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Sulmona: si uccide in carcere il sindaco di Roccaraso
Repubblica, 16 agosto 2004
Il sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, si è suicidato nel carcere di Sulmona. Il suicidio sarebbe avvenuto intorno alle 5 di questa mattina per soffocamento. Valentini era stato arrestato sabato scorso con l’accusa di concussione in un’inchiesta su presunte irregolarità negli appalti per la realizzazione di infrastrutture per i mondiali di sci. Valentini era stato arrestato mentre si trovava a Francavilla a mare dove stava trascorrendo un periodo di vacanza con la famiglia . Era accusato di concussione, finalizzata a estorcere denaro a imprenditori della zona e, inoltre, di calunnia nei confronti del comandante dei Carabinieri di Roccaraso che stava svolgendo indagini sul suo conto, in merito ad appalti pubblici. Nello stesso procedimento penale erano state indagate 32 persone tra amministratori e imprenditori coinvolti a vario titolo su una serie di presunte irregolarità nella progettazione e nella realizzazione di opere pubbliche a Roccaraso: la cittadina infatti si prepara ad ospitare il prossimo anno una gara della Coppa del mondo di sci. L’inchiesta sugli appalti di Roccaraso era stata avviata già da qualche tempo dalla magistratura di Sulmona. Il dirigente della squadra mobile dell’Aquila, Cesare Ciammaichella, aveva spiegato che l’indagine non riguarda la classe politica, nè una parte politica poichè le ipotesi di reato si riferiscono ad una serie variegata di soggetti alcuni dei quali facenti parte del mondo delle istituzioni.
Sergio D’Elia (Radicali): Valentini vittima di una giustizia totalitaria
"Il suicidio del sindaco di Roccaraso non può essere liquidato come l’atto disperato di una persona che non ha sopportato la vergogna del carcere e, magari, il suo senso di colpa. È l’ennesimo caso di suicidio che avviene nelle prime ore di detenzione. Solo in Cina reati come concussione, peculato o truffa portano inevitabilmente in galera e, spesso, si risolvono con la pena di morte. Da questo punto di vista, la giustizia italiana è totalitaria tanto quella cinese, e il totalitarismo sta innanzitutto nella obbligatorietà dell’azione penale e delle manette che vige solo in Italia e in paesi totalitari come le Cina. Il sindaco di Roccaraso è stato vittima del monopolio dei Pm sulla azione penale, dietro la cui obbligatorietà si nasconde la più assoluta e intollerabile discrezionalità di ogni Pm che data la enorme quantità di denunce sceglie arbitrariamente quali reati perseguire, in quali tempi e in quali modi."
Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi): Parlamento torni a occuparsi di corruzione
"Sembra di essere tornati indietro di dieci anni. Dopo le gravi rivelazioni su Enipower, oggi la tragica vicenda umana del suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso che merita tutto il nostro rispetto". Lo ha dichiarato il presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio. "Alla magistratura - ha aggiunto Pecoraro - spetterà ora il compito di chiarire se ci sono state responsabilità nella dolorosa vicenda abruzzese. Ma, anche dopo la vicenda Enipower, alla politica va richiesta un’assunzione di responsabilità: troppo poco è stato fatto per affrontare e prevenire i fenomeni di corruzione. Anzi, con il governo Berlusconi è stato trasmesso un segnale opposto: una sorta di difesa dell’impunita"‘. "È tempo, quindi - ha concluso Pecoraro - che il Parlamento torni ad occuparsi seriamente e fattivamente di corruzione".
