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Alla richiesta di "certezza della pena" la risposta è poca "grazia"
Alla richiesta di maggior certezza della pena oggi si risponde anche così, con poca "grazia". Ma la grazia significa anche che c’è un momento, diverso da caso a caso, nel quale la detenzione smette di avere senso e prevale l’umanità.
di Stefano Bentivogli, redazione di Ristretti Orizzonti
La grazia per i detenuti è forse l’istituto previsto dalla nostra legge che più sembra contraddire il principio per cui una pena deve essere certa e va scontata fino in fondo. I primi di dicembre Graziano Mesina è stato scarcerato, ha ottenuto la grazia, il rito è stato celebrato nella basilica di Porta a Porta con la benedizione del ministro della Giustizia Castelli. Un momento di commozione generale, il ministro ha dichiarato che liberare una persona è fantastico, come se la grazia l’avesse concessa lui e non il presidente Ciampi, mentre Mesina non sembrava così estasiato dalle emozioni di quel palcoscenico. La grazia in Italia non è più di moda, ne sono state concesse 4 nel 2003, 4 nel 2002, 6 nel 2001, 16 nel 2000, eppure la legge che la prevede esiste ancora e non è stata modificata. La percentuale di grazie concesse, rispetto alle richieste inoltrate, è passata dallo 0,058 del 1993 allo 0,008 del 2003, vale a dire che nei confronti di questo istituto è cambiato l’atteggiamento di chi la grazia la può concedere o meglio, la grazia è passata in mano alla politica ed alle strumentalizzazioni che questa ritiene opportune. Alla richiesta di maggior certezza della pena si risponde anche così, con poca grazia. Eppure questa è un provvedimento individuale, riguarda solo la persona interessata ed il significato della punizione che le è stata inflitta. Quando una pena è diventata insensata, rispetto alla persona che vi è sottoposta, la nostra legge prevede che ci sia l’opportunità di affrontare il caso in termini umanitari, che intervenga il presidente della repubblica e sottragga il condannato alla logica della certezza della pena. Il senso della concessione della grazia sembra essere proprio quello di evitare che la pena venga fatta scontare secondo una logica rigidamente retributiva, perché dopo tanti anni una persona può essere cambiata, può non essere più pericolosa, può essere in condizioni di salute tali per cui la pena ancora da scontare diventa secondaria. La grazia la concede il Presidente della Repubblica come atto ultimo di clemenza, non al di sopra della legge e della giustizia, ma dove la legge e la giustizia non possono che compiersi con il senso di umanità. Fa un po’ sorridere pensando alle condizioni poco umane nelle quali si scontano le pene nel nostro paese, ma i casi di grazia avrebbero senso anche se noi detenuti vivessimo in condizioni migliori, perché una persona non andrebbe tenuta dentro una gabbia neanche un giorno in più del necessario, se la vita di una persona è considerata ancora un valore. Oggi quando si parla di grazia se ne sentono di tutti i colori, ho sentito interviste a cittadini contrari alla grazia, convinti che viene data a destra e sinistra con estrema facilità, gente che non sa cosa significa scontare una pena per tanti anni, non sa quante sono le grazie concesse, soprattutto ha un’idea del detenuto senza aver mai conosciuto né il carcere né il detenuto stesso. Graziano Mesina però è stato graziato, per fortuna, gli italiani hanno rinunciato alla vendetta, non ci sono state sollevazioni popolari, persino il ministro Castelli era entusiasta, si è pensato ad essere clementi nonostante si avesse a che fare con uno dei miti del banditismo sardo, uno che ha spesso tentato di evadere, uno che quando era uscito in passato dal carcere vi era stato ricondotto velocemente per una strana storia di armi. Quindi è sempre possibile ipotizzare che c’è un momento, diverso da caso a caso, nel quale la detenzione smette di avere senso e prevale l’umanità. Non sempre però le cose vanno così, soprattutto quando la strumentalizzazione politica passa sopra tutto e tutti. Quando in più riprese si è ipotizzata la grazia per Adriano Sofri e per Ovidio Bompressi si sono alzate le barricate perché c’è addirittura il ministro della Giustizia che, oltre a sollevare questioni di merito sul fatto che Sofri la grazia non la chiedeva, pensa di avere poteri pari al Presidente della Repubblica. Altra parte della politica invece sosteneva l’utilità della grazia in quanto Sofri era vittima di un processo ingiusto, tesi che condivido, ma purtroppo dannosa quando si chiede un atto di umanità. Il problema per Sofri e Bompressi doveva essere esclusivamente limitato al senso della loro pena, all’inutilità del tenere i loro corpi dietro le sbarre, nel caso di Bompressi ci sono anche condizioni di salute veramente gravi. Ma la destra reclamava la grazia anche per i suoi, e alcuni parenti delle vittime del terrorismo – neanche parenti del commissario Calabresi – minacciavano di lasciarsi morire di fame e la Lega reclamava, reclamava e basta che chi ha sbagliato deve stare in galera. Bisogna ricordare a tutti questi amanti della forca che la certezza della pena non è nel non concedere la grazia, gli sconti di pena meritati, le misure alternative alla detenzione per il reinserimento sociale, perché in Italia, una volta che sei catturato e condannato la pena la sconti ed in maniera dura nella stragrande maggioranza dei casi. Diversa è la realtà del regime di impunità nel quale oggi da un certo punto di vista viviamo, dovuto alla difficoltà di reprimere il crimine, oppure di quello dovuto ai tempi della nostra giustizia che premiano gli imputati di lusso, i potenti che possono permettersi, oltre al diritto alla difesa, il placet dei media che, di fronte alla capacità di alcuni di non farsi mai processare, diventano tutti garantisti o stranamente muti. Ricordiamoci invece, ogni tanto, che la giustizia è per definizione fallace, arbitraria perché umana, ed una società che questa umanità non se la dimentica, non può fare giustizia o provare ad avvicinarvisi, senza grazia. Cagliari: domani fiaccolata per i detenuti di Buoncammino
Comunicato Stampa, 20 dicembre 2004
Un comitato spontaneo di cittadini e associazioni di volontariato promuove per il terzo anno consecutivo la fiaccolata di solidarietà con i detenuti del carcere cagliaritano di Buoncammino e con le loro famiglie. L’appuntamento è martedì 21 Dicembre alle 19.30 davanti alla Cattedrale della città in piazza Palazzo. Il corteo percorrerà via Martini, piazza Indipendenza, Porta Cristina, viale Buoncammino per confluire davanti ai due bracci del penitenziario. Da qui si porgeranno gli auguri di Buon Natale ai carcerati e si manifesterà attraverso letture e messaggi spontanei la solidarietà della cittadinanza verso chi soffre e vorrebbe avere una nuova opportunità. Numerose le associazioni e le comunità coinvolte che stanno partecipando attivamente all’organizzazione dell’iniziativa: da Mondo X di Padre Morittu, alla Collina di don Ettore Cannavera, dall’O.F.T.A.L. fino alla Caritas diocesana e alle confraternite di Misericordia. Da alcuni gruppi di Azione cattolica alla comunità l’Aquilone di don Carlo Follesa passando per il Coordinamento volontariato giustizia e il Gruppo missionario di S. Elia. Animeranno la fiaccolata con i loro canti di Natale gli scouts dell’Agesci. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di vivere un momento forte di pace e amore gratuito, cercando di andare oltre il pregiudizio e l’atteggiamento di condanna, per lanciare un messaggio di speranza. Per dire ai detenuti che al di là delle sbarre c’è anche chi li aspetta per ricominciare, lasciando indietro il loro passato. Gli organizzatori auspicano che alla fiaccolata possano partecipare tutti, indipendentemente dal colore politico e dalle convinzioni religiose, fermo restando che il messaggio fondante è quello cristiano della fratellanza e dell’amicizia verso "gli ultimi". Per ulteriori informazioni si prega di contattare: Laura Floris - Cell. 347.4969813. Livorno: il carcere di Porto Azzurro e il suo futuro
Elba Oggi, 20 dicembre 2004
