|
Radicali: oltre 49 mila detenuti in condizioni illegali
Apcom, 13 agosto 2004
Sono 49.529, pari all’87,7% dell’intera popolazione carceraria (56.440), i detenuti che vivono in istituti dove le condizioni di reclusione, a detta dello stesso ministero di Giustizia, non sono regolamentari. Su 190 istituti maschili 143 sono sovraffollati e in 15 strutture il sovraffollamento è superiore al 200%, in testa a tutti, con un triste primato, il carcere di Mistretta, a Messina, dove a fronte di una capienza di 16 posti sono ospitati 29 detenuti. I dati "a dire poco vergognosi" sono stati illustrati dai Radicali che stamani con Daniele Capezzone, Maurizio Turco, Sergio D’Elia e Rita Bernardini hanno presentato un vero e proprio dossier sulle condizioni degli istituti penitenziari italiani. "Situazioni peggiori di quella italiana si trovano solo in Grecia e in Ungheria - ha attaccato Turco - in tutti gli altri paesi dell’Unione Europea la densità penitenziaria è migliore e dobbiamo denunciare che a un anno dalla legge sul cosiddetto indultino niente è cambiato, le condizioni generali restano sempre pessime". Il dossier dei Radicali, basato sui dati forniti dalla sezione statistica del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al 30 giugno scorso, fotografano una situazione di grave emergenza che coinvolge 56.440 detenuti, di cui 2.660 donne e 53.780 uomini. Alta la percentuale dei detenuti in attesa di giudizio: il 35,6% pari a 20.151 persone di cui 1.046 donne e 19.105 uomini; mentre il 64,4% (36.381) di cui 1.614 donne e 34.767 uomini ha subito una condanna definitiva. "Un terzo dei cittadini detenuti è in attesa di giudizio e quindi innocente, oltre l’87% vive in condizioni di illegalità - sottolinea il segretario dei Radicali Daniele Capezzone - mi chiedo che Stato è uno Stato che viola le sue stesse leggi nell’applicare le pene, mi chiedo ancora che cosa hanno da dire il ministro Castelli e tutti i politici italiani; che dicano, dalle loro località di vacanza una parola su tutto questo". I Radicali hanno annunciato che domani due delegazioni si recheranno in visita al carcere di Rebibbia e a quello di Regina Coeli, mentre si sta studiando il modo "per dare la possibilità ai cittadini detenuti di firmare o meno il referendum sulla fecondazione assistita". 41 bis: Radicali polemici, propaganda non serve contro mafia
Agi, 13 agosto 2004
Polemizzano con gli esperti dell’Antimafia, politici e non, i radicali. Sul regime del carcere duro, il cosiddetto 41 bis, dicono: la mafia non si combatte con la "terribilità" ma con la legalità ed il diritto. "Ci avevano assicurato che il 41 bis messo a regime non era una forma di tortura democratica perché ci sarebbero i giudici di sorveglianza a verificare la sua applicazione. In un anno e mezzo sono stati revocati da parte dei magistrati i decreti emessi dal ministro nei confronti di 100 detenuti sottoposti al 41 bis" e il presidente dell’Antimafia, Roberto Centaro "ha dichiarato che bisogna fermare questa politica lassista", sostenendo anche la possibilità che i detenuti possano godere di permessi premio. Ma non è così. "Ho paura - dice Sergio D’Elia - che tentino di passare dallo stato dell’assurdo allo stato di polizia tornando all’inizio degli anni 90, modificando la legge approvata nel 2002", in modo che il 41 bis diventi "dominio pieno e incontrastato dell’autorità politica, del ministro della Giustizia che basa i suoi decreti sulle note informative dei procuratori distrettuali. Note che diventerebbero così "dogma", "vangelo". Quanto ai 100 detenuti non più sottoposti al regime del carcere duro, c’è stato "un allarmismo inutile", "propaganda". Nell’inferno penitenziario italiano ci sono vari gironi: il carcere normale, l’alta sorveglianza, l’elevato indice di vigilanza e poi il 41 bis". "Uscire dal carcere duro non significa, come dice Centaro, poter andare in permesso premio". Quei cento detenuti sono finiti nel sistema "elevato indice di vigilanza". La lotta alla mafia "non si può fare con la terribilità, ma in modo più efficace, nel rispetto della legge, con il diritto e non con la propaganda". Inoltre anche il consiglio di Europa ha espresso preoccupazione rispetto a un regime "che pone problemi - ha precisato Maurizio Turco - riguardo al rispetto dei diritti umani". Verbania: detenuti curano Parco Nazionale della Val Grande
Comunicato Stampa Dap, 13 agosto 2004
Il Corpo Forestale dello Stato e la Polizia Penitenziaria hanno organizzato un’iniziativa denominata "Recupero patrimonio ambientale", che vedrà venti detenuti impegnati in un servizio di pubblica utilità. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed il Corpo Forestale dello Stato hanno organizzato, per il prossimo 15 agosto, una significativa iniziativa denominata "Recupero patrimonio ambientale" che prevede l’impiego di venti detenuti ristretti nella casa circondariale di Verbania in un servizio di pubblica utilità, finalizzato alla pulizia del Parco Nazionale della Val Grande, in località Pian d’Aria, Comune di Aurano, presso il Lago Maggiore. I detenuti impiegati nell’operazione recupero ambientale sono stati selezionati tra coloro che sono classificati come detenuti comuni, con fine pena non superiore a tre anni, con condotta regolare in ambito penitenziario. I detenuti, che opereranno con il supporto degli uomini del Corpo Forestale e con i volontari di Legambiente, saranno impegnati nel ripristino della funzionalità di un sentiero alpino, collocheranno, in aree paesaggisticamente rilevanti, panche di legno, impianteranno cestini porta rifiuti ed alcune tabelle di legno riportanti la topografia del Parco. Provvederanno, inoltre, alla pulizia ed alla bonifica di una porzione dell’area protetta con l’ausilio dei volontari delle associazioni ambientaliste. Il servizio sarà gestito dal Corpo Forestale dello Stato e dal Corpo di Polizia Penitenziaria e prevederà l’impiego complessivo di 60-80 agenti appartenenti ad entrambi i Corpi. Il Corpo di Polizia Penitenziaria assicurerà tutti i compiti di accompagnamento e sorveglianza dei detenuti impegnati nell’operazione. In tale occasione verrà offerta ai detenuti la possibilità di uscire dal carcere e di compiere un servizio di recupero ambientale utile alla società. La Provincia del Verbano – Cusio – Ossola, il Comune di Verbania, il Presidente dell’Ente Parco Nazionale Val Grande, le associazioni ambientaliste (Legambiente e WWF) hanno espresso entusiasmo ed ampia disponibilità a fornire il necessario supporto tecnico logistico per la migliore riuscita della manifestazione. Opera: le domeniche di evasione dei detenuti calciatori