Fabrizio Cicchitto (Fi): manette facili fanno altra vittima
"Quello che è successo a Roccaraso è agghiacciante. Non mi interessa che il sindaco arrestato fosse del centrosinistra. Sappiamo solo che le manette facili hanno fatto un’altra vittima". È quanto afferma Fabrizio Cicchitto, vice coordinatore di Forza Italia, a proposito del suicidio di Camillo Valentini, sindaco di Roccaraso (L’Aquila), che stamattina si è tolto la vita in carcere. Valentini era stato arrestato per concussione nell’ambito di un’inchiesta sulle opere pubbliche legate alla candidatura della cittadina per la Coppa del Mondo di sci. Vercelli: detenuto di 38 anni si uccide durante la notte
La Stampa, 16 agosto 2004
Era arrivato da pochi giorni nella casa circondariale di Billiemme e oggi sarebbe ripartito verso il carcere milanese di Opera. Ma l’ossolano Giovanni D?Andria, 38 anni, di Vogogna, accusato di aver strangolato la sua ex convivente Emanuela Crippa, 32 anni, di Verbania, nella notte tra giovedì e venerdì non ha resistito: probabilmente schiacciato dal rimorso si è tolto la vita. Il corpo senza vita è stato trovato dalle guardie penitenziarie poco dopo le 8 di ieri nella cella che fino al giorno prima condivideva con un altro detenuto, ricoverato però in ospedale il giorno precedente per un intervento chirurgico urgente. Le poche ore di solitudine avrebbero fatto scattare nella mente di Giovanni la molla che già da tempo, pare, sarebbe stata in tensione. Secondo l’avvocato difensore Marisa Zariani, infatti, Giovanni D’Andria avrebbe ripetutamente manifestato l’intenzione di uccidersi. Al punto che l’avvocato aveva richiesto al magistrato inquirente della Procura di Verbania un incidente probatorio per valutare la condizioni psichiche del D’Andria. Richiesta alla quale il Pm Baj Macario si era opposto disponendo invece una visita medica per accertare le condizioni fisiche del detenuto in ordine ai problemi visivi di cui soffriva. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, D’Andria avrebbe a lungo inalato il gas della bomboletta da campeggio impiegata per cucinare i cibi in cella e si sarebbe stretto il capo in un sacchetto di plastica di norma adibito alla conservazione della scorta di viveri. Un primo referto medico ascriverebbe ad asfissia la causa della morte ma solo l?autopsia, disposta per lunedì dal sostituto procuratore Marina Eleonora Pugliese, darà il responso preciso. Il delitto di Emanuela Crippa risale al 19 giugno scorso, nella casa di Giovanni, a Vogogna. Già allora, raccontò, si rese conto della gravità del gesto e tentò di farla finita infilando la testa in un sacchetto di plastica. Poi tentò una breve fuga nei boschi vicini e dopo poche ore si consegnò ai carabinieri di Premosello Chiovenda e confessò tutto. Roma: a Regina Coeli i detenuti in sciopero della fame
Liberazione, 16 agosto 2004
Si sta alzando la temperatura nel carcere di Regina Coeli. Non hanno la febbre, ma sono molto arrabbiati. I detenuti della sesta sezione di via della Lungara, da venerdì scorso sono in sciopero della fame e battono pentole e coperchi contro le inferiate e le grate. Vogliono far arrivare la loro protesta oltre il filo spinato. I detenuti scrivono un documento, in cui chiedono "l’istituzione di una commissione d’inchiesta che verifichi tutti gli abusi legati all’applicazione delle misure cautelari". "Era prevedibile", dice il capogruppo del Prc in Regione Lazio, Salvatore Bonadonna: "E non escludo che la protesta si estenda anche a Rebibbia e agli altri istituti italiani". Un’emergenza che sfocia in una vera e propria detenzione illegale. Le statistiche del ministero della Giustizia parlano chiaro: i detenuti sono quasi 54 mila, su circa 35 mila posti disponibili. In 15 istituti penitenziari l’indice di sovraffollamento supera quindi il 200 per cento. In breve, per ogni posto letto ci sono due detenuti. Come il carcere siciliano di Mistretta dove si supera il 280% di affollamento. Rispetto al resto dell’Europa, l’Italia fa una pessima figura. Solo la Grecia e l’Ungheria hanno un dato più elevato del Bel