Il movimento Elba 2000 interviene commentando una iniziativa molto criticata del Comune di Porto Azzurro che vorrebbe che la locale Casa di reclusione sopprimesse il regime di semilibertà per alcuni dei suoi detenuti. Tutto questo è stato messo nero su bianco in una seduta del Consiglio comunale dalla quale è uscita anche la richiesta che il paese divenga sede di un casinò. In molti hanno associato i due temi vedendo, in una futura chiusura del carcere, la possibilità che si liberi una magnifica sede per roulettes e slot machines. Secondo quanto riportato della stampa, il consiglio comunale di Porto Azzurro avrebbe chiesto al ministero competente la soppressione della sezione "semiliberi" attiva presso il carcere di Forte San Giacomo. Il motivo risiederebbe nel fatto che questi detenuti, che escono durante il giorno per lavorare e rientrano in carcere la notte, (sarebbero una decina), creerebbero danni alla popolazione. Non si riesce a capire in che cosa consistano questi danni alla popolazione. Se vi fossero stati comportamenti sanzionabili, sarebbe stato obbligo di coloro che ne erano venuti a conoscenza, denunciarli in modo che le persone responsabili venissero punite. E non chiedere, in sostanza, che vengano puniti anche coloro che si comportano bene e che si trovano in una delicata fase di recupero. Secondo noi, è poco credibile che siano questi i motivi. Probabilmente ci sono motivi più gravi, ma che non riguardano i "semiliberi" ma riguardano i componenti il consiglio comunale di Porto Azzurro. Nella stessa seduta si è votato anche la richiesta per l’apertura di un Casinò. È il sogno: la piazzetta spagnola ripulita dai secondini e dai condannati "semiliberi" e riempita dai ricchi del mondo; il porto ripulito dalle navi della Toremar che scaricano autotreni e macchine; liberato anche dai pescherecci che appestano l’aria, e riempito di panfili miliardari; ripuliti gli alberghi da mamme, mogli e figli dei detenuti, con i loro vestiti dozzinali e i volti stanchi. Basta con tutto questo. Porto Azzurro si proietta nel sogno della ricchezza fatto di luci, lustrini, ville e piscine, trafficanti e prostitute d’alto bordo; basta con quelle extracomunitarie che lo fanno per disperazione. Porto Azzurro non merita di meno. Deve riprendere il cammino iniziato nel dopoguerra, quando si liberò del vecchio nome di Portolongone Certo, nei sogni non c’è mai peccato ma ci può essere ingenuità, così come nelle scelte politiche ci può esser buona fede ma c’è sempre responsabilità. Ed è gravissima, soprattutto, quella dei consiglieri di sinistra che hanno votato a favore, confermando una deriva forcaiola, già manifestatasi in altre zone dell’isola. La stessa sinistra si è espressa, invece, contro l’apertura di un casinò. Si suppone per moralità. A conferma di come l’ipocrisia non lasci dignità a chi non riesce neanche ed essere coerente con i propri errori. Foggia: progetto di formazione-lavoro per i detenuti
Teleradioerre, 20 dicembre 2004
Sarà avviato il prossimo mese di gennaio un progetto di inserimento nel mondo del lavoro per i detenuti. "Progetto speranza" è il nome dell’iniziativa che coinvolgerà le tre case circondariali delle provincia di Foggia: Foggia, Lucera e San Severo. È quanto è stato deciso nel corso di una riunione che si è svolta in prefettura, alla quale hanno partecipato rappresentanti di enti locali, dell’amministrazione penitenziaria, delle categorie produttive, delle associazioni di volontariato. Sono 30 i detenuti delle carceri foggiane che potranno conseguire un periodo di formazione con attività esterna e interna di 60 ore in 20 giorni per il settore ambientale e di tutela del territorio. L’iniziativa infatti verrà realizzata grazie alla collaborazione del Corpo Forestale del Stato, dell’Ispettorato dipartimentale delle foreste, che si avvarranno del supporto volontario di funzionari e operai specializzati e relativo supporto tecnico. Sofri: Rutelli; questione che riguarda tutti i casi di conflitto
Ansa, 20 dicembre 2004
Nella vicenda Sofri, il problema non riguarda "una legge ad personam", ma la necessità di risolvere "tutti i casi di conflitto". È l’opinione del presidente della Margherita, Francesco Rutelli. "Non si discute solo della vicenda di Sofri - ha aggiunto Rutelli, rispondendo ai giornalisti a margine di un convegno della Margherita su Sud e finanziaria - ma si tratta di decidere come si deve dare corso ad un provvedimento di clemenza da parte dello Stato. Ci troviamo di fronte ad uno stallo dell’interpretazione della norma costituzionale. Si tratta di definire fino a che punto si esercita una competenza decisiva del capo dello Stato e fino a che punto ci sia una capacità di veto da parte del ministro Guardasigilli". Secondo Rutelli, si tratta di una "procedura che deve risolvere tutti i casi di conflitto, e tra questi vi è anche il caso Sofri". Roma: in sedia a rotelle, da oltre un anno attende ricovero
Il Messaggero, 20 dicembre 2004
Lettera dal carcere di Rebibbia N.C. - sezione G 11. "Sono M.S., nato a Roma il 18.01.1961, detenuto dal 1999 in conseguenza di condanne definitive. Condannato per due rapine. Nell’ultima, nel tentativo di fuga (pur essendo disarmato), sono stato fatto bersaglio di numerosi colpi d’arma da fuoco. Per questo episodio, ho rischiato la vita e di perdere la gamba. Sono disabile dalla data del mio arresto, immobilizzato a letto e solo con molta fatica riesco a stare su una sedia a rotelle, e con anche il mio braccio destro fratturato che ha perso la sua piena funzionalità, riconosciuto per queste patologie invalido civile. Le voglio dire che ho commesso molti sbagli, ma senza mai offendere l’incolumità fisica di alcuno. Le sto scrivendo per chiederle un gesto di umanità attraverso il Messaggero che mi viene consegnato puntualmente e gratuitamente tutti i giorni. Chiedo che si faccia promotore nel sensibilizzare tutti gli enti affinché finisca questa tortura che sto subendo e si raggiunga una definitiva soluzione alla mia disperata condizione. Premetto che per attirare l’attenzione su di me sono stato costretto dal 1º novembre ad incominciare un totale sciopero della fame e di tutti i medicinali, nonostante prenda i cosiddetti salvavita per la circolazione del sangue e questo fino ad "oltranza". Tutto ciò affinché io venga ricoverato in un ospedale o clinica esterna specializzata (cosa che ancora non è avvenuta), come è stato prescritto dagli stessi specialisti interni dell’istituto, ed esterni, da più di un anno. Credo che non ci debbano essere persone di serie A e B, poiché il diritto alla salute è una delle forme fondamentali in cui si esprime il "diritto all’uguaglianza". Vorrei fare un appello anche al dottor Castelli: che venga in questo albergo a 5 stelle, come lui lo definisce. Sarei ben lieto di ospitarlo gratuitamente nella mia "suite" per una settimana, attendendolo con un Dom Perignon che ho in fresco per le grandi occasioni". M.S. Brescia: radicali visitano Canton Mombello e Verziano
Giornale di Brescia, 20 dicembre 2004
Una visita al carcere bresciano di Canton Mombello. È quella che vedrà i consiglieri regionali radicali oltrepassare domattina la soglia della casa circondariale cittadina. Al termine della visita, gli stessi consiglieri, guidati dal capogruppo Alessandro Litta Modignani terranno alle 12.30 davanti al carcere una conferenza stampa per illustrare agli organi d’informazione e all’opinione pubblica le criticità emerse nel corso del sopralluogo. A questa prima visita, nel corso del pomeriggio, e per esattezza a partire dalle 15, ne seguirà una seconda che la stessa delegazione effettuerà all’istituto penitenziario di Verziano. Ma le iniziative previste dai Radicali a Brescia per domani non sono finite. Alle 18, infatti, la sala Savoldo dell’Hotel Vittoria, in via X Giornate, ospiterà un incontro pubblico sul tema: "Da Enzo Tortora a Marta Russo. La crisi della giustizia penale in Italia". All’incontro, introdotto da Alessandro Litta Modignani, è annunciata la partecipazione di Mino Martinazzoli (già ministro della Giustizia), di Riccardo Arena, avvocato penalista, e di Salvatore Ferraro (protagonista del processo per l’omicidio della studentessa romana Marta Russo). Alle 21, nella stessa sede, incontro aperto a militanti, iscritti e simpatizzanti radicali. Parma: un appello dal carcere, "non dimenticateci"
Gazzetta di Parma, 20 dicembre 2004
"Ogni volta che mi trovo a questa tavola, insieme a voi, e ascolto le vostre parole, le vostre storie, vorrei poter fare qualcosa in pi ù rispetto a quello che faccio. Vi ringrazio, perché anche in questa occasione mi avete inquietato e l’inquietudine stimola ulteriormente il mio impegno". Cosí, umilmente, e con poche parole, monsignor Cesare Bonicelli si è posto a sedere tra tanti detenuti di via Burla, ex carcerati e volontari riuniti ieri nella mensa delle Missioni estere dei Padri Saveriani per il classico pranzo natalizio che celebra l’incontro tra la carità umana e gli uomini disposti ad accoglierla. A emozionare le persone in sala è stato Marco (nome di fantasia), un omone grande e grosso, che dopo aver scontato trentacinque anni di prigione, con due ergastoli sulle spalle, ora lavora e per questo si dice fortunato, "ma quando ripenso ai miei anni di detenzione e alla realtà di tutti coloro che ancora sono carcerati, non posso non riconoscere come la città è sempre meno generosa nei loro confronti. E non parlo del dare, ma del donarsi, con una parola di speranza contro la crescente indifferenza; per questo, le persone che sono qui oggi, sacerdoti, volontari, amici, sono degli eroi". E, rivolgendosi al vescovo, Marco lo ha esortato "a ricordare con una preghiera che in via Burla c’è il carcere, che è un quartiere della città con 600 esseri umani e che non va dimenticato". Esistono uomini senz’ombra condannati a non respirare pi ù l’odore della libertà, ma altri torneranno a farlo e quello che saranno nella società lo avrà deciso la quantità e la qualità dei trattamenti che avranno ricevuto: è questo il messaggio principale che i detenuti hanno voluto inviare al vescovo. Non ci si aspetta nessuno sconto dalla città, non un’apertura di braccia gratuita, ma di regalare, a coloro che stanno pagando per le loro colpe e sono pentiti, una speranza: il pi ù grande dei miracoli. L’appello di Mimmo, che ha finito di scontare una pena di tre anni proprio tre giorni fa ed è stato "adottato" da don Giuliano Cocconi della chiesa di San Cristoforo come segretario, è invece quello di "rendere merito ai volontari, il vero esercito dei Paesi, non fatto di armi ma di cuore, che sia permesso loro di continuare a svolgere la loro opera con costanza e passione, senza ostacoli, perché la loro parola per noi è vita". Non sono mancate le denunce per i disagi vissuti in carcere e i racconti di tante esperienze, come questa di Mimmo: ventun anni in orfanotrofio, poi invalido civile (gli è stata amputata una gamba a vent’anni in seguito di un autobus che lo ha investito) e conseguentemente lasciato dalla fidanzata, a causa di cure prolungate inoltre ha perso il suo lavoro da geometra ed è finito 20 anni per strada, un "barbone" alle prese con la lotta per la sopravvivenza nella guerra tra i poveri. "Oggi, nonostante le ingiustizie subite, ho deciso di combattere però in maniera diversa, con le armi della legalità", ha concluso Mimmo. Siracusa: detenuti-attori in scena con Pirandello