La Repubblica, 13 agosto 2004
Il calcio è evasione. L’ala scatta palla al piede. I rigori della legge e il calcio di rigore. La fuga dell’attaccante viene arrestata. Gol di rapina. Niente terzini, solo secondini. La squadra gioca senza libero. Quante gliene hanno dette, quanto ci hanno riso sul FreeOpera, la squadra di calcio dei detenuti nel carcere al confine sud di Milano, quando la scorsa estate si è iscritto al campionato di Terza categoria e ha sfidato squadre vere, seppur dilettantistiche. Eppure quel campionato l’ha finito seconda a un punto dalla prima e poi ha agguantato la promozione ai playoff. E ha già iniziato gli allenamenti per fare bene in Seconda categoria, dove debutterà il mese prossimo nel girone V. "Sia ben chiaro che se non ci promuovono anche quest’anno o sciolgo la squadra" proclama il direttore (della prigione) e presidente (della società calcistica), Alberto Fragomeni, con una frase che sembrerebbe una sparata alla Cellino o alla Zamparini e che invece un suo senso ce l’ha. "Il punto è che una squadra così ha bisogno di motivazioni continue. So benissimo che prima o poi finirà, è il suo destino. E finirà quando saranno finiti gli stimoli, e gli stimoli li può dare solo la vittoria. Quindi se l’anno prossimo non siamo in Prima categoria, sbaracco tutto". Una frase che fa un po’ tremare il suo allenatore, l’algerino Nourredine Zekhri: "Beh, vediamo. Di certo ci proveremo, ma prima ambientiamoci in Seconda. Anche l’anno scorso non è stato facile, all’inizio". Sembra quasi l’Inter. Il presidente che vuole vincere a tutti i costi e l’allenatore che fa esercizio di realismo. Una rosa di circa 40 elementi (su 1400 detenuti). E una percentuale di giocatori stranieri strabordante, quasi più che nell’Inter vera, 14 nazionalità diverse, soprattutto albanesi, algerini, marocchini, kosovari. "Ma tra le tante cose belle di questa squadra - dice Zekhri - è che non ci sono differenze di provenienza, quando si gioca si gioca punto e basta". D’altronde Zekhri ci è abituato, visto che allena pure il Brera Calcio, la squadra nata all’insegna della multietnicità il cui presidente Alessandro Aleotti ha avuto l’idea di creare il FreeOpera, trovando in Fragomeni la sponda ideale. Il cammino non è stato facile, soprattutto all’inizio, "anche perché i giocatori della rosa erano moltissimi, una quarantina, e prima di trovare una formazione base ci è voluto un po’" ammette l’allenatore. Quando ci è riuscito, però, i risultati sono stati impressionanti: il girone di ritorno è stato 13 vittorie e due pareggi. Probabile che un po’ abbia influito il fattore casa (casa circondariale?), che per il FreeOpera è stato particolarmente rilevante: "Abbiamo dovuto giocare sempre qui, nel nostro campo sterrato del Primo Padiglione, anche le partite che calendario alla mano sarebbero state in trasferta - spiega Fragomeni - e il motivo è chiaro. I nostri avversari hanno accettato per iscritto. Tutto bene, belle dichiarazioni di sport che affratella, ma quando hanno visto che perdevano sono iniziati i mugugni: giocare contro dei carcerati piace solo se si vince". Nella stagione che sta per iniziare non sarà più così: la deroga della Federcalcio vale solo per la Terza categoria. Quando giocherà fuori casa il FreeOpera dovrà uscire dal carcere anche se il viaggio più lungo sarà a Segrate, 17 chilometri di distanza. Ovviamente non saranno trasferte normali, per evitare ai giocatori la tentazione di imitare Fuga per la vittoria: ad accompagnarli ci saranno diverse guardie, e si cercherà di puntare su gente che ha la possibilità di godere dei permessi premio e delle altre agevolazioni della legge Gozzini. Il punto è che parecchi elementi sono in carcere per reati serissimi, tipo sequestro, furto, traffico di droga, e hanno pene che scadono tra anni - un giocatore resterà dentro fino al 2026 - e questo ha obbligato a rivoluzionare un po’ la rosa. Insomma, Fragomeni da buon presidente ha pensato anche al calciomercato: "Sono in arrivo cinque giocatori nuovi, tre dei quali da altre prigioni, Vigevano, Prato e Como. Più altri 2 o 3 che adesso sono ancora in ballottaggio. Ma non sa quante lettere di auto candidature ho ricevuto da ospiti della case circondariali di tutta Italia". Chissà però se e chi riuscirà a rimpiazzare Samir Zantar, talentuosissima mezzapunta trentenne, l’uomo chiave nel 4-2-3-1 di Zekhri dietro l’ariete Denaro, la cui scheda personale recita: fine pena 5 gennaio 2005. E se uscire da un carcere è dura, non è mica facile neppure entrarci, a meno di non commettere qualche altro reato: "Speriamo che quantomeno venga alle partite in trasferta, come extramurario". Ma Fragomeni ha un’altra speranza, che racconta ridacchiandoci sopra: "Chissà che con questa storia del calcioscommesse non mettano in carcere qualche difensore. Lì dietro siamo un po’ deboli, un bello stopperone ci servirebbe davvero come il pane". Il rischio è che le sbavature della retroguardia possano frenare la corsa libera - almeno metaforicamente - e bella del FreeOpera e quindi che il direttore sciolga davvero la squadra come minaccia. "Ma comunque andrà a finire, questa è stata un’esperienza fantastica, che ha rasserenato il clima dentro il carcere e ha migliorato tutti i ragazzi. Se in carcere si deve tendere alla rieducazione del detenuto come dice la Costituzione, direi che ci siamo: il calcio li ha fatti socializzare, gli ha insegnato a lottare per un obiettivo comune, li ha fatti sentire normali facendogli vedere gente che veniva dentro il carcere per giocare con loro, gli ha dato degli scopi per cui lottare che oltretutto sono stati premiati con la promozione". Una promozione che vale anche più di uno scudetto di quelli veri. La mediazione penale e la giustizia riparativa
