Rassegna stampa 14 agosto 2004

 

Suicidi "estivi" 20 volte superiori a quelli che avvengono fuori

 

Radicali Italiani, 14 agosto 2004

 

Dichiarazione di Bernardini e D’Elia: "è come se nel mese di luglio in Italia si fossero suicidate 6.172 persone" . I sette suicidi di luglio nelle carceri italiane corrispondono ad un dato 20 volte superiore a quello relativo ai suicidi dell’intera popolazione italiana maggiorenne.

Questo è lo scandalo delle cifre, che vengono diffuse mensilmente dalla rivista "Ristretti Orizzonti", e che sono state rilanciate stamattina dalla tesoriera di Radicali Italiani, Rita Bernardini, nel corso della conferenza stampa radicale sullo stato delle carceri italiane.

Una vera e propria impennata estiva che avrebbe dovuto allarmare e occupare i responsabili istituzionali della giustizia, visto che anche nel mese di giugno i suicidi in carcere erano stati ben 9.

Ma al di là delle cifre, ciò che commuove sono le storie di coloro che hanno deciso di togliersi la vita.

Il marocchino Salah Talbouz di 28 anni si impicca in primo di luglio nel carcere di Ivrea, dopo poche settimane di detenzione. Le sue ultime volontà, scritte in un biglietto, dispongono solo che non sia avvisata la famiglia. Nicolae Doru si impicca alle sbarre della finestra della cella del carcere di Frosinone facendo un cappio con i lacci delle scarpe; Nicolae, trentasettenne rumeno, era in carcere da 45 giorni per non aver rispettato il decreto di espulsione dall’Italia.

L’11 luglio, nel Carcere di Padova si uccide infilando la testa in un sacchetto di plastica riempito di gas, Anacleto Locane, 35 anni, di origini pugliesi che stava scontando le ultime settimane di pena per una serie di truffe. Il 21 luglio scorso, un detenuto brindisino, di 25 anni, in galera dal dicembre 2003 per rapina, si impicca con un lenzuolo nella sua cella del carcere di Lecce.

A Busto Arsizio, un detenuto dominicano di 34 anni, implicato in un traffico di droga, si impicca dopo soli 4 giorni di galera.

C’è anche chi non è stato condannato e in carcere non ci ha messo neanche piede, come Vincenzo Milano, di 30 anni, che muore nell’ospedale di Barletta dove era stato trasportato d’urgenza per le gravissime ferite riportate durante la cattura effettuata dai vigili a seguito di uno scippo. "Una pena di morte sommaria ed extra-giudiziaria", afferma Sergio D’Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino. "In Italia la giustizia dello Stato non funziona o arriva dopo anni, mentre quella fai-da-te funziona benissimo e viene esercitata in modo spietato, con esecuzione immediata".

Con l’estate carceri al tracollo: torna anche la tubercolosi

 

L’Unità, 14 agosto 2004

 

Si alza la temperatura nelle duecentocinquanta carceri italiane, cresce il malessere tra i detenuti. Complice l’afa e il sovraffollamento cronico, che con l’estate porta con sé un innalzamento di malori, crisi depressive e gesti di autolesionismo. In estate. Quando il personale sanitario, già sotto organico e con un monte ore a cui è stata drasticamente tirata la cinghia per i tagli in finanziaria, è ulteriormente ridotto dalle ferie.

"È uno dei momenti più difficili dell’anno - afferma Biagio Fulco, delegato della Cgil Campania e medico dell’istituto napoletano - . A Secondigliano per 1.450 detenuti ci sono quattro psicologi per 150 ore mensili di consulenza che, scorporato, equivale a poco meno di 15 secondi al giorno per utente. Anche con il caldo. Quando aumentano in maniera esponenziale i disturbi della personalità e noi siamo costretti a fare salti mortali per garantire a tutti il diritto alla salute".

Un diritto che mal sopporta i tagli: nel 2004 lo stanziamento - come denuncia la Cgil Funzione pubblica - è stato ridotto di circa 55 milioni di euro. Stando ai dati forniti dal sindacato, il settore più colpito è l’ organizzazione e il funzionamento del servizio sanitario farmaceutico, passato da 104 milioni di euro a 81 milioni e 380 mila euro. L’unico aumento riguarda l’assistenza e il mantenimento dei detenuti tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche: dai poco più di due milioni di euro previsti nel 2001 si è saliti ai 2 milioni e 300 mila del 2004.

I Radicali hanno presentato proprio ieri una denuncia sul sovraffollamento carcerario: in 15 istituti ci sono due detenuti per ogni posto disponibile. L’87%, cioè 49mila persone, vive in condizioni ai limiti della legalità. "Il fatto che in prigione ci sia il 19% in più di suicidi rispetto alla società normale, vorrà dire qualcosa", dice Rita Bernardini. E oggi i radicali saranno nelle carceri romani per raccogliere firme sul referendum abrogativo della legge sulla fecondazione assistita.

