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Sulmona: muore in carcere sindaco di Roccaraso
Corriere della Sera, 17 agosto 2004
Il primo cittadino di Roccaraso era stato arrestato per concussione. Il sospetto della famiglia: lo hanno assassinato. Un sacchetto di plastica sopra la testa, i lacci delle scarpe a serrare la gola, a togliere il respiro. A fermargli la vita. Camillo Valentini è morto così all’alba di ieri nel carcere di Sulmona, nella cella dei nuovi venuti, arrestato la notte tra il 13 e il 14 agosto, accusato di concussione e peculato. Oggi avrebbe dovuto essere interrogato dal Gip Luigi D’Orazio. Aveva 50 anni, compiuti da 3 giorni. Da 3 anni faceva il sindaco a Roccaraso, paesino dell’Abruzzo che è la Disney degli sciatori nel centro dell’Italia. Da oltre 20 anni si occupava delle cose pubbliche, ingegnere prestato alla politica. "Suicidio", ha decretato il direttore del penitenziario Giacinto Siciliano. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha aperto un’inchiesta amministrativa per stabilire le responsabilità nel carcere. La procura di Sulmona ne ha aperta un’altra per fare luce sulla morte: oggi sarà fatta l’autopsia, rinviata da ieri perché non c’era un magistrato disponibile per formulare i quesiti legali. Anche la famiglia del sindaco vuole vederci chiaro. "La famiglia non crede al suicidio, non ci crediamo: perciò nella sala dell’autopsia ci sarà un perito nominato dai familiari". Giuseppe Di Virgilio si mette tra i familiari di Camillo Valentini. "Era praticamente un fratello" dice lui, che era il vicesindaco di Roccaraso e con Camillo Valentini ha diviso vent’anni di professione e amicizia e ora si trova a dividere anche le stesse accuse dell’inchiesta. È stato Di Virgilio il primo ad essere avvisato: "Alle 8 mi hanno chiamato i carabinieri: "Si è ucciso Camillo e ha lasciato un biglietto per te". Ero dall’avvocato, riguardavamo le carte prima dell’interrogatorio. Era fissato per le 10 e Camillo lo aspettava con ansia. Aveva molto da dire. Retroscena importanti che non stanno nelle carte. Quello che c’era nelle carte erano storie vecchie: episodi del 2001, 2002. Per quelle storie Camillo aveva già avuto un processo all’Aquila ed era stato prosciolto con formula piena. C’era altro dietro. Non si è suicidato. Qualcuno non ha voluto che dicesse cose scomode". Concussione, peculato, un complotto contro un carabiniere fastidioso, sospetti di irregolarità per gli appalti della gara della Coppa del mondo di sci: è un’ordinanza di una quarantina di pagine che ha trascinato in carcere il sindaco Valentini. Il gip Luigi D’Orazio l’ha firmata il 12 agosto, compleanno di Camillo Valentini. La richiesta d’arresto, però, il pm Maria Teresa Leacche l’aveva firmata il 17 luglio, prima di mettersi in aspettativa e partire per gli Stati Uniti. Ci sono altre 31 persone coinvolte nell’inchiesta. Due sono magistrati: Raffaele Maria De Lipsis, consigliere di Stato, e Giovanni Melogli, capo della Procura di Sulmona. E poi, oltre a Di Virgilio, Gisella Valentini (una cugina), assessore al Bilancio di Roccaraso, e Massimo Desiati assessore regionale al Turismo e coordinatore del progetto della Coppa del mondo di sci, la gara per la quale Roccaraso si era candidata tante volte. Alla fine, pare fosse riuscita a spuntare una data: gennaio 2006, gigante femminile. Era agli studi di fattibilità il progetto dello "Sky world". Ma, secondo le intercettazioni della procura, Valentini si vantava di poter già manovrare appalti per oltre 44 milioni di euro. Con un pallino: lo "snow-shuttle", 6 chilometri di metropolitana sulla neve che avrebbe collegato Roccaraso a 150 chilometri di piste. E tutto questo sembra soltanto la prima fetta di una torta di milioni e milioni di euro. L’eredità di Tangentopoli, articolo di Paolo Franchi
Tangentopoli, immediatamente tirata in ballo nei primi commenti e nelle prime polemiche, con la fine nel carcere di Sulmona del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, c’entra poco o nulla: qui non ci sono sistemi che crollano, finanziamenti illeciti alla politica e ai partiti che vengono alla luce, imputati eccellenti, circhi politico-giudiziari. Ma c’è un uomo che muore. E c’entra, eccome, questa morte terribile, con l’eredità irrisolta di quella stagione. Si potrebbero chiamare in causa le grandi questioni che il centrosinistra prima, il centrodestra poi, per diversi e opposti motivi, non hanno saputo, voluto o potuto affrontare: il rapporto tra politica e magistratura, il varo di misure efficaci per scoraggiare per quanto possibile la corruzione e la riforma della giustizia, per cominciare. Ma forse è meglio, anche per l’elementare rispetto dovuto a un uomo che se ne è andato soffocandosi in cella con un sacchetto di plastica, concentrare l’attenzione su due temi cruciali. Avendo chiaro che riguardano o possono riguardare da vicino tutti i cittadini della Repubblica, non solo i politici rimasti impigliati in affari di giustizia. Il primo, oggi come ieri, si chiama custodia cautelare. Magistrati come D’Ambrosio e parlamentari già magistrati come la diessina Anna Finocchiaro hanno voluto ricordare quanto garantista sia la normativa che, nel nostro ordinamento, la regola. Giustissimo. Ma nessuno, proprio nessuno, ha chiamato in causa questa normativa. Ancora una volta, piuttosto, si discute dell’uso che della carcerazione preventiva viene fatto. Può darsi, anzi, è certo, che molte delle voci polemiche levatesi dalla maggioranza siano andate sopra le righe, e pecchino di strumentalità. Ma le domande rimangono intatte. Sussistevano, in questo come in tanti altri casi, le condizioni rigorose previste dai codici per una misura alla quale bisognerebbe ricorrere solo in circostanze estreme? E quanto spesso la custodia cautelare è utilizzata a mò di ‘dolce torturà per arrivare all’accertamento della verità? Il secondo tema, enorme e terribile nella sua semplicità, lo ha posto il parlamentare della Margherita Enzo Carra, una persona per bene che la galera preventiva, e anche gli schiavettoni in un’ aula di tribunale, li ha conosciuti ai tempi di Mani Pulite. La morte, il suicidio di un uomo solo, sbattuto in carcere a Ferragosto, non è un’eventualità fuori dal mondo. Ma nessuno ha fatto niente per impedirla. E Valentini si è suicidato, autoinfliggendosi una pena infinitamente più grande di quella che qualsiasi tribunale, se lo avesse ritenuto colpevole, avrebbe mai potuto comminargli. Proprio come tanti altri detenuti si suicidano. Nell’indifferenza generale. O peggio. Basterebbe molto meno perché una classe politica degna di questo nome, di maggioranza e di opposizione, avviasse una riflessione severa sullo stato della giustizia. E perché la magistratura, piuttosto che sentirsene minacciata, vi desse tutto il suo contributo. Ma si tratta, con ogni probabilità, di speranze vane. Dubbi e polemiche sul suicidio del sindaco di Roccaraso
L’Unità, 17 agosto 2004
Ci sono molti aspetti inquietanti a fare da sfondo al suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 agosto. Il sindaco, finito in manette con l’accusa di concussione per tangenti in appalti di opere pubbliche, una vicenda legata alla candidatura della sua cittadina ad ospitare una gara del Mondiale di sci, non si è impiccato, come detto in un primo tempo. Stando a una ricostruzione più dettagliata, Valentini si è calato sul capo una busta di plastica che aveva contenuto i suoi indumenti intimi, quindi si è stretto intorno al collo un laccio da scarpe, legato, all’altro capo, alla grata della finestra. Poi si è disteso sul letto e si è coperto con le lenzuola. Ed è in questa posizione che è stato ritrovato in mattinata. Ma ora il ministero di Grazia e Giustizia ha aperto un’inchiesta amministrativa: vuole vederci chiaro. Come è stato possibile che tutto questo lavorio sia sfuggito alle guardie carcerarie, che di fronte a detenuti in particolari situazioni psicologiche sono tenute a una sorveglianza strettissima? Altro elemento di incredibile incuria nel servizio di sorveglianza: i lacci da scarpe, che di norma devono essere tolti ai detenuti al momento dell’ingresso in carcere. Secondo il direttore dell’istituto di pena, Giacinto Siciliano, i lacci sarebbero stati trovati da Valentini sotto al materasso della cella. Ma è vero che nel carcere di Sulmona, dove si è consumata la tragedia, questo è il terzo caso di suicidio di un detenuto nell’arco di pochi mesi. Diventa però il quarto, se ad essi si aggiunge il suicidio della direttrice dell’istituto di pena, Armida Miserere, che il 19 aprile di un anno fa si uccise nel suo ufficio sparandosi un colpo di pistola alla tempia. Non solo. Nel penitenziario abruzzese, considerato "di massima sicurezza", adibito ad ospitare anche pentiti ed esponenti della criminalità organizzata, c’è un elevato indice di atti autolesionistici tra i detenuti: un sintomo grave di falle nella sorveglianza e nell’umanità delle condizioni di reclusione.. Un carcere-lager, insomma, nel quale il magistrato ha inviato Valentini in un periodo particolarmente duro, come Ferragosto, negandogli anche la possibilità di un colloquio. Il sindaco inquisito aveva chiesto di essere ascoltato dal magistrato Maria Teresa Leacche già un mese fa, subito dopo le perquisizioni seguite all’avvio dell’inchiesta della "tangentopoli estiva". È uno dei suoi avvocati, il romano Michele Lioi, a riferirlo, aggiungendo che "il magistrato disse di no".L’altro legale, Giovanni Margiotta, l’ultima persona che ha incontrato Valentini vivo, sabato scorso, si dice sconvolto, perché "eravamo certi - spiega - di poter convincere il giudice della nostra estraneità ai fatti contestati nell’ordinanza di custodia cautelare". Due volte, sabato scorso, Margiotta è andato nel carcere di Sulmona per incontrare Camillo Valentini. "La mattina