paese. Anche sul fronte sanitario la situazione è una pena. Si è passati dai 118 milioni di euro spesi nel 1998, ai 78 milioni di euro del 2003. In più: se come dicono le statistiche la popolazione carceraria, nel corso di quest’ultimo decennio è più che raddoppiata, il doppio dei detenuti viene curato con un terzo in meno di risorse. Sta a significare che a Secondigliano per 1450 carcerati ci sono quattro psicologi per 150 ore mensili di consulenza che, scorporato, corrisponde a poco più di 14 secondi al giorno per paziente. Sta a significare che i farmaci sono ridotti del 12%. Le medicine di fascia C, come la novalgina e la tachipirina, sono a carico del detenuto. Ma tutte le migliaia di detenuti italiani sono dei potenziali malati, perché costretti a vivere in ambienti fatiscenti, malsani e sovraffollati. Carceri: 87% dei reclusi vive in condizioni irregolari
Radicali Italiani, 16 agosto 2004
Sono sempre troppi i detenuti nelle carceri italiane, nonostante la legge sull’indultino - approvata lo scorso anno - ne abbia fatti uscire circa 5.500. Le cifre sul sovraffollamento carcerario dicono che l’87,7% del totale dei reclusi, vive "in condizioni non regolari". In pratica su 56.440 carcerati (uomini e donne), in 49.520 soffrono per mancanza di spazio. Questi dati - aggiornati allo scorso 30 giugno - sono contenuti nel dossier sugli istituti penitenziari presentato stamani dai radicali in una conferenza stampa che ha visto presenti tra gli altri Daniele Capezzone, Rita Bernardini, Maurizio Turco e Sergio D’Elia, ed elaborato in base ai numeri forniti dal Ministero della Giustizia. Per quanto riguarda la posizione giuridica dei reclusi, più di un terzo è in attesa di giudizio o del verdetto definitivo: si trovano in questa situazione 20.151 detenuti pari al 35,65 per cento. In 36.381 stanno, invece, scontando la pena in seguito alla condanna definitiva.Ma la situazione varia da carcere a carcere. Basti pensare che in 15 istituti - su un totale di 190 destinati agli uomini - il tasso di affollamento è superiore al 200%. Guida questa graduatoria negativa il carcere siciliano di Mistretta (281%). Dei 73 penitenziari con sezioni femminili, 31 sono sovraffollati e vivono in condizioni "non regolamentari" 1.523 donne. Le cose non vanno bene nemmeno nei sei ospedali psichiatrici giudiziari. Solo in quelli di Castiglione delle Stiviere e di Barcellona Pozzo di Gotto i detenuti hanno spazio a sufficienza e sono meno dei posti disponibili. Il caso più grave è quello di Reggio: 140 posti e 194 detenuti. "Dall’analisi condotta istituto per istituto - conclude il dossier - si vede come la situazione continua ad essere intollerabile, sia dal punto di vista del rispetto delle leggi nazionali che degli impegni assunti in sede internazionale". Daniele Capezzone, segretario di Radicali Italiani, ha chiesto "che paese è quello in cui un detenuto si trova a scontare una pena mentre lo Stato che gliela infligge non rispetta leggi nazionali e impegni internazionali sulla detenzione? Il ministro della Giustizia non ha niente da dire su questa situazione?". Maurizio Turco - curatore del dossier ed ex eurodeputato relatore sulle carceri - ha sottolineato che "rispetto ai 25 paesi comunitari, solo la Grecia e l’Ungheria hanno un dato di sovraffollamento più elevato di quello italiano e questo significa che siamo tra i fanalini di coda per quanto riguarda la condizione dei detenuti". Turco ha inoltre ricordato "sebbene l’Italia abbia un alto rapporto agenti/detenuti (1,3 agenti ogni recluso), i distaccamenti del personale presso altre amministrazioni rendono gravoso e difficile il compito di sorveglianza". Sergio D’Elia, dell’associazione Nessuno tocchi Caino, ha criticato la mancanza di garanzie per i detenuti in gironi ad elevata vigilanza e restrizione (diversi dal carcere duro riservato ai mafiosi) che però non hanno strumenti per avanzare reclami, contrariamente a chi si trova al 41 bis che può fare ricorso. Infine Rita Bernardini - tesoriera di Radicali Italiani - ha ricordato il dramma dei suicidi tra le sbarre, dove la percentuale di chi si toglie la vita è superiore del 19% rispetto a chi compie questa scelta nella vita in libertà. Israele: 1500 detenuti palestinesi in sciopero della fame