I tagli hanno prodotto carenze nell’assistenza: meno medici e infermieri, pillole e flaconi, nonché centellinare gli accessi alle strutture specialistiche esterne autorizzando solo casi d’urgenza. "Di recente ho visitato il carcere Dozza di Bologna - racconta Katia Zanotti, membro Ds in commissione affari sociali di Montecitorio - e la direttrice mi ha detto che durate il periodo festivo sono costretti ad interrompere le visite specialistiche per carenza di personale.

Perfino un banale mal di denti diventa un problema. Poiché si viaggia sulla soglia della sopravvivenza, compresi dispensari che languono medicine. In alcuni istituti arrivano esclusivamente grazie alla disponibilità soggettiva di chi vi si reca. C’è qualche medico che se li porta da casa. Qualcun’altro somministra la terapia sommando confezioni-campione che gli vengono lasciate dai rappresentanti".

Cinquantaseimila detenuti. Molti dei quali malati. Ventimila tossicodipendenti. Diecimila affetti da epatite. Cinquemila sieropositivi. Ma non basta. Si devono aggiungere svariati casi di malattie infettive che ormai sembravano relegate al passato, come scabbia, tubercolosi o sifilide.

Secondo l’associazione Antigone, infatti, il 66% dei penitenziari sarebbe a rischio di scabbia, mentre un 60% starebbe facendo i conti con la ricomparsa della Tbc. "La prevenzione costa tantissimo - sostiene il provveditore lombardo Luigi Pagano -. Al carcere di San Vittore facciamo visite ad hoc. Cosicché negli ultimi 15 anni non si sono più verificati casi di questo tipo, se non nella sezione femminile, dove una donna incinta non poté essere sottoposta alle radiazioni".

Ma fare uno screening per alcune strutture è un costo davvero insostenibile che, unito alla profilassi necessaria per la cura, determinerebbe il crollo economico di tutto il servizio. "In Campania ci sono 6.500 reclusi su una capienza regolamentare di 4.900, - afferma Dario Stefano Dell’Aquila, coordinatore partenopeo di Antigone - A Poggioreale in ogni cella convivono fino a 18 detenuti. Letti a castello a tre piani e un solo bagno. Per gli stranieri non ci sono interpreti né mediatori culturali. E quella che era emergenza sanitaria è diventata allarme rosso.

Negli ultimi anni il ministero ha ridotto del 70% le risorse per i farmaci e del 30% quelle per visite specialistiche, compensi di medici e infermieri. Così un internato con un versamento pleurico ad un polmone è tornato sul suo letto con ancora la ferita aperta". A chiarire il motivo di una dipartita anticipata dalle cliniche è Marco Poggi, segretario nazionale del Sindacato Autonomo Infermieri (Sai), che spiega: "a volte si cerca di convincere i degenti di inesistenti miglioramenti affinché lascino l’ospedale perché non abbiamo più uomini per piantonarli.

Solo a Bologna, una delle realtà meno drammatiche del Belpaese, i posti vacanti in organico sono attorno al 35%. Spesso accade che nelle carceri la somministrazione della terapia sia affidata ad agenti piuttosto che a infermieri. Una categoria ridotta all’osso e che si è pagata l’aumento in busta paga di 2 euro l’ora con la contrazione del servizio".

Il nodo della questione è principalmente politico. Ovvero il mancato passaggio della sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale come previsto dalla riforma Bindi. Passaggio bloccato "dal governo di centrodestra sulle resistenze dell’Amapi (sindacato dei medici penitenziari) e della dirigenza dell’amministrazione penitenziaria che non intende cedere il controllo di alcune funzioni", sottolineano i sindacati di settore.

Di fatto il sistema attuale è ibrido. Assorbito dal Ssn (e non in tutte le regioni)soltanto per ciò che concerne le tossicodipendenze, l’igiene e la profilassi. "La sanità in carcere deve essere indipendente dalla direzione penitenziaria - sostiene Fabrizio Rossetti della Fp Cgil -.

Sono 6 anni che la legge è disapplicata e a livello locale nessuno ha mai rivendicato il passaggio di funzioni. Un cardiologo che entra a Rebibbia in 3 ore può fare 22 visite e mettersi in tasca 2.500 euro".

Questa è la diagnosi, ma la cura? Al carcere di Velletri, nonostante che i medicinali di fascia A siano passati in toto dalla Regione, sostengono di avere difficoltà di approvvigionamento. "La maggior parte del fabbisogno necessita di "ricetta rosa" - afferma un infermiere - Così pomate, colliri, antidolorifici e ipoglicemizzanti se li devono pagare i detenuti.