gli ho portato l’ordinanza di custodia cautelare - racconta l’avvocato -, nel pomeriggio era impegnato a studiarla. Era relativamente sollevato, perché considerava le accuse facilmente contestabili. Mi ha chiesto di procurargli una tuta per cambiarsi. Insieme abbiamo poi concordato che ci saremmo rivisti questa mattina, prima dell’interrogatorio di garanzia che si doveva svolgere alle 10. Non era propriamente il ritratto della felicità – dice -, ma era pronto a difendersi", sostenendo di non riuscirsi a spiegare l’esito della notte tra domenica e lunedì. L’altro legale, Lioi, dice: "Voglio precisare che sono indagato con Valentini, per corruzione in atti giudiziari, ma voglio altresì sottolineare che, per quanto riguarda la vicenda Edilmonte, e la conseguente revoca delle concessioni edilizie da parte del sindaco alla ditta D’Aurora, che è parte integrante di uno dei capi d’imputazione per i quali è stata firmata l’ ordinanza di custodia cautelare del Gip, il sindaco era già stato processato dal Tribunale dell’Aquila, e assolto con formula piena dalle accuse di abuso d’ufficio e concorso in falso ideologico". Valentini aveva lasciato una dichiarazione scritta alle guardie in cui diceva che in caso gli fosse successo qualcosa durante la detenzione doveva essere avvertito il suo vice sindaco, Di Virgilio anche lui inquisito per la stesa inchiesta e contitolare dello studio tecnico in cui, il mese scorso, furono sequestrate documentazioni e apparecchiature informatiche. Una dichiarazione scritta che si dice sia una prassi comune all’ingresso in prigione: al detenuto viene chiesto di pronunciarsi per iscritto su quali siano le persone, familiari o altri, da avvisare in caso di necessità. Suicidio Sindaco: increduli sostenitori e avversari
Il Messaggero, 17 agosto 2004
Sconcerto, tristezza, a tratti incredulità per la maniera con cui ha deciso di porre fine alla sua esistenza. Sono i sentimenti diffusi tra la popolazione di Roccaraso, divisa a metà nel suo rapporto con il sindaco, Camillo Valentini. C’era chi ne apprezzava il senso pratico, il piglio deciso e l’amore per il paese, ma anche chi lo accusava di mescolare gli interessi privati con quelli pubblici. E non sono pochi coloro che, chiedendo l’anonimato, avanzano dubbi sul suicidio. "Era un tipo sicuro di sè - dicono alcuni animatori culturali della zona -. Anche se si può ipotizzare un momento di sconforto, sembra strano che un soggetto del genere abbia scelto di uccidersi. Ed è stata una decisione al limite della decenza mettere in isolamento, in un supercarcere, una persona incensurata. È assolutamente meravigliato un barista del centro di Roccaraso. "Conoscevamo Valentini come un uomo forte - ha detto - non pensavamo fosse così debole di fronte alla contestazione di reati che, seppur gravi, non potevano far prevedere una reazione così eclatante". Tra le persone amiche c’è chi pensa che fosse un personaggio scomodo, in quanto "intelligente, che stava lavorando per trasformare il suo paese". È l’opinione del medico Luigi Altamura, che conosceva Valentini da 28 anni. "Sono convinto che dietro questa vicenda ci sia un complotto. E Camillo, che era comunque una persona mentalmente stabile, non ha retto alla situazione". "Quando aveva saputo dell’inchiesta si era molto agitato, poi era tornato tranquillo - ricorda Altamura - perchè dopo aver letto i capi d’imputazione si era reso conto di non aver fatto niente di tutto ciò che gli addebitavano. Proprio per questo aveva deciso di autosospendersi e si era detto disponibile a parlare con i giudici". Altamura è sconvolto e si augura che si conducano "indagini serie", perchè "Camillo - dice, con la voce rotta dall’emozione - è stato buttato in carcere il giorno prima della festa, per fare in modo che ci rimanesse più tempo. Camillo aveva delle grosse intuizioni, aveva rivitalizzato un paese che negli ultimi trent’anni era stato abbandonato. E comunque era un tecnico, non un politico, e - conclude Altamura - era manicheo, non era tipo da scendere a compromessi". Non si aspettavano un simile epilogo neanche coloro che per anni sono stati critici nei confronti di Valentini; e che preferiscono rimanere nell’anonimato, come molte altre persone interpellate sulla vicenda, ricordandolo semplicemente come "un avversario che ha dato filo da torcere, un uomo forte dal quale nessuno si sarebbe aspettato un gesto simile". "Siamo addolorati - dichiara un albergatore, anche lui vuole rimanere anonimo -. La vicenda umana del primo cittadino fa finire in tragedia una storia già di per sé molto inquietante, che ha portato alla ribalta in maniera molto negativa la stazione sciistica più importante del centro sud".
Suicidio Sindaco: tanti gli indagati eccellenti suicidi
Il suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini ricorda quelli di molti amministratori indagati nelle inchieste di Tangentopoli degli anni Novanta. Ma per le sue modalità riporta alla memoria uno dei suicidi "eccellenti" dell’epoca di "Mani Pulite", che coinvolse non un politico ma il presidente dell’Eni Gabriele Cagliari. Quest’ultimo, 67 anni, designato alla presidenza dell’ente petrolifero italiano il 3 novembre 1989, venne ritrovato il 20 luglio 1993 nel carcere di San Vittore anch’egli con la testa infilata in un sacchetto di plastica. Era recluso a Milano dal 9 marzo precedente, dopo l’arresto su ordine di custodia cautelare emesso dai giudici del pool milanese. Dopo aver ammesso l’esistenza di un sistema di fondi neri, Cagliari si dimise dalla presidenza dell’Eni. Fu raggiunto da un nuovo ordine di custodia per la vicenda Eni-Sai e dopo quattro mesi di carcere si uccise. Il 27 ottobre 1997, un anno prima di morire, Bruna Di Lucca, vedova di Cagliari, mise a disposizione dell’Eni 13 miliardi che il marito aveva depositato presso una fiduciaria ticinese e che provenivano da quei fondi neri. Al contrario della vicenda di Cagliari, suscita ancora scontri quella del deputato socialista Sergio Moroni, come quello fra innocentisti e colpevolisti di due settimane fa in Parlamento: da una parte alcuni onorevoli leghisti e dall’altra Chiara Moroni, deputata del Nuovo Psi di Gianni De Michelis e figlia di Sergio, l’onorevole del Psi suicida il 2 settembre 1992. Sergio Moroni si tolse la vita subito dopo aver ricevuto due avvisi di garanzia, nel giugno e nell’agosto di quell’ anno, il primo in relazione alle indagini sulla concessione regionale per la discarica di Pontirolo (Bergamo) e sulle attività delle Ferrovie Nord Milano, la seconda nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti dell’Ospedale di Lecco. In entrambi c’era l’accusa di finanziamento illecito ai partiti. Prima di suicidarsi Moroni scrisse una lettera al presidente della Camera Giorgio Napolitano nella quale diceva di non avere mai pattuito tangenti e di "non avere mai personalmente approfittato di una lira. Accanto a questi casi più eclatanti, la cronaca dei primi anni Novanta restituisce diversi episodi di ammministratori locali suicidatisi dopo essere stati indagati. Il primo fu l’ex segretario del Psi di Lodi, Renato Amorese, che si uccise il 17 giugno 1992 con un colpo di pistola alla tempia. Pochi giorni prima era stato interrogato da Antonio Di Pietro. A lungo gli inquirenti cercarono inutilmente 400 milioni di lire, che secondo gli investigatori erano frutto di una tangente. In maniera simile a quanto fatto da Sergio Moroni, anche il consigliere comunale di Pescara Valterio Cirillo, architetto eletto nel Psdi e poi passato alla Dc, lasciò un biglietto prima di lanciarsi dal tetto della sua abitazione il 12 aprile 1993. Disse di non essere un "corrotto" e chiese la "riforma del sistema politico". Aveva ricevuto un avviso di garanzia nell’ ambito di un’ inchiesta su presunte irregolarità sulla informatizzazione della Usl del capoluogo abruzzese. Pochi giorni dopo, il 30 aprile, Gino Mazzolaio, ex segretario amministrativo della Dc di Rovigo, indagato per concussione, venne ripescato nell’ Adige nei pressi di Anguillara Veneta (Padova). Anche Mazzolaio era stato arrestato, il 16 marzo precedente, nell’ambito di un’inchiesta su presunte tangenti per appalti ospedalieri. Era tornato in libertà il 10 aprile e poi aveva fatto perdere le sue tracce. In epoca ormai lontana da Tangentopoli, il 19 marzo 2001, Aniello De Chiara, sindaco diessino di Solofra (Avellino), già presidente del Consiglio regionale della Campania dal 1985 al 1990 per il Psi, si gettò anch’egli nel vuoto dalla sua abitazione al quarto piano nella cittadina irpina. Pochi minuti prima il maresciallo comandante della stazione locale dei carabinieri gli aveva notificato un atto di citazione come testimone in un procedimento avviato dal sostituto procuratore della Repubblica di Avellino su denuncia dello stesso De Chiara. L’indagine si riferiva a vicende relative all’ospedale di Solofra. Il centrodestra: "Tutta colpa del potere dei Pm"
L’Unità, 17 agosto 2004
