunge Tamburello -. Non dimentichiamo che la casa di reclusione di Parma custodisce uomini strettamente intessuti con la criminalità organizzata. Pensiamo a una necessità di ricovero ospedaliero: il trasporto e la sorveglianza devono garantire una sicurezza totale per la cittadinanza". Inoltre, sarebbe necessario intervenire, anche, sulla sussidiarietà alle famiglie degli agenti: creare, cioè, condizioni favorevoli (affitti accettabili e un lavoro per il coniuge) alla permanenza del personale in città. Un’integrazione che permetterebbe un maggiore stimolo a non andarsene via per una ricongiunzione con i parenti che stanno altrove. Gran Bretagna: più opportunità per giovani detenuti
Apcom, 8 novembre 2004
I giovani detenuti dovrebbero avere maggiori opportunità di incontrare i propri parenti. In questo modo, secondo Cherie Blair, si impedirebbe che i loro figli diventino a loro volta dei criminali. In occasione - riferisce il sito internet della Bbc - della presentazione di un rapporto dell’associazione di volontari Prison Reform Trust, la moglie del primo ministro britannico ha dichiarato che devono essere studiate misure alternative alla reclusione per i giovani genitori. Lo studio ha messo in evidenza che ogni cento bambini iscritti alle scuole primarie, almeno sette hanno un genitore carcerato. "Troppo spesso la detenzione peggiora i problemi piuttosto che contrastarli", ha osservato la consorte di Tony Blair, "Il crimine non deve fermare la famiglia". Non è stata realizzata alcuna ricerca specifica - ha spiegato il rapporto "Giovani genitori, dalla reclusione alla comunità" - per stabilire se i figli dei giovani detenuti abbiano più probabilità di commettere reati. Ma uno studio generale ha indicato che il 43 per cento dei detenuti ha un parente con la fedina penale sporca. Associazione Papillon: aiutateci ad aprire una sede a Gela
TG 10, 8 novembre 2004
L’associazione culturale Papillon di Caltanissetta, per la difesa e i diritti dei detenuti, intende aprire una sede anche a Gela. La proposta giunge dal responsabile della stessa associazione, Alfredo Maffi, che in una lettera inviata alla nostra emittente, illustra i motivi dell’iniziativa. Maffi sostiene che intende utilizzare la sede per potere svolgere un punto di raccordo e di informazione, di sostegno e di socializzazione per i detenuti e per le loro famiglie. Ma soldi non ce ne sono. Ed allora lancia un appello alla comunità gelese e alla sua generosità perché, con donazioni, si possa aprire anche a Gela e prima di Natale la sede dell’associazione Papillon. Per informazioni si può telefonare ad Alfredo Maffi al 347.6380984 Genova: "Guida per orientarsi nella vita in carcere e oltre"
Comunicato Stampa, 8 dicembre 2004
Venerdì 10 dicembre alle ore 15, presso la Regione Liguria, Via Fieschi 15, Genova, verrà presentata la "Guida per orientarsi nella vita in carcere e oltre". La Guida è stata realizzata dalla Conferenza Volontariato Giustizia della Liguria ed è stata finanziata dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Liguria. Essa riprende, aggiornata e adattata alla realtà della Liguria, la "Guida per i detenuti" prodotta nel 2001 dallo Sportello Giustizia c/o Centro di Servizio per il Volontariato di Rovigo. Ha lo scopo di agevolare ì detenuti nella comprensione delle leggi e delle regole che disciplinano il regime penitenziario in Italia, oltre a fornire informazioni per il dopo carcere. La pubblicazione è disponibile in cinque lingue: italiano, spagnolo, francese, inglese e arabo.
|