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Bollate, l’anti San Vittore. Questo carcere non è una galera
Vita, 8 novembre 2002
Siamo entrati in un albergo un po’ speciale, a dire la verità. Ha sbarre altissime che lo proteggono da sguardi indiscreti, guardie armate all’ingresso, una vista ben poco panoramica. I muri dell’albergo in questione sono alti, imponenti. La hall disadorna. I corridoi lunghi, silenziosi. I pavimenti tirati a lucido, le pareti linde. In alcune stanze fanno bella mostra di sé riproduzioni di quadri, genere pop art. L’albergo ha un nome, però, decisamente esotico: Casa Circondariale di Bollate, Milano. Senza girarci troppo intorno (e certo che a girarci attorno ce ne vuole: 240 mila i metri quadrati) il paragone prende spunto dalle parole di un ministro, l’ingegner Roberto Castelli. Amministra la Giustizia italiana, Castelli, e sostiene che non l’ha mai detto che le patrie galere sembrano hotel. Tanto per fargli un favore, abbiamo cercato l’hotel. Con i suoi silenzi attutiti, i suoi spazi giganteschi e i suoi orologi a muro tutti rotti (non si capisce perché), Bollate, però, ci ha dato l’impressione, più che di un hotel, di come dovrebbe essere una galera. E di come non è. Il campo da calcio è regolamentare, ma sembra enorme, di campi da tennis ce ne sono due, e poi spazi verdi e spazi giochi per bambini a profusione, uffici, una caserma, case per gli agenti. La prima cosa che colpisce è proprio il campo sportivo. Se poi uno pensa che, a San Vittore, i detenuti hanno girato un film, Campo corto, campo da calcetto in cemento solo da poco diventato di erba sintetica, dove uno ci morì pure, viene da pensare bene. Di Bollate, ovvio.
Una direttrice speciale
Le celle restano aperte dalle 7 alle 21, per chi ha figli piccoli i colloqui avvengono in saletta privata senza nessuna domandina, a rotazione i detenuti possono mangiare con i loro famigliari, alla domenica. Insomma, "un paradiso", dicono alcuni detenuti. Che a San Vittore ci sono stati e ora sono stati trasferiti qui. Ma non sono tutte rose e fiori, naturalmente. L’istituto, visto da fuori e vissuto da dentro, è triste, freddo. Troppo silenzioso, troppo pulito, troppo isolato. I bracci (nei piani) sono quattro e comunicano tra di loro grazie a un corridoio centrale, "aperto". Vuol dire che i detenuti superano cancelli aperti. Poco lontano c’è "la Staccata", sezione femminile mai nata e luogo principe della sperimentazione. Cosa vuol dire "circuito penitenziario differenziato" ce lo spiega la direttrice di Bollate, Lucia Castellano (38 anni, napoletana, una lunga esperienza nel settore "carceri speciali", speciali nel senso di "modello". "A ogni utente del carcere va data una risposta differente, a seconda della condizione e della pena. Da noi vengono, volontariamente, persone interessate a sottoporsi a un percorso riabilitativo. Questa la teoria. La pratica, purtroppo, di fronte all’invivibilità e al sovraffollamento di San Vittore, ci ha scaricato addosso ben altra tipologia di detenuti. Cerchiamo comunque di tenerli separati. Due padiglioni sono stati adibiti agli "sfollati" di San Vittore, quasi tutti con pene brevi, brevissime, circa 400. Gli altri reparti seguono il percorso originario".
Calcio e ping pong
Il "giro" nel carcere modello lo facciamo con Tiziana, 37 anni, educatrice, timida, dolcissima, che i detenuti li conosce quasi uno per uno e ascolta le lamentele di tutti, con pazienza, e Vito De Ruvo, sovrintendente di polizia che ha i modi e le premure dell’assistente sociale. La direttrice ha troppe cose da fare: problemi dei detenuti, alla fine, sono quelli di sempre. Giancarlo legge un libro, ma s’annoia, "perché non c’è niente da fare". Mentre parla, la saletta adibita allo svago (ping pong e biliardino) si anima. I detenuti lamentano mancanze nell’applicazione delle pene alternative, chiedono a gran voce l’indulto, ma a Bollate persino la protesta che ha coinvolto le carceri di mezz’Italia è stata civile, beneducata. Di come vivono non si lamentano: "Le celle sono spaziose, pulite, i muri bianchi". I più giovani giocano a calcio e a tennis, altri seguono i corsi d’informatica o quelli di alfabetizzazione. Gli extracomunitari, naturalmente, sono i meno entusiasti, i più duri. "Cibo e spazi per la preghiera vanno bene", dicono, "ma a volte le risse scoppiano anche qua: ci provocano". La scarsa o debole presenza di associazioni di volontariato e imprese che offrono lavoro la lamentano anche loro: l’ozio pesa. Ma il contesto lascia a bocca aperta: capannoni lavoro grandi come piazze d’armi, uno spazio polivalente per cinema e teatro da 800 posti che già ha un suo cartellone e presto si aprirà anche al pubblico "normale", l’infermeria perfetta, 20 computer.