La giustizia riparativa può essere definita come un modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere lariparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo. La sfida che la giustizia riparativa lancia, alle soglie del XXI secolo, è quella di cercare di superare la logica del castigo muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise. Il reato non dovrebbe più essere considerato soltanto un illecito commesso contro la società, o come un comportamento che incrina l’ordine costituito - e che richiede una pena da espiare -, bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, che può provocare alle vittime privazioni, sofferenze, dolore e persino la morte, e che richiede, da parte del reo, principalmente l’attivazione di forme di riparazione del danno provocato. In ambito internazionale sono state adottate la Raccomandazione (99)19 da parte del Consiglio d’Europa e i Principi Base sulla giustizia riparativa in ambito penale da parte delle Nazioni Unite (2002). Fra le disposizioni dell’ordinamento giuridico italiano che aprono alla prospettiva riparatoria nell’ambito dell’esecuzione penale degli adulti, particolare rilievo hanno l’art 47 co. 7 della legge 26 luglio 1975 n. 354 ‘Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà e l’art. 27 comma 1 del Dpr 30 giugno 2000 n. 230 "Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà". La Commissione di studio sulla "Mediazione penale e giustizia riparativa" istituita dal Capo Dipartimento con Decreto del 26 febbraio 2002, ha come obiettivo la definizione di linee guida che assicurino, nell’ambito dell’esecuzione penale di soggetti adulti, l’adozione di modelli uniformi di giustizia riparativa in linea con le Raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa. La Commissione ha condotto una prima analisi delle esperienze nell’ambito dell’affidamento in prova al servizio sociale per conoscere come e quanto i CSSA oggi programmano, se rispondono all’autorità giudiziaria e se impiegano principi di giustizia riparativa all’interno dell’esecuzione previsti dall’art. 47, comma 7 della legge 345/1975 e dall’art. 94 del Testo Unico, Dpr 309/90. Tale rilevazione è indispensabile per integrare l’elaborazione teorica sulla giustizia riparativa che la Commissione sta sviluppando in parallelo, secondo il seguente piano di studio e di ricerca propedeutico alla prospettazione di linee guida da diramare agli Uffici periferici ed alla definizione di un modello di ufficio di giustizia riparativa.
La riparazione, di Adolfo Ceretti e Claudia Mazzucato
Istituzioni, politiche penali e sofferenza Concetto di riparazione in psicoanalisi e diritto Giustizia riparativa: una prima ricognizione filosofica Mediazione: oltre il risarcimento del danno Riparazione e punizione Riparazione e riconciliazione. Illecito penale e riparazione: profili giuridici e politico-criminali Illecito penale, offesa, danno. Bene giuridico, offesa, danno. Riparazione e funzione della pena Riparazione vs. retribuzione? Coercizione del modello riparativo? Mediazione e riparazione Riparazione del danno o riparazione dell’ offesa? Riparazione e risarcimento del danno. Riparazione e restituzioni. Riparazione e pene "private". Riparazione e "pene-prestazione". Riparazione e "privatizzazione" del diritto penale ? Esperienze e modelli di riparazione La giustizia riparativa: definizione e orientamenti internazionali. Principi generali La giustizia riparativa: obiettivi (riconoscimento della vittima, riparazione dell’offesa nella sua dimensione globale, autoresponsabilizzazione del reo, coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione, rafforzamento degli standard morali collettivi, contenimento dell’allarme sociale) Giustizia riparativa: tecniche, strumenti e modalità operative Giustizia riparativa: una comparazione con Inghilterra e Galles Giustizia riparativa: una comparazione con gli Stati Uniti Giustizia riparativa: una comparazione con la Germania Giustizia riparativa: una comparazione con la Francia Modelli di giustizia riparativa nelle prigioni: l’ esempio del Belgio Riparazione e ordinamento vigente: "spazi" di giustizia riparativa nell’ordinamento italiano vigente la nozione di riparazione nel sistema penale vigente prospettive de iure condendo.
Composizione della Commissione
La Commissione, coordinata dalla dott.ssa Maria Pia Giuffrida, Dirigente Generale, è composta da consulenti esterni esperti nella materia e precisamente dal prof. Adolfo Ceretti, professore associato di criminologia presso l’Università Milano-Bicocca e coordinatore scientifico dell’Ufficio di mediazione del Comune di Milano; dalla prof.ssa Claudia Mazzucato, docente di diritto penale presso l’Università La Cattolica di Milano; dal dr. Maurizio Azzolini dell’Ufficio di mediazione del Comune di Milano; dalla dr.ssa Gilda Scardaccione, docente di Psicopatologia forense presso l’Università La Sapienza di Roma e dal dr. Giovanni Ghibaudi del Centro di mediazione del Comune di Torino e da personale dell’Amministrazione e precisamente dal Dr. Giovanni Mazzone, Direttore della CC di Modica, dalla Dott.ssa Rosaria Furlotti, Direttore del CSSA di Reggio Emilia; dalla Dott.ssa Angela Magnino, Direttore del CSSA di Torino; dalla Dott.ssa Chiara Ghetti, Direttore del CSSA di Venezia; dalla Dott.ssa Rosaria Cropano, ass. soc. coordinatore del CSSA di Roma e dalla Dott.ssa Filomena Terenzi, Direttore di serv. sociale. presso l’Ufficio rapporti con le Regioni, gli Enti Locali ed il Terzo Settore. Successivamente sono stati integrati nel predetto gruppo con ordine di servizio il dott. Zinna dirigente di servizio sociale presso l’Issp e il dottor Claudio Marchiandi direttore area educativa presso Direzione generale detenuti e trattamento. Ascoli: concerto per i detenuti della band "Che Gruppo!"
