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Don
Oreste Benzi in visita al carcere di Parma:
Gazzetta di Parma, 1 novembre 2002
Con quella tonaca sbiadita dagli anni, il piumino sulle spalle e l’inconfondibile colbacco, sembra appena tornato da una delle "processioni" insieme alle schiave del sesso che popolano le strade della "sua" Romagna e che lui vuole liberare. Sorrisi e un pizzico di utopia. Questo è don Oreste Benzi, uno che tutte le settimane percorre i viali del vizio per combattere la piaga della prostituzione, che ha messo su comunità terapeutiche, cooperative e case famiglia. La sua missione è quella di occuparsi di tutte le forme e i luoghi del disagio, comprese le carceri che, adesso, vuole svuotare. Ha chiesto più volte un incontro al ministro della Giustizia "ma non mi ha mai risposto". Don Benzi ha varcato ieri mattina il cancello del penitenziario di via Burla. Ha parlato con i detenuti, ha visitato un "braccio", ha incontrato il direttore. Perché la sua "nuova" battaglia si combatte sul fronte del dialogo e della tolleranza. "Bisogna rendere inutile il carcere, cominciare a credere nelle persone che ci vivono - attacca con l’entusiasmo di un ragazzino - e far capire alla società che il reato compiuto è un atto della loro vita ma non la vita stessa". Da questo concetto Don Benzi parte per spiegare che "in ogni penitenziario italiano deve essere creata una sezione, nella quale si raggruppino coloro che hanno fatto una scelta finalizzata a riparare il male compiuto. Reinserimento e riabilitazione devono essere i nuovi comandamenti e non l’esclusivo aspetto punitivo della detenzione, oggi prevalente, che sviluppa odio e violenza". E al diavolo chi pensa che siano proposte utopistiche e un po’ pazze. Non è comunque facile credere che una simile proposta possa essere accettata tanto facilmente all’esterno del carcere, ma Don Benzi ha una ricetta anche per vincere resistenze e timori: "Tutto sta ad iniziare perché quando la gente vedrà che il progetto funziona, vorrà dire che questa grande rivoluzione sarà già partita e non si potrà più fermare. Lo stesso è avvenuto per le prostitute: quando abbiamo intrapreso la nostra battaglia venivano chiamate così. Oggi, invece, sono considerate delle schiave perché è la società che vede queste povere donne con occhi diversi rispetto al passato". E proprio sul sesso a pagamento c’è la nuova proposta del Governo che mira a togliere dalla strada le "lucciole" e a tornare, in qualche modo, alle "case chiuse". Giusto o sbagliato? "E’ una follia e una vergogna - commenta senza mezzi termini don Oreste -. Una cuccagna per tutti i criminali perché legalizzerebbe quello che oggi è illegale. I recinti si fanno per le belve e meglio sarebbe adeguarci alla Svezia, che da tre anni ha trasformato in reato i rapporti sessuali a pagamento. Lassù il fenomeno è praticamente scomparso". Prostituzione e carcere sono forse due facce della stessa medaglia perché alla base ci sono storie di emarginazione, di violenza e di morte e di sfruttamento. Vite disperate. "Sono due forme di privazione della libertà. Intendo dire - aggiunge don Benzi - che anche le giovani che arrivano dall’Est e dall’Africa e che sono costrette a vendere il proprio corpo, vivono questa situazione senza avere la possibilità di cambiare vita perché sono continuamente controllate e terrorizzate dai loro aguzzini". E per ribadire il concetto fa un esempio concreto: "L’altra sera ero a Massa e stavo parlando con una giovane ragazza russa che si prostituisce sui viali della periferia. All’improvviso è passata, a tutta velocità, un’auto di grossa cilindrata e dopo pochi secondi è squillato il cellulare della ragazza. Lei ha risposto alla telefonata ed è fuggita con il terrore negli occhi. Non è questa una forma di prigionia? Io credo proprio di sì".
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