Camillo Valentini, il sindaco di Roccaraso che si è tolto la vita in carcere, era stato eletto primo cittadino con una lista civica di centrosinistra, sostenuta dai Ds, anche se i Democratici di Sinistra - come chiarisce il coordinatore nazionale Vannino Chiti - non ne facevano parte. La sua morte ora riaccende tutta la querelle sul garantismo e il carcere duro. Con tutte le ragioni e anche però le speculazioni di parte che sull’altare del garantismo si sono già viste nel caso di altri suicidi di politici indagati per tangenti. Vannino Chiti della segreteria Ds si limita a porre l’accento sulla necessità, per la magistratura, di "usare con grande attenzione" lo strumento della custodia cautelare in carcere. "È un mezzo - afferma - che va utilizzato solo quando c’è il pericolo della reiterazione del reato o dell’inquinamento delle prove e non come metodo per determinare la confessione di reati". E anche nelle sue parole torna alla ribalta i "metodi" dell’inchiesta di Tangentopoli, su cui si incentrano le dichiarazioni di fuoco di molti esponenti del centrodestra, che utilizzano la vicenda per tornare a invocare una riforma della giustizia che limiti drasticamente l’autonomia dei pubblici ministeri. Sergio D’Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino e membro della direzione di Radicali Italiani, sostiene che il sindaco di Roccaraso è "vittima del monopolio dei pm sull’azione penale, dietro la cui obbligatorietà si nasconde la più assoluta e intollerabile discrezionalità di ogni pm che, data l’enorme quantità di denunce, sceglie arbitrariamente quali reati perseguire, in quali tempi e in quali modi". Secondo Maurizio Ronconi, il ministro Carlo Giovanardi e molti altri bisognerebbe abolire la possibilità di carcerazione preventiva nel caso di reati di corruzione o concussione di politici. Si usano parole grosse: "ritorno degli anni bui di Tangentopoli", "sottrarre il potere politico ai magistrati", "metodi usati in Cina". Il presidente della Commissione Giustizia della Camera Gaetano Pecorella, di Forza Italia, torna a parlare di amnistia. "Un’altra vittima delle manette facili", sentenzia Fabrizio Cicchitto. Chiara Moroni, figlia del deputato socialista che nel ‘92 si uccise a causa del suo coinvolgimento nell’inchiesta sulle tangenti per appalti, ora deputata del Nuovo Psi, parla di "sconfitta dello Stato democratico", "caccia alle streghe" e propone, per difendere la privacy degli inquisiti, di mettere il silenziatore al "flusso incontrollato delle notizie che fuoriesce dalle Procure incida sulla vita sociale e psicologica di chi ancora non ha ricevuto la sentenza dei giudici, ma avverte già la condanna dell’opinione pubblica". Antonio Di Pietro, oggi eurodeputato e leader della formazione politica Italia dei Valori ma principale "accusato" del giustizialismo di Tangentopoli ribatte: "Come di fronte ad ogni vita umana che se ne va, si deve rispetto e considerazione alla persona del sindaco di Roccaraso, nei cui confronti va pure l’umana pietà per il tragico gesto suicidiario attuato. Tutto ciò, però, non può e non deve costituire un comodo ed interessato alibi per coloro che vogliono sfruttare la sua tragedia personale al fine di impedire ogni controllo di legalità nei confronti dell’operato dei politici e dei pubblici amministratori". E insiste: "È un trucco questo che già è stato usato con successo all’epoca di Mani Pulite e che ora, all’alba della nuova Tangentopoli che sta riemergendo, subito si sta tentando di rilanciare per fare in modo da rendere odiose le indagini nei confronti dei personaggi pubblici, soprattutto quelli amici di cordata e di partito, e così costruire scientemente e capziosamente un alone di sospetto sull’opera dei magistrati per fermarne l’azione o comunque per renderla non credibile". Mentre l’ex capo di Di Pietro alla procura di Milano, Gerarardo D’Ambrosio mette in guardia da un "errore strumentale" che si perpetua dai tempi Mani Pulite: il pm non può disporre provvedimenti che limitino la libertà ma solo chiederli a un giudice; e contro la decisione di quest’ultimo si può ricorrere in tempi brevi al Tribunale della libertà. "Mi pare che si stia ripetendo strumentalmente il solito errore - commenta l’ex capo del pool Mani Pulite dopo le prime reazioni alla notizia del suicidio -. Sono le stesse cose che furono dette ai tempi di Mani Pulite, quando si attribuiva tutta la colpa delle carcerazioni ai pubblici ministeri che erano, invece, solo l’organo richiedente". Come allora, secondo D’Ambrosio, "non si teneva conto che il nostro sistema è certamente uno dei più garantisti perché prevede anche dei termini, decorsi i quali, l’imputato deve essere scarcerato se non c’è una prova". Giovanardi (Udc): non più carcerazioni facili
Asca, 17 agosto 2004
"Continuo a chiedere ai magistrati italiani se non ritengono essere una palese violazione della Costituzione, secondo la quale un cittadino è da considerarsi non colpevole fino a sentenza passata in giudicato, che il primo atto del processo consista nell’essere sbattuto in carcere". Così il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, commenta la drammatica vicenda del sindaco di Roccaraso. "Quello che i vari Di Pietro non riescono a capire - sostiene Giovanardi - è che per una persona perbene la custodia cautelare è di per se stesso una tragedia che distrugge la vita dell’indagato e dei suoi familiari, una misura da applicare in casi eccezionali e soltanto quando ricorrono le precise condizioni previste dal codice di procedura penale". Guido Calvi: "Il codice è molto rigido, basta confronti con il ‘92"
Corriere della Sera, 17 agosto 2004
Senatore Guido Calvi, tornano le "manette facili"? "Prima di dire che la misura cautelare nei confronti di Valentini sia stata eccessiva dovremmo conoscere i motivi per cui il gip ha accolto la richiesta del pm. Ci vuole molta prudenza di fronte a una morte così drammatica e a uno strumento delicato come la libertà del cittadino".
Il sindaco di Roccaraso è stato arrestato il giorno di Ferragosto. Perché tanta fretta? "Allo stato delle cose non è dato conoscere la consistenza delle accuse, ma evidentemente la richiesta doveva essere sufficientemente motivata perché il giudice la potesse accogliere. Quanto al Ferragosto, se pure il pubblico ministero va in ferie, non è che il tribunale rimane smarrito, c’è sempre un magistrato in sede. Se poi ci sono state disattenzioni, manchevolezze o errori sarà il Csm a intervenire".
Secondo lei, perché il sindaco si è ucciso dopo nemmeno due giorni di carcere? "Al di là delle responsabilità, siamo di fronte a un atto di assoluta disperazione che merita rispetto e comprensione. Ma il suicidio del sindaco non giustifica una polemica sull’istituto della carcerazione preventiva".
Lei è avvocato e anche capogruppo Ds in commissione Giustizia del Senato. Non pensa che uno strumento capace di spe zzare la carriera e la vita di un uomo, magari sulla base di indizi, debba essere rivisto? "Ricordo che il Parlamento è intervenuto due volte per regolare le condizioni necessarie a emettere un provvedimento, che sono state ristrette e delineate in modo rigido. Non credo ci fosse pericolo di fuga, piuttosto forse il rischio di inquinare le prove. Il nostro codice in materia è molto rigido. Se la richiesta è stata accolta dal Gip, qualche ragione perché ci fosse privazione di libertà doveva pur esserci. Comunque, si può sempre far ricorso al tribunale del riesame..." .
Torna alla mente il dramma del socialista Sergio Moroni, che si uccise perché non accettava, così scrisse, "processi sommari". "Siamo di fronte a due tragedie. Tuttavia mi sembra che... No, non è proprio il caso di fare confronti, sono due storie totalmente diverse, dal punto di vista oggettivo e soggettivo. A meno che non ci siano responsabilità che il Csm dovrà indagare, stiamo attenti a non legittimare una nuova aggressione ai magistrati". "Manette facili": dai Poli accuse ai giudici
Ansa, 17 agosto 2004
Il centrodestra all’attacco. Chiti (Ds): non può essere un modo per far confessare. Quercia divisa. Di Pietro: un polverone. Ora che, come dice lapidario l’azzurro Fabrizio Cicchitto, le "manette facili" hanno fatto un’altra vittima, la maggioranza punta il dito contro la magistratura, chiede che sia fatta chiarezza sul suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso, torna a mettere in discussione l’uso discrezionale della custodia cautelare. Il rispetto per l’ultimo gesto di Camillo Valentini è trasversale, così come l’ammonizione che il mondo politico lancia ai magistrati: le manette non vanno usate per ottenere confessioni. Eccezioni a parte, Ulivo e Cdl chiedono all’unisono che lo strumento della carcerazione preventiva sia maneggiato con la dovuta cautela. Preoccupazione, disapprovazione bipartisan. E, fuori dal coro, la voce di Antonio Di Pietro: "Il suicidio non deve diventare un alibi per criticare il lavoro dei magistrati. È singolare che ogni volta che si parla di una nuova Tangentopoli c’è chi alza il polverone per criminalizzare il lavoro dei giudici".
Costituzione violata
Parole che hanno fatto saltare sulla sedia il ministro Carlo Giovanardi, Udc. "Quello che i vari Di Pietro non riescono a capire è che per una persona perbene la custodia cautelare è di per sé una tragedia". Un cittadino è da considerarsi non colpevole fino a sentenza passata in giudicato, ricorda il responsabile dei Rapporti con il Parlamento: "Continuo a chiedere ai magistrati se non ritengono essere una palese violazione della Costituzione che il primo atto del processo consista nell’essere sbattuto in carcere". La commozione non frena le polemiche. Sensibile quanto Giovanardi al principio della libertà personale, Anna Finocchiaro, capogruppo dei Ds in commissione Giustizia della Camera, trova le posizioni del ministro "coerenti con il suo pamphlet sugli anni di Tangentopoli, ma un p0’ approssimative" e contesta che la custodia cautelare in carcere sia incompatibile con la Carta costituzionale. An chiede di rivedere l’uso discrezionale della custodia cautelare, ma le parole più dure che si alzano dalla Cdl sono quelle degli azzurri. Francesco Giro lamenta la "solitudine" degli inquisiti in carcere, trattati da "appestati". Andrea Pastore paventa un "uso abnorme" della carcerazione preventiva, strumento che, come ricorda il presidente della commissione Giustizia della Camera Gaetano Pecorella, "è per legge un rimedio estremo". Da usare solo per impedire la fuga dell’imputato e garantire che le prove non siano inquinate. Il coordinatore della segreteria Ds Vannino Chiti è sulla stessa linea: la carcerazione preventiva non può essere "un metodo per determinare la confessione dei reati".