Corriere della Romagna, 13 agosto 2004
Proseguono le attività ricreative - formative per i detenuti comuni al supercarcere di Marino del Tronto. Martedì scorso, nella sala multimediale dell’istituto, si è tenuto un concerto della formazione musicale "Che Gruppo!". Il concerto è durato un paio d’ore, durante le quali la band ha suonato alcuni successi degli anni sessanta - ottanta tipo "Vorrei la pelle nera", "Bandiera gialla", "Il ragazzo della via Gluck", "Gianna", "Il Garibaldi innamorato". I reclusi, sotto gli occhi vigili del personale di sorveglianza, hanno apprezzato molto la manifestazione lasciandosi coinvolgere dai ritmi e ballando. Da rilevare che nella composizione di "Che Gruppo!", di origini bergamasche, sono presenti tre ragazzi disabili che suonano perfettamente le percussioni, insieme a tre fiati, quattro voci, una chitarra ed un basso. Mentre all’approssimarsi di ferragosto si fanno statistiche sul turismo, i gusti e le tendenze degli italiani in vacanza, anche il carcere mostra un volto più umano per i detenuti che hanno commesso piccoli reati o sono in attesa di giudizio, offrendo loro qualche scampolo di distrazione e divertimento; secondo lo spirito della carta costituzionale. Trento: tre anni di formazione lavoro per i detenuti
L’Adige, 13 agosto 2004
Sono stati 112 in tre anni i detenuti delle case circondariali di Trento e Rovereto che hanno frequentato i corsi di formazione professionale di Consolida. Questa opportunità di occupare attivamente il tempo in carcere intascando due euro all’ora, deriva dalla convenzione che Consolida nel 2000 ha stipulato con le due case circondariali presenti sul territorio provinciale, coinvolgendo le cooperative associate e professionisti esterni. I percorsi di formazione lavoro sono per operatori di cucina, di pulizia, dei beni culturali ed un corso di assemblaggio. I progetti sono tutti finanziati dal Fondo sociale europeo. L’obiettivo iniziale che il consorzio si era posto dando vita ad un "progetto carcere" era soprattutto quello di offrire ai detenuti strumenti che facilitassero l’ingresso nel mondo del lavoro una volta saldato il conto con la giustizia. Nel tempo è emerso però che non sempre per i detenuti il collocamento sul mercato del lavoro è possibile. Da questo punto di vista è necessario distinguere tra detenuti italiani e stranieri. I primi più difficilmente entrano in carcere e se lo sono è perché alle spalle hanno numerosi fallimenti e più che di un’occupazione hanno bisogno di sostegno nella rielaborazione della propria esistenza. Per i secondi, trattandosi nella maggior parte dei casi di clandestini, al termine della pena scatterà l’espulsione dall’Italia ed anche per loro non è quindi pensabile un inserimento lavorativo. I corsi sono comunque visti dai detenuti che li frequentano come un’opportunità per impiegare attivamente il tempo e per guadagnare i 2 euro all’ora che si percepiscono frequentando il 70% del corso. Catanzaro: liberi di fare arte, esperienza teatrale nel carcere
Il Quotidiano della Calabria, 13 agosto 2004
"Nu’ penseru pè l’estati", questo il titolo della commedia dialettale in due atti che i ragazzi detenuti all’interno dell’Istituto Sperimentale "Luigi Daga" di Laureana di Borrello metteranno in scena questo pomeriggio all’interno dell’istituto carcerario. Si tratta della prima esperienza teatrale realizzata all’interno del carcere grazie anche alla collaborazione di un gruppo di volontari. Da sempre la commedia ha messo in risalto argomenti attinenti la vita quotidiana. Esperienze che servono come precisi strumenti di percorsi riabilitativi e soprattutto di integrazione sociale. "La commedia "Nu’ penseru pè l’estati" il cui testo è stato adattato per i giovani detenuti vuole mettere tra gli obiettivi afferma la Direttrice dell’Istituto Sperimentale di Laureana, Marcello - i temi dell’affetto , della pace, della miseria, della solidarietà umana, del lavoro", ma soprattutto della famiglia come momento centrale della vita dell’uomo, soprattutto nelle realtà meridionali". Ivrea: il materiale per evadere lo portavano le guardie
La Stampa, 13 agosto 2004