Il bibliotecario-poeta
Lo sportello legale è stato inaugurato da poco grazie ai volontari del "Mario Cuminetti", come pure la biblioteca che, appena nata, è imponente: 12 mila volumi e un bibliotecario-poeta, Paolo, che assieme ad altri la cura con amore e intelligenza. Francesco ("sono un imprenditore, finito dentro per un classico caso di malagiustizia") ha convinto gli altri a scioperare, nei mesi scorsi, e aiuta i detenuti a scrivere permessi e domande. L’intellighentija del carcere ci crede, nel progetto Bollate, ma vorrebbe preservarlo "da tossici e malviventi che, arrivati da San Vittore, occupano già due bracci. Per loro Bollate è un parcheggio. Lo capiamo, ma gli equilibri saltano". Ed ecco che nascono liti, risse, furti, tentati suicidi. "Non possiamo più dormire con le porte aperte". Scusa? "Con le porte delle celle aperte". Ah, ecco. Dormono con le porte aperte, a Bollate. In galera. Un carcere modello? L’idea (o forse l’utopia?) di Bollate, in fondo, sta tutta qua, nel tentativo di farne un carcere per detenuti modello, selezionati uno ad uno e che sceglievano loro di venirci, in galera. Sperimentale nel senso di incentivare al massimo le attività lavorative e trattamentali, il reinserimento. Una specie di camera di compensazione tra il carcere vero e proprio e la remissione in libertà dei condannati, un luogo dove si potessero attivare corsi e percorsi di formazione professionale, culturale, sociale. "Il concerto di base è quello dell’autogestione della propria giornata detentiva, cioè l’idea di non subire la detenzione, ma viverla", torna a spiegare la direttrice. "Studiano, giocano, leggono, godono di facilità di movimento, lasciano "le celle aperte". Si chiama "regime di custodia attenuata, ma nei fatti possiamo applicarlo solo alla metà circa dei detenuti presenti, quelli con pene tra i 2 e gli 8 anni e che a Bollate hanno scelto di venirci. È sempre più difficile, però. Di fatto solo alla "Staccata", l’ex sezione femminile, il trattamento differenziato è a regime. Negli altri padiglioni del carcere, speciali e normali cercano di convivere. Tra mille difficoltà". Non è il solo, in Italia, ma su Bollate i vertici dell’Amministrazione penitenziaria hanno investito le loro migliori intenzioni per anni. Per troppi anni. Doveva essere un modello, appunto. È stato realizzato seguendo i principi del nuovo regolamento penitenziario, fortemente voluto dall’ex sottosegretario Franco Corleone e fortemente osteggiato dall’attuale ministro Castelli. Risultati? Così e così.
Serre? No, celle...
È stato persino inaugurato due volte, Bollate: nel dicembre 2000, dall’allora ministro della Giustizia, Piero Fassino, e a novembre 2001 da Castelli. Sergio Segio, del Gruppo Abele, disse: "Un carcere inaugurato due volte ne vale due? Spesi il doppio del tempo e il doppio dei soldi (240 miliardi di vecchie lire, 280 milioni ogni branda), ma i posti non sono doppi". Oggi, su 870 posti disponibili, Bollate ne ha riempiti solo 770. Castelli, ovviamente, come minimo vuole aumentarli e portarne la capienza almeno a 1.100. A Bollate sono contrari: "Sarebbe un guaio", dicono. Ma i guai non vengono mai da soli. La costruzione di una serra per la coltura di fiori e ortaggi (per il reinserimento al lavoro) è a rischio. I fondi potrebbero essere dirottati per costruire i due nuovi padiglioni di Castelli. "Sarebbe un gravissimo errore", denunciano i consiglieri comunali di Palazzo Marino, Maurizio Baruffi (Verdi) e Daniele Farina (PRC): "Tutti i progetti educativi di Bollate andrebbero a monte".
Dormire a porte aperte
Ma i problemi sono anche altri, a Bollate. La freddezza e la durezza della vita quotidiana rende la vita di chi lavora qui, i più sono meridionali, simile a quella di un recluso. Anche se fa la guardia carceraria o l’educatrice. Persino la direttrice ne soffre. Il carcere - casbah di San Vittore starà anche in pieno centro, a Milano, ma è un alveare umano fino a ieri pronto a scoppiare. Sono in 1.200, oggi, i residenti della pensione San Vittore: stanno un po’ meglio perché ne hanno "sfollati" 800, di cui 400 proprio a Bollate. Il fatto è che, con le carceri italiane, i vuoti diventano presto pieni. A Bollate, presunto hotel a quattro stelle, temono che il sogno finisca. Che il carcere, da sperimentale, ridiventi ordinario. Nel senso dell’ordinarietà del pianeta carcere: sovraffollamento, rivolte, suicidi. Galere dove tutti urlano, litigano, si feriscono. E mai nessuno che, di notte, abbia voglia di dormire con le porte aperte.
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