Indaghi Castelli
Il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio si appella alla magistratura perché chiarisca eventuali "responsabilità" e sprona il Parlamento a occuparsi "seriamente e fattivamente" di corruzione. Enzo Carra, Margherita, chiede al ministro della Giustizia Roberto Castelli di indagare sulla facilità con cui il sindaco ha potuto mettere in atto il suo tragico gesto. E l’europarlamentare dello Sdi Ottaviano Del Turco mette in dubbio la necessità di far scattare le manette il giorno di Ferragosto. "È l’ennesimo caso di suicidio che avviene nelle prime ore di detenzione" affonda il radicale Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino: la giustizia italiana è "totalitaria quanto quella cinese". Sulmona: sindaco morto in carcere, oggi l’autopsia
Corriere della sera, 17 agosto 2004
Si avvicina il momento di conoscere la verità sulla morte di Camillo Valentini, il sindaco di Roccaraso trovato all’alba di lunedì senza vita nella sua cella nel carcere di Sulmona (L’Aquila), dove era detenuto dal 14 agosto con l’accusa di concussione e peculato. È attualmente in corso nell’obitorio dell’ospedale di Sulmona l’autopsia sul corpo di Valentini, rinviata da ieri per questioni procedurali legate all’elaborazione dei quesiti che il magistrato deve formulare all’anatomopatologo, Luigi Bonaccorso. Secondo quanto comunicato dai parenti di Valentini, nella sala dell’autopsia è presente anche un perito nominato dalla famiglia del sindaco. Sulle modalità della morte di Valentini, il direttore del penitenziario di massima sicurezza di Sulmona non ha dubbi: "Suicidio", ha decretato Giacinto Siciliano. Intanto il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha aperto un’inchiesta amministrativa per stabilire le eventuali responsabilità del carcere. E la procura di Sulmona ha aperto un fascicolo "contro ignoti" diretto ad accertare se ci siano altre persone coinvolte.
La famiglia Valentini
Intanto dai parenti di Valentini arriva l’annuncio della convocazione di una conferenza stampa che si terrà mercoledì. Lo fa sapere l’avvocato Giovanni Margiotta, spiegando che i parenti di Valentini approfitteranno dell’incontro con i giornalisti per precisare che i fatti contestati nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, a carico del sindaco suicida, "nulla hanno a che fare con tangenti, mazzette e appalti". Orario e luogo della conferenza saranno annunciati più tardi, quando si stabiliranno modalità e tempi dei funerali, a conclusione dell’autopsia.
Indaga un nuovo Pm
Sul fronte indagini, sarà un nuovo magistrato appena arrivato alla Procura di Sulmona a coordinare l’indagine sulla morte in carcere di Valentini, e ad occuparsi degli "atti urgenti" relativi all’inchiesta sugli appalti e le opere pubbliche del centro sciistico abruzzese, nell’ambito della quale era stato deciso l’arresto del primo cittadino con le accuse di concussione e calunnia. Il sostituto procuratore Simonetta Ciccarelli, della Procura dell’Aquila, ha già preso servizio nell’ufficio di Sulmona per un periodo di applicazione deciso dal procuratore generale presso la Corte d’Appello, Bruno Paolo Amicarelli. La pm Ciccarelli sostituirà l’altro sostituto che era stato precedentemente applicato dall’Aquila, Salvatore Campochiaro, in ferie. A sua volta, Campochiaro, sempre su mandato della procura generale, aveva sostituito la pm titolare dell’inchiesta su Roccaraso, Maria Teresa Leacche, che il 17 luglio scorso aveva firmato la richiesta di custodia cautelare nei confronti del sindaco Valentini, e che dal 20 luglio si trova negli Stati Uniti con un periodo di aspettativa di un anno. Si accentua, dunque, la situazione di transitorietà nella gestione degli intricatissimi faldoni sulle irregolarità amministrativa di Roccaraso, considerando anche che il capo della Procura sulmonese, Giovanni Melogli, risulta egli stesso indagato per una vicenda relativa all’assunzione di un vigile urbano (la posizione del magistrato è stata stralciata e trasmessa per competenza a Campobasso), mentre l’altro sostituto Aura Scarsella si è sempre astenuta dalle questioni del Comune montano perché il marito è titolare di una farmacia in paese. Capezzone: il carcere preventivo è un doppio obbrobrio
Apcom, 17 agosto 2004
Nella "triste vicenda" del suicidio del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini "ci sono almeno due obbrobri: da una parte le norme italiane sulla carcerazione preventiva, dall’altra il modo in cui vengono applicate anche in assenza dei requisiti previsti". È quanto denuncia il segretario dei Radicali italiani Daniele Capezzone. Da un lato, infatti, spiega Capezzone, "c’è l’obbrobrio di norme in materia di carcere preventivo che farebbero orrore a qualunque paese democratico, visto che soprattutto per questo, oltre che per le condizioni delle nostre carceri e per la durata dei processi, l’Italia è ormai primatista di condanne presso le Corti internazionali". Il segretario dei Radicali italiani ricorda anche che "quattro anni fa cercammo di correggere le norme in materia di carcere preventivo per via referendaria" cercando di eliminare "il meccanismo infernale per cui, tra sospensioni e rinvii, un cittadino può stare in carcere in attesa di processo fino a nove anni", "ma - osserva Capezzone - la mannaia della Corte Costituzionale, e il disinteresse di tanti politici che oggi piangono lacrime di coccodrillo, ce lo impedirono". Ma non basta, c’è, infatti, anche "l’obbrobrio di come queste norme vengono applicate". "C’è sempre, nei casi in cui viene disposta in Italia la custodia cautelare in carcere, un concreto pericolo - conclude Capezzone - di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato? Di tutta evidenza no, e da troppe parti ci si è abituati a usare la galera come strumento per estorcere confessioni". Biondi: galera anticipata… prima ti arresto poi ti interrogo
Agi, 17 agosto 2004
La vicenda del suicidio del Sindaco di Roccaraso è un’altra tragedia giudiziaria che si basa sulla "galera anticipata" all’insegna del "prima ti arresto poi ti interrogo". Questo il giudizio di Alfredo Biondi, Vice Presidente della Camera dei Deputati. "È grave perché dopo l’autosospensione, il Sindaco Valentini aveva fatto richiesta di essere interrogato, invece è prevalso l’uso delle manette. Leggo molte dichiarazioni indignate che giungono tanto da destra quanto da sinistra. Mi permetto di ricordare agli immemori che quando provvidi con decreto ad evitare la custodia cautelare per certi tipi di reato destra e sinistra elevarono irate e sdegnate proteste. Il pentimento è virtù italica". Sulmona: non colpevolizzare la polizia penitenziaria!
Segreteria Generale Sappe, 17 agosto 2004
"La tragedia di Sulmona, con il suicidio in cella del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini, non può offrire a nessuno il pretesto per colpevolizzare la Polizia Penitenziaria "a prescindere". La carenza di personale e il sovraffollamento dei carceri italiani sono due temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Riteniamo sia giunto il momento che si potenzi maggiormente l’area penale esterna, lasciando in carcere solamente i soggetti davvero pericolosi". A dichiararlo è la Segretaria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che con 13 mila iscritti ed il 40% di rappresentatività è l’Organizzazione più rappresentativa del mondo penitenziario, commentando la notizia secondo cui il ministero della Giustizia ha disposto una inchiesta di carattere amministrativo sul caso del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, che si è tolto la vita nel carcere di Sulmona. Aggiunge il Sappe: "Si tratta indubbiamente di una sorta di atto dovuto, che mira ad accertare se ci sono responsabilità del personale del penitenziario in cui si trovava Valentini, arrestato per concussione, ma è necessario trovare davvero una soluzione al sovraffollamento dei detenuti. "Abbiamo fatto appello, lo scorso 29 luglio, a Governo Parlamento perché si prenda atto del fallimento dell’indultino e dei braccialetti elettronici di controllo dei detenuti come provvedimenti di sfoltimento delle carceri" sottolinea il SAPPE. "Il numero dei detenuti oggi presenti – circa 57 mila – è lo stesso, se non addirittura superiore, del periodo in cui le due iniziative legislative sono state decise proprio per deflazionare i penitenziari del Paese. È quindi assolutamente necessario che, alla ripresa dei lavori a settembre, l’emergenza carceri sia messa all’ordine del giorno degli impegni di Governo e Parlamento, potenziando maggiormente il ricorso all’area penale esterna e limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari". Sulmona: troppi suicidi, ministero avvia un’inchiesta
Il Messaggero, 17 agosto 2004