La Sicilia, 20 dicembre 2004
Hanno scelto una delle commedie più famose di Luigi Pirandello, "La patente", per "festeggiare il loro momento più bello di Natale", calcando per la seconda volta il palcoscenico del teatro del carcere di Piano Ippolito a Brucoli. Così ieri mattina i detenuti-attori del teatro stabile hanno recitato riscuotendo il gradimento e gli applausi anche dal direttore, dal sindaco, dal vice presidente dell’Ars, da rappresentanti dell’amministrazione, del volontariato e dei club services. Ad esibirsi, guidati dal regista Pietro Quartarone, sono stati Antonio Lo Piccolo, Giovanni La Terra, Massimiliano Quaroni, Santo Russo, Diego Forestiere, Vincenzo Merenda, Cosimo Tudisco, Francesco Fontanarossa, Sebastiano Caudullo e Stefano Andrasek. Milano: detenuti-volontari tra gli anziani e a pulire i parchi
Corriere della Sera, 20 dicembre 2004
Quando si dice gli opposti. Da una parte c’è un tizio inferocito, ai giardini di via Palestro, che guardando i detenuti ripulire il prato grida sconvolto alla guardia: "Teneteli lontani dai bambini, ‘sti delinquenti!". Dall’altra c’è l’Adalgisa, 91 anni: che dopo mesi seduta su una sedia per un intervento al femore, nella casa di riposo che la ospita, si alza e prende a ballare al braccio del detenuto Pino Sciascia. In mezzo, da un capo all’altro della città, i galeotti in libera uscita sono cento: trasformati in volontari per un giorno. Il tutto sotto lo sguardo di autorità varie, dal vicesindaco De Corato al governatore Formigoni che dicono "grazie, abbiamo bisogno di voi". È cominciata a Palazzo Marino ed è finita in Duomo. Se la "Giornata fuori dal carcere al servizio della collettività" non voleva essere un capitolo da libro Cuore e basta, come è stato ripetutamente sottolineato, la scelta dei due maggiori luoghi-simbolo di Milano per aprirla e chiuderla ha ottenuto comunque un risultato impegnativo. Ed è che il centinaio di "prigionieri" provenienti da tutta la Lombardia hanno preso molto sul serio non solo i lavori che erano venuti volontariamente a svolgere per un giorno - pulire parchi e giardini, far compagnia ad anziani - ma anche le promesse che quelle stesse autorità hanno rivolto loro: "Faremo di tutto perché questa non resti un’esperienza isolata, stiamo studiando grandi progetti di lavoro interno e anche esterno al carcere...". Raffaele Stornelli, appena arrivato da San Vittore, ascolta e prende nota: "Speriamo bene. Noi ringraziamo fin d’ora e aggiungiamo: siamo pronti, ogni possibilità è la benvenuta". Sono passate da poco le nove di mattina quando i primi entrano a Palazzo Marino, da San Vittore, Opera, Bollate, e da un’altra decina di istituti di pena sparsi in mezza Lombardia. Ad aspettarli ci sono Formigoni e De Corato, c’è il vicepresidente della Commissione comunale carceri Alberto Garocchio, ci sono i coordinatori nazionali del progetto Marco Santoro e Vincenzo Lo Cascio, c’è il dirigente nazionale del Dipartimento amministrazione carceraria Sebastiano Ardita, c’è il provveditore delle carceri lombarde Luigi Pagano, e c’è Francesca Corso, responsabile provinciale di un assessorato la cui definizione completa basterebbe a dirla lunga di per sé: "Assessorato all’integrazione sociale delle persone in carcere o ristrette nelle libertà". Non c’è da stupirsi se i cento, lì per lì, si sentono un po’ intimiditi. Ascoltano Garocchio ripetere che "questo non è un regalo di Babbo natale, ma l’inizio di una possibilità". Ascoltano Formigoni dire che "occorre superare la paura del "diverso", che "questa iniziativa deve essere l’inizio di nuove opportunità", e che "all’interno delle carceri lombarde lavora già attualmente il 40 per cento dei detenuti" ("Magari, siamo intorno al 10 per cento" correggono altri sottovoce). Ascoltano anche il dirigente Ardita mentre dice che "la sicurezza sociale non sta nella repressione ma nell’investimento sulle persone, la repressione è solo l’ultima chance che arriva sempre e comunque a posteriori, la pezza che si mette ad un fallimento avvenuto. L’unico strumento di sicurezza è il lavoro". Ascoltano soprattutto De Corato che promette: "Questo è solo un primo esperimento, ma stiamo studiando un progetto per dar da lavorare a tanti di voi. Non come volontari me regolarmente pagati". Le indiscrezioni parlano di pulizia dei graffiti e di altro ancora. Ma è Cristiano, il detenuto scelto dai cento per rappresentarli al microfono, a dire la cosa che dopo tante parole tecniche emoziona un po’ tutti: "Oggi siamo usciti da una porta e abbiamo visto il sole, le ombre. Non sono cose scontate, per molti di noi. Grazie per l’opportunità". Don Rigoldi: droga e violenza, salviamo i ragazzi di Rozzano
Corriere della Sera, 20 dicembre 2004
"C’è una rete di malavita e delinquenza che ancora oggi imprigiona i ragazzi di Rozzano. Lo spaccio di droga, i furti, i soldi facili sono possibilità fin troppo concrete per chi vive nelle vie dei fiori. Noi abbiamo il dovere morale di parlare con questi giovani, di ascoltarli e di offrire loro un’alternativa che li faccia diventare uomini". All’indomani della sentenza di condanna a venti anni di carcere per Vito Cosco, il responsabile della strage di Rozzano, don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, torna a parlare dei problemi di una realtà che conosce da vicino. "Abito a Rozzano dal 1998" spiega il sacerdote. Sei anni fa, ha trasformato la sua casa tra i campi, cascina Sant’Alberto, in una comunità di accoglienza per ex detenuti dell’istituto di pena, tossicodipendenti e extracomunitari. A pochi chilometri di distanza, altri ragazzi difficili vivono nei casermoni di cemento del quartiere Aler. Davanti al muretto di via dei Biancospini, teatro della sparatoria in cui morirono quattro persone, scorrono i problemi di sempre. Le bande di minorenni scorrazzano ancora sugli scooter, rigorosamente senza casco, e lanciano sguardi di sfida a vigili e carabinieri. Poi scappano verso i sogni griffati del Fiordaliso, il centro commerciale incuneato tra due periferie, quella di Rozzano e quella milanese di Gratosoglio. "Non è facile sconfiggere la cultura della criminalità - continua don Rigoldi -, soprattutto se si cresce in un quartiere come questo, dove la malavita è ancora forte". E allora che cosa si può fare? "Bisogna coinvolgere i ragazzi quando sono ancora piccoli. Non solo quelli che vanno a scuola. Anzi, soprattutto gli altri, che abbandonano gli studi ancora adolescenti. Noi ci proviamo, insieme al Comune e alle associazioni di volontariato. Ma è davvero complicato". Secondo don Rigoldi non aiutano neppure le reazioni dei familiari delle vittime della strage, che hanno commentato con rabbia la condanna a 20 anni inflitta dal giudice Paparella. "Chi parla di farsi giustizia da sé - dice - alimenta l’odio e rafforza un sentimento di vendetta che non può portare a nulla di buono. È il modo peggiore di ricordare le vittime". Bisogna perdonare, allora? "No - precisa don Gino -, il perdono è un percorso lungo e doloroso, ci vuole ancora del tempo. Ma bisogna spezzare il circolo vizioso della violenza". Un contributo importante arriva anche dalle forze dell’ordine. Un mese dopo la tragedia, nella caserma di via dell’Ecologia, è stata Ventisette carabinieri e una pattuglia in servizio sul territorio 24 ore su 24. "Rozzano vuole voltare pagina - dice il sindaco, Massimo D’Avolio -. Questa è una città positiva, abbiamo le forze per risollevarci". Intanto, il Comune ha vinto una scommessa importante, grazie al contratto di quartiere finanziato da Aler e Regione per riqualificare le vie dei fiori. Ci vorranno degli anni, ma il progetto è ambizioso: far rinascere il quartiere, ristrutturando i palazzi e costruendo nuovi spazi per l’aggregazione dei suoi abitanti. Nuoro: Cisl; situazione precaria, no alle soluzioni - tampone
L’Unione Sarda, 20 dicembre 2004