Ovvio che chi non ha denari non può fare la terapia. Per cui è frequente vedere qualcuno che dalla cella "elemosini" l’acquisto di una compressa tra volontari o ecclesiastici". Durante i loro turni e straordinari massacranti (forse retribuiti) gli addetti alla salute dei detenuti dovrebbero controllare, inoltre, che la dose consegnata sia assunta dall’internato. Perché i farmaci sono merce di scambio.

A un anno dalla legge: "l’indultino è un fallimento"

 

Libero, 14 agosto 2004

 

A un anno dall’indultino i detenuti sono aumentati di 1000 unità. Lo denunciano i radicali che ieri in una conferenza stampa a Roma hanno ribadito di essere stati profeti quando preconizzavano questo fallimento. In un dossier di dieci pagine ci sono le cifre di questo fallimento: una sovrappopolazione carceraria di 56.440 detenuti, 2.660 donne e 53.780 uomini.

Laddove non ce ne dovrebbero essere più di 42 mila. Altro che grandi hotel a 5 stelle, dunque, come racconta l’ex eurodeputato Maurizio Turco, "oramai siamo a un indice di sovraffollamento di 1,4 che significa che ci sta una persona e mezzo, talvolta due, laddove a malapena ce ne dovrebbe essere una".

Particolarmente imbarazzante la situazione degli ospedali psichiatrici: alcuni sono inutilizzati e in altri i detenuti ricoverati sono stipati l’uno sopra l’altro. C’è infine la questione del 41 bis e delle recenti declassifficazioni di detenuti operate dalla magistratura di sorveglianza. Cento casi che hanno fatto gridare al complotto tanti professionisti dell’antimafia militante, come denuncia Sergio D’Elia di Nessuno tocchi Caino, "ma che a guardare bene sono altrettanti casi di assoluzione da accuse indiziarie che erano state sufficienti a fare internare questi presunti innocenti".

Cosa che ci è valsa anche una condanna davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo alla voce "torture". Poi ci sono i problemi dovuti agli arresti di stranieri clandestini. E i timori per il nuovo proibizionismo sullo spinello.

A questo proposito il segretario dei Radicali italiani Daniele Capezzone lancia un’oscura profezia: "Se adesso passerà veramente una legge così proibizionista sulle droghe leggere come quella in gestazione da parte di Fini, il problema del sovraffollamento nelle carceri non potrà più essere responsabilità del ministro Castelli ma dovrà passare al suo collega Lunari".

Radicali: l’87% dei reclusi vive in condizioni non regolari

 

Corriere della Sera, 14 agosto 2004

 

Sono sempre troppi i detenuti nelle carceri italiane, nonostante la legge sull’indultino - approvata lo scorso anno - ne abbia fatti uscire circa 5.500. Le cifre sul sovraffollamento carcerario dicono che l’87,7% del totale dei reclusi, vive "in condizioni non regolari".

In pratica su 56.440 carcerati (uomini e donne), in 49.520 soffrono per mancanza di spazio. Questi dati - aggiornati allo scorso 30 giugno - sono contenuti nel dossier sugli istituti penitenziari presentato stamani dai radicali in una conferenza stampa che ha visto presenti tra gli altri Daniele Capezzone, Rita Bernardini, Maurizio Turco e Sergio D’Elia, ed elaborato in base ai numeri forniti dal Ministero della Giustizia.

Per quanto riguarda la posizione giuridica dei reclusi, più di un terzo è in attesa di giudizio o del verdetto definitivo: si trovano in questa situazione 20.151 detenuti pari al 35,65 per cento. In 36.381 stanno, invece, scontando la pena in seguito alla condanna definitiva.Ma la situazione varia da carcere a carcere.

Basti pensare che in 15 istituti - su un totale di 190 destinati agli uomini - il tasso di affollamento È superiore al 200%. Guida questa graduatoria negativa il carcere siciliano di Mistretta (281%). Dei 73 penitenziari con sezioni femminili, 31 sono sovraffollati e vivono in condizioni "non regolamentari" 1.523 donne. Le cose non vanno bene nemmeno nei sei ospedali psichiatrici giudiziari. Solo in quelli di Castiglione delle Stiviere e di Barcellona Pozzo di Gotto i detenuti hanno spazio a sufficienza e sono meno dei posti disponibili. Il caso più grave è quello di Reggio: 140 posti e 194 detenuti. "Dall’analisi condotta istituto per istituto - conclude il dossier - si vede come la situazione continua ad essere intollerabile, sia dal punto di vista del rispetto delle leggi nazionali che degli impegni assunti in sede internazionale".

Daniele Capezzone, segretario di Radicali Italiani, ha chiesto "che paese è quello in cui un detenuto si trova a scontare una pena mentre lo Stato che gliela infligge non rispetta leggi nazionali e impegni internazionali sulla detenzione? Il ministro della Giustizia non ha niente da dire su questa situazione?". Maurizio Turco - curatore del dossier ed ex eurodeputato relatore sulle carceri - ha sottolineato che "rispetto ai 25 paesi comunitari, solo la Grecia e l’Ungheria hanno un dato di sovraffollamento più elevato di quello italiano e questo significa che siamo tra i fanalini di coda per quanto riguarda la condizione dei detenuti".