Un’organizzazione in piena regola, tra detenuti e guardie carcerarie. L’ipotesi che emerge dall’inchiesta portata avanti dalla Procura eporediese è che all’interno del penitenziario della città fosse stata programmata un’evasione. Che l’indagine non fosse conclusa lo scorso giugno, con l’arresto di due guardie carcerarie e di Paola Bonis, l’insegnante ora ai domiciliari con l’accusa di corruzione, il Pm Lorenzo Fornace lo aveva fatto intendere: "Vedrete, ci saranno altre sorprese". E, puntualmente, sono arrivate. Indagati, per corruzione e spaccio di sostanze stupefacenti ci sono altre tre guardie carcerarie in servizio nella casa circondariale di Ivrea. I nuovi nomi inseriti nell’inchiesta sono quelli di Francesco Ventafrida e Pasquale Gallo, entrambi trentacinquenni, ed Emanuele Morelli, 29, tutti e tre in servizio nel penitenziario. Con loro, nel registro degli indagati, sono stati iscritti anche due detenuti, Salvatore Todaro, 31 anni, ed Ennio Bruno, 29. All’interno del carcere entrava di tutto: droga, cellulari, schede telefoniche, seghetti, lame, moschettoni, guanti da elettricisti. Facile, per chi lavorava all’interno della struttura, far entrare oggetti che al controllo del metal detector sarebbero stati sicuramente individuati. In cambio di questi favori le guardie avrebbero ottenuto denaro. Cifre tutto sommato modeste, ma sufficienti, secondo il pm, a dimostrare il reato di corruzione. E poi c’è l’ipotesi più inquietante: che questo materiale servisse per un’evasione. L’indagine era cominciata alla fine dello scorso anno. I sospetti erano ricaduti su due guardie carcerarie, Francesco Guglielmino, 32 anni, e Natale Scandamarro, 31. Su di loro si era concentrata l’attenzione dei colleghi, quelli che lavoravano fianco a fianco con loro nel penitenziario eporediese e quelli di Torino. Un’indagine complessa, ricostruita dopo decine e decine di intercettazioni ambientali e telefoniche. Nella rete, oltre agli agenti, era finita anche Paola Bonis, l’insegnante che aveva accesso al penitenziario perché da due anni dava lezioni ai detenuti chiusi nel "braccio" dei collaboratori di giustizia. Qui la donna aveva conosciuto Giovanni Blandini, 35 anni, 17 da scontare per rapine in tutta Italia. Tra i due era nata una forte amicizia e forse, per lei, una sorta di infatuazione. Così intensa da convincerla ad introdurre in carcere e consegnare al suo amico detenuto ogni genere di utensile: moschettoni, lime, seghetti, filo da pesca, piombini, nascosti all’interno della sua valigetta, tra i libri di matematica, tecnica ed informatica. A cosa servisse tutto questo materiale (consegnato a Blandini in cambio di poche centinaia di euro) saranno i magistrati a doverlo chiarire. Lei, interrogata dal Pm pochi giorni dopo l’arresto, si era difesa: "Sì, gli portavo il materiale, pensavo servisse per un galeone che Giovanni stava costruendo". Blandini il veliero lo stava realizzando davvero: voleva chiamarlo "Galera", poi aveva deciso di cambiargli nome: "Lo chiamerò Freedom - scrisse il detenuto sul sito Internet del carcere -, me lo aveva suggerito Paola ed è a lei che voglio dedicare la mia opera". Quando l’attenzione degli investigatori si era spostata su di lui, però, non aveva avuto esitazioni a rinnegare quell’amicizia così intensa. Tanto da accusare la donna d’essere al corrente del piano di evasione. Fornace, nel frattempo, ha chiesto al gip una proroga di sei mesi delle indagini per concludere un’inchiesta complessa e delicata. Ci sono da verificare le posizioni delle guardie carcerarie finite in manette e di quelle ora indagate. Sarà necessario capire, poi, quali fossero i reali rapporti con i detenuti e fino a che punto l’organizzazione messa in piedi potesse garantire il piano di fuga. Immigrazione: Pisanu fa accordi. A Malta il super carcere?
Il Manifesto, 13 agosto 2004
Poker d’assi del governo italiano sul fronte dell’immigrazione. Il ministro dell’interno Giuseppe Pisanu ieri ha raggiunto un accordo con il suo omologo tedesco sull’idea di aprire "sportelli" per gestire le domande di asilo e l’immigrazione regolare furoi dai confini europei. Il prefetto Alessandro Pansa, direttore centrale dell’immigrazione per il Viminale, ha raggiunto un accordo con il presidente libico Gheddafi per il controllo dei flussi migratori: pattuglie miste italo - libiche pattuglieranno le frontiere del paese arabo, l’Italia pagherà gli aerei per rimpatriare i migranti irregolari "beccati" in Libia. L’Onu si dichiara contraria alla gestione delle domande d’asilo in nord Africa, fuori dai confini europei. Ma il ministro dell’interno italiano ha già pronta la carta di riserva, qualche mese fa ha proposto al suo omologo maltese di aprire un grande centro di raccolta per immigrati irregolari transitati per gli stati dell’Unione sull’isola. Il super-carcere potrebbe servire anche per smistare le domande di asilo.Intanto il presidente uscente della Commissione europea Romano Prodi ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il Colonnello Gheddafi, per esprimere la sua personale soddisfazione per l’impegno tripolino contro l’immigrazione illegale.