La federazione territoriale della Cisl spiega, in una lettera inviata al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra, al direttore generale del personale Gaspare Sparacia e al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la precaria situazione del settore penitenziario della provincia. "Intendiamo riferirci - dice il segretario territoriale Giorgio Mustaro in un documento - sia alla polizia penitenziaria che delle qualifiche del personale civile. Restano emblematici - continua - i casi dell’unico educatore in servizio nel carcere di Nuoro e l’assenza dell’80% di ragionieri, educatori, operai amministrativi, sanitari (7 su 38) nella casa di reclusione di Mamone. Una nuova falla si apre ora nel settore amministrativo (Centro di servizio sociale per adulti) dove prestano opera sei assistenti contro i 10 di due anni fa: questi operatori si occupano oggi di 500 casi fra carcerati di Nuoro e Mamone e detenuti che usufruiscono di misure alternative. Ci sembra opportuno, - si conclude nella lettera - che il Dipartimento assuma tutte le iniziative utili a rafforzare il centro di Nuoro alla luce degli importanti sviluppi che sta assumendo la detenzione alternativa. Una delle cose immediatamente fattibili - secondo il segretario territoriale - sarebbe il trasferimento in città di un’assistente sociale attualmente distaccata a Nuoro, ma ancora in carico a Sassari. La necessità che si assumano decisioni che non siano tampone è dettata dalla situazione di complessiva emergenza che vivono i nostri istituti penitenziari". Trapani: detenuti "ciceroni" tra i palazzi del centro storico
La Sicilia, 20 dicembre 2004
Occhi vispi e curiosi si sono posati ieri all’interno di Palazzo D’Alì. E poi sui luoghi d’arte del centro storico. Per loro, per questi occhi di bambini, allievi di alcune scuole cittadine, delle guide particolari, adulti che per fare da "ciceroni" hanno dovuto studiare e che con loro si sono infine appropriati, moralmente, della storia e della cultura cittadina, in precedenza mai conosciute così a fondo e con tanti significativi particolari. "Salvarte" di Legambiente ieri ha vissuto momenti unici che hanno dato grande speranza non solo ai protagonisti ma ai tanti che guardano con apprensione alle sorti dei meno fortunati, degli emarginati. Perché in questa giornata protagonisti non sono stati solo i bambini della elementari Mazzini, del primo circolo didattico e della media Pagoto di Erice, ma un gruppo di detenuti che per l’occasione - dopo adeguata preparazione - hanno ottenuto dal magistrato di sorveglianza un permesso premio, così che per un paio di ore hanno potuto fare da "ciceroni" agli studenti. Sono stati loro, quattro uomini e due donne, a spiegare i "segreti" del centro storico, le bellezze artistiche racchiuse in alcune chiese cittadine, come quella di San Pietro, dove per l’occasione è stato fatto suonare quel mirabile strumento, un celebre organo, restaurato e tornato a funzionare, che aveva suonato come ultima importante occasione pubblica, quando l’anno scorso a Trapani arrivarono il presidente Ciampi e sua moglie, la signora Franca. Ieri mattina ha suonato per i giovanissimi studenti e per i loro accompagnatori. "Una città per tutti" è stato lo slogan dell’iniziativa cui ha aderito la direttrice della struttura penitenziaria Francesca Vazzana e al quale un contributo ha scelto di darlo anche il sindaco, Girolamo Fazio che almeno a Palazzo D’Alì ieri mattina ha voluto essere lui "guida" per studenti e detenuti. Poi dopo il Municipio è cominciata una lunga passeggiata passando per la Giudecca, San Pietro, fino alle elementari San Francesco dove è stata allestita una mostra fotografica sui danni subiti dalla città durante la guerra. Così un richiamo a tenere sempre presente quanto importante sia mantenere la pace. "Un Natale diverso, più bello - confida Giuseppe, uno dei detenuti che ha fatto da guida - l’emozione è tanta soprattutto dovendo mettere a conoscenza di altri cose che per tanti anni non hai conosciuto. Oggi questi bambini ci stanno facendo vivere una grande magia, quella di un Natale sereno e diverso". Soddisfatta la direttrice Vazzana: "In questo modo davvero tutti, anche chi è ristretto, può dire di vivere e conoscere la città. Una iniziativa che arricchisce tutti". Napoli: Antimafia; trovare il modo per non ridurre le pene
Ansa, 20 dicembre 2004
Il problema non è tanto l’inasprimento delle pene quanto quello in sede di giudizio di "trovare il sistema di non ridurre le pene che si devono applicare". È l’opinione del procuratore della Repubblica di Napoli Giovandomenico Lepore che oggi, insieme al coordinatore della Dda Felice Di Persia e al procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Lucio Di Pietro, ha fatto il punto sulla situazione delle indagini contro i clan della camorra durante l’audizione in Commissione Antimafia. Lepore ha escluso comunque che vi sia un atteggiamento di "perdonismo" da parte dei giudici. "Noi del resto come procura - ha osservato - facciamo richieste ai giudici, se riteniamo che la pena non sia equa impugniamo la sentenza". Di Persia, rispondendo alle domande sulla azione di contrasto alla criminalità organizzata, ha sottolineato come al momento 121 capi clan siano detenuti in regime di 41 bis. Quanto alla situazione di Scampia, il quartiere napoletano al centro della faida tra i Di Lauro e gli scissionisti, il magistrato ha affermato che le indagini "sono difficilissime: in una zona devastata come quella riesce difficile il controllo del territorio". "Ci vorrebbe - ha detto - un opera di bonifica più che attività di polizia e magistratura" Vibo Valentia: il vescovo Cortese in visita al carcere
Quotidiano di Calabria, 20 dicembre 2004
Un luogo dove espiare la giusta pena per i propri errori ma, anche, dove poter iniziare un percorso di riscatto personale e umano. Un luogo non a sé stante, quasi un mondo a sé ma inserito a pieno titolo nel territorio. Tutto questo, e anche altro, dev’essere il nuovo complesso penitenziario vibonese nelle intenzioni della sua direttrice Rachele Catalano, validamente coadiuvata nella sua azione dal comandante della polizia penitenziaria, ispettore capo Nazzareno Iannello, e dall’intero personale che hanno sposato in pieno la sua moderna concezione del carcere. Da qui le continue iniziative per portare, letteralmente, la società all’interno di quelle mura. Senza andare troppo indietro nel tempo, e per ricordarne soltanto alcune: l’istituzione di alcune classi di scuola superiore, l’accoglienza di una ventina di bambini ucraini (ospitati per l’intero periodo estivo), un recital di canzoni natalizie eseguito pochi giorni addietro da parte di un gruppo di alunni di scuola media. Ieri, nell’avvicinarsi del Natale che, anche per chi si trova ristretto in una cella, resta il momento più importante dell’anno, non per festeggiare ma per dare valore al messaggio cristiano, il Nuovo complesso penitenziario ha aperto le sue porte al Vescovo Domenico Tarcisio Cortese, giunto a visitare i detenuti, nello spirito di Gesù e delle Beatitudini. Portatore di serenità e speranza, vicino come sempre a loro e alle loro famiglie, il vescovo, assistito dal cappellano dell’istituto padre Pietro e dal presidente della Caritas diocesana don Bruno Cannatelli, ha celebrato la Messa di Natale per i 200 detenuti della media sicurezza presso la grande sala polivalente del carcere dove forte e sentito è stato il suo messaggio di fiducia e perdono. Al termine, monsignor Cortese, accompagnato dalla direttrice e dal comandante, ha visitato tutti i reparti per portare un messaggio di pace anche agli altri detenuti. Molto significativa e gradita, nell’occasione, la presenza di tutti i giocatori della Tonno Callipo, la squadra di pallavolo che milita in seria A1 e che tanto lustro sta dando al nostro territorio. Gli atleti e lo staff, guidati dal presidente Pippo Callipo, hanno assistito alla funzione sacra e ricordato ai presenti che dalla sofferenza si può uscire migliori e diversi. Una presenza, la loro, a sottolineare che anche lo sport può rappresentare un’occasione di riscatto e di crescita. Altre iniziative in favore dei detenuti, intonate allo spirito natalizio, sono in programma per i prossimi giorni. A promuoverle, come sempre, la direzione dell’istituto con la preziosa collaborazione del gruppo di volontariato "Insieme" e di tutte le associazioni musicali e culturali presenti sul territorio della provincia. Cosenza: associazione "LiberaMente", carcere e solidarietà
Quotidiano di Calabria, 20 dicembre 2004
"Ricordatevi di noi": un messaggio semplice che riecheggia dal carcere nella giornata di solidarietà organizzata dall’associazione di volontariato penitenziario LiberaMente. "Un giorno insieme" è andato in scena nel teatrino della casa circondariale di via Popilia. Un presepe multietnico accoglie i visitatori, tra i quali anche i parenti dei detenuti. Parlano i ragazzi della custodia attenuata seguiti dall’associazione "Nuova alba silana", poi spazio alla musica con le canzoni di Erminia Aloe. Si chiude col recital del "Gruppottanta": le poesie di Vittorio Butera, il poeta di Conflenti di fine ‘800, sono un quadro veristico dei vizi umani attraverso la voce degli animali. Ragusa: triangolare di calcio tra detenuti, agenti e vigili urbani
La Sicilia Quotidiano di Calabria, 20 dicembre 2004