Turco ha inoltre ricordato "sebbene l’Italia abbia un alto rapporto agenti/detenuti (1,3 agenti ogni recluso), i distaccamenti del personale presso altre amministrazioni rendono gravoso e difficile il compito di sorveglianza". Sergio D’Elia, dell’associazione Nessuno tocchi Caino, ha criticato la mancanza di garanzie per i detenuti in gironi ad elevata vigilanza e restrizione (diversi dal carcere duro riservato ai mafiosi) che però non hanno strumenti per avanzare reclami, contrariamente a chi si trova al 41bis che può fare ricorso.

Infine Rita Bernardini - tesoriera di Radicali Italiani - ha ricordato il dramma dei suicidi tra le sbarre, dove la percentuale di chi si toglie la vita è superiore del 19% rispetto a chi compie questa scelta nella vita in libertà.

Capezzone: invito Castelli a passare una settimana in carcere

 

Radicali Italiani, 14 agosto 2004

 

Apprendo dalle agenzie che, secondo il Ministro Castelli, la situazione nelle carceri, anche rispetto alla questione del sovraffollamento, sarebbe "sotto controllo" - ha dichiarato Daniele Capezzone, segretario di Radicali italiani.

Se è così, lo invito a farsi una settimana di carcere (magari una settimana di vacanza...) presso il carcere di Poggio Reale a Napoli, o dell’Ucciardone a Palermo, o in un’altra struttura a sua scelta. Del resto, un anno fa parlò di "alberghi": quindi, scelga pure una struttura della "catena alberghiera". Una settimana, secondo me, basterebbe: in sette - otto in cella, e con una doccia ogni sei giorni. Poi, sarei curioso di risentire l’opinione del Ministro per capire se, anche dopo quell’esperienza, tutto gli sembrerebbe ancora "sotto controllo".

Radicali e "Ristretti Orizzonti: il carcere continua a uccidere

 

Liberazione, 14 agosto 2004

 

Nei soli trenta giorni di luglio, sette detenuti si sono tolti la vita nelle carceri italiane. "Il fatto che in prigione ci siano più di suicidi rispetto la società esterna, vorrà dire qualcosa", ha affermato ieri mattina la radicale Rita Bernadei, commentando i dati di luglio 2004 "Morire di carcere", il dossier pubblicato dalla rivista "Ristretti Orizzonti", fatta da detenuti e volontari del carcere di Padova.

All’interno di quelle mura dovevano espiare una pena, invece, oltre i fili spinati, hanno perso la vita. Lo scorso mese 12 detenuti sono morti. Per 2 di loro non è stato possibile stabilirne la causa, ma della restante parte si sa solo che hanno lasciato la vita.

Non è tutto. Nelle carceri i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere. E "dietro queste cifre troviamo sempre storie tragiche", commenta la radicale. Infatti il dossier, usando come fonti la stampa nazionale e locale, ha ricostruito le 12 storie dei detenuti morti a luglio.

Il 2 luglio, nel carcere di Frosinone, un detenuto rumeno di 37 anni, Nicolae Doru è morto impiccandosi alle sbarre della propria cella. Era in carcere da quarantacinque giorni. Non aveva rispettato un decreto di espulsione dall’italia. Ma Nicolae gridava di essere vittima di un errore giudiziario. Giurava che qualcuno aveva usato il suo nome e spacciandosi per lui durante un controllo di polizia. A tutti ha ripetuto che non sapeva esistesse un ordine di espulsione a suo nome. Nicolae lo ha detto agli agenti, mentre lo stavano arrestando per non aver lasciato l’Italia. Lo ha ribadito ai magistrati della procura di Venezia che lo hanno condannato.

Ma è "un suicidio strano, quello di Nicolae Doru", afferma un volontario del carcere. Nicolae ha infilato il collo in un cappio senza fare nodi. E si e lasciato andare. Hanno tentato inutilmente di rianimarlo. Lo avevano trasferito qualche tempo prima da Regina Coeli "a causa del suo caratteraccio", dicono dal centro penitenziario di Frosinone.

"Doru non aveva familiarizzato con gli altri detenuti - proseguono dal carcere - e alla fine era stato necessario metterlo in una cella da solo". Stava scontando una condanna per furto aggravato, diventata esecutiva perché si era aggiunta la pena per non aver lasciato l’Italia nonostante l’espulsione. Sarebbe uscito agli inizi del 2006. La polizia penitenziaria sta indagando sulla morte di Nicolae. Sospettano che non volesse suicidarsi, ma compiere un gesto per attirare l’attenzione della magistratura.

Oppure nello stesso giorno nel carcere di Ivrea, Salah Talbouz marocchino di 28 anni, detenuto da poche settimane si impicca dopo aver scritto un biglietto. Chiede di non avvisare la sua famiglia. I genitori di Salah non sapevano del carcere.