"Li fermeremo in Libia"
È sul fronte libico, e grazie al patto d’acciaio con Gheddafi, che l’Italia vuol combattere la sua guerra contro l’immigrazione. L’accordo raggiunto ieri a Tripoli dal prefetto Alessandro Pansa, direttore centrale dell’immigrazione del Viminale, inviato dal ministro Pisanu dopo giorni di discrete trattative diplomatiche, prevede il pattugliamento delle frontiere libiche da parte di unità navali, aeree e terrestri italo-libiche, per contrastare le partenze dei clandestini nordafricani diretti in Europa. Il pattugliamento a doppia firma (cui seguirà l’attuazione - promette il prefetto - di "un programma di addestramento delle forze di polizia libiche") è il punto centrale dell’accordo. Non l’unico. L’Italia parteciperà infatti direttamente al rimpatrio degli immigrati che arrivano in Libia soprattutto da Egitto, Pakistan, Ghana e Nigeria. L’Italia, in realtà, già si occupa in prima persona dell’incombenza e ha gestito il rimpatrio di 2.500 clandestini. L’accordo raggiunto ieri prevede tuttavia un potenziamento della presenza italiana, nonché non meglio precisate "iniziative di supporto alle attività libiche contro le organizzazioni criminali" che gestiscono il traffico dei clandestini. Tanto per cambiare l’accordo pare insufficiente al bellicoso Calderoli, che ci tiene a sentir fischiare le pallottole: "L’unica soluzione è la chiusura delle porte, che si può realizzare solo attraverso il cambiamento delle regole d’ingaggio. Intanto però diamo quattro motovedette veloci e armate ai guardiacoste libici. Con poca spesa si otterrà una gran resa". "Calderoli continua a sfidare la Costituzione e il buon senso. Nemmeno Bossi aveva osato tanto", è il commento del deputato verde Paolo Cento. Deliri leghisti a parte, l’accordo con la Libia arriva - e probabilmente non a caso - poche ore dopo la telefonata notturna tra il presidente della commissioine europea Prodi, pressato dal governo italiano perché si assuma parte della gestione diretta del problema, e il colonnello Gheddafi. Il dittatore libico ha confermato la decisione di aprire un "corridoio umanitario" dal Ciad attraverso il suo paese per i profughi del Darfur. Prodi ha debitamente apprezzato il gesto, così come la risoluzione positiva del "caso La Belle", con il risarcimento libico per i familiari delle vittime dell’attentato dell’86 a Berlino, che costò la vita a oltre 160 persone. Sono tutti passi e gesti propedeutici alla ricostituzione di un rapporto tra l’Europa e la Libia reso oggi utile per l’Europa (e per l’Italia in particolare) dalla necessità di poter contare sullo spalleggiamento di Gheddafi per contrastare le ondate di immigrati. E Prodi si sforza di fare la sua parte anche per rispondere nei fatti alle critiche durissime che piovono sulla commissione da parte del governo italiano. Ultimo, ma solo in ordine di tempo, il ministro Frattini che ieri ha ripetuto il suo auspicio di una "cambio di rotta da parte dell’Europa" grazie all’arrivo provvidenziale di Rocco Buttiglione. Questo il senso più profondo dell’"approccio internazionale necessario a contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina" sul quale il presidente della Commissione europea Romano Prodi e il colonnello Gheddafi hanno deciso di stringersi la mano. Qualcosa di più - insomma - del "semplice" corridoio umanitario promesso da Gheddafi e salutato da Prodi come segno di un rinnovato impegno tripolino contro la lotta all’immigrazione e alla tratta dei clandestini. "Nella politica sull’immigrazione - è il commento di Livia Turco, responsabile Welfare per i Ds - l’Italia è in balia delle improvvisazioni quotidiane del governo". Di fronte alla cui bancarotta - incalza Turco - "l’opposizione si assumerà la responsabilità di indicare un indirizzo di politica immigratoria. Intanto convocando un dibattito in Parlamento, per costringere il governo a venire allo scoperto." Mentre il ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri definisce come unica proposta saggia in materia di immigrazione quella avanzata dal suo compagno di partito La Russa: "Istituire il reato penale di ingresso clandestino".
Asse Roma - Berlino sui Cpt
Beppe Pisanu e Otto Schily trovano l’accordo: "Sì agli sportelli in nord Africa per gestire le richieste d’asilo e l’immigrazione regolare". I due ministri proporranno il progetto a Francia, Inghilterra e Spagna in ottobre. Contraria l’Onu. L’ultima spiaggia potrebbe essere l’isola di Malta Un "lungo e cordiale" incontro ha suggellato ieri l’intesa Italia - Germania sulla costruzione di centri per immigrati irregolari al di fuori dei confini dell’Unione europea, in nord Africa. Cornice (stonata) del colloquio tra il ministro dell’interno italiano Giuseppe Pisanu e il suo omologo tedesco Otto Schily, il sessantesimo anniversario della strage di Sant’Anna di Stazzema. Pisanu ha legato la presenza del rappresentante del governo tedesco alla commemorazione della strage nazista all’attuale impegno europeo contro l’immigrazione clandestina: "Un gesto importante - ha sottolineato il ministro - anche per la Costituzione europea che è una realtà giuridica ma va calata nella vita quotidiana delle persone attraverso fatti concreti". Uno dei quali sarebbe la lotta all’immigrazione irregolare: "Noi, tedeschi e italiani - ha detto ancora Pisanu - lo stiamo facendo anche di fronte a problemi complessi come l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani, problemi che chiamano in causa la stessa coscienza civile europea reclamando soluzioni responsabili fondate sulla dignità della persona". E proprio il "rispetto della dignità umana" sarebbe la giustificazione al programma sponsorizzato dai due governi di opposto schieramento in seno all’Unione, e cioè l’apertura di centri di detenzione (pudicamente ribattezzati "sportelli") nei paesi di transito dei migranti irregolari verso i confini europei. Ovvero Marocco, Tunisia, e - appena cadrà definitivamente l’embargo europeo - la Libia. Magari anche l’Algeria, visto che ieri la polizia algerina ha lanciato un appello alla comunità internazionale per fermare l’immigrazione illegale, dietro cui sostengono, si potrebbero nascondere fiancheggiatori di Al Qaeda e trafficanti di droga. Schily e ha spiegato che gli sportelli servirebbero per "gestire le domande di asilo e forse anche per l’immigrazione". Segno che il ministro Pisanu lo ha convinto dell’opportunità di prendere il problema di petto: non occuparsi cioè, soltanto, dei richiedenti asilo, ma anche dei migranti in generale. Soddisfatto il commento di Pisanu: "È stato riconosciuto che i problemi legati all’immigrazione investono l’intera Europa anche se giuridicamente la competenza di regolare la materia è nazionale". Pisanu ha spiegato che l’idea degli sportelli è una misura "che affronta il problema nell’immediato", ma che occorrerà "affrontare misure di medio e lungo termine per risolvere alla radice o mettere sotto controllo i flussi migratori per favorire quelli regolari". Di tutto ciò si parlerà in modo più approfondito a metà ottobre a Firenze, quando si incontreranno i cinque ministri dell’interno dei maggiori paesi europei. Al ministro Otto Schily, voce di sinistra nel contesto di ieri, è toccato rispondere ai dubbi sull’opportunità di aprire centri nei paesi del Maghreb: "Perché un centro di raccolta è inumano? È forse più umano farli morire in mare?". Una risposta facile facile, ma l’asse italo-tedesco incontrerà qualche ostacolo. L’Alto commissariato per l’Onu in Italia ieri ha fatto sentire la sua voce: "gestire le domande fuori dall’Ue non né adeguato, significherebbe spostare il problema altrove", ha detto ieri la portavoce Laura Boldrini, spiegando che sarebbe più adatto "creare centri all’interno dell’Ue, con team misti e specializzati poter gestire le domande". A onor del vero, il ministro Pisanu ha lavorato anche su questo piano. Come sempre, aggiungendo alla questione richiedenti asilo anche quella della migrazione irregolare in generale. Alla fine del 2003, sotto la presidenza italiana dell’Unione Europea, Pisanu si recò a Malta per proporre la costruzione di un megacentro sull’isola finanziato dall’Unione europea. Come spiegò al suo omologo Tonio Borg, l’isola sarebbe diventata un punto prezioso per l’Unione perché da qui sarebbero state gestite le operazioni di rimpatrio. E magari anche la selezione dei richiedenti asilo. Dietro lauto compenso, s’intende. L’altro centro di raccolta doveva essere Cipro, ma dopo il forfait dato all’Unione i colloqui si sono arrestati. "Per ora il governo maltese ha risposto picche - spiega il parlamentare del partito laburista maltese Joseph Abela - perché la situazione nella nostra isola è esplosiva. Ma non si sa mai, tutto dipende dagli incentivi economici che l’Unione metterà in campo, di cui Malta ha urgente bisogno". Proprio ieri il premier maltese ha convocato un vertice d’urgenza, dopo due salvataggi notturni al largo delle coste. Attualmente nei due centri dell’isola sono detenute 400 persone. Il colloquio ha portato alla decisione di istituire un’unità di crisi per fronteggiare l’emergenza clandestini, di convocare con urgenza l’ambasciatore libico a Malta e di costruire nuovi centri di accoglienza. Quelli utilizzati ora sono stati duramente criticati nei mesi scorsi dal Consiglio d’Europa.