Alla fine hanno vinto tutti. Ma a vincere è stato in particolare lo spirito di questa iniziativa promossa dall’assessorato provinciale ai Servizi sociali in collaborazione con la casa circondariale di Ragusa. Stiamo parlando della partita della solidarietà giocatasi ieri mattina, sul campetto all’interno della struttura, alla presenza di un testimonial d’eccezione, Stefano Tacconi, ex portiere della Nazionale e della Juventus. Tre le squadre scese in campo: quella della Polizia penitenziaria, quella dell’associazione provinciale della Polizia municipale e quella degli ospiti della casa circondariale. Per la cronaca, hanno vinto gli atleti della Polizia penitenziaria (battendo per 2-0 la Polizia municipale e per 3-0 i detenuti); ma nessuno, a dire il vero, ha badato al risultato. "La cosa importante - ha spiegato nel suo intervento durante la cerimonia di premiazione, l’assessore Orazio Ragusa - era che si potesse instaurare questo clima di partecipazione e di solidarietà reciproca, così come è accaduto. Siamo davvero entusiasti di aver potuto dare il nostro contributo ad una simile iniziativa e ancora più entusiasmati dalla presenza di Tacconi". Il portierone, infatti, ha firmato autografi a destra e a manca, circostanza che ha confermato come sia rimasto nel cuore di molti sportivi e non solo. "Ho aderito immediatamente al progetto - ha spiegato Tacconi - perché l’ho ritenuto estremamente valido. È indicativo, in modo particolare, il carattere di solidarietà che gli si è voluto dare, a maggior ragione in un periodo natalizio come quello attuale". Il direttore della casa circondariale, Aldo Tiralongo, ha dal canto suo ottenuto l’impegno da parte dell’assessore Ragusa affinché la Provincia regionale contribuisca all’organizzazione di un torneo con le scolaresche in modo tale che si possa continuare in un percorso di integrazione tra due realtà differenti, in modo tale, insomma, che la società civile possa prendere atto sempre più di una realtà, quella detentiva, che il più delle volte viene percepita attraverso una lente deformata. Nei locali interni alla casa circondariale, inoltre, si è tenuta oltre alla cerimonia di premiazione, anche un piccolo rinfresco per tutti i partecipanti all’iniziativa. Firenze: diploma di arbitro di calcio per 8 detenuti
Asca, 20 dicembre 2004
Da detenuti a arbitri di calcio. È quanto avvenuto a 8 "ospiti" del carcere di Solliccianino a Firenze che hanno ricevuto gli attestati per arbitro, validi per la Lega calcio Uisp. Il riconoscimento arriva al termine di un corso finanziato dal Comune di Firenze. "Questa iniziativa - ha spiegato l’assessore all’accoglienza e all’integrazione Lucia De Siervo - ha avuto degli ottimi risultati: 8 uomini su 9 hanno conseguito l’attestato di arbitro, dopo aver seguito il corso nel periodo estivo. Così queste persone sono diventate garanti per il rispetto delle norme del calcio, ed hanno potuto valutare l’importanza delle regole". I nuovi fischietti presto potranno scendere in campo per arbitrare le partite dei campionati Uisp. Forlì: per il nuovo carcere stanziamento di 41.217.000 euro
Sesto Potere, 20 dicembre 2004
Luca Bartolini, Presidente Federazione Provinciale An Forlì-Cesena e Capogruppo AN in Consiglio Provinciale, racconta di essersi recato presso il carcere di Forlì per una visita istituzionale con una ristretta delegazione. Con lui anche altri 4 colleghi Consiglieri Provinciali: il capogruppo DS Zoffoli, il Verde Brigidi, il Repubblicano Lucchi e la Diessina Urbini, nonché al Presidente della Provincia Massimo Bulbi e all’Assessore Manni. La visita aveva lo scopo di valutare le condizioni della struttura carceraria, della sua popolazione e anche delle condizioni di lavoro del personale di Polizia penitenziaria. Nell’ambito di tale visita presso il carcere dove è rinchiuso il poliziotto cesenate Ivan Liggi, che non solo è stato condannato in ultimo grado dalla Corte d’appello di Bologna a 9 anni e 5 mesi di reclusione ma deve anche risarcire il Ministero dell’Interno per una cifra pari a 130.000 euro pari alla somma pagata alla parte civile, l’esponente di An ha chiesto rassicurazioni alla Direttrice circa lo stato di salute del poliziotto. "Era il 24 febbraio 1997 quando il poliziotto Ivan Liggi in servizio di pattuglia sulla stradale Adriatica intimava l’ALT ad un automobilista che si dava alla fuga saltando il posto di blocco. Dopo un inseguimento durato circa un’ora nel centro di Rimini, la pattuglia, armi in pugno, ferma questa folle corsa. Improvvisamente però l’auto riprende la fuga investendo l’agente Liggi facendolo cadere a terra. In questi momenti di concitazione , il poliziotto si rialza da terra, rincorre il fuggitivo estraendo dalla fondina l’arma, che aveva il colpo in canna inserito al momento del fermo. Parte un proiettile accidentalmente, il proiettile infrange il lunotto posteriore e colpisce alla nuca l’automobilista." È la storia che il padre del poliziotto Ivan Liggi ha raccontato a Luca Bartolini che a sua volta ha dichiarato: "Alleanza Nazionale annuncia che si mobiliterà perché il Presidente Ciampi, conceda la grazia anche a questo servitore dello stato. Crediamo, che dopo la grazia al bandito Mesina, il Presidente Ciampi debba concedere la grazia anche a questo servitore dello Stato perché condanne come queste non diventino un monito pesante per tutti coloro che, con qualsiasi divisa, operano sulle strade a rischio della loro vita". La Federazione provinciale di An raccoglie l’appello dei famigliari e dei colleghi del poliziotto incarcerato promuoendo una raccolta fondi per far fronte ai 230.000 euro che Liggi deve pagare allo Stato. "Amareggia pensare - conclude Bartolini - che mentre l’agente Liggi Ivan è in carcere, c’è chi dopo tanti omicidi o per aver sciolto un bambino nell’acido, ottiene i permessi per uscire dal carcere". Bartolini durante l’incontro in carcere ha fatto presente alla Direttrice, che a seguito di alcuni dubbi registrati da alcuni esponenti politici che ravvisavano il rischio di tagli per i fondi destinati alla costruzione del nuovo penitenziario di Forlì a seguito della nuova legge finanziaria, ha ricevuto rassicurazioni circa la conferma dello stanziamento di 41.217.000 euro di cui 22.950.000 euro stanziati già nell’esercizio 2004 mentre i rimanenti 18.267.000 € vengono riconfermati per l’esercizio 2005. "Mi è stato riconfermata la volontà di dare una risposta definitiva alla richiesta della città di Forlì di disporre di un carcere moderno - conclude Bartolini - che consenta conseguenzialmente il rilascio alla città di quel bellissimo contenitore storico culturale che è la Rocca di Ravaldino". Tinebra: cresce attenzione del mondo esterno per il carcere
Ansa, 20 dicembre 2004
È uno sforzo organizzativo "grandissimo" quello di far uscire, durante il periodo di Natale, 917 detenuti che per un giorno faranno i volontari ripulendo boschi e aree verdi in città. Ma per Giovanni Tinebra, da tre anni a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, questo sforzo va di pari passo "con la ferma volontà di svolgere un compito di recupero e di riabilitazione dei detenuti". Senza lasciare spazio ad alcun timore, meno che mai dopo il pacco-bomba recentemente indirizzati ad un sindacato di polizia penitenziaria. "I pacchi bomba all’amministrazione penitenziaria non sono una novità - dice Tinebra all’Ansa, ricordando che i primi obiettivi furono proprio lui stesso e il responsabile della direzione detenuti, Sebastiano Ardita -. Si tratta di eventi da valutare con la dovuta attenzione ma che non devono e non possono farci recedere dalla volontà precisa di adempiere al nostro dovere". Rieducare e riabilitare sono le parole che Tinebra pronuncia più spesso. I permessi premio per "utilità sociale" di cui beneficeranno i detenuti nel periodo di Natale sono la testimonianza - afferma - che "il mondo esterno si è accorto del carcere e ha capito l’estrema importanza di un collegamento con i detenuti per un loro recupero nella società". "Tutto nasce nell’ambito della convenzione tra il ministero della Giustizia e quello dell’Ambiente, l’estate scorsa. Subito dopo abbiamo avviato una serie di iniziative, isolate, nel Nord Italia, facendo uscire alcune decine di detenuti per ripulire alcune aree boschive della Val Grande. Ora, a Natale, raggiungiamo il culmine. Per la prima volta - dice Tinebra - usciranno così tanti detenuti per testimoniare il loro impegno sociale. Spero che quest’iniziativa sia densa di risultati per l’ avvenire". Alcuni imprenditori del nord, ad esempio, "si sono detti assolutamente pronti a dare lavoro ai detenuti, utilizzando i benefici della legge Smuraglia; legge che dovrebbe essere finanziata un po’ di più". E in futuro - preannuncia Tinebra - non mancheranno altre novità: sulla scia delle iniziative (nate dalle idee di due poliziotti penitenziari) che hanno consentito ad alcuni detenuti di adottare i cani abbandonati o di dare voce ai libri per non vedenti, è in cantiere un altro progetto ambientale, per la raccolta differenziata dei rifiuti. Detenuti - ecologisti: una settimana per il patrimonio ambientale
Ministero della Giustizia, 20 dicembre 2004
Queste iniziative sono svolte in collaborazione con le associazioni del volontariato, i comuni, le province e le regioni e il coinvolgimento della polizia penitenziaria e delle aree pedagogiche degli istituti interessati. Alcuni esempi di interventi:
Milano
Pulizia del Parco Nord di Milano per la raccolta delle foglie, pulizia dei detriti e altro concordato con il Consorzio del Parco Nord Milano; i giardini pubblici di via Palestro; la villa comunale (ex Villa Reale); il Castello Sforzesco.