I suoi familiari non ci credono. Anacleto Locane a metà luglio, si toglie la vita a Padova, nella Casa di Reclusione. La sua famiglia non crede che Anacleto abbia infilato la testa nel sacchetto di plastica riempito di gas. Stava scontando le ultime settimane di una pena, relativa ad una serie di truffe. "Fino a poche ore prima era allegro, proprio sereno", dice il suo avvocato.

"Gli avevo appena comunicato che per settembre era già stata fissata l’udienza per l’affidamento in prova - prosegue il difensore Patrizio Janniello - tutte le relazioni dei servizi sociali erano favorevoli alla sua scarcerazione". Ma la famiglia Locane non crede al suicidio. Anacleto aveva trascorso un periodo nel carcere di Belluno, poi era stato trasferito al Due Palazzi di Padova. Il suo nome pur essendo legato ad una grossa inchiesta su un traffico di auto, a breve sarebbe uscito. La causa della sua morte non è quindi accertata. Gli addetti ai lavori chiamerebbero questi decessi "eventi critici". Sono quelle morti, la stragrande maggioranza, che rimangono senza risposta.

È proprio di ieri mattina, la presentazione del rapporto semestrale sulle carceri di Bologna nel 2004. La situazione è notevolmente peggiorata rispetto l’anno precedente. L’indice di affollamento è oltre il raddoppio degli standard di ricettività, in strutture sempre più fatiscenti. Di carcere si muore.

Rovigo: due detenuti per ogni posto disponibile

 

Resto del Carlino, 14 agosto 2004

 

Quello di Rovigo è uno dei carceri con l’indice di affollamento più alto, sopra il 200%: vuol dire, in concreto, che per ogni posto ci sono due detenuti. È una realtà ben nota e ripetutamente denunciata, ma ha trovato conferma anche in un rapporto presentato ieri da radicali a Roma sulla situazione nelle carceri italiane, frutto dell’elaborazione dei cifre fornite dallo stesso ministero della giustizia.

La sezione maschile della Casa circondariale di via Verdi è nella "lista nera" dei 14 istituti di pena che ospitano il doppio dei carcerati rispetto alla capienza, in compagnia dei carceri di Mistretta (in provincia di Messina: il caso più scandaloso, Busto Arsizio, Rovereto, Varese, Firenze Sollicciano, Bergamo, Treviso, Padova, Sondrio, Bari,Taranto, Latina, Brescia Monbello, Pistoia. Complessivamente, peraltro, sul totale di 190 carceri ben 143 sono quelli che presentano problemi di sovraffollamento.

Un po’ meglio va nelle carceri femminili, dove 31 su 73 sono sovraffollati, con due soli casi (Forlì e Vercelli) dove l’indice supera il 200%. Quanto agli ospedali psichiatrici giudiziari, la situazione più grave è quella della sezione maschile di Reggio Emilia: 140 posti disponibili e 194 detenuti (138,57%). Secondo Maurizio Turco, relatore del Parlamento europeo sui diritti dei detenuti: "Nell’UE peggio dell’Italia sono solo Grecia e Ungheria, tutti gli altri hanno una densità penitenziaria inferiore".

Verona: troppi detenuti e pochi "posti" in cella

 

L’Arena di Verona, 14 agosto 2004

 

Sono sempre troppi i detenuti nelle carceri italiane, nonostante che la legge sull’ " indultino " - approvata nel 2003 - ne abbia fatti uscire circa 5.500. Le cifre sul sovraffollamento carcerario dicono che l’87,7 per cento del totale dei reclusi vive "in condizioni non regolari".

In pratica , su 56.440 carcerati (uomini e donne), 49.520 soffrono per mancanza di spazio. Semplificando: ogni tre posti " disponibili " sulla carta, ci sono quattro detenuti. Questi dati - aggiornati al 30 giugno - sono contenuti nel dossier sugli istituti penitenziari presentato dai radicali. Quanto al la posizione giuridica dei reclusi, più di un terzo è in attesa di giudizio o del verdetto definitivo: si trovano in questa situazione 20.151 detenuti , pari al 35,65 per cento.

In 36.381 (il 64,54 per cento del totale) stanno invece scontando la pena in seguito alla condanna definitiva. Complessivamente, all’interno delle carceri, sono "disponibili" 42.313 posti per 56.440 detenuti presenti, con un indice di affollamento del 133,39 per cento. A stare peggio sono gli uomini, con un sovraffollamento del 135,48 per cento; le donne hanno un po’ di spazio in più (101,64).