Qualche domanda, ministro, di K. Salinari (Presidente Terre des Hommes int.)
Dopo le puntuali dichiarazioni del ministro Buttiglione sulle motivazioni che giustificherebbero l’apertura, in alcuni paesi nordafricani, di centri di raccolta per aspiranti immigrati, corre l’obbligo di chiedere alcuni chiarimenti. In primo luogo, quando il ministro parla dei "motivi umanitari" che giustificherebbero la scelta, ci piacerebbe sapere a quale concezione dell’umanitario ci si riferisce, a quella che rientra nei termini della missione per i carabinieri di Nassiriya, o a quella che imporrebbe ai paesi ricchi, Italia inclusa, di onorare gli impegni in favore dei paesi poveri, che guarda caso sono sempre i paesi di provenienza dei cosiddetti clandestini, ed oggi totalmente derubricati proprio dal governo del quale Buttiglione è cristianissimo esponente? Si parla poi di contenimento della tratta di esseri umani, ed anche qui ci piacerebbe sapere se il ministro è a conoscenza che nel nostro paese vige una legge contro i trafficanti di esseri umani che non ha mai attivato il fondo antitratta, e cioè le misure di sostegno alle vittime e non solo la parte repressiva. Anche questo, che si potrebbe fare subito, dovrebbe rientrare all’interno di una logica di contrasto alla tratta, o siamo al classico due pesi e due misure? Il secondo blocco di motivazioni è ancora più ambiguo, data l’apparente nettezza, e cioè che in loco gli aspiranti immigrati riceverebbero le informazioni corrette sulle modalità di immigrazione. Viene da chiedersi da chi dovrebbero riceverle e soprattutto come. Se pensiamo alle modalità che questi paesi hanno di gestire il capitolo diritti umani, e tutto ciò che vi si collega, inclusa una società civile spesso repressa proprio in queste sue manifestazioni di partecipazione democratica, possiamo ben immaginare la qualità informativa di cui si parla in concreto, ed i relativi risultati in termini di controllo poliziesco sulle identità. Terza e lucida motivazione, sintetizzata dal leghista ministro Calderoli con un "meglio fare il lavoro sporco lì che da noi". E questo sembra effettivamente il vero nocciolo della proposta: risolvere il problema lontano da occhi indiscreti, dai giornali, dall’opinione pubblica democratica, da quei rompiballe di ong, disobbedienti, movimento e quant’altro, il tutto ovviamente sotto l’egida dell’Onu, tanto per pitturare di azzurro un proposta irricevibile. Infatti, che valenza potrebbero oggi avere le Nazioni unite, totalmente prigioniere del gioco tra nazioni forti e prive di qualunque autonomia decisionale? Ma più ancora va denunciato il tentativo di spostare l’attenzione. Diciamolo chiaramente, se un dibattito esiste per quanto concerne l’immigrazione, con tutti i suoi problemi e contraddizioni, ciò accade perché il problema lo abbiamo in casa e perché esiste chi ostinatamente lo solleva collegandolo a temi più complessivi, quali quelli del rispetto dei diritti fondamentali, della flessibilità lavorativa, di cosa significa oggi cittadinanza, di un mondo che tratta gli esseri umani come merce. Se l’obiettivo è quello di mettere la spazzatura sotto il tappeto, noi non ci stiamo: bisogna far sparire il tappeto. Bologna: mancano strutture per prima accoglienza stranieri
Redattore Sociale, 13 agosto 2004
"Di strutture adeguate per una prima accoglienza, Bologna non ne ha". Non ha perso tempo Adriana Scaramuzzino, giudice tutelare presso il Tribunale cittadino. A un mese esatto dalla sua "investitura" – dal 13 luglio è vicesindaco di Bologna, con delega alle Politiche Sociali – stamani ha fatto il punto sul fronte "accoglienza" degli immigrati, che aumentano sempre più, in città e in provincia. Tutto ciò a partire da una situazione tanto nota quanto precaria, che negli ultimi tempi ha esasperato chi vive nei paraggi: il Ferrhotel di via Casarini 23, che ospita ormai da due anni alcune centinaia di cittadini di nazionalità rumena. Per affrontare quella che è "un’eredità piuttosto pesante" – lo stabile è fatiscente, non c’è l’allacciamento al gas – , il Comune di Bologna s’è messo in moto, coinvolgendo i propri funzionari, la Questura e chi si occupa a titolo completamente gratuito degli abitanti di via Casarini. Primo passo, un censimento, una verifica, da cui è emerso che nello stabile "c’era, sì, un gran numero di irregolari, che avrebbero però recepito il messaggio di ‘allerta’ lanciato; ora pare se ne stiano andando. Ma ci sono anche – prosegue il vicesindaco – diversi nuclei familiari, che devono trovare accoglienza. Sette bimbi sono al di sotto dei dieci mesi: nati lì, quindi. Quattro rientrano nella fascia 1-4 anni; complessivamente, in via Casarini vivono 76 tra bimbi e adolescenti. Pensare che il Comune non debba intervenire sarebbe una politica molto miope". Secondo passo, "più complesso: il reperimento di strutture per l’accoglienza. Ciò ci vede in difficoltà, ma stiamo tentando il tutto per tutto. Va detto che ogni struttura lasciata deperire nel corso del tempo è