Modena
Bonifica del percorso natura del fiume Panaro, pulitura del canale San Pietro.
Castelfranco Emilia
Bonifica di un tratto del fiume Panaro.
Prato
Ripristino dei sentieri e ristrutturazione della sorgente con fontana nel comune di Cantagallo.
Melfi
Sistemazione di un tratto stradale
Matera
Effettuazione della pulizia dei giardini pubblici.
Palermo
Pulizia del tratto stradale Palermo - Sciacca
Enna
Sistemazione e riqualificazione delle aree verdi del comune
Trapani
Detenuti impiegati come guida presso alcuni monumenti cittadini
Genova
Pulizia del parco di Righi
Chiavari
Manutenzione del verde pubblico e della piattaforma portuale
La Spezia
Recupero ambientale del castello di Coderone
Imperia
Servizi di pulizia alvei dei fiumi, torrenti, spiagge e servizi igienici.
Roma
Pulizia di un tratto della via Tiburtina
Cagliari
Pulizia del parco di Molentargius
Is Arenas
Pulizia dell’area adiacente a Tinacci Piscinas.
Isili
Messa a dimora di piantine di leccio, prelevate dalla colonia penale, in due zone del centro abitato del comune di Isili
Mamone
Recupero degli spazi adibiti a parco giochi del Comune di Onanì e degli spazi adibiti a giardini pubblici del comune di Lula.
Perugia
Valorizzazione dei monti Trasimeno
Alba
Manutenzione del parco Tanaro
Alessandria
Recupero aree verdi
Biella
Ripristino di un sentiero
Novara
Pulizia di un’area del comune
Vercelli
Recupero del parco del Sesia Isfol e ministero Welfare: in carcere porte aperte al mentore
Vita, 20 dicembre 2004
Isfol e ministero del Welfare hanno avviato un progetto di supporto ai detenuti fondato sul mentoring. Oltre 35.200 detenuti condannati in via definitiva, circa 17.000 carcerati tossicodipendenti, alcooldipendenti o in trattamento metadonico, 37.685 persone interessate da misure di pena alternative (affidamento in prova, semilibertà, detenzione domiciliare) e 2.500 sottoposte a misure di sicurezza (libertà vigilata e sanzioni sostitutive) oltre che detenuti stranieri e donne e mamme che hanno bisogno di un sostegno al reinserimento familiare: possono essere tutti questi i potenziali utenti di un percorso di mentoring in carcere. Di questo particolare servizio sociale si è parlato in un convegno organizzato dall’Isfol che assieme al ministero del Welfare ha avviato un progetto in materia di mentoring nell’ambito di interventi promossi e finanziati dal Fondo sociale europeo. Ma cosa è il mentoring? Con questo termine in via generale si intende quel processo in cui l’individuo più anziano, o più esperto, si rende disponibile a uno più giovane, o meno esperto, come fonte di apprendimento o sostegno. La sfera d’azione è molto ampia andando dall’aiuto ai bambini all’accompagnamento degli studenti universitari a rischio di dispersione fino ad arrivare appunto al recupero dei detenuti. Chi sceglie di dare una mano al prossimo in questo modo è volontario e lavora pressoché gratuitamente, salvo un rimborso spese o crediti formativi nel caso si tratti di studenti universitari. Nel caso il mentore sia inserito in un’azienda rimane la volontarietà ma è prevista una retribuzione. Non esistono comunque professionisti di mentoring visto il carattere fortemente umano su cui si basa questa attività: per imparare a svolgere bene il compito vale soprattutto l’affiancamento e l’esperienza sul campo. Attenzione però -avvertono all’Isfol - a non fare confusione: il mentore è una guida, un amico, una persona che sa ascoltare, un esperto che sa rispondere, un punto di riferimento ma non va mai scambiato per un salvatore, un genitore adottivo, un terapista o un coach. Il ruolo che può svolgere in carcere è soprattutto finalizzato a favorire il recupero e il reinserimento sociale dei detenuti (accompagnandoli, per esempio, e seguendoli nei primi giorni di lavoro), ma non solo. "Ho conosciuto Ugo - racconta Maria, mentore in un penitenziario - in carcere. Deve scontare l’ergastolo, ma usufruisce del beneficio della semilibertà e quindi, ha opportunità di lavoro offerte da una rete di volontariato. Il rapporto di fiducia che ha con me continua anche all’esterno: Ugo ha una figlia, che ha sofferto molto per la sua assenza, e ha bisogno di aiuto per ricostruire un positivo rapporto genitoriale. Parliamo molto, ho conosciuto la figlia e poiché anch’io ho dei figli coetanei di questa ragazza, condividiamo situazioni, racconti di vita quotidiana. Ugo è molto coinvolto e pensa di poter imparare da un rapporto genitoriale vissuto in serenità, a fare il padre, a indirizzare nel modo giusto la figlia nelle sue scelte di studio e di vita. Chiede consigli, aumenta la sua fiducia e si fa strada in lui anche il desiderio di riabilitarsi riconciliandosi con le vittime dei suoi reati". Psicologia: le mamme che uccidono sono pazze o cattive?
Donna Moderna, 20 dicembre 2004
In un mese tre madri hanno commesso il delitto più atroce: togliere la vita ai figli a cui l’avevano data. Un orrore che ultimamente si è ripetuto troppo spesso. E che ora ci costringe a porci un interrogativo lacerante. Per capire se all’origine di un gesto tanto drammatico c’è la follia. O l’odio. Chissà cosa avrà pensato la piccola Angelica Sofia mentre cadeva nel vuoto, gettata dalla finestra dalla persona a cui voleva più bene: la sua mamma. Sarà questo uno degli atroci dubbi che tormenteranno le notti di Sabrina Notari, se sopravvivrà: la 34enne impiegata di Cremona ha tentato il suicidio subito dopo aver ucciso la figlia di 3 anni, il 6 dicembre scorso. Angelica Sofia è l’ultima di tre bambini morti per mano materna in meno di un mese. Il 1° dicembre a Volpiano, in provincia di Torino, Nausica, 4 anni, è stata accoltellata da Rosa Sansone, 39. Che poi ha cercato di togliersi la vita. Non aveva ancora un nome, invece, il neonato chiuso in un sacchetto da una studentessa e abbandonato per 15 giorni nell’armadio di un convitto a Siena, dove è stato trovato il 25 novembre. Storie d’orrore come queste sono esplose soprattutto negli ultimi anni, quasi che una follia omicida si fosse impadronita delle madri più fragili. Secondo l’istituto di ricerche economiche e sociali Eures, soltanto nel 2003, 14 piccoli sono stati ammazzati dalla loro mamma. "È una realtà che fatichiamo ad accettare, perché ci sembra contro natura" spiega Giancarlo De Cataldo, giudice di Corte d’Assise e scrittore di romanzi gialli. "Siamo convinti che una donna non possa uccidere il cucciolo che ha partorito. Invece accade: progresso e benessere economico non hanno cancellato il più atroce fra tutti i delitti".
Il corto circuito della mente
Cosa trasforma una madre in assassina? "Il cervello è una scatola nera, non sappiamo cosa c’è dentro" dice sconvolta Ivana Notari, la nonna di Angelica Sofia. Vincenzo Mastronardi, docente di Psicopatologia forense all’Università di Roma La Sapienza, ha appena studiato quello di 38 madri assassine, e un’idea se l’è fatta. "Oggi le donne sono costrette a svolgere un’infinità di ruoli, anche maschili" riflette il criminologo. "Devono fare carriera sul lavoro, essere mogli seduttive e mamme modello. Ovvio che quelle meno solide crollino. A volte basta poco per mandarle in pezzi: un problema economico, un insuccesso professionale, il sentirsi poco amate. Una paziente mi ha rivelato che quando guarda i suoi due bambini piccoli viene presa dallo sconforto. "Sono bellissimi e li ho voluti. Ma ora mi chiedo come farò a crescerli senza sacrificare la carriera. Sono destinata alla sconfitta" dice tra le lacrime". È d’accordo con Mastronardi anche un medico che queste donne a pezzi le incontra ogni giorno: Giuseppe Gradante, primario della sezione femminile dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Qui arrivano da tutta Italia le madri assassine che sono state giudicate malate di mente: oggi sono una ventina. Le altre, forse più lucide, scontano la propria pena in un carcere normale, schiacciate dalla più infame delle colpe. "Malate o sane che siano, queste donne hanno gravi problemi con la famiglia d’origine o con il marito" spiega Gradante. "Sono state maltrattate da piccole oppure da grandi vivono in coppie dove regna un silenzio spesso come un muro. Nel loro caso, la gravidanza è una specie di detonatore. Il bambino piange, ha fame, deve essere accudito. Diventa un onere insopportabile, il simbolo della loro incapacità, la causa di tutti i mali. E così lo uccidono". Sono tante le cause che accendono la disperazione omicida. Il trambusto ormonale post-parto accompagnato dalla depressione: si chiama "baby blues" e in un caso su mille degenera in follia. Oppure la gelosia, che spinge alcune donne a colpire il figlio per vendicarsi del compagno. O ancora una visione tragica della realtà, tipica dei suicidi allargati come quelli di Cremona e Volpiano: "Figlio mio, il mondo è orribile" pensano queste madri "e la morte è l’unica salvezza per entrambi".