Ma in 15 istituti - su un totale di 190 destinati agli uomini - il tasso di affollamento è superiore al 200 per cento (due detenuti per un posto). Guida questa graduatoria negativa il carcere siciliano di Mistretta (281 per cento), seguito da quelli di Busto Arsizio (250), Rovereto (240), Varese (235), Firenze Sollicciano (234). Dei 73 penitenziari con sezioni femminili, 31 sono sovraffollati , e vivono in condizioni "non regolamentari" 1.523 donne. In due sezioni il tasso di presenze è superiore al 200 per cento : a Forlì (240) e Vercelli (219).

Le cose non vanno bene nemmeno nei sei ospedali psichiatrici giudiziari: solo a Castiglione delle Stiviere e a Barcellona Pozzo di Gotto i detenuti hanno spazio a sufficienza. Maurizio Turco, curatore del dossier, sottolinea che "rispetto ai 25 Paesi comunitari, solo la Grecia e l’Ungheria hanno un dato di sovraffollamento più elevato di quello italiano".

Bologna: condizioni sanitarie al limite della sopravvivenza

 

Il Resto del Carlino, 14 agosto 2004

 

Barriere architettoniche, celle sempre più stipate, e condizioni igienico - sanitarie ai limiti della sopravvivenza. Era vero a dicembre dello scorso anno, ed È vero anche oggi. A sei mesi di distanza dall’ultimo rapporto dell’Azienda Usl di Bologna sulle condizioni all’interno del carcere della "Dozza", i problemi sono immutati.

Ed è ancora una volta l’associazione "Medicina democratica" a puntare il dito contro la permanenza dello status quo in cella, malgrado le ispezioni dei funzionari. il sovraffollamento alla Dozza, ormai cronico, è addirittura aumentato dal dicembre 2003, come documenta il rapporto dell’Ausl: da 786 uomini e 67 donne registrati nel secondo semestre 2003, si passa oggi a 857 detenuti e 70 detenute, quando però la recettività ideale della casa circondariale resta di 388 maschi e 49 femmine.

Dunque, i detenuti sono oltre il doppio del consentito e questo causa un conseguente aumento di rischi epidemiologici, secondo Vito Totire di "Medicina democratica" che oggi ha presentato il rapporto alla stampa. Per la prima volta, inoltre, Medicina democratica è riuscita a tirare fuori dai cassetti anche un dossier sul carcere dei minorenni.

Secondo le rilevazioni dell’Ausl di Bologna, anche all’istituto di pena di via del Pratello c’è un fenomeno di mini-sovraffollamento (15 "ospiti" contro i 12 ammessi per la struttura), ma si aggiunge anche la questione di un’impiantistica elettrica che il rapporto definisce "obsoleta" e priva delle "caratteristiche di sicurezza previste dalla normativa vigente".

Roma: Radicali a Rebibbia e Regina Coeli per raccolta firme

 

Radicali Italiani, 14 agosto 2004

 

Dopo aver presentato nella giornata di oggi il dossier, curato da Maurizio Turco, sulla situazione carceraria a un anno dall’indultino, domani, sabato 14 agosto, i radicali torneranno nelle carceri romane per avviare la raccolta delle firme sul referendum per abolire la legge sulla fecondazione assistita. Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, sarà nel carcere di Rebibbia, mentre Daniele Capezzone e Rita Bernardini, segretario e tesoriera di Radicali italiani, si recheranno a Regina Coeli.

Da sempre, i detenuti italiani sono disposti a sostenere e aiutare le campagne di raccolta firme, e -negli ultimi anni, a partire dal Satyagraha di Marco Pannella per la legalità costituzionale su Consulta e plenum della Camera - sono anche stati copromotori di lunghe ed articolate azioni nonviolente.

Non ultima, quella (con i 53 giorni di sciopero della fame di D’Elia, Bernardini e Capezzone) che aiutò il Parlamento a prendere una decisione sulla questione dell’indultino. Doveva e poteva esser l’occasione per usare un "alleggerimento" della pressione carceraria e incardinare riforme strutturali: il che non è avvenuto, riprecipitando le carceri italiane nella situazione infernale di partenza. E a questa comunità di detenuti che - nonostante l’illegalità della situazione in cui sono costretti a scontare la propria pena - hanno il senso della legalità e della civiltà democratica (così come di direttori e agenti di custodia che esercitano con grande cura la propria responsabilità) cercheremo di offrire, nelle prossime settimane, molte altre occasioni di firmare i referendum, al di là di queste prime visite nei penitenziari romani.

Torino: Consigliere regionale Mellano visita "Ferrante Aporti"

 

Radicali Italiani, 14 agosto 2004

 

Domenica 15 agosto, alle ore 15,30, Bruno Mellano (consigliere regionale radicale in Piemonte) varcherà i cancelli dell’Istituto Minorile "Ferrante Aporti" di Torino (Corso Unione Sovietica, 327), per effettuarvi una visita ispettiva; da quasi trent’anni (legge 354/75, art. 67, di riforma dell’ordinamento penitenziario), i deputati europei e nazionali ed i consiglieri regionali possono entrare in carcere per verificare le condizioni sia dei detenuti sia del personale.

