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"Caso Cogne, la galera e i poveracci", articolo di Adriano Sofri
Panorama, 12 agosto 2004
Chi s’indigna per la mamma rimasta in libertà sbaglia. Non è contro il carcere rinviato che dovrebbe protestare, ma contro quello che si chiude ineluttabile sopra miriadi di disgraziati. Non direi una parola sulle responsabilità per la tragedia di Cogne. Non giudicare è un precetto fondamentale, ed è anche un privilegio del quale non farei a meno. Non invidio chi, per professione o per vocazione, giudica. Quella tragedia è stata giudicata, in prima istanza, e la signora Annamaria Franzoni è stata condannata. Mi importa la decisione della procura competente di non dare esecuzione alla condanna, in attesa dei gradi ulteriori. Mi importa e, dico subito, mi fa piacere, qualunque sia la motivazione reale della decisione. La motivazione dichiarata è nota: prima della sentenza definitiva, non esiste pericolo di fuga, né di inquinamento delle prove, e la signora Franzoni non è socialmente pericolosa. Il codice consente queste valutazioni, benché siano raramente seguite. Può darsi che sulla procura abbia avuto parte il desiderio di smentire il sospetto, quando non l’accusa esplicita, di un partito preso nei confronti dell’imputata, o anche di rinviare un provvedimento impopolare, di fronte a una madre di bambini piccoli. Si è visto bensì che la decisione ha sollevato anche le reazioni opposte, di persone indignate che la condannata non sia subito finita in galera: indignazione forse sincera in qualche caso, ma più probabilmente suscitata da quel piacere intimo che si prova alla disgrazia e alla galera altrui. I magistrati che hanno deciso di non dare per ora esecuzione alla condanna hanno dovuto, immagino, affrontare l’unico rovello capace di far tremare le vene, cioè la domanda se una condannata per l’uccisione furiosa del suo bambino non potesse ripetere quella furia. Devono essersi detti di no, con convinzione, perché da una persona, e quel che più conta da una madre, dichiarata pienamente capace di intendere e di volere, non ci si può aspettare un delitto così folle. C’è qui una contraddizione insolubile di questo come di altri tragici eventi delittuosi: perché perizie e pronunciamenti psichiatrici vengono a dire a posteriori se siano folli o normali atti che, per definizione, eccedono ogni possibile normalità. Se cedere al furore fino a straziare e uccidere la propria creatura non basta a definire la follia, vuol dire che una strana inversione fra la cosa e il suo nome ha vinto sulle nostre intelligenze. Per una coincidenza, a pochi giorni dalla sentenza di Aosta è venuto – un trafiletto appena su qualche quotidiano – il provvedimento del tribunale di sorveglianza di Milano che ha messo in libertà vigilata, dalla clinica in cui era curata dopo essere stata assolta per totale vizio di mente, la giovane madre che aveva, ricordate?, chiuso la sua bambina di otto mesi nella lavatrice, e uccisa. Decisione anche qui "sconcertante", che è l’aggettivo al quale riparano la viltà e la paura, ma piuttosto penosamente ovvia: perché il gesto di una madre che butta coi panni sporchi la sua creatura nella centrifuga di cucina non ha bisogno d’essere certificato pazzesco da periti. Se non fosse pazzia quella, che cosa potrebbe più esserlo? Per quanto abbia frugato nei giornali, non ho trovato cenno del vero problema posto dalla sentenza di Aosta, per il caso che venisse confermata nei gradi successivi, anche attenuata nella durata della pena. Il vero problema è che, dilazionata per qualche tempo – qualche anno, magari, fra appello e Cassazione e chissà quali imprevisti – la galera per la signora Franzoni diventerebbe ineluttabile. Così questa vicenda, d’eccezione per il dolore che ha evocato e per la risonanza spettacolosa e impudica, solleva una questione notissima agli esperti e ignoratissima, fino alla rimozione, da tutti gli altri, cioè la questione della pena. La giustizia ha perfino dimenticato, per distrazione e per abitudine, di distinguere fra la condanna e la pena, e fra la pena e la galera. La giustizia ha scelto, non so più da quando, di chiamarsi "penale", testimoniando così, a chi volesse ancora interrogarsi, di mirare soprattutto alla pena: e le nostre culture non hanno saputo liberarsi dall’identificazione fra pena e reclusione dei corpi. Ecco che un evento tragico come quello