Il dramma di essere sole
La solitudine fa quasi sempre da sfondo alla tragedia delle Medee moderne. "La nostra vita a Torino è stata un grande deserto" ha ricordato con voce rotta Giampaolo Sellitto davanti alla bara della figlia Nausica. "La mia piccola mi è stata tolta prima che si perdesse, com’è accaduto a me e a sua madre". Già, perché nelle città di oggi ci si può perdere, precipitare nel nulla, senza che nessuno se ne accorga. "Viviamo in un Paese ipocrita" accusa il giudice Giancarlo De Cataldo. "Diciamo sempre che la famiglia è il cuore della nostra società, ma nei fatti le coppie vengono lasciate sole. Non hanno aiuti economici, né servizi cui appoggiarsi". Il criminologo Mastronardi ricorda il caso di una madre angosciata perché a 3 anni sua figlia non parlava ancora. "La donna ha chiesto una visita accurata al pediatra, ma il dottore le ha risposto di non avere tempo, e di ripresentarsi dopo due mesi. Troppi. In quel periodo lei ha trasformato i suoi dubbi in un’ossessione martellante. Si è chiusa sempre più in se stessa e alla fine ha annegato la figlia per liberarla dalla sua presunta inadeguatezza. Per evitare il dramma, forse, sarebbe bastato ascoltarla e tranquillizzarla". Una madre "normale" avrebbe consultato un altro medico, avrebbe parlato delle proprie ansie con uno psicologo. Lei no. Spesso una donna fragile e introversa non ha il coraggio di riconoscere la propria sofferenza. E, quando lo fa, non trova nessuno che l’aiuti. Come Sabrina, la mamma di Cremona, che trascorreva la maggior parte della settimana da sola perché il marito lavorava a Terni.
Le colpe della famiglia
"Il vero scandalo sono i familiari" accusa Maria Rita Parsi, psicologa e presidente della Fondazione Movimento bambino. "Come possono non accorgersi di quello che sta accadendo? Non affiderebbero mai un piccolo a una persona ferita a un braccio: perché allora lo affidano a una donna ferita nell’anima? I bambini hanno il diritto di vivere senza essere maltrattati. E queste donne soffrono di un disturbo grave della personalità, che non può passare inosservato. Devono essere fermate, curate in tempo". Nell’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere vengono assistite quando è ormai troppo tardi. "Sono trattate con psicofarmaci e psicoterapia" spiega il primario Giuseppe Gradante. "Ma la vera cura è il lavoro. Un’occupazione concreta offre alle madri assassine una nuova prospettiva di vita e le distrae da angosce divoranti. Qui possono frequentare una scuola, dipingere, fare scultura, persino palestra. In molti casi vedono anche i mariti. Solo il 40 per cento degli uomini, infatti, si separa dopo tragedie del genere: la maggior parte capisce che la moglie ha ucciso il figlio in un momento di follia e la perdona. Sono loro, le donne, a non assolversi. Preferiscono rimuovere il delitto, cancellare il ricordo. Qualcuna dimentica per anni, poi un bel giorno si precipita nel mio studio urlando: "Dottore, che cosa ho fatto!". È il momento più delicato, dobbiamo sorvegliare queste pazienti notte e giorno. Perché non si uccidano". Piccola "fisiologia" dell’immigrazione, di A. Boraschi e L. Manconi
A buon diritto, 20 dicembre 2004
In Italia, l’immigrazione è grande questione sociale e straordinaria opportunità materiale e spirituale (sì, spirituale), fatica e risorsa. Vent’anni di pessima gestione e di mediocre - e talvolta ottusa, talvolta feroce - politica l’hanno ridotta a emergenza e allarme sociale. E, allora, facciamo un piccolo esercizio di "applicazione tecnica" e consideriamo una serie di notizie, cattive e (raramente) buone: sarà agevole scoprire la "fisiologia" dell’immigrazione, la sua ordinaria e quotidiana - e intimissima - relazione con la nostra società e con noi stessi. (La fonte di queste notizie è, in genere, la benemerita e preziosissima agenzia on-line Redattore Sociale). 1. Era quasi fatta, mancava davvero poco: ma tutto è rimandato, o forse definitivamente compromesso. L’Italia rimane senza una normativa sul diritto d’asilo. Gli emendamenti introdotti da Alleanza Nazionale e dalla Lega al disegno di legge in discussione presso la commissione Affari Costituzionali della Camera hanno avuto come effetto immediato le dimissioni di Antonio Soda da relatore: avranno, probabilmente, come effetto ultimo e decisivo, il varo di una normativa assai arretrata e in odore di incostituzionalità. In altri termini, i richiedenti asilo continueranno a essere trattenuti nei Cpt senza la convalida di un giudice; e per quanti si vedranno rigettare la domanda d’asilo dalla Commissione territoriale ci sarà l’espulsione immediata, anche quando sia stato presentato appello. Sfuma, e in ogni caso viene stravolta, una legge bipartisan, alla cui stesura avevano collaborato l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, il Consiglio italiano per i rifugiati e molte delle organizzazioni umanitarie italiane che si occupano di migranti e richiedenti asilo. Una legge che avrebbe finalmente colmato, in modo organico, un indecente vuoto legislativo. Nulla di fatto. 2. Nei giorni scorsi la Conferenza Stato-Regioni ha bocciato il "Documento programmatico 2004-2006" del Governo in materia di immigrazione, perché "enfatizza la lotta alla clandestinità, ma ridimensiona le politiche per l’integrazione"; e perché omette ogni indicazione circa quanti, tra i beneficiari della recente regolarizzazione, si sono visti già negare il rinnovo del permesso per mancanza di un rapporto di lavoro dipendente. 3. Secondo il dossier 2004 della Caritas, nel nostro paese va crescendo la capacità di accettazione di culture diverse dalla nostra. La maggior parte degli intervistati, in una ricerca condotta a Milano, Bologna, Roma, Napoli e Palermo, si dichiara favorevole al fatto che gli immigrati conservino loro usi e costumi; guarda con favore alle coppie miste, al velo islamico, alla costruzione di luoghi di culto che possano accogliere gli stranieri di confessione non cattolica. Lo stesso dossier, tuttavia, evidenzia la difficoltà degli immigrati nel trovare casa: il 57% degli affittuari di 5 città del nord Italia e di 7 del centro sarebbero contrari ad affittare a immigrati. Il record negativo spetta a Bologna (95% degli affittuari contrari ad affittare a immigrati); seguono Perugia (70%), Firenze (62%) e Milano (70%). Appena migliore la situazione a Roma (51%), Genova (52%) e Bari (54%). 4. A Rho, provincia di Milano, il progetto del Comune per la realizzazione di un campo nomadi "sperimentale" per 80 persone ha sollevato forti proteste da parte dei cittadini e di due aziende che hanno sede nell’area limitrofa a quella dove dovrebbe insediarsi il campo. Gli amministratori comunali della giunta di centrosinistra hanno incontrato qualche giorno fa i cittadini contrari alla realizzazione del campo: la mediazione, per ora, appare lontana. 5. Arci, Asgi, Ics e Cir presenteranno un ricorso alla Corte Europea dei diritti umani contro il governo italiano per denunciarne il comportamento tenuto nei confronti dei 37 naufraghi africani raccolti dalla nave tedesca Cap Anamur. Secondo queste associazioni, non sarebbero stati rispettati i principi contenuti nella Convenzione europea dei Diritti umani, sottoscritta anche dall’Italia. "La nostra preoccupazione - ha dichiarato in merito Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci - è rivolta soprattutto alla sorte dei 14 naufraghi reclusi nel Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria per i quali è stata presentata l’istanza per l’asilo costituzionale". 6. Le domande di asilo nei Paesi industrializzati continuano a calare. È la tendenza che emerge dal rapporto statistico dell’Acnur (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) relativo ai primi nove mesi del 2004. Il rapporto si basa sull’analisi dei dati relativi alle domande di asilo in 36 paesi industrializzati in Europa, America del Nord, Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Nell’Unione europea si registra un aumento del 6% delle domande di asilo dal secondo al terzo trimestre 2004, in controtendenza rispetto alla media mondiale. Ma il paragone tra il 2003 e il 2004 conferma la tendenza generale: nel terzo trimestre 2004 le domande sono calate del 20% rispetto allo stesso periodo del 2003. 7. Dopo un’indagine realizzata nei centri di permanenza temporanea (Cpt) con il contributo di parlamentari, immigrati, sacerdoti e avvocati che in questi centri, preclusi alle visite dei giornalisti, hanno ottenuto accesso, la rivista missionaria "Nigrizia" conclude che "c’è da vergognarsi" per le condizioni in cui gli immigrati irregolari sono trattenuti. I cpt sono 12, da Milano a Trapani, da Roma a Lecce, da Agrigento a Torino, più uno in costruzione a Gradisca d’Isonzo (Gorizia). E sono affiancati da 4 centri d’identificazione per coloro che chiedono asilo, assai simili ai Cpt. Sono stati istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano per trattenere e identificare, ai fini dell’espulsione, gli immigrati irregolari trovati sul territorio italiano. Con la legge Bossi-Fini, nel 2002, il tempo massimo di trattenimento è passato da 30 a 60 giorni. 