difficile da recuperare". E dunque, "ecco l’amara constatazione che mi tocca fare, dopo un mese di lavoro, di visite a vari stabili: Bologna non ha strutture adeguate per una prima accoglienza". Parliamo di una città dove, al 30 giugno 2004, gli stranieri presenti – esclusi coloro che non hanno il permesso di soggiorno – erano circa 25.000: un cittadino su quindici. "Credevo fossero possibili soluzioni più veloci, invece ci sono parecchi errori a cui rimediare. Eludere il problema dell’accoglienza – ha ribadito Adriana Scaramuzzino – non solo non è possibile, ma vorrebbe dire consegnare queste persone all’illegalità, a partire dal lavoro nero. E la maggior parte di loro viene qui per lavorare". Il fenomeno non riguarda solo Bologna, ma tutta la provincia, motivo per cui "dell’accoglienza non si può fare carico solo un Comune, ma tutti". Tornando a via Casarini, l’ipotesi di ristrutturazione al momento è "congelata": la proposta di investire, per i primi interventi (i più urgenti) 50mila euro, sarebbe stata possibile se Trenitalia, proprietaria dello stabile, avesse concesso un comodato al Comune di almeno due anni, ma non è andata così. Dunque? "Stiamo cercando altre strutture, di proprietà del Comune. L’idea sarebbe di smistare i vari nuclei, ma loro vogliono rimanere uniti". I tempi? "Speriamo siano brevi: vogliamo che queste persone passino l’inverno in un posto con riscaldamento e acqua calda". Cisl pubblica la "Breve guida per le donne immigrate in Italia"
Redattore Sociale, 13 agosto 2004
Aiutare le donne immigrate a conoscere i propri diritti: questo lo scopo della "breve guida per le donne immigrate in Italia", recentemente pubblicata dalla Cisl. 20 pagine e 17 capitoli, scritti con un linguaggio semplice e familiare, per illustrare quali tutele spettino alle donne straniere nel nostro paese, soprattutto in materia di salute, lavoro, famiglia e maternità. A quest’ultimo tema, è dedicato il primo capitolo del volumetto, che spiega il trattamento previsto per le donne in maternità, nelle diverse situazioni lavorative possibili (lavoro dipendente regolare, lavoro domestico, disoccupazione): "La tutela della maternità è regolata dalla legge – si legge - ma anche dai contratti nazionali di lavoro. Perciò molti dei tuoi diritti dipendono anche dal tipo di lavoro che svolgi". Anche in caso di disoccupazione o di "presenza irregolare", la donna ha diritto ad essere tutelata, durante e dopo la gravidanza. Il secondo capitolo della guida è dedicato al ricongiungimento familiare: sono qui descritte le modalità burocratiche e le condizioni necessarie per esercitare questo diritto, previsto dalla legge sull’immigrazione. Il terzo capitolo, dedicato ai minori, illustra le tutele che spettano ai minorenni stranieri presenti, regolarmente o irregolarmente, nel nostro paese: questi hanno il diritto di rimanere in Italia, fino al compimento della maggiore età, ricevendo un permesso di soggiorno per motivi familiari, minore età, affidamento, protezione sociale, integrazione, richiesta di asilo o asilo. Il quarto capitolo riguarda l’assistenza sanitaria e fornisce tutte le indicazioni necessarie per accedere al Servizio Sanitario Nazionale e alle cure di cui una donna e i suoi familiari possano aver bisogno. Il capitolo successivo è dedicato al tema della protezione sociale: "La donna straniera che intende sottrarsi alle condizioni di violenza grave e di sfruttamento sessuale nelle quali è costretta a vivere, può usufruire di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale e partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale", spiega a tal proposito la guida. Gli ultimi capitoli sono dedicati a questioni che non riguardano in modo particolare le donne, ma che interessano ogni immigrato presente nel nostro paese: permesso e carta di soggiorno, lavoro, previdenza sociale, studio e cittadinanza italiana. Rispetto a ciascuno di questi punti, la guida illustra quanto previsto dalla normativa nazionale in materia di immigrazione. La guida si chiude con un capitolo dedicato alle "nuove cittadine comunitarie", indicando le modalità di accesso al nostro paese per le donne provenienti dai dieci "nuovi" paesi europei, sia che si tratti di lavoratrici autonome, sia che si tratti di lavoratrici subordinate: nel primo caso, "usufruisci della libera circolazione nei paesi dell’Unione Europea"; nel secondo caso, "hai diritto alla libera circolazione ai fini dell’accesso al mercato del lavoro come previsto per cittadini comunitari se: sei occupata legalmente in Italia al 1° maggio 2004 e ammessa al mercato del lavoro per un periodo ininterrotto pari o superiore a 12 mesi; oppure, se hai svolto attività lavorativa in Italia dopo il 1° maggio 2004 per un periodo ininterrotto pari o superiore a 12 mesi". Qualora la donna abbia lavorato regolarmente in Italia per almeno 12 mesi consecutivi (alla data del 1 maggio 2004), lo stesso diritto di libera circolazione si estende al coniuge e ai figli minori di 21 anni o a carico.
|