"Flop" del braccialetto elettronico

 

Il braccialetto elettronico ha fatto "flop"

 

La Sicilia, 18 aprile 2003

 

Ricordate i provvedimenti varati dal governo D'Alema e il piano sicurezza 2000 del ministro agli Interni, Enzo Bianco, che comprendeva, tra le altre misure, l'uso del bracciale elettronico per controllare indagati o imputati agli arresti domiciliari per ridurre il numero degli agenti destinati al controllo dei detenuti fuori dal carcere? E Catania non era una delle cinque città "pilota" (con Roma, Milano, Napoli e Torino) a sperimentare l'apparecchio, mettendo a disposizione 75 braccialetti: 34 a polizia, 34 a carabinieri, 7 alla Finanza? Uno, in verità, la Polizia, nel 2002, lo ha installato agli arti inferiori di Mario Marino, che qualche settimana dopo, non credendo forse nel controllo a distanza del braccialetto, decise di sfilarselo, buttandolo in un cassonetto della nettezza urbana, ed "evadere" dagli arresti domiciliari, finendo però nuovamente in carcere perché al momento di uscire di casa era scattato l'allarme alla centrale operativa della polizia.
Ma quello è stato il primo e l'unico braccialetto "sperimentato" in provincia di Catania. E non perché i magistrati non ne hanno previsto l'utilizzo, ma perché non ce ne sono.

O meglio, la convenzione con il ministero all'Interno è sospesa. A fare emergere questa "stortura" è stata la vicenda di un detenuto, Mario Crisafulli, 39 anni, accusato di estorsione aggravata e danneggiamento in quanto, nel luglio 2002, arrestato per avere estorto denaro a una concessionaria di Catania. L'uomo era stato ripreso dalle telecamere di polizia e carabinieri mentre si faceva consegnare il "mensile" di 1.290 euro – tanto era lievitato il pizzo, che veniva ritirato da otto anni - da uno dei soci della concessionaria. Sette mesi dopo la cattura, il Gip Antonino Ferrara, pur evidenziando la pericolosità del soggetto, accogliendo l'istanza dell'avv. Maria Lucia D'Anna, concesse al Crisafulli gli arresti domiciliari, disponendo, tuttavia, l'applicazione del braccialetto elettronico affinché la polizia potesse esercitare i dovuti controlli. L'ufficio matricola del carcere di piazza Lanza lo stesso giorno informò la squadra mobile e il nucleo operativo dei carabinieri della disposizione del Gip, aggiungendo che l'indagato avrebbe lasciato la casa circondariale appena sarebbe pervenuta "la disponibilità dell'autorità di Ps all'installazione dell'apparecchiatura elettronica per potere effettuare i controlli di polizia". E qui comincia il bello.

La sezione Antiestorsioni della Mobile risponde che "questa autorità di PS non dispone di braccialetto elettronico"; il nucleo operativo del comando provinciale dei carabinieri, più articolatamente riferisce di avere interessato il dott. Antonio Martone, dirigente della ditta inglese "Soc. On Guard Plus Italia", responsabile per l'Italia della fornitura dei braccialetti, il quale rappresenta l'impossibilità a fornire l'apparecchio in quanto la stipula della convenzione con il ministero dell'Interno era stata sospesa.

Gli arresti domiciliari sono già stati concessi e quindi il Gip, impossibilitato a fare eseguire i controlli tramite il braccialetto elettronico, decide, cinque giorni dopo, di modificare parzialmente il provvedimento, con l'eliminazione dell'applicazione dell'apparecchio. Di qui il ritorno all'antico: da un lato Crisafulli si dovrà presentare al commissariato PS di Nesima e dall'altro saranno i poliziotti a vigilare che l'indagato non "evada".

Avremmo voluto conoscere i motivi della sospensione dal ministero degli Interni, ma il dott. Cardellicchio, che è a conoscenza della vicenda, in quanto ha ricevuto dalla ditta inglese copia del fax inviato ai carabinieri, era in riunione e non ha potuto replicare. Restano i dilemmi: perché pubblicizzare al massimo questa "innovazione", montare nelle centrali operative terminali e radiolocalizzatori, in parole povere sperperare tempo e denaro, e poi buttare tutto nel cestino?

 

 

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