Strategico, importante, centrale. Nelle relazioni del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero il carcere di Sulmona è definito in questo modo. Una struttura efficiente e comoda, a due passi da Roma in un luogo assolutamente tranquillo e marginale della geografia criminale del Paese. L’ideale, insomma, per la detenzione di figure di spicco della criminalità organizzata. Eppure da qualche anno qualcosa sembra esserci inceppato nel delicatissimo meccanismo che governa un carcere di questa portata. Un carcere su cui ieri è stata avviata un’inchiesta amministrativa dal Ministero della Giustizia per stabilire eventuali responsabilità del personale. È stata avviata anche un’inchiesta interna. Il suicidio di Camillo Valentini è il terzo in meno di un anno. Troppi per un carcere considerato sicuro, per una struttura che ospita oltre 300 detenuti tra cui pentiti di mafia di primissimo piano. Dal carcere di via Lamaccio sostengono che si tratta di straordinarie coincidenze, che gli agenti penitenziari lavorano in assoluta tranquillità pur tra i problemi legati alla cronica carenza di personale. Ma nella spirale maledetta di suicidi è rimasta incastrato anche l’ex direttore del carcere, Armida Miserere che, nell’aprile dell’anno scorso, si sparò un colpo di pistola nell’abitazione attigua al carcere. Un suicidio che mise a nudo la crudezza di una vita professionale vissuta in una struttura in grado di fagocitare tutto e tutti, di annientare anche una personalità forte e decisa come quella di Armida Miserere. Quattro suicidi, quattro storie diverse. Di quella della Miserere abbiamo detto, con tutto il carico di dolore che portò nella struttura penitenziaria dove il "superdirettore" era amato e stimato. Nell’ottobre, quattro mesi dopo, in cella si toglie la vita Diego Aleci, 41 anni, mafioso di Marsala, prima della "stidda" e poi di Cosa Nostra, era stato condannato all’ergastolo al termine del processo "Patti più 40", che alla sbarra vedeva i principali protagonisti della guerra di mafia che insanguinò le strade di Marsala nel 1992. Aleci si sarebbe soffocato con i lacci delle scarpe. Meno di due mesi fa tocca ad un altro boss di mafia Francesco Di Piazza, 58 anni. Faceva parte del clan di Giovani Brusca. Si è tolto la vita soffocandosi con i lacci delle scarpe. Di questi suicidi ora si sta interessando anche il Parlamento con un’interrogazione presentata da un deputato di Rifondazione comunista. Non si può morire in carcere, lista nera dei detenuti suicidi
Il Messaggero, 17 agosto 2004
Non lo sono più le decine, le centinaia di uomini e donne, giovani e meno giovani, che in passato non ce l’hanno fatta a sopportare il trauma della privazione della libertà, della mutilazione dei loro spazi di vita, del distacco dai loro affetti, dal loro modo di vivere nella società. La lista nera dei suicidi in carcere è lunga e terribile e ogni nuovo episodio riapre vecchie e mai sopite polemiche. Di fronte ad un gesto tanto drammatico e disperato a nulla vale chiederci il perché sia potuto accadere e, tanto meno, interrogarci sulle presunte responsabilità dell’indagato. Qualcuno si domanderà, ma anche questo è un interrogativo retorico, se gli elementi raccolti dalla pubblica accusa fossero sufficienti a giustificare, alla vigilia di un ferragosto, questa ordinanza di custodia cautelare, in un sistema giustizia che lascia liberi, dopo averli condannati, assassini e rapinatori, mafiosi e corrotti, stupratori e delinquenti abituali. La risposta che verrà dalle inchieste aperte sarà, come di routine, esaustiva e formalmente ineccepibile. Si dirà che ricorrevano le condizioni previste dalla legge per arrestare l’indagato e tutto finirà nel dimenticatoio. Il suicidio del sindaco di Roccaraso andrà solo ad allungare un elenco scomodo e ingombrante, ma indegno di un paese civile. L’indagato era un politico, accusato di aver intascato tangenti. Così come lo fu, da innocente, Sergio Moroni, il deputato socialista che il 2 settembre di dodici anni fa ricevette un’informazione di garanzia e che, grazie all’immunità parlamentare, evitò il carcere. Nonostante ciò non resse all’umiliazione di sentirsi indagato e si uccise. Due storie diverse e distanti tra loro anni luce. Ma che la lettera di congedo che Moroni scrisse al presidente della Camera consente di rievocare a monito di questa e tante altre storie simili, sconosciute all’opinione pubblica quando il suicida non è un sindaco, ma solo un povero cristo la cui morte in carcere non fa notizia. Moroni si congedò con queste parole: "... quando la parola è flebile non resta che il gesto. Mi auguro solo che questo possa contribuire ad una riflessione più seria e più giusta... e ad evitare che una informazione di garanzia si trasformi in una preventiva sentenza di condanna". Ebbene, un’ordinanza di custodia cautelare è considerata nel nostro sistema mediatico-giudiziario assai più di una condanna, nonostante che il sessanta per cento delle persone portate a giudizio venga poi scagionato. Per il solo fatto di essere privato della libertà nella fase delle indagini preliminari, il soggetto indossa automaticamente i panni del presunto colpevole che nessuna sentenza di assoluzione gli toglierà mai completamente di dosso. La legge Gozzini e i regolamenti successivi hanno predisposto strumenti teoricamente validi per rendere il carcere vivibile e degno di un paese che un tempo vantava tradizioni di grande civiltà giuridica. Ma la sfida per conseguire questo risultato si è scontrata con la inadeguatezza e la fatiscenza delle strutture, con la carenza del personale e degli operatori specializzati, con tutto ciò che il carcere dovrebbe essere e non è. Se oggi è sotto accusa il carcere di Sulmona, ieri lo è stato quello di Firenze e ieri l’altro quello di Roma, di Napoli, di Cagliari, di Iglesias. Senza escludere quelli cosiddetti modello di Opera o di Rebibbia. Ove non tutto è degrado e abbandono, ed anzi molto viene fatto per aiutare il detenuto a convivere con la realtà carceraria. Ma molto resta ancora da fare e non solo da parte di chi è preposto alla amministrazione penitenziaria, ma anche da parte dell’autorità giudiziaria che deve essere in grado di capire fino a che punto la privazione della libertà di un individuo può influire sulla sua psiche fino a indurlo ad un gesto tanto disperato. Di fronte al quale la funzione giurisdizionale perde credibilità e alimenta la sfiducia del cittadino nell’operato di quei magistrati che esercitano con eccessiva discrezionalità l’azione penale. Roma: sciopero a oltranza dei detenuti di Regina Coeli
Ansa, 17 agosto 2004
Continuerà a oltranza lo sciopero in corso da ieri nel carcere di Regina Coeli, dove i detenuti protestano battendo contro le sbarre e saltando alcuni pasti per denunciare la situazione di sovraffollamento e per chiedere il miglioramento delle condizioni igienico - sanitarie. La protesta doveva concludersi domani, ma il delegato del Comune di Roma ai problemi dei detenuti, Lillo Di Mauro, ha comunicato la decisione presa dai rappresentanti dei detenuti di proseguire nella contestazione. Attualmente nel penitenziario ci sono più di 900 detenuti, contro una capienza massima di 700 persone. Gran Bretagna: i figli dei criminali verranno sorvegliati?
Ansa, 17 agosto 2004
Individuati, monitorati e seguiti da quando sono in fasce fino ai tribolati anni dell’adolescenza. Non si tratta dei protagonisti di un romanzo orwelliano, ma dei giovani britannici che hanno un padre o una madre in carcere o con lunghe fedine penali. Il governo Blair infatti sta mettendo a punto un programma di sorveglianza e sostegno per aiutare i figli di detenuti o ex galeotti a mantenersi sulla retta via ed evitare che commettano gli stessi errori dei genitori. Il progetto, attualmente allo studio di Whitehall, è anticipato in un’intervista pubblicata sul quotidiano "The Independent" da uno dei suoi fautori, il sottosegretario all’Ordine Pubblico Hazel Blears, e prende spunto da diversi studi, secondo i quali la prole dei criminali è predisposta a ricalcare le orme di padri e madri commettendo a sua volta reati puniti con il carcere. "Circa 125.000 ragazzini hanno il papà in prigione", ha sottolineato la Blears. "Questo è un enorme fattore di rischio. Circa il 65% di quei ragazzini infatti finirà dietro le sbarre. Dobbiamo individuarli. Possiamo predire i fattori di rischio che li porteranno sulla strada del crimine". Genova: "la domandina" cd musicale dei detenuti di Marassi
Secolo XIX, 17 agosto 2004
La domandina è il modulo che ogni detenuto deve sempre compilare per avanzare qualsiasi richiesta: dall’acquisto degli alimenti all’incontro con i famigliari, dal ritiro degli oggetti custoditi nel magazzino alle istanze di liberazione da rivolgere ai giudici, tutto è sottoposto al rito di quello stampato, che si rivela uno dei momenti cruciali della vita burocratica carceraria. Ed è proprio "La domandina" il titolo del secondo cd musicale realizzato dai detenuti del Centro Clinico del carcere di Marassi con il cantautore Buby Senarega, nel contesto del progetto A 27 proposto dalla Cooperativa di intervento psico-sociale "Il Biscione": nove canzoni collegate da un breve racconto ironico, che fanno seguito al percorso poetico - musicale di "Concerto per sbarre", uscito l’anno scorso. "Abbiamo scartato la soluzione della cupa tristezza e del vittimismo in favore della realtà raccontata con sensibilità contenuta, per una lettura quanto possibile leggera ma nello stesso tempo pungente della vita in carcere", racconta Buby Senarega, molto attivo nel volontariato e da cinque anni animatore nelle case circondariali di Genova e Imperia. Tutti i testi delle canzoni sono stati elaborati collegialmente e musicati con la chitarra nel corso di 24 incontri nei locali del Centro Clinico. Poi registrati e arrangiati da Bruno Costa e Alessio Siena, in un disco che dà voce a chi non ne ha e si fa richiesta d’ascolto verso una società che troppo facilmente rigetta e dimentica. Ecco allora il dolente canto d’amore di "Loving you", venato d’atmosfere irlandesi, e le rocambolesche disavventure di chi non ha mezzi e strumenti per difendersi dalla fluidità della giustizia narrate in "Un caso sorprendente". Poi l’autoironica riflessione de "L’uomo cancellato", che dall’amara ribellione dovuta alla disillusione giunge ad una consapevole e dignitosa rassegnazione, e l’esorcismo del pensiero della morte che si avvicina a grandi passi nella ballata "Non vestite di nero". Fino al ritmo brechtiano di "Leso diritto", che mette a nudo la duplice faccia della giustizia e, naturalmente, a "La domandina" che dà il titolo a tutto il lavoro, tarantella disincantata che esorta ironica: "dài, fai la domandina, la si esaminerà / una rispostina, può darsi arriverà". Brescia: detenuti a scuola con "sponsorizzazione" di una banca