di Cogne mostra, quasi senza volere, la pigra assurdità di questa cultura. Perché se la signora Franzoni fosse innocente – mai bisogna escluderne la possibilità, e non certo per effetto di una sentenza giudiziaria – la sola idea di incarcerarla suona atroce e raccapricciante. Se fosse colpevole – piuttosto, se fosse l’autrice dell’uccisione del suo piccolo – la galera, per lunga e dura che fosse, non potrebbe rivaleggiare neanche da lontano con la pena che lei e i suoi provano e scontano dentro di sé, dal momento stesso di quella sventura. E allora, perché la si chiuderebbe in una galera? C’è qualcuno che pensa che la sua galera serva a far da deterrente all’emulazione del suo delitto? C’è una paura del carcere che valga a trattenere una madre dalla furia omicida rivolta contro la propria creatura? Ho sentito qualche commento amaro alla galera scampata – provvisoriamente – della signora Franzoni, paragonata alla galera che ingoia senza scampo miriadi di poveri disgraziati da quattro soldi. Lo capisco, ma è un equivoco, uno sbaglio. Non contro la galera rinviata di una persona di cui si è tanto parlato bisogna indignarsi e protestare, ma contro la galera che si chiude ineluttabile sopra le miriadi di disgraziati. L’altro giorno un servizio di Marco Imarisio sul Corriere si concludeva con l’opinione di un magistrato del ministero di Giustizia, incaricato dei problemi penitenziari: "In Italia la funzione penale viene esercitata a tappeto. E i benefici di legge non funzionano per i poveracci, le nostre carceri sono piene di gente povera, che sconta reati banali". Lo dice lui. Io non ho più neanche voglia di dirlo. Roma: ventenne suicida in carcere, è il quarto in tre mesi
L’Unità, 12 agosto 2004
Un altro suicidio in carcere, questa volta a Regina Coeli. Un giovane di vent’anni si è tolto la vita sabato mattina, inalando il gas della bombola con cui cucinava nella sua cella. Al ragazzo erano stati revocati gli arresti domiciliari alla fine di maggio. Il ritorno in carcere sembra dunque essere la causa dell’ennesima tragedia avvenuta dietro le sbarre di una Casa circondariale. Il dolore degli altri detenuti e degli agenti della Polizia penitenziaria si è subito trasformato in un messaggio di forte solidarietà alla famiglia del giovane. Si tratta del quarto suicidio nelle celle degli istituti di pena romani negli ultimi due mesi. Sempre con una bombola a gas il 24 giugno si era tolto la vita un uomo di 40 anni, mentre si trovava nell’infermeria del Nuovo complesso di Rebibbia, chiudendosi poi la testa con una busta di plastica. Sempre a Rebibbia a metà maggio, a distanza di pochi giorni, due detenuti si erano uccisi impiccandosi con il lenzuolo ridotto a brandelli alle sbarre delle celle. Il primo, 41 anni, era stato dichiarato per ben due volte incapace di intendere e di volere dal Tribunale di Roma, che ne aveva consigliato il trasferimento all’ospedale psichiatrico giudiziario. Il secondo era un ragazzo di vent’anni che credeva di aver finito la sua detenzione. All’origine del suo gesto lo sconforto nell’avere appreso che invece lo aspettava un altro anno dietro le sbarre. La notizia è stata data dal parlamentare dei Verdi Paolo Cento che proprio ieri, in qualità di vice presidente della Commissione Giustizia della Camera, era in visita alla struttura carceraria di Roma. "La situazione delle carceri in Italia è insostenibile - ha commentato Cento - stanno scoppiando e il ritardo con cui il problema si sta affrontando aggrava la situazione ogni giorno di più". Il caso del giovane di ieri mette in luce anche un ulteriore problema, spesso sottovalutato. "Il ragazzo probabilmente era tossicodipendente - spiega Cento - e i servizi sanitari stanno scontando ritardi burocratici nel passaggio delle deleghe alle Regioni e alle Ausl". Firenze: a Sollicciano si vive in condizioni disumane
Il Tirreno, 12 agosto 2004