Mellano ha dichiarato: "da quando sono stato eletto consigliere, nel 2000, non ho mai mancato di venire a Ferragosto al Ferrante Aporti; un impegno, quello radicale, che non si limita agli appuntamenti fissi, una volta l’anno; con il mio collega Carmelo Palma abbiamo effettuato, in questi cinque anni, 100 visite ispettive nei 15 istituti piemontesi (compreso il Ferrante e il centro di "accoglienza temporanea" per extacomunitari di Corso Brunelleschi); siamo riusciti a far stanziare dalla Regione Piemonte, per due anni consecutivi, 600.000 euro per l’assunzione di nuovi educatori; nei pochi mesi che restano alla scadenza della legislatura, ci impegneremo affinché sia finalmente reso pubblico un documento - fantasma: il regolamento della Cassa delle Ammende, 80 milioni di euro per progetti di reinserimento e di aiuto ai detenuti e alle loro famiglie. Il ministro Castelli aveva dichiarato, nel febbraio scorso, che il regolamento era pronto; attendiamo ancora oggi di poterlo leggere".

Toscana: approvata legge per la salute dei detenuti

 

Vita, 14 agosto 2004

 

Sono 21 le strutture carcerarie presenti: dalla casa circondariale agli ospedali psichiatrici giudiziari, all’istituto minorile e alle carceri di grandi, medie e piccole dimensioni

La Giunta regionale della Toscana ha approvato la proposta di legge per la tutela del diritto alla salute dei detenuti negli istituti penitenziari della Toscana. Con questo provvedimento - si legge in un comunicato - la Regione, nel pieno rispetto dell’art. 117 della Costituzione, riconosce la parità di trattamento, in tema di assistenza sanitaria, tra i cittadini liberi e gli individui detenuti e individua gli strumenti per dare compiuta attuazione a questo diritto: un protocollo di intesa con i vertici dell’amministrazione penitenziaria e l’inserimento di questa problematica nel piano sanitario regionale attraverso uno specifico progetto obiettivo triennale. Gli altri articoli della legge, che verrà presto sottoposta al vaglio del Consiglio regionale, riguardano tra l’altro la definizione dei compiti della Asl e delle Aziende Ospedaliere, che opereranno sulla base di apposite linee guida, e i provvedimenti in materia di personale.

"La situazione sanitaria delle carceri italiane - afferma Enrico Rossi, assessore per il diritto alla salute - è disastrosa: è per questo che si è reso indispensabile il riordino della situazione a livello regionale". L’impegno su questo fronte tra l’altro non è nuovo alla Regione Toscana che per prima, già lo scorso anno, ha messo a disposizione delle strutture penitenziarie i farmaci del servizio sanitario pubblico con un notevole risparmio di risorse finanziarie. Tutto questo a fronte di una progressiva e pesante riduzione degli investimenti governativi (- 20% negli ultimi anni), mentre ogni anno il numero dei detenuti in Italia cresce in media di circa 7.500 unità.

In Toscana, sono 21 le strutture carcerarie presenti: dalla casa circondariale agli ospedali psichiatrici giudiziari, all’istituto minorile e alle carceri di grandi, medie e piccole dimensioni. La popolazione carceraria complessiva è di circa 4.100 detenuti, senza contare le reclusioni di breve o brevissimo periodo che si attestano sulle 15.000 unità.

Questo significa che se ogni singola struttura ospita in media 300 detenuti, in realtà ne vede transitare in un anno almeno 1.500. Per garantire ai carcerati le stesse opportunità e gli stessi diritti che hanno i cittadini liberi in fatto di salute, la legge regionale propone tra l’altro l’adozione di una cartella clinica informatizzata per ogni detenuto all’ingresso in istituto, che se utilizzata a fini statistico - epidemiologici permetterebbe lo studio di una adeguata organizzazione sanitaria.

Quanto all’accesso ai servizi specialistici, diagnostici e di ricovero, la proposta di legge interviene svincolandosi da una serie di aspetti burocratici: se l’accertamento diagnostico non può essere effettuato presso la stessa struttura penitenziaria, sarà effettuato in idonea struttura del servizio sanitario nazionale cui il detenuto sarà condotto grazie al contatto diretto tra la struttura penitenziaria e gli addetti al servizio sanitario senza che sia più necessario ad esempio l’attestato dell’esenzione dal ticket. Il personale infermieristico verrà potenziato nell’organico, e soprattutto aggiornato professionalmente.