Giornale di Brescia, 17 agosto 2004
Nei giorni scorsi la Banca di credito cooperativo dei Colli Morenici del Garda ha deciso di contribuire economicamente a un importante progetto di reinserimento dei detenuti ospitati nella casa circondariale di Canton Mombello a Brescia. L’istituto di credito gardesano ha consegnato all’istituto di pena tutto il materiale didattico necessario per consentire ai detenuti di frequentare i corsi di alfabetizzazione e per il conseguimento del diploma di scuola media inferiore gestiti dalla scuola media Franchi, nonché del corso per geometri organizzati dal carcere e tenuti da docenti dell’Istituto tecnico statale Nicolò Tartaglia di Brescia. Dopo aver appreso che nei mesi scorsi un detenuto aveva potuto diplomarsi grazie a una iniziativa analoga, la banca di credito cooperativo dei Colli Morenici del Garda si è messa in contatto con l’istituto di pena per valutare le eventuali necessità, apparse subito rilevanti, poiché le aule mancavano praticamente di tutti i supporti necessari all’attività didattico-educativa. Il contributo stanziato dall’istituto di credito consentirà alla casa circondariale di colmare questa lacuna e ai cittadini detenuti di proseguire gli studi in vista del prossimo reinserimento nella società civile. Tra i supporti scolastici donati si segnalano in particolare un congruo numero di vocabolari italiano - russo, italiano - arabo e italiano - cinese, nonché carte ed atlanti geografici e tutti quegli strumenti tecnici quali compassi goniometri, normografi e squadre necessari allo svolgimento delle lezioni. È poi già stata prevista per il prossimo futuro la consegna di un numero elevato di personal computer necessari per creare una aula informatica. Nuoro: annullata senza spiegazioni la visita del ministro
L’Unione Sarda, 17 agosto 2004
Il ministro della Giustizia Roberto Castelli annulla all’ultimo minuto la visita nel carcere di San Sebastiano: un cambio di programma che, nel piccolo mondo chiuso dell’istituto di pena sassarese, viene vissuto come un bruciante e immeritato schiaffo in faccia. In direzione lo scoprono quand’è ormai mezzogiorno: preoccupati, telefonano al provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria e ci restano con un palmo di naso. Il ministro, che sta trascorrendo le vacanze in Costa Smeralda, non viene più: ha deciso di fare la sua ormai consueta improvvisata di Ferragosto in un altro carcere sardo. Quale? Badu ‘e Carros: due anni fa era stato Buoncammino, l’anno scorso il carcere di Alghero. Perché non più Sassari? Non è dato sapere. A San Sebastiano ci restano tutti con un palmo di naso. Era tutto pronto, per l’arrivo del Guardasigilli: uffici e corridoi imbiancati in tutta fretta, vasetti di fiori per ingentilire un carcere che gentile, spumante e stuzzichini per un aperitivo di benvenuto, attori su un palcoscenico allestito nella rotonda per concedere un paio d’ore di intrattenimento ai detenuti, che pochi giorni fa hanno sciolto un voto alla Vergine Assunta realizzando dei piccoli candelieri. C’è anche un pugno di giornalisti, teleoperatori, fotografi: ufficialmente sono lì per lo spettacolo, ma in realtà aspettano Castelli. Come i trenta agenti richiamati in servizio da permessi, riposi, ferie. Molti sono in alta uniforme per il picchetto d’onore: ci sono anche gli uomini della guardia navale di Porto Torres, più un gruppo allertato per fare da scorta al titolare del dicastero di via Arenula. Tutte procedure previste dal protocollo, tutte inutili. La direttrice Patrizia Incollu, costernata, si limita a prendere atto della novità e a confermarla ai giornalisti che le si fanno addosso: commenti, però, nemmeno a parlarne. A mormorare sono agenti e dipendenti. "Una presa in giro, una grave mancanza di correttezza", ringhia davanti ai taccuini Margherita Aragona, rappresentante Cgil: "Uno scandalo, l’ultima delle cose scandalose che ha fatto questo ministro. L’annuncio di una sua visita mobilita un sacco di persone: qui c’è gente che ha dovuto rinunciare a una giornata insieme ai suoi cari. E lui, che è in ferie, si permette di non venire". "Mi ha rovinato la giornata", mormora incredulo, fra sé e sé, un agente: "Sono in piedi dalle cinque e mezzo". La visita era stata annunciata alcuni giorni fa e confermata da una serie di fax. Non era stato indicato un orario, ma questo non sembrava costituire un problema: anche le visite degli anni scorsi a Cagliari e Alghero ("per ringraziare Ñ disse in quest’ultima occasione Castelli Ñ gli agenti che lavorando 365 giorni l’anno garantiscono il funzionamento del sistema carcerario") erano annunciate ma non troppo. Quest’anno, a Sassari, qualcosa non ha funzionato: e quello che doveva essere un omaggio ai lavoratori delle carceri rischia di trasformarsi in un’occasione di risentimento. Napoli: festa per gli "scugnizzi" arrivati da Nisida
Il Mattino, 17 agosto 2004
Quest’anno non c’è stata la tradizionale visita del sindaco a Nisida, nel carcere minorile ma i ragazzi ospiti della particolare struttura tanto cara anche a Eduardo De Filippo, hanno avuto lo stesso la possibilità di vivere un Ferragosto diverso, non da reclusi. Infatti, per la prima volta, grazie all’opera dio mediazione della Iervolino, sono stati ospiti dell’amministrazione al concerto che Sal Da Vinci ha tenuto il 15 sera alla Rotonda Diaz. Uno spettacolo particolare visto che l’artista ha portato in scena molte canzoni del musical "Scugnizzi" che ha preso spunto proprio dalle vicende di vita degli ospiti di Nisida. Spettacolo che ha avuto un successo straordinario visto che sono due anni consecutivi che viene proposto in tutta Italia con grande riscontro di pubblico. Spettacolo che quando si è tenuto all’Augusteo ha visto ospite anche il presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi che personalmente si è congratulato, in quell’occasione, con tutti gli attori. Molti dei quali non professionisti, attori di strada nel vero senso del termine. Una serata commovente e allegra allo stesso tempo quella vissuta alla Rotonda Diaz con il sindaco in prima fila, fianco a fianco con i ragazzi di Nisida. Insieme a loro ha intonato e cantato molte delle canzoni interpretate da Sal Da Vinci. Un paio d’ore è durato lo spettacolo, la presenza degli ospiti del carcere minorile è stata in dubbio fino a poche ore prima della serata di gala. Poi la situazione è stata sbloccata. Nessun intoppo e nessun problema nonostante siano stati moltissimi i napoletani che si sono recati sul lungomare per godersi l’aria tiepida e la serata di festa. Del resto la città mai come quest’anno non si è svuotata e in tanti hanno preferito trascorrere la giornata di festa a casa loro. Massiccia se anche discreta la presenza delle forze dell’ordine e dei vigili urbani. Traffico lento ma scorrevole, buona anche la risposta dei commercianti visto che sul lungomare e anche alla Riviera di Chiaia erano tanti i bar e i ristoranti aperti, presi letteralmente d’assalto. Affari d’oro anche per loro in un Ferragosto passato da tutta la città in grande tranquillità. Luigi Pagano: "Un carcere civile non è un tormento"
Il Manifesto, 17 agosto 2004
Il nuovo provveditore agli istituti di pena lombardi racconta problemi e difficoltà del far funzionare un’istituzione repressiva con migliaia di detenuti. E auspica che sempre più si cerchino pene differenziate. Il problema degli stranieri. Da tre mesi Luigi Pagano è provveditore regionale delle carceri lombarde. Il suo nuovo ufficio, in piazza Filangieri, è di fronte all’ingresso di San Vittore, che ha diretto per quindici anni.
Come si diventa direttore di un carcere? Posso parlare in base alla mia personale esperienza: non per vocazione, ma per interesse al crimine e alla devianza. Avevo curiosità sul perché succedessero certe cose, e devo dire che a Napoli l’ambiente ti aiuta: in qualche modo o sei da una parte o dall’altra. Poi c’è tutta una tradizione di avvocati e di processi per cui si resta affascinati. Così, dopo il liceo scientifico mi sono iscritto a legge e mi sono laureato con una tesi in antropologia criminale. Una serie di segni o, per chi ci crede, il destino mi hanno portato con una certa inesorabilità a questo mestiere. Nel 1978, mentre seguivo il corso di specializzazione, Prima Linea ha ammazzato il professore con cui mi ero laureato, Alfredo Paolella, fautore della riforma penitenziaria del ‘75. La mia tesi di specializzazione in criminologia era sulle misure alternative alla detenzione e sull’importanza del rapporto con l’esterno. Dopo il concorso, il primo istituto in cui sono capitato è stato quello di Pianosa, che nemmeno sulla cartina lo vedevi. Passo dopo passo sono arrivato a San Vittore.
Come ricorda l’esperienza a San Vittore? Quest’esperienza mi ha inorgoglito parecchio, sia perché c’è stato un rapporto di fiducia da parte dell’amministrazione, sia perché sono stato accettato dai milanesi, io napoletano. Il carcere di San Vittore nel bene e nel male è nel cuore dei milanesi.
Quali sono stati i momenti di particolare difficoltà? Ogni secondo potrebbe essere un momento critico, questo vale per ogni istituto penitenziario. San Vittore moltiplicava le criticità per 2400, tanti erano fino a due anni fa i detenuti. L’impegno - non dico la capacità - degli operatori, direttore compreso, sta nel ridurre al minimo queste criticità, valutando in maniera oculata quali siano le più importanti da risolvere. Credo che sia quello previsto dalla Costituzione, vale a dire una pena dignitosa e rispettosa della personalità. Tra i momenti brutti ricordo i vari suicidi. L’ho sempre detto, senza voler sembrare né monotono né retorico.