Nel pomeriggio di ieri una delegazione guidata dall’on. Giovanni Russo Spena ha effettuato una visita alla Casa Circondariale di Sollicciano. Quello che segue è un succinto resoconto della situazione. "Ci sentiamo in dovere di lanciare un accorato grido di allarme per la grave situazione in cui versa la Casa Circondariale di Sollicciano. Il sovraffollamento ha superato da tempo i limiti di guardia (1080 detenuti rispetto al tetto limite previsto in 460). La situazione nel reparto maschile è drammatica. Tutte le celle sono occupate da quattro persone. In uno spazio angusto di 10 metri quadri, con tre letti fissi e uno smontato alla mattina per consentire una sia pur minima agibilità, i detenuti vi sono costretti a vivere 20 ore al giorno. Per il quarto sfortunato - a cui viene ripiegato il letto - significa passare giornate intere senza potersi distendere o seduto su un sedia. La struttura del 1981 evidenzia tutti i segni dell’usura e del deterioramento. Con una giornata di sole come quella di ieri le celle sono un ribollire di caldo e di odori: c’è da immaginarsi che l’arrivo dell’estate accentuerà ancora di più l’invivibilità della struttura. La mancanza di lavoro è ormai cronica e i pur lodevoli progetti presenti (il laboratorio di riparazione delle biciclette, il corso di agricoltura biologica) occupano solo poche decine di persone. Il poco lavoro che rimane e che investe solo 1/8 della popolazione carceraria, riguarda mansioni interne di funzionamento della struttura (mensa, biblioteca etc.). Le estreme condizioni di vita quotidiana sono spesso motivo di conflitto tra detenuti, specialmente ,ma non solo, di etnia diversa (il 60% dei detenuti sono stranieri in particolare albanesi e magrebini) Anche il settore femminile denota i segni del sovraffollamento. La struttura dell’asilo nido è di buona fattura anche se attenua solo in parte la drammaticità di bambini (in questo caso quattro) di fatto costretti ad una vita di reclusione con le loro madri. Ci sono state date assicurazioni che nei prossimi giorni sarà aperta l’area verde per il femminile. Segnali negativi invece riguardano l’area verde e l’utilizzo del campo sportivo da parte del settore maschile. La recente evasione di cinque detenuti albanesi ha comportato un restringimento delle normali attività della Casa Circondariale. Al sovraffollamento della popolazione detenuta corrisponde la drammatica carenza di personale quantificato in 200 unità in meno rispetto al necessario. La particolare struttura circolare del carcere non facilita le operazioni di controllo delle celle, richiedendo per il controllo a vista più persone per braccio. La recente evasione ha moltiplicato i turni di sentinella, caricando gli oneri di lavoro sul personale. La situazione anche sotto questo profilo ha raggiunto un limite critico. La politica dei tagli attuata dal Ministro della Giustizia Castelli ha conseguenze concrete sui servizi erogati alla popolazione detenuta. Stupisce che il Ministro, in una recente risposta ad una interrogazione parlamentare, abbia negato l’esistenza di un problema di sovraffollamento a Sollicciano e le sue gravi conseguenze sulla vita sia dei lavoratori che dei detenuti. Tale insensibilità non può durare a lungo, pena l’esplosione di una situazione umana e ambientale che ha superato da tempo i limiti di stress e di sopportabilità e che preclude nei fatti l’attuazione del dettato costituzionale del carattere riabilitativo della pena detentiva. La costruzione del "Giardino degli Incontri", un vecchio progetto degli anni ‘80 dell’architetto Giovanni Michelucci, procede a rilento (era annunciata la conclusione dell’opera per il dicembre 2003). La delegazione ha incontrato anche il comitato dei detenuti di Sollicciano in un breve ma intenso confronto sulle condizioni di vita nel carcere fiorentino. Ravvisiamo infine la necessità di un maggiore coinvolgimento degli enti locali Regione, Provincia e Comune, in progetti tesi a migliorare le condizioni di vita della popolazione detenuta specialmente per quello che riguarda il lavoro. Vanno potenziate le strutture e il personale a disposizione del Garante dei diritti del detenuto figura di recente costituzione. Non possiamo che lamentare il fatto che ancora - nonostante una convenzione sottoscritta - non sia stato ripristinato un servizio Ataf (soppresso da anni) che consenta l’arrivo alla struttura dei lavoratori e dei familiari dei detenuti. La delegazione è impegnata a portare ai vari livelli, locale, nazionale ed europeo proposte e sollecitazioni che pongano la questione carceraria all’ordine del giorno dell’agenda politica e amministrativa". Firenze: Margara e Corleone scrivono agli enti locali
Toscana Oggi, 12 agosto 2004
Al Presidente della regione Toscana, al Presidente della Provincia di Firenze, al Sindaco del Comune di Firenze, in merito al completamento lavori del "Giardino degli Incontri" nel Carcere di Sollicciano.