Osservatorio sulla legalità, 16 agosto 2004
Sciopero della fame in massa nelle carceri israeliane, per protestare contro le condizioni di detenzione. Vi aderiscono migliaia di detenuti palestinesi, che hanno dichiarato di voler sfidare la morte se non saranno accettate le 57 condizioni poste per migliorare la vivibilità del carcere. La protesta, secondo fonti penitenziarie, è cominciata nelle prigioni di Eshel e Nafha, nel sud del paese, ed in quella di Hadarim, nel centro, ed ha interessato all’inizio 1500 dei 3800 detenuti che vi sono ospitati attualmente. Fra i prigionieri ci sono 600 condannati all’ergastolo per la loro partecipazione a sanguinosi attacchi contro la popolazione civile. L’amministrazione delle carceri ha eliminato dalle celle radio e televisione, impedito la distribuzione dei periodici e proibito la vendita di sigarette, mentre le visite sono state cancellate. Il ministro della sicurezza interna, Tsaji Hanegbi, responsabile della Polizia nazionale e del servizio prigionieri, ha anticipato che, d’accordo con il primo ministro Ariel Sharon, ha deciso di non accettare le richieste. "Per quel che mi interessa possono andare avanti un giorno, una settimana, un mese o anche morire di fame" ha detto Hanegbi la scorsa settimana, dopo una consultazione con le autorità penitenziarie ed i servizi segreti dello Shin Bet. Il personale di polizia nelle carceri e quello sanitario sono in stato d’allerta nel caso che la protesta sia accompagnata da disordini e violenze. Secondo fonti palestinesi, se le richieste non saranno soddisfatte entro 48 ore, durante la giornata del prigioniero palestinese, altri prigionieri si aggiungeranno ai primi, ed il numero complessivo potrebbe arrivare a 7000. Fra i principali reclami i prigionieri palestinesi lamentano il mancato uso del telefono cellulare e pubblico, l’umiliazione di essere denudati di fronte ai carcerieri , ed il mancato contatto personale con i familiari, da cui li separa una barriera. Il capo dei servizi carcerari, Yaacov Ganot, ha affermato in una conferenza stampa che i terroristi usano il telefono per organizzare attentati, alludendo ai miliziani che si ribellano all’occupazione militare israeliana nei territori di Cisgiordania e Gaza. Attivisti dei diritti umani e gli avvocati dei prigionieri affermano invece che il trattamento che viene dispensato nelle carceri israeliane è peggiore di quello che ricevono gli Iracheni nel carcere di Abu Ghraib a Baghdad. Gli attivisti per i diritti umani, come pure l’Autorità nazionale della Palestina (ANP), affermano che questi militanti dell’"Intifada" sono "prigionieri di guerra" e quindi soggetti al trattamento previsto dalla Convenzione di Ginevra, mentre per Israele essi sono attentatori della sicurezza e soggetti pertanto solo alla legislazione criminale. Verona: parrocchia risponde all’appello per gli ex detenuti
L’Arena, 16 agosto 2004
La città si apre al dialogo con i detenuti del carcere di Montorio che cercano un reinserimento nel tessuto sociale dopo aver scontato la pene. Artefice di questa esperienza è la parrocchia di San Zeno dove, da anni, un gruppo di giovani parte per recarsi periodicamente ad animare la messa nella casa circondariale veronese. Proprio attraverso questi ragazzi, i detenuti hanno fatto pervenire il testo di una lettera indirizzata a tutta la diocesi di Verona e accolta nella frazione colognolese con molto interesse tanto che il consiglio pastorale ha risposto ribadendo l’impegno di affrontare ogni sforzo per superare le difficoltà che i detenuti hanno segnalato con molto coraggio nella loro missiva. "Abbiamo bisogno di famiglie e singoli che riescano ad abbandonare i pregiudizi e che siano disposte a prenderci "in affido" anche solo per brevi periodi", hanno chiesto nella loro lettera i detenuti riferendosi al momento più critico del dopo carcere. "Quando usciamo dal carcere ci