Quanti suicidi ci sono stati a San Vittore nel periodo in cui era direttore? La media era di due/tre all’anno, certe volte anche quattro. Ho il legittimo orgoglio, assieme agli operatori, d’aver riportato i suicidi a uno all’anno nell’ultimo biennio. Anche quest’unico va eliminato. L’ingresso è il momento più a rischio, anche se ci sono stati suicidi che non c’entravano niente con questo momento iniziale, in cui si fissa una sorta di inprinting che caratterizza tutta la detenzione. Non sappiamo perché, ma è così. Destando l’attenzione sul momento iniziale si raccoglie molto. Attenzione non significa "accarezzare" il detenuto, ma prestare attenzione ai suoi problemi. Non dicendo sempre di sì, ma facendogli sapere che l’amministrazione, attraverso i suoi operatori, è presente e dà risposte certe. Bisogna dire di sì ogniqualvolta non è legittimo dire di no, e comunque essere presenti. Questo è quello che abbiamo cercato di fare, utilizzando non solo gli operatori e gli agenti, ma anche i volontari che accompagnano i detenuti appena arrivati per i primi sette/dieci giorni. Non è paradossale dire che è un’"accoglienza", perché il carcere è un mondo estraneo, un mondo alieno, che chiude la porta all’esterno.
Può citare qualche cambiamento significativo a San Vittore? Il ridimensionamento del terzo raggio che ora, dopo sette anni, può considerarsi un reparto d’eccellenza (detto con pudore, perché un carcere è sempre un carcere) degno di un paese civile. Lo stesso si sta facendo per il quinto raggio, che sarà pronto in autunno e, come il terzo, sarà a numero chiuso. Gli attuali 1400 detenuti sono sempre tanti, ma sicuramente si lavora molto meglio.
San Vittore chiuderà? Sulla questione "carcere in città o fuori" io manterrei una posizione pragmatica, non farei delle battaglie ideologiche. Utopisticamente spero in una società senza carceri, ma se il carcere c’è, che funzioni. Questo significa non soltanto fare in modo che i detenuti non scappino, ma che il carcere sia rispondente all’articolo 27 della Costituzione, che ci sia quindi una pena dignitosa per la persona cui si sottrae la libertà. Penso a un carcere importante come servizio sociale. Non un carcere fine a se stesso, che quindi si può dimenticare spostandolo in periferia. Lo si può spostare per motivi funzionali, tenendo presente comunque che la sicurezza non è data dalla carcerazione in sé. La mafia, per esempio, per molto tempo è riuscita a regolare i suoi affari anche dal carcere. Il vero momento della sicurezza non è durante, ma dopo il carcere. Il punto cruciale è riuscire a togliere la pericolosità al detenuto in modo che non commetta più reati. Per togliere la pericolosità bisogna agire su quegli interventi di natura trattamentale che non sono un optional del detenuto, ma un interesse della società. Se facciamo trascorrere il periodo di detenzione senza operare alcunché e senza offrire un’altra strada al detenuto, facciamo male a lui e buttiamo soldi dalla finestra.
Può fare degli esempi di trattamenti in cui viene coinvolta la società? A San Vittore c’è il call center, realizzato grazie alla famiglia Moratti e al presidente della Telecom Tronchetti Provera. Il telelavoro permette di lavorare con gli stessi standard dell’esterno. A Opera una cooperativa di detenuti gestisce la formazione professionale all’esterno, sul posto di lavoro; sono conosciuti e apprezzati come scalpellini. A Bollate recuperano i computer e stanno lavorando ad alcuni progetti per appaltare i servizi interni di vitto, sopravvitto e manutenzione ordinaria a cooperative di detenuti. È necessario il coinvolgimento esterno perché la carcerazione dignitosa non basta, sarebbe un peccato sprecare un’occasione di reinserimento.
Qual è stato l’impatto dei detenuti stranieri? Con gli stranieri si è stravolta l’essenza dell’ordinamento penitenziario del `75. Quest’ultimo ragionava su un detenuto "tipicamente" italiano, dotato di famiglia e di alloggio, potenzialmente in grado di trovare lavoro. La maggior parte dei detenuti stranieri non ha quasi nessuno di questi requisiti. Come si fa a parlare di reinserimento sociale di una persona che deve essere espulsa, che non solo non ha una casa e un lavoro, ma neppure il permesso di soggiorno? Da anni a San Vittore più della metà dei detenuti sono stranieri, quasi tutti irregolari, privi di documentazione di alcun tipo.
Esiste un circuito tra San Vittore e il Cpt di via Corelli? Può esserci ma non è automatico. Si può anche pensare che tutti i comportamenti irregolari possano essere puniti col carcere. Ma il problema di fondo è proprio un altro: è quello della "irregolarità", della mancata integrazione nel circuito sociale. Le stesse espulsioni "penali" previste dalla Bossi-Fini, per svariati motivi, vengono eseguite raramente. L’immigrazione è un problema complesso. Non saprei come risolverlo. Di certo, non con un’ottica meramente penale.
Se lei potesse riformare senza limiti il sistema penitenziario, cosa farebbe? Con una buona dose di retorica, potrei dire che mi piacerebbe un mondo senza il male. Ma poi immagino che sarebbe noioso. Da un punto di vista pratico, la mia ricetta sta tutta in una parola: differenziare. Abbiamo un sistema legislativo che dà risposte su tutto, il punto sta nell’applicarlo. Sia la riforma del `75 sia le leggi Gozzini dell’86 prevedono che il carcere sia nell’angolo rispetto a tutto il sistema penale. Il trattamento penitenziario deve sì risolvere il problema della pericolosità, ma non lo può fare soltanto intimidendo, oppure facendo passare il tempo. Dobbiamo pensare a un intervento preventivo nella società. Per esempio, se il problema è quello della tossicodipendenza, prima di ristrutturare il carcere io penserei a incrementare i livelli dei servizi dell’Asl, poi magari delle comunità. Lo stesso per quanto riguarda altri tipi di reati. Quindi la prima domanda da farsi è: è un comportamento penale? Se sì, il carcere è la risposta più giusta o ne diamo una di tipo amministrativo? Se pensiamo al carcere, che tipo di sanzione vogliamo adottare? Ancora il carcere per tutto e per tutti, dal furto all’omicidio, oppure vogliamo diversificare le pene? Si sta già mettendo mano al codice penale. Col giudice di pace stiamo sperimentando la mediazione: non è la panacea, ma aumenta le misure a disposizione. La legge del taglione corrispondeva a una società cruenta, però prevedeva pene diversificate: taglio della mano, decapitazione, esilio. Oggi c’è il rischio di non diversificare, e questo comporta che sei costretto a usare la misura che probabilmente non è quella giusta. Poi tutti concludono: sì è vero, sto utilizzando il carcere, ma non c’è niente di diverso. Benissimo: discutiamo su qual è la misura migliore, col massimo pragmatismo.
Ha mai partecipato alle attività interne al carcere assieme ai detenuti? A Pianosa, allora mi allenavo a livello agonistico, giocavo a calcio con loro. Penso che il direttore non sia né l’educatore né il cappellano. Deve garantire una pena dignitosa, ma deve ricordarsi di essere anche carceriere. Fingere che il momento detentivo non esista è pericoloso. Milano: il Freeopera calcio va a giocare in trasferta
Il Manifesto, 17 agosto 2004
La squadra si chiama FreeOpera, ha conquistato ai play off la promozione in Seconda categoria e il prossimo campionato potrà giocare anche in trasferta. Una gradita novità per la squadra di calcio dei detenuti del carcere di Opera. Trasferte sotto scorta, per evitare che qualcuno lanci la palla fuori campo e s’involi. La trasferta più distante - 17 chilometri - sarà a Segrate. Per entrare in squadra si sgomita. L’allenatore, l’algerino Nourreddine Zekhri, ha potuto scegliere i titolari in una rosa di 40 elementi di 14 nazionalità diverse. Il presidente, il direttore del carcere Alberto Fragomeni, è subissato dalle autocandidature di detenuti di altri istituti di pena. Il centravanti del FreeOpera è il ventiquattrenne Cristian Denaro, fine pena 2007. A gennaio la squadra perderà l’uomo chiave, la mezzapunta Samir Zantar tornerà in libertà. "Speriamo giochi almeno in trasferta, come extramurario", dice l’allenatore. Il problema non si pone per uno dei terzini che in galera deve starci fino al 2026. Reggio Calabra: le esigenze dei detenuti delle carceri reggine di Renato Meduri (senatore)
Quotidiano di Calabria, 17 agosto 2004
Nella mattinata del 13 agosto mi sono recato in visita istituzionale presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria, quale senatore della Repubblica attento alle problematiche del settore penitenziario tanto che proprio recentemente è stato licenziato dal Senato un Disegno di Legge a mia firma che riconosce ai Direttori degli Istituti Penitenziari e di Centro di Servizio Sociale un trattamento giuridico ed economico adeguato alle funzioni svolte. Sono stato accompagnato nella visita dalla Direttrice Maria Carmela Longo e dal Comandante del Reparto Ispettore superiore Maurizio Petrassi i quali mi hanno illustrato tutte le iniziative e le attività realizzate all’interno richiamando in particolare la mia attenzione sul notevole sforzo ed impegno sostenuto negli ultimi mesi per effettuazione di lavori sulla struttura che consentono a chi vi presta la propria attività di avere ambienti decorosi ed adeguati ed a coloro che sono ristretti di fruire di spazi dignitosi e puliti. Tutto l’edificio è un fermento di attività lavorative effettuate dagli stessi detenuti che spinti da impareggiabile slancio non lesinano l’impegno per migliorare le condizioni di vivibilità della struttura. Ho potuto constatare in effetti che gli ambienti lavorativi e detentivi sono idonei nonostante lo stabile demaniale risalga al 1930 e si può definire adeguato ad un Paese democratico, perché nel presupposto della certezza della pena, sia effettivo e concreto il rispetto della persona e della sua dignità. Ho visionato nel corso della visita i lavori attualmente in corso per la realizzazione di un Reparto di Osservazione psichiatrica, unico nella nostra Regione e che sarà attivato entro la fine dell’anno e consebntirà di gestire la problematica del disagio psichico con un approccio non di puro contenimento ma applicando trattamenti terapeutici avanzati. Ho successivamente incontrato una parte di popolazione detenuta intrattenendomi cordialmente con gli stessi che non hanno mancato di evidenziare gli interventi ed i cambiamenti che l’Istituto ha subito negli ultimi mesi. Gli stessi detenuti hanno rappresentato l’esigenza di fruire di più ampi spazi per attività, ad oggi, non realizzabili a causa di una grave carenza di personale dio Polizia Penitenziaria assegnato all’Istituto reggino. Indubbiamente positivo è stato l’impatto con una struttura che con tutte le sue componenti sta realizzando un cambiamento radicale sotto la guida e l’impulso del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Paolino Maria Quattron, in un progetto di ampio respiro che ha visto, da un anno a questa parte, confluire mezzi e risorse in una regione in cui il sistema penitenziario era ancorato ad un puro contenimento dei soggetti detenuti. Detto progetto consente con efficacia ed efficienza, di realizzare il principio costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Stupisce che, solo oggi, vengano denunziate inefficienze e disfunzioni non imputabili certamente a chi si sta prodigando in un efficace opera di effettivo rinnovamento, mentre nel passato costoro hanno taciuto sulle condizioni di assoluta invivibilità in cui versava la popolazione detenuta reggina e gli operatori penitenziari, ai quali non erano assicurati adeguate condizioni lavorative. Nuoro: risolto il problema della direzione, che diventa stabile