Si indirizza la presente a codesti enti per proseguire la comune riflessione sulle iniziative da prendere dopo l’incontro del 2 luglio u.s. dedicato alla presentazione del "Giardino degli Incontri", ultima opera originale di Giovanni Michelucci, e delle fasi della sua realizzazione nel carcere di Sollicciano. L’incontro è stato l’occasione per confrontare l’inserimento dell’opera nell’istituto, pensato anch’esso nell’ambito cittadino 30 anni fa, scelto da una commissione nominata dal Comune di Firenze, che individuò il progetto di un gruppo fiorentino, che interpretava il carcere ripensando le forme di una città con i laboratori, le scuole, la chiesa, i campi sportivi e gli altri luoghi di incontro, distribuiti su un percorso interno dai padiglioni di pernottamento ai luoghi di vita e di incontro con le famiglie e le comunità esterne. I due progetti e le due opere, pur lontane nel tempo, rivelano un loro originale punto di incontro e si sono presentate nella riunione del 2 luglio ad un altro confronto: quello con la realtà di Sollicciano oggi, contenitore permanentemente sovraffollato, per la gran parte da stranieri (sistematicamente oltre il 50%), tossicodipendenti e varia umanità generalmente problematica con minime risorse di lavoro e, quindi, permanenze in cella per l’intera giornata. E’ pacifico che una situazione del genere produce un’emergenza permanente che non consente di seguire nessuno: né le persone che richiedono maggiore sicurezza, né quelle che chiedono maggiore aiuto e risorse sociali di riabilitazione. La ricchezza del nuovo progetto del "Giardino" e quella del vecchio progetto dell’Istituto sono quindi soffocate da una realtà subita e ingestibile. In questa realtà restano inevitabilmente sacrificati diritti fondamentali, come quello alla salute, al rispetto dei minimi igienici dei luoghi e dell’andamento della vita quotidiana, e, complessivamente, il diritto ad un trattamento non contrario al senso di umanità. La situazione attuale non può che essere considerata inaccettabile. Sono necessari interventi, ma si tratta di ragionare sugli stessi e di verificarne la possibilità. Nel dibattito svoltosi nel corso della riunione, sono emersi particolari aspetti dell’istituto su cui concentrare l’attenzione:
Sembra a chi scrive che, questa riflessione coinvolga chi rappresenta il territorio e la città, compresa la Regione Toscana che ha da sempre voluto e contribuito direttamente al progetto di Michelucci e alla sua realizzazione. Ci si riserva, pertanto, se si concordi in questo, di organizzare un ulteriore incontro con codesti Enti per definire le linee dell’azione da svolgere presso l’Amministrazione Penitenziaria e in particolare presso gli enti centrali della stessa, che non possono non essere coinvolti in questo grave problema cittadino.
Con i migliori saluti.
Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Firenze, Franco Corleone
Il Presidente della Fondazione Giovanni Michelacci, Alessandro Margara
Lazio: 99 corsi per soggetti svantaggiati al via entro settembre
Adnkronos, 12 agosto 2004
"Saranno avviati entro settembre 99 corsi di formazione professionale, per i quali la Regione ha stanziato risorse del Fondo sociale europeo (Fse) per un importo pari a circa 8 milioni di euro". Lo ha detto il vicepresidente della Regione Lazio, con deleghe alla Scuola, alla Formazione e al Lavoro, Giorgio Simeoni. Si tratta di interventi per l’inserimento nel mondo del lavoro di persone disabili, immigrati extracomunitari, detenuti, sieropositivi e tossicodipendenti. "Le azioni formative previste - ha sottolineato Simeoni - riguarderanno figure professionali al passo con le esigenze dell’attuale sistema sociale e occupazionale, investendo metodologie innovative e ancora poco utilizzate come il telelavoro, ma anche settori qualificanti come l’informatica, i servizi educativi sociali e sanitari, la floricoltura". "Il lavoro dell’amministrazione regionale di centrodestra - ha concluso Simeoni - si sostanzia quindi di provvedimenti concreti, a dimostrazione dell’interesse che la nostra politica ha nei riguardi dei cittadini. La formazione, in particolare, rappresenta una materia di fondamentale importanza per accrescere il livello professionale delle risorse umane e migliorare l’occupabilità nel territorio". Il finanziamento risulta così suddiviso: per la provincia di Frosinone l’importo è di 796.219,05; per quella di Latina 828.055,00 euro; per quella di Rieti 238.777,64 euro; per quella di Viterbo 550.850 euro; infine, per la provincia di Roma 5.584.881,75 euro. Piemonte: detenuti ripuliscono il parco della Val Grande
La Sentinella del Canavese, 12 agosto 2004
Sentiero, panchine e tabelle della Val Grande come nuovi. Saranno rimessi a posto nel giorno di Ferragosto da venti detenuti, insieme ai volontari delle associazioni ambientaliste anche loro impegnati nella risistemazione del parco nazionale sul Lago Maggiore. I detenuti, che a Verbania stanno scontando pene lievi per furto o spaccio di droga e che torneranno liberi tra non più di tre anni, si rimboccheranno le maniche e, per un’intera giornata, ripristineranno un sentiero alpino, collocheranno panche di legno, sistemeranno nuovi cestini portarifiuti ed alcune tabelle di legno con la topografia del Parco. E, ancora, a Pian d’Aria, nel comune di Aurano, aiuteranno i volontari di Legambiente e del Wwf a pulire e bonificare una parte del territorio protetto del parco. Il progetto "Recupero patrimonio ambientale" - promosso dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) e dal Corpo Forestale dello Stato - è nato dall’idea di due poliziotti penitenziari che fanno parte del Gom, il gruppo operativo mobile del Corpo che interviene nei caso di sommossa nelle carceri e sorveglia oltre 600 detenuti in regime di "carcere duro". Nuoro: nuova aggressione agli agenti di polizia penitenziaria
L’Unione Sarda, 12 agosto 2004
L’ennesima aggressione subita nei giorni scorsi da alcuni agenti di Badu ‘e Carros ad opera di un detenuto, rinfocola la protesta dei sindacati della polizia penitenziaria. "L’episodio - scrivono i lavoratori del carcere nuorese iscritti alla Cgil F.P. - di per se rappresenta un evento sempre possibile nell’ambito di una struttura carceraria, uno dei rischi tipici del lavoro di un agente", ma tale non può essere a Badu ‘e Carros "dove di normale vi è ben poco, e di ordinario si registra solo l’emergenza quotidiana cui sono chiamati a sopperire con rinunce e sacrifici gli agenti". I problemi denunciati sono quelli noti: "Le condizioni strutturali, l’organico ridotto all’osso, l’assenza di un’adeguata programmazione, hanno nel corso degli anni determinato una situazione di invivibilità e di alto rischio che oggi tocca punte drammatiche". Pecche riconosciute "sia dal rappresentante territoriale del Governo che dalla commissione parlamentare d’inchiesta" ma che restano sul tavolo. "Il neo Provveditore Regionale - prosegue il documento - ha liquidato il problema sardo e quello nuorese con un enunciato riassetto immediatamente smentito, sulle note carenze degli organici, sui limiti e sulla fatiscenza della struttura, sulle condizioni di rischio determinate dal livello minimo di sicurezza che ciò ha prodotto, tutto tace" mentre "sulla