8. A Modena i cittadini extracomunitari vanno al voto. Il 19 dicembre 11.450 immigrati si esprimeranno per eleggere la Consulta comunale dei cittadini stranieri e apolidi residenti in città. Agli elettori, 5.342 donne e 6.108 uomini in regola con il permesso di soggiorno, maggiorenni e senza pendenze penali, spetta eleggere i 22 membri del cosiddetto "Parlamentino", che resterà in carica cinque anni con il compito di rappresentarli nel rapporto con le istituzioni locali. Una volta insediata, la Consulta eleggerà tra i suoi membri il presidente e il vicepresidente, i quali parteciperanno ai lavori del Consiglio comunale intervenendo alle sedute: hanno, cioè, il diritto di parola, pur non avendo diritto di voto. Le venti liste rappresentano le tante comunità straniere presenti in città. Gli immigrati dei diversi paesi dell’America Latina hanno optato per una lista unitaria, come quelli africani di area francofona. Anche gli studenti universitari africani presentano una propria rosa di candidati. Sotto l’insegna della pace, un lista attinge i suoi candidati da aree geografiche sparse nei diversi continenti; un’altra, apertamente multietnica, nasce dalle classi dei corsi d’italiano del Centro territoriale permanente. 9. Rudimenti di lingua araba per carabinieri e polizia municipale. L’idea è del Comune di Sesto San Giovanni (Milano), che ha dato il via al progetto tramite l’Ufficio scuole civiche di lingue e il Settore Cultura del Comune. Gli iscritti sono già 22 tra carabinieri e agenti di polizia municipale e, da novembre a maggio, entreranno in aula per due lezioni settimanali di un’ora e mezza. L’obiettivo del corso, come spiegano all’Ufficio scuole civiche del Comune, è "dare agli agenti gli strumenti per entrare in contatto con i tanti immigrati di lingua araba". Ai docenti, quindi, il compito di un insegnamento mirato alle esigenze di carabinieri e polizia municipale: imparare a formulare domande semplici per il riconoscimento degli stranieri, leggere i documenti delle persone, ma anche dare informazioni sui servizi pubblici, accogliere richieste di soccorso, indicare strade e luoghi. Come si vede, molto cambia. Prestiamo orecchio, aguzziamo la vista. Milano: Natale a San Vittore, festa nel reparto "La Nave"
Tg Com, 20 dicembre 2004
"Il Natale quando arriva, arriva" dice una famosa pubblicità. Ed è vero. A Natale si fa festa ovunque, anche in carcere e San Vittore, lo storico penitenziario milanese ha vissuto una giornata all’insegna dello spirito natalizio. Per la verità stiamo parlando di un solo reparto, "La Nave", che si occupa della riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti attraverso un progetto terapeutico della Asl molto particolare. Appena entrati nella Nave, il III° piano del III° raggio del carcere, si viene subito colpiti dalla luce che inonda il reparto. Per chi abbia conoscenza, anche solo per aver visto un documentario in tv, dell’atmosfera delle carceri nostrane, si tratta di una vera sorpresa e ancora più sorprendente è il contesto di civiltà che offre un reparto "a norma", cioè tanto per cominciare non sovraffollato. Per questa festa di Natale, per la verità, l’ultima di una serie di giornate a tema, era previsto uno spettacolo teatrale, una mostra di "racconti fotografici" curata da Carla Zaffaroni, una artista milanese che ha fatto interagire la propria creatività con quella dei detenuti attraverso una serie di fotografie, la presentazione di una serie di prodotti botanici creati dai carcerati e un concerto. Lo spettacolo teatrale è stato l’evento clou della giornata, con una compagnia di detenuti della Nave che ha messo in scena un breve atto unico davvero divertente. Efficacissima tra l’altro l’autoironia con cui i carcerati tossicodipendenti hanno rappresentato se stessi nella finzione-realtà del teatro. Il "tossico" che chiede i soldi per un panino alla fermata dell’autobus diventa un personaggio che fa ridere proprio nei suoi comportamenti deteriori e i primi a riderci sopra sono loro stessi, i detenuti, quelli che fino a poco prima facevano esattamente le stesse cose per procacciarsi una "dose". Decorazioni, luci, stelle di Natale. Ovunque alla Nave si è respirata l’aria del Natale. Ma è soprattutto negli occhi vivi di alcuni carcerati che si nota quanto faccia bene al cuore un giorno di Natale e quanto lavoro sia stato fatto con questi 43 ex tossicodipendenti. Intendiamoci, il carcere è sempre il carcere: perennemente in bilico tra chi vorrebbe stiparlo di detenuti e chi pensa che non dovrebbe nemmeno esistere. La vita del detenuto è dura, durissima anche in un reparto come la Nave dove è vero che entra tanta luce, ma pur sempre con la mediazione angosciante di quelle enormi sbarre di acciaio. Per oggi però possiamo accontentarci di quella scintilla di vita negli occhi di quei detenuti. Un piccolo segnale di speranza per loro e per la società dove dovranno prima o poi reinserirsi. Aveva proprio ragione il vecchio Scrooge dopo essere stato visitato dai tre fantasmi: il Natale arriva ovunque, basta crederci. Roma: "La gabbia", due platee nel carcere di Rebibbia
Corriere della Sera, 20 dicembre 2004
Nel carcere romano di Rebibbia si recita La gabbia, testo del sociologo Giulio Salierno, grande esperto di galere non soltanto perché le ha studiate, ma soprattutto perché c’è stato. La platea è divisa in due ranghi. Davanti siedono gli ospiti innocenti, dietro ci sono circa 300 detenuti. Dal palcoscenico, gli attori vomitano monologhi scandalosi e violentissimi contro il sistema penitenziario. I galeotti applaudono ("Brava, hai detto la verità!"), sotto gli sguardi impassibili delle guardie. L’atmosfera è surreale, anzi surrealista. Tutta la forza di questa recita è nella sua "crudeltà" intellettuale: quando si esce dal teatro/carcere, non sarà più possibile riposarsi nelle vecchie convinzioni, non si potrà più credere ai maestri di pensiero che descrivono la società non come è, ma come la vorrebbero. Perché le testimonianze, tutte vere, di questo spettacolo, rovesciano radicalmente i luoghi comuni che imbozzolano le storie dei delinquenti. Innanzitutto, nessuno dei protagonisti criminali si pente di ciò che ha fatto. I più, anzi, se ne vantano. Ecco il mafioso che rivendica l’utilità sociale delle sue imprese: "Creavo ricchezza, davo lavoro, fornivo alle persone perbene i servizi che loro si vergognano di gestire". Ed ecco il camorrista innamorato di Cutolo, che "ha creato una comunità, una famiglia, un reddito sicuro per migliaia di giovani". Ovviamente il reddito non è affatto sicuro e la vita dei "guagliun ‘e malavita" è rischiosissima, come dimostrano le cronache recenti. E lo spettacolo va avanti: pugni nello stomaco per l’ ospite innocente. C’è il killer professionista che non prova alcuna emozione, quando ammazza uno sconosciuto. Freddo come lui è il rivoluzionario sudamericano, che finanzia la sua banda guerrigliera con i sequestri di persona. Parlano due donne. Una è criminale, l’altra è soltanto puttana. La prima canta la propria gioia, quando impugna la pistola per fare una rapina. Questo sentimento di potenza, grida, è più forte di un orgasmo. La seconda, albanese, sostiene che col suo lavoro mantiene anche noi italiani. Perché? Perché lei e le sue colleghe sono cinquemila e mandano in patria milioni di euro ogni anno. Così contribuiscono alla rinascita economica del loro Paese, con una cifra che, a quanto pare, è il doppio di quel che l’Italia investe per la Cooperazione allo sviluppo. La prostituta, insomma, contribuisce a farci risparmiare. Ed è felicissima del suo mestiere, perché può guadagnare fino a mille euro al giorno, mentre le operaie albanesi ne prendono cento al mese, quando va bene. La platea degli innocenti incassa queste raffiche, stupefatta e ferita. I carcerati applaudono, lieti di sentir proclamata la normalità del crimine insieme con l’orgoglio della devianza. La galera e l’astinenza, nel frattempo, li hanno imbalsamati. Se appare una donna sul proscenio, sghignazzano e commentano come i loro coetanei degli anni Cinquanta, quando ogni branco di maschi si sentiva obbligato a ostentare la propria virilità repressa. "Io non sono cattiva", recita una signorina al proscenio. "No, tu nun sei cattiva, sei bbona", risponde subito un recluso. Fuori, in una qualsiasi via del Corso, passeggiano centinaia di minigonne generose. E nessuno si volta a guardarle.
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