L’Unione Sarda, 17 agosto 2004
Ha annunciato assunzioni di personale per le carceri d’Italia e stabilità nella direzione di Badu ‘e Carros. Lo ha fatto sotto il sole di Ferragosto, al termine di una visita a sorpresa nel penitenziario nuorese. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli, abito scuro e fazzoletto verde nel taschino, ha varcato il portone d’ingresso di Badu ‘e Carros poco prima delle 12,30, accompagnato dal capo del personale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Gaspare Sparacia e del provveditore regionale Nello Cesari. Ad attenderlo Paolo Sanna, direttore di un carcere da tempo al centro di mille proteste per carenze di personale, sovraffollamento, pecche strutturali e precarietà a causa dei tanti incarichi a direttori con la valigia. "Badu ‘e Carros è una situazione media, con luci e ombre. C’è una situazione di sovraffollamento sopportabile: tre persone in celle abbastanza ampie. C’è qualche problema che in un futuro prossimo riusciremo a eliminare". Parla così il ministro al termine della visita, andata avanti per poco più di un’ora. Per tutta la mattinata l’hanno atteso nel carcere sassarese di San Sebastiano. Invece Castelli, che come altre volte trascorre le vacanze nella colonia penale di Is Arenas, ha preferito la tappa nuorese. "Non ho mai detto che sarei andato a Sassari. Si sa che amo trascorrere le vacanze in Sardegna. Quindi, finora, a Ferragosto ho fatto visita a carceri sarde. Siccome ero in giro nella costa nord-orientale qualcuno ha pensato che sarei andato a Sassari. Questa visita fa parte di una tradizione che va avanti da tre anni per incontrare chi, in questa giornata di festa, lavora per garantire un servizio inderogabile ai cittadini". Alle 13,40 la visita nella sezione ad alta sicurezza e in quella femminile è finita. Seduto dietro la scrivania, nell’ufficio della direzione, il ministro parla. "Sono di grande soddisfazione i dati di ieri (sabato n.d.r.) secondo i quali i delitti stanno diminuendo nel nostro Paese, a testimonianza dell’impegno del Governo. Dal punto di vista penitenziario, ci preoccupa il sovraffollamento, ma la Sardegna non è tra le regioni più critiche". Dopo le rassicurazioni, le novità: ovvero l’assunzione entro l’anno di mille unità nel settore amministrativo, 1500 agenti e 286 "ragazze che ora stanno finendo il corso per poter entrare nella polizia penitenziaria". "Qualche unità verrà assegnata anche a Nuoro". Tiene a dire che, comunque, qui la carenza di personale "non è drammatica". Invece "al Nord la situazione è più difficile". Per lui il problema legato all’instabilità del direttore e del comandante della polizia penitenziaria non esiste più. "Siamo riusciti a stabilizzare la situazione. Abbiamo un direttore stabile, abbiamo sanato la situazione", dice mentre Paolo Sanna ascolta. E il suo volto tradisce un po’ di sorpresa. Castelli estende poi lo sguardo verso gli altri istituti sardi. "A Tempio è programmato un nuovo carcere", dice smentendo le voci di una possibile chiusura. E a proposito di Lanusei aggiunge: "Adesso vediamo. Ho dato ordine di non chiudere nessun reparto senza ordine del Dap". Ultimo pensiero per l’Asinara e le polemiche scatenate dalla sua proposta di far lavorare i detenuti nell’isola-parco. "Pochi giorni fa sono stato a Pianosa: è un quadro desolante malgrado l’impegno dei volontari. Mettiamo manodopera che aiuti a tenere questi parchi. Dà opportunità di lavoro ai detenuti e offre un aiuto per tenere queste isole splendide in condizioni adeguate al loro valore ambientale e paesaggistico". Venezia: un percorso di recupero nel segno della legalità
Il Gazzettino, 17 agosto 2004
Il Cssa ha avviato collaborazioni con associazioni di volontariato per favorire una presa di coscienza degli errori commessi. Tra i casi di cui si occupano figurano i caparozzolanti abusivi, i manager che abbiano commesso reati d’impresa, le persone con problemi di inserimento sociale condannate per furto. È un’umanità varia quella degli utenti del Servizio sociale adulti (Cssa) del Ministero di Grazia e Giustizia che segue tutti coloro che, per i reati commessi, hanno ricevuto una condanna non superiore ai tre anni (non superiore ai quattro, solo se si tratta di persone con problemi di dipendenza da alcol o droga) che non viene scontata in carcere. Una volta che la sentenza sia passata in giudicato e non sia più appellabile, infatti la Procura emette un ordine di carcerazione, comunicando però all’interessato che, entro trenta giorni, ha la possibilità di richiedere al Tribunale di sorveglianza una misura alternativa alla detenzione. "Fino all’86, quando è entrata in vigore la legge Gozzini, il carcere era il passaggio obbligato per tutti i condannati che dovevano scontare la pena, ma un’ulteriore svolta c’è stata nel ‘98 con la legge Simeone - Saraceni che ha dato nuovo impulso alle misure alternative alla detenzione - spiega Chiara Ghetti, dal ‘93 responsabile del Cssa per le province di Venezia, Belluno e Treviso, con una squadra di 23 assistenti sociali - alla base della nostra attività c’è un principio, sancito dalla Costituzione e dal regolamento penitenziario, che dà fiducia a chi ha commesso dei reati, nel tentativo che queste persone possano migliorare la propria vita". "Il nostro lavoro si basa sulle regole stabilite dal Tribunale di sorveglianza che prevedono comunque una limitazione della libertà della persona tendenzialmente obbligata a dormire a casa propria e a lavorare o comunque ad impegnarsi in qualche attività significativa - continua l’assistente sociale Federica Frattini - sono previsti anche obblighi positivi che possono includere un percorso scolastico o di disintossicazione da alcol o droga. Cerchiamo di coinvolgere nel programma anche l’ambiente familiare della persona e siamo in rete con servizi, istituzioni e associazioni del territorio. Di recente, tra l’altro, abbiamo siglato una collaborazione con il Comune di Venezia coinvolgendo associazioni assistenziali e ambientaliste all’interno delle quali cerchiamo di inserire i nostri utenti per favorire anche una presa di coscienza degli errori commessi e un tentativo di riparazione del danno". Uno degli aspetti più innovativi è proprio quello che include la possibilità di far rientrare nel programma azioni di riparazione del danno a favore delle vittime dei reati commessi o comunque della collettività. La sfida dunque è un recupero del senso della legalità e della civiltà.
Ma chi sono gli utenti in carico al servizio?
"Attualmente abbiamo in carico 347 persone nella provincia di Venezia. Per il 90 per cento si tratta di maschi di età compresa tra i 25 e i 50 anni - sottolinea l’assistente sociale Elena Mainardis - nel nostro servizio il 54 per cento degli utenti è sottoposto a misura alternativa alla detenzione, ma per il 24 per cento seguiamo anche le persone detenute soprattutto nei rapporti con il loro ambiente familiare, oltre a coloro che ancora non hanno ottenuto la misura alternativa". I reati commessi dagli utenti sono in maggioranza contro il patrimonio (rapina, furto, danneggiamento), seguiti a ruota dalle violazioni della legge sugli stupefacenti. Ma in qualche caso ci sono anche condannati per reati d’impresa, contro la pubblica amministrazione o ambientali Verbania: Ciampi si congratula per detenuti "forestali"
Osservatorio sulla legalità, 17 agosto 2004
Il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha espresso il proprio apprezzamento al dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con un telegramma indirizzato al direttore, Giovanni Tinebra, per l’esperimento che ha visto un gruppo di detenuti dell’istituto di Verbania affiancare gli agenti del Corpo Forestale nella manutenzione dei percorsi di montagna del Parco naturale della Val Grande. Il progetto - che ha visto coinvolti 20 detenuti - si inserisce nell’ambito delle iniziative previste dal protocollo d’intesa tra i Ministeri della Giustizia e dell’Ambiente firmato dai ministri Castelli e Matteoli l’8 giugno scorso. L’idea di partenza è offrire ai detenuti una possibilità di reinserimento nella vita sociale a partire dal lavoro, diritto e dovere fondamentale della Costituzione repubblicana che favorisce per gli ex carcerati l’adozione di modelli di vita socialmente accettabili e può essere considerato un fattore significativo per la riduzione della recidiva. In particolare si sono scelte attività connesse allo sviluppo e valorizzazione del territorio all’interno delle aree protette con particolare riguardo ad attività sportive compatibili ed agrituristiche nel settore dell’agricoltura biologica, soprattutto in aree protette, dato che tali attività possono essere svolte da detenuti e/o condannati ammessi alle misure alternative. Nei progetti - che mirano ad ottenere la creazione di posti di lavoro nei penitenziari mediante l’affidamento alle carceri di commesse stabili o di lavorazioni per conto terzi - possono essere di volta in volta coinvolte imprese o associazioni.
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