troviamo davanti molte possibilità a noi precluse per il fatto di essere stati colpevoli", scrivono i carcerati. "Anche dopo aver scontato la pena", si legge ancora nella lettera da Montorio, "veniamo riconfermati nell’essere pregiudicati e per questo emarginati. Ciò rende molto difficile reinserirci nel tessuto sociale e la ricostruzione di una vita dignitosa e onesta. Ci rivolgiamo a voi per chiedervi di sostenerci nei primi passi verso l’inserimento nella società perché sentiamo indispensabile il sostegno della collettività per ricominciare. Vi chiediamo una disponibilità ad ascoltarci e al confronto sulle esperienze di vita spesse volte opposte, nella speranza che questi momenti di incontro si trasformino in uno scambio dio emozioni e di sentimenti ricchi di significato. Confidiamo", aggiungono i detenuti, "nella possibilità di poterci vedere e confrontare nella vostra parrocchia per contribuire a superare paure e stereotipi che si alimentano nell’assenza di contatto e di comunicazione diretta". Non si è fatta attendere a lungo la risposta del consiglio pastorale di San Zeno, dove il cappellano del carcere don Luciano Ferrari è stato più volte ospite della parrocchia e dove di frequente è intervenuto nelle assemblee liturgiche focalizzando l’attenzione sui problemi dei detenuti. La realtà del carcere di Montorio è stata anche oggetto di varie assemblee pubbliche fatte in parrocchia con conoscitori di questa situazione tra cui l’ex detenuto Arrigo Cavallina. "La vostra testimonianza è un prezioso aiuto per noi", hanno scritto i parrocchiani, "a non dimenticare che nella nostra società esiste anche la realtà del carcere, che in esso ci sono persone e che queste hanno diritto alla stessa dignità e al rispetto che spettano a ogni uomo. Sentiamo viva la preoccupazione per le difficoltà che il carcerato incontra nel costruire un rapporto di fiducia con la società ancora condizionata da pregiudizi. Il muro esiste e non è facile abbatterlo", hanno ammesso i parrocchiani nella lettera, "ma vogliamo assicurarvi che rafforzeremo i contatti con voi per stabilire momenti di dialogo con la nostra comunità. Vogliamo valutare le reali possibilità di sostenere tale iniziativa, promettendovi", hanno garantito a San Zeno, "che ci faremo portavoce delle vostre preoccupazioni anche presso le autorità civili del nostro comune per farli partecipi di eventuali iniziative volte a facilitare il dialogo e il vostro reinserimento nella società". La lettera di risposta è stata consegnata dal Consiglio pastorale di San Zeno nelle mani del cappellano don Ferrari in modo da farla pervenire ai detenuti che, come fanno sapere in parrocchia, "sanno riservare sempre una bella accoglienza ai giovani che animano con canti, preghiere e riflessioni la messa in carcere". Cremona: Cà del Ferro al 67° posto dell’affollamento
La Provincia di Cremona, 16 agosto 2004
Dei 190 penitenziari analizzati, il carcere di Cremona è al 67° posto della graduatoria negativa del sovraffollamento, con un tasso di affollamento del 158,7% (capienza regolamentare:198; presenze: 311). A lanciare l’allarme è il dossier carcerario 2004 elaborato dai Radicali sui dati del ministero della Giustizia. Secondo il dossier-denuncia, sono troppi gli "ospiti delle patrie galere" nonostante la legge sull’indultino, approvata lo scorso anno, ne abbia fatti uscire 5.500 (dato nazionale). A Cremona, coloro che hanno beneficiato dell’indultino sono stati 25-30. In Italia, sono 47.320, su un totale di 53.780, le persone recluse nelle 190 carceri "in condizioni non regolamentari". "Le previsioni dei Radicali si sono rivelate esatte - ha commentato Sergio Ravelli, esponente del partito -. Le cifre sul sovraffollamento carcerario dicono che l’87,7% del totale dei reclusi vive ‘in condizioni non regolarì". Per quanto riguarda la posizione giuridica dei reclusi, più di un terzo è in attesa di giudizio o del verdetto definitivo: in questa situazione si trovano 20.151 detenuti, pari al 35,65 per cento. In 36.381 stanno, invece, scontando la pena in seguito alla condanna