Immigrazione: Pisanu e Schily, Cpt di destra e Cpt di sinistra

 

Il Manifesto, 14 agosto 2004

 

Il primo parla di centri per "i migranti irregolari" fermati durante i controlli. Il secondo, più morbido, di centri in cui visionare le domande di asilo, una proposta che anche una parte della sinistra italiana non disprezzerebbe. Ma entrambi li vogliono in Nordafrica, lontano dall’Europa

Il ministro Rocco Buttiglione, da vecchio professore, si esprime per punti nello spiegare perché appoggia l’idea di costruire centri di raccolta per immigrati nei paesi del nord Africa: "L’idea va considerata per tre motivi: 1) per motivi umanitari e per eliminare il controllo dei mercanti di schiavi; 2) perché sarebbe possibile informare queste persone dei canali legali per poter entrare nella Ue; 3) perché, senza rischi e con costi minori, si potrebbe rimandare indietro chi non ha le caratteristiche".

Poche parole che danno un’utile sintesi del dibattito internazionale sul tema negli ultimi anni, ma che soprattutto suggellano l’appoggio del centro cattolico al progetto del Viminale, che il prefetto Pansa andrà a proporre in Libia e che il ministro Pisanu ha intenzione di inserire nel prossimo decreto correttivo della Bossi-Fini. Più fanfarone il commento del ministro per le riforme Calderoli: "Va bene ma solo come male minore. Meglio là che qua.

Ma se sono in grado di costruire centri, non vedo perché non sono in grado di bloccare le partenze". Come se i Cpt in Italia avessero bloccato il transito di migranti verso il nord Europa. Calderoli, al contrario del ministro per le politiche europee, non tiene conto inoltre del fatto che le proposte del governo si inseriscono in un quadro già abbastanza sviluppato, in cui l’Unione lavora per una progressiva esternalizzazione delle frontiere in campo migratorio.

Una notizia del 27 febbraio scorso la dice lunga: per la prima volta il Marocco ha accettato di rimpatriare 30 immigrati dell’Africa sub sahariana arrestati in Spagna. Il Marocco ha accordi bilaterali di riammissione degli immigrati con diversi paesi, tra cui l’Italia, ma tradizionalmente le intese si basano sulla riammissione di cittadini marocchini, anche se le ambasciate non hanno mai disdegnato di "riprendersi" qualche cittadino africano che era transitato attraverso il Marocco per raggiungere l’Europa. Questa volta, però, l’intero "carico umano" era composto di persone di altre nazionalità.

L’episodio che vede protagonista un paese che collabora da tempo (non senza litigi) con il Marocco, e cioè la confinante Spagna, ma che l’Unione europea, e in primis l’Italia, vorrebbe rendere la regola. L’obiettivo è chiaro: coinvolgere i paesi terzi, e in particolare quelli del Maghreb, nel controllo dei flussi. Non soltanto attraverso il pattugliamento delle frontiere, ma delegando alcune competenze.

Da un lato il rimpatrio degli irregolari "beccati" in Europa, dall’altro la gestione delle domande di asilo. Non a caso, il "destro" Pisanu parla esplicitamente di centri in nord Africa per ospitare "i migranti irregolari intercettati durante le operazioni di controllo delle frontiere". Invece il "sinistro" Schily, ministro degli esteri tedesco, parla di centri in cui visionare preliminarmente le domande di asilo, seguendo la strada della proposta britannica che fu silurata a Salonicco.

Allora anche la Germania si oppose, ma dopo la vicenda della Cap Anamur, in una riunione dei ministri dell’interno a Bruxelles lo scorso 17 luglio, Schily trasse il dado: "Bisogna provarci". Nell’incontro di oggi a Sant’Anna di Stazzema, in occasione della commemorazione della strage nazista, i due ministri metteranno a confronto i loro punti di vista, e non c’è dubbio che si troveranno ampie convergenze.

D’altronde la prospettiva "schillyana" non è malvista neanche dalla sinistra italiana (mentre solleva polemiche tra quella tedesca). "Pensare di costruire centri di repressione al di là del Mediterraneo è una cosa inaccettabile", spiega il responsabile immigrazione dei Ds, Giulio Calvisi "altro conto è aprire a una gestione dei richiedenti asilo coinvolgendo quei paesi, sotto il controllo dell’Onu, per poi assicurare una partenza legale e sicura verso l’Europa".

Anche Cristopher Hein del Consiglio italiano per i rifugiati, che fa parte di una rete europea, non disdegna l’idea di centri "di prima accoglienza in nord Africa, in cui è possibile da un lato orientare i flussi migratori per lavoro e studio e dall’altro per far arrivare i richiedenti asilo in modo protetto. Ovviamente ci sono punti da chiarire, in particolare sul fronte della tutela dei diritti e specificando che non si può trattare di una soluzione alternativa all’accesso alle procedure di asilo in Europa".

In sostanza, la posizione di Pisanu rappresenterebbe la linea dura del blocco totale dell’immigrazione. La linea di Schily invece quella morbida, tesa a costruire ponti sicuri verso la fortezza Europa, in particolare per i richiedenti asilo. In entrambi i casi, le frontiere dell’Europa per i migranti non iniziano neanche più nello spazio Schengen.

 

 

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