cronica assenza di quella figura dirigenziale che in teoria dovrebbe dare stabilità alla organizzazione del lavoro e rilanciare la struttura registriamo ancora una volta il perpetuarsi del fenomeno degli incarichi a termine e parziali". Per i lavoratori della Cgil è dunque "necessario e possibile assicurare al livello regionale un immediato intervento che consenta l’integrazione dell’organico assieme alla assegnazione stabile di un direttore motivato con esperienza adeguata per far fronte all’emergenza". "Per far ciò - concludono - è necessario fare chiarezza sulla gestione dei distacchi e dei trasferimenti temporanei, che hanno svuotato alcune carceri in favore di altre, è altrettanto necessario realizzare una programmazione di livello regionale". "Per questi motivi - è la proposta - sollecitiamo il provveditore regionale ad attivarsi immediatamente con i mezzi a sua disposizione per tamponare l’emergenza, e contestualmente chiediamo alla segretaria nazionale della Cgil di farsi parte attiva per convocare un tavolo di confronto con l’amministrazione centrale sulla realtà nuorese". Gran Bretagna: ergastolano vince la lotteria, carcere più duro
Corriere della Sera, 12 agosto 2004
Fortuna al gioco e fortuna in amore non hanno mai viaggiato di pari passo, e la dea bendata conferma il proverbio secolare facendo capitare nelle tasche di Iorworth Hoare, stupratore ergastolano inglese, il biglietto della lotteria nazionale del valore di dieci milioni di euro. Hoare, 52 anni, condannato al carcere a vita per oltre dieci crimini a sfondo sessuale, stava usufruendo di un periodo di semilibertà quando ha giocato in un supermercato i sei numeri fortunati. Nonostante non abbia commesso violazioni, le autorità penitenziarie hanno provveduto a riaffidare il neomilionario ad un regime di massima sicurezza per evitare che le nuove disponibilità finanziarie gli consentano la fuga. Dietro l’evento si nasconde anche un interessante caso giuridico. Le vittime dei crimini di Hoare, infatti, starebbero meditando di rivolgersi al giudice per chiedere quei risarcimenti che all’epoca dei fatti non furono loro riconosciuti, in quanto l’aggressore risultava nullatenente. Il termine triennale previsto dalle leggi britanniche per avanzare pretese è scaduto da un pezzo, ma la vicenda non ha precedenti e promette sviluppi. Roma: revocato sciopero polizia previsto per 15 agosto
Comunicato dell’11 agosto 2004 (Consulta Sicurezza – Sap, Sappe, Sapaf)
"Vi ringrazio per la partecipazione a questo incontro con il Governo e comprendo i motivi della vostra difficile scelta della manifestazione di Ferragosto". Sono state queste le parole del Ministro dell’Interno che ha avviato al Viminale, insieme a Gianni Letta e Learco Saporito, l’incontro con i Sindacati delle polizie civili che avevano proclamato la manifestazione di Ferragosto. Insieme al Sap erano pure presenti il Sappe e il Sapaf. Pisanu ha aggiunto che pur "consapevoli della protesta e rispettando le vostre scelte vi chiediamo di avviare una discussione aperta sulle rivendicazioni della Consulta Sicurezza che porti ad evitare questo conflitto". Il Sottosegretario Gianni Letta ha aggiunto che l’invito del Governo al dialogo è formulato a nome del Presidente Berlusconi, con la richiesta di stringere subito un’intesa. Con gli interventi dei Sindacati, si è subito delineato un triplice fronte:
Saltamartini, che parlava nella sua qualità di Presidente della Consulta Sicurezza, ha subito stigmatizzato il tentativo del "partito dei militari" di dividere il fronte sindacale sottolineando che Sap, Sappe, Sapaf e Siulp rappresentano, da soli, oltre la metà di tutti gli appartenenti alle Forze di polizia! Senza questo consenso, le minoranze teleguidate dalle sacrestie dei partiti non avrebbero potuto fare molto. E così è stato! Il Governo ha, infatti, accolto tutte le nostre richieste. Nello specifico, si è assunto l’impegno per:
Sulla base di questi punti, gli organi direttivi del Sap, Sappe, Sapaf e Siulp hanno revocato la manifestazione del 15 agosto. Soddisfazione è stata espressa da Maurizio Latini, Segretario Generale del Sapaf, e da Gianni De Blasis, Segretario Generale Aggiunto del Sappe. Si avvia, finalmente, una nuova fase nelle relazioni sindacali, con la forza e la determinazione che la Consulta Sicurezza è stata capace di produrre!
La Consulta Sicurezza
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