definitiva. La situazione varia da carcere a carcere. Dal dossier-denuncia dei Radicali emerge che in 15 istituti, su un totale di 190 destinati agli uomini, il tasso di affollamento è superiore al 200%. Guida la graduatoria negativa il carcere siciliano di Mistretta (281%). Dei 73 penitenziari con sezioni femminili, 31 sono sovraffollati. Secondo l’analisi dei Radicali, le cose non vanno bene nemmeno nei sei ospedali psichiatrici giudiziari. Solo in quelli di Castiglione delle Stiviere e di Barcellona Pozzo di Gotto i detenuti hanno spazio a sufficienza e sono in numero minore dei posti disponibili. Il caso più grave è quello di Reggio: 140 posti e 194 detenuti. "Dall’analisi condotta istituto per istituto - conclude il dossier - si vede come la situazione continua ad essere intollerabile, sia dal punto di vista del rispetto delle leggi nazionali che degli impegni assunti in sede internazionale. Rispetto ai 25 Paesi comunitari, solo la Grecia e l’Ungheria hanno un dato di sovraffollamento più elevato di quello italiano e questo significa che siamo tra i fanalini di coda per quanto riguarda la condizione dei detenuti". "Nel corso di un anno - conclude Ravelli - le carceri hanno già del tutto assorbito l’effetto-esodo, per modo di dire, dell’indultino. Sono, come previsto, tornate allo stesso affollamento di 12 mesi fa. La lunga lotta non violenta condotta dai radicali, sei mesi caratterizzati da tre lunghi scioperi della fame, per l’approvazione dell’indultino aveva questo obiettivo: guadagnare 12 mesi di tempo, necessari per fare le riforme strutturali della giustizia/carceri, in mancanza delle quali le carceri sarebbero ritornate a scoppiare. È successo, purtroppo, quanto temuto dai Radicali: le riforme strutturali non sono state fatte. Le carceri sono tornate a scoppiare". Graziano Mesina: appello a Ciampi, "per la grazia spero in lui"
Agi, 16 agosto 2004
Torna alla ribalta Graziano Mesina, il più noto dei banditi sardi e il detenuto italiano con più anni di carcere alle spalle. Rinchiuso nel carcere di Voghera dalla fine del 1992 quando venne arrestato dopo alcuni mesi di libertà condizionale. Grazianeddù ha parlato ieri, Ferragosto, con i familiari informandoli che la sua domanda di grazia "era stata rigettata dal Ministero di Grazia e Giustizia" ma che lui non aveva intenzione di desistere. "Io ricorrerò appellandomi al Presidente della Repubblica nel quale ho la massima fiducia" ha detto Mesina - secondo quanto apprende l’Agenzia Italia - alla sorella Giuseppa, che vive ad Orgosolo, paese di origine dell’ex primula rossa del Supramonte. Il Ministero, interpellato, ha però seccamente smentito che la domanda di grazia presentata un anno fa dallo stesso Mesina sia stata respinta: "La domanda è ancora all’esame dei tecnici del dicastero" è stata la precisazione dell’ufficio stampa del ministro Castelli. Torino: Radicali in visita all’Ipm "Ferrante Aporti"
Radicali Italiani, 16 agosto 2004
Ieri, domenica 15 agosto ferragosto, alle ore 15.30, Bruno Mellano (consigliere regionale radicale in Piemonte) ha varcato i cancelli dell’Istituto Minorile Ferrante Aporti di Torino, per effettuarvi una visita ispettiva; da quasi trent’anni (legge 354/75, art. 67, di riforma dell’ordinamento penitenziario), i deputati europei e nazionali ed i consiglieri regionali possono entrare in carcere per verificare le condizioni sia dei detenuti sia del personale. Mellano era accompagnato dai militanti radicali torinesi Stefano Mossino e Carlo Donati ed è stato accolto ed accompagnato nella visita dalla direttrice, dottoressa Elena Lombardi, e dal comandante degli agenti di polizia penitenziaria. La situazione degli ospiti detenuti nel Ferrante Aporti era ieri di 51 persone, 19 femmine (di cui una giovane madre con un bambino di un anno e mezzo) tutte straniere, la gran parte slave e rom, di età fra i 15 ed i 20 anni, mentre i maschi erano 32, la gran parte magrebini e solo 6 italiani, di età fra i 14 ed i 20 anni. Il tempo di permanenza medio nell’Istituto è di 59 giorni. La visita ha colto i giovani detenuti nell’ora d’aria e quindi sia i ragazzi che le ragazze erano nei cortili loro riservati per il passeggio ed il gioco, con rete da pallavolo per le femmine e da calcio per i maschi. Le femmine sono ospitate in un’unica sezione, nella stagione estiva decisamente sovrappopolata, i maschi in tre sezioni di una decina di ragazzi per ciascuna e di cui una sola decisamente sovrappopolata. La delegazione ha visitato i cortili interni, fermandosi a lungo a colloquiare con gli ospiti, la nuova sala colloqui, decorata dagli stessi ragazzi, l?aula scolastica, i laboratori di pittura e di panetteria, una sezione maschile, la nuova portineria, con ingresso e sala riunioni per le equipe trattamentali di via Berruti e Ferrero. Mellano ha dichiarato: "Da quando sono stato eletto consigliere, nel maggio 2000, non ho mai mancato di venire a Ferragosto al Ferrante Aporti; un impegno, quello radicale, che non si limita agli appuntamenti fissi delle feste comandate, anche se sono consapevole che spesso questi sono i momenti più brutti per chi è detenuto e per chi ci lavora. Con il mio collega Carmelo Palma abbiamo effettuato, in questi cinque anni, oltre un centinaio di visite ispettive nei 15 istituti piemontesi (compreso il Ferrante e il centro di "accoglienza temporanea" per extracomunitari di Corso Brunelleschi); siamo riusciti a far stanziare dalla Regione Piemonte, per due anni consecutivi, 600.000 euro per l?assunzione di nuovi educatori professionali; nei pochi mesi che restano alla scadenza della legislatura, c’impegneremo affinché sia finalmente reso pubblico un documento-fantasma: il regolamento della Cassa delle Ammende, 80 milioni di euro per progetti di reinserimento e di aiuto ai detenuti e alle loro famiglie. Dopo le due partite a calcio clamorosamente e sonoramente perse nell’ottobre scorso dai militanti dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta, i ragazzi hanno sollecitato una nuova sfida in autunno, mentre con le ragazze si è affrontato, fra gli altri, l’argomento del cibo e del funzionamento della nuova cucina interna da poco rinnovata: hanno espresso il desiderio di variare il vitto, magari con qualche panino del McDonalds. Con la Direttrice ed il Comandante, che ringrazio per la disponibilità ancora una volta dimostrata, abbiamo infine valutato la possibilità di favorire ulteriori incontri fra la struttura detentiva ed il mondo esterno, in particolare con le istituzioni locali ed il volontariato. Rapporto sulla sicurezza: meno omicidi, più truffe
Agi, 16 agosto 2004
Meno omicidi, furti, scippi e rapine. Più truffe e arresti. È l’Italia disegnata dal Rapporto sulla Sicurezza del Viminale. Un Paese sempre più sicuro. Dove la minaccia del terrorismo internazionale è fronteggiata da un apparato di polizia e di intelligence all’altezza della situazione. E dove diminuiscono gli omicidi volontari e, soprattutto, quei reati - furti, borseggi, scippi e rapine - più temuti dal cittadino comune. Uniche eccezioni, i colpi negli uffici postali e le truffe: in ascesa. È l’immagine dell’Italia disegnata dall’ultimo Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia, anticipato oggi dal Viminale. Nei tre anni di vita del governo Berlusconi, gli arresti sono aumentati del 14,6% rispetto al triennio precedente, passando da 348mila a poco meno di 400mila: negli ultimi 12 mesi, sono finiti in manette anche 46 stranieri sospettati di dare supporto logistico a gruppi terroristici internazionali o di reclutare jihadisti volontari da inviare in Iraq o Cecenia. Risultati positivi anche sul fronte del terrorismo interno: a finire in carcere sono stati, tra gli altri, 10 brigatisti e 4 anarco-insurrezionalisti. Mentre sono 102 i latitanti pericolosi di mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita assicurati alla giustizia: 7 di loro figuravano nello speciale elenco dei super-ricercati. Negli ultimi tre anni, forte è stata la diminuzione degli omicidi volontari, il 10,5% in meno rispetto al triennio precedente e addirittura il 24,8% in meno rispetto al periodo luglio ‘95-giugno ‘98. In calo, come detto, e sempre in riferimento agli ultimi 36 mesi, i furti (-7,4%), gli scippi (-22,6%), i furti di auto (-16,1%) e le rapine. Sono le truffe, in compenso, a conoscere un vero e proprio boom: da 145mila che erano nel triennio ‘95-98 sono diventate più di 300mila tra il 2001 e il 2004. E se si fa sempre meno forte la pressione migratoria illegale (gli sbarchi di clandestini sulle coste meridionali nell’ultimo anno si sono praticamente dimezzati, calando del 48,2), diventa anche meno pericoloso avventurarsi su strade e autostrade: grazie all’introduzione della patente a punti, le vittime degli incidenti sono diminuite del 18,8%. In calo pure la pericolosità del tifo ultras. Nuoro: ministro giustizia Castelli visita il carcere
Agi, 16 agosto 2004
Visita a sorpresa, ieri, del ministro della giustizia Roberto Castelli nel carcere di Nuoro. L’istituto di pena è da tempo al centro di polemiche per le carenze di organico, il sovraffollamento e il continuo cambio di direttori denunciati da sindacati e amministratori locali. Castelli ha interrotto il consueto periodo di vacanze nella colonia penale di Is Arenas, nel Cagliaritano, per verificare di persona, accompagnato dal Provveditore regionale delle carceri e da quello di Nuoro, la situazione nel carcere di "Badu e Carros". Dopo la visita, incontrando i giornalisti, Castelli ha parlato, riferendosi alla struttura di Nuoro di "una situazione nella media, con luci e ombre". Ha aggiunto di ritenere il sovraffollamento "sopportabile", in quanto i detenuti sono al massimo in tre nelle celle, peraltro, "abbastanza ampie". "C’è qualche problema che abbiamo verificato - ha sottolineato il ministro - e che in un futuro più o meno prossimo riusciremo ad eliminare". Castelli si è infine soffermato sulla situazione generale delle carceri sarde affermando che l’isola, dal punto di vista della situazione penitenziaria, "non è tra le regioni più sofferenti". Reggio Calabria: dall’istituto carcerario attori per un giorno
Quotidiano di Calabria, 16 agosto 2004
Dai ragazzi detenuti nel nuovo istituto carcerario a custodia attenuata di Laureana di Borrello, è partito un messaggio di speranza, di pace e soprattutto di riscoperta dei valori della famiglia. Un messaggio affidato attraverso il teatro ai pochi e significativi invitati che hanno assistito alla loro prima attività. Quando il sipario del piccolo auditorium si è aperto, la scena è stata catturata da uno dei giovani detenuti che ha presentato il lavoro teatrale scritto da uno di essi proprio con l’obiettivo di sottolineare la positività del valore dell’amicizia e della positiva esperienza dell’istituto, che offre possibilità nuove di reinserimento sociale anche attraverso precisi percorsi di formazione . Poi la commedia dialettale in due atti "Nù penseru pè l’estati" è stata per la prima volta messa in scena. Tutto è stato vissuto quasi come un sogno, da parte di questi giovani, che decidendo di entrare nell’istituto di Laureana hanno accettato, firmando un preciso patto con lo Stato, di impegnarsi a cambiare per non sbagliare ancora. La trama semplice, a tratti coinvolgente, che racchiudendo scenari territoriali , è stata interpretata con particolare entusiasmo e soprattutto con il desiderio di sentirsi per una volta protagonisti di un racconto attraverso il quale sono emersi i temi dell’emigrazione , delle radici, della famiglia e soprattutto dell’accoglienza. È stato bello vedere giovani detenuti apprezzare il volto nuovo del loro territorio dove l’occupazione e lo sviluppo grazie al porto di Gioia Tauro, per la prima volta possono realizzarsi davvero. Un territorio che nonostante i tantissimi problemi riesce anche ad essere attento verso i più deboli, come gli ammalati di Aids, o gli extracomunitari. La scelta di essere attori per un giorno è stata apprezzata, dunque, non solo dalla direttrice dell’istituto Angela Marcello e dal comandante Antonio Schippilliti. Ma anche dagli ospiti, che per un paio d’ore si sono dimenticati di trovarsi dentro un carcere.
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