Proposte in materia di
sanità penitenziaria
Associazione
Culturale "Papillon Rebibbia" Onlus
A fondamento di
molti discorsi sul rapporto generale reato-pena vi sono, quasi sempre, delle
posizioni generate dalla convinzione che -non potendo fare a meno del carcere-
possa rivelarsi sufficiente adoperarsi per la sua razionalizzazione attraverso
l'elaborazione e l'applicazione di volenterosi programmi di riforme.
Noi siamo invece convinti che, per quanto sia giusto e necessario adoperarsi per
migliorare le condizioni di vita all'interno del carcere, la sua funzione reale
è stata ed è dominata da una logica afflittiva, che rende insostenibile
qualsiasi pretesa di individuarlo come luogo e mezzo di risocializzazione per
coloro che violano le leggi.
Tanto più è necessario ribadire questa nostra convinzione in anni in cui sembra
si sia scelto di rispondere in termini esclusivamente punitivi ai tanti problemi
di carattere sociale sui quali è difficile, o forse non si vuole, intervenire.
Forse perché ci si illude di "raffreddare" in tal modo il sentimento di
insicurezza sociale che viene individuato come effetto diretto della cosiddetta
criminalità, soprattutto nelle grandi metropoli.
A fronte di ciò, la scelta compiuta dallo Stato è stata quella di enfatizzare
allarmisticamente il problema attraverso una repressione diventata
progressivamente sempre più indifferenziata ed incapace di superare nella
sostanza i limiti di una vecchia politica penale dell'ordine pubblico.
Da qui anche il congelamento di fatto e generalizzato della
concessione delle misure alternative alla detenzione, generata dal fatto che la
Magistratura di Sorveglianza si è attestata su posizioni di intransigenza.
Come la sospensione pena, lo strumento con cui i Magistrati arbitrariamente
consentono la cura esterna, in funzione del Diritto Costituzionale a tutela
della salute. Questa legge assicura al cittadino recluso la garanzia della
propria salute, quando non conciliabile con una misura restrittiva.
Troppo spesso verifichiamo casi di discrezionalità ed in libertà di questa, il
subordine della priorità clinica. Occorre che vengano manifestati i parametri di
un Magistrato nella valutazione soggettiva del concetto di "gravi motivi di
salute".
Noi crediamo che tale competenza non rientri nella sola potenzialità di una
professione giuridica, evidenziato ciò dall'attuale orientamento nel porre in
sospensione solo "morituri". Il diritto alla salute è inviolabile così come
sancito, dato di fatto, interpretato e ridimensionato ad un libero concetto.
Con risultanza, di competenza giudiziaria e clinica, nettamente distinte, ma tra
i quali l'attrito diviene evidente di fronte a quel sottile equilibrio tra
l'importanza della patologia, la incompatibilità con il carcere ed il basso
livello di salute soggettivo utilizzato dalla magistratura: nell'applicazione
della sospensione pena attivata, solo per casi gravissimi, disattendendo
pregressi livelli.
Una tale situazione ha delle ricadute drammatiche sui detenuti colpiti da gravi
malattie. E' infatti fuori discussione che, se alla privazione della libertà si
aggiungono lo stato di tossicodipendenza, sieropositività, problemi
psichiatrici, ecc., risulta evidente non soltanto la sostanziale inutilità di
una presunta "osservazione scientifica della personalità", ma anche e
soprattutto l'iniquità che si abbatte fatalmente proprio sui detenuti che più di
altri necessiterebbero di abbreviare i tempi di detenzione e di essere
efficacemente aiutati nel reinserimento esterno. E invece vengono ulteriormente
penalizzati da un costume restrittivo ormai consolidato in molti Tribunali di
Sorveglianza.
Per superare la logica afflittiva e permettere il rispetto del diritto alla
salute anche dentro il carcere, come primo passo è necessario individuare
terreni d'intervento anche minimali che non perdano però di vista la questione
di fondo che è quella, appunto, di superare il carcere.
In questo contesto, non è più possibile continuare a considerare questa
struttura come spazio deputato alla cura o al ricupero sociale, a comunità
terapeutica e contemporaneamente garantire al luogo, il ruolo di tutela
comunitaria. Non si può più continuare a consegnare al carcere problematiche di
disagio sociale in risposta alla carenza di comunità, di posti in ospedale,
celando tra le sue mura, l'alibi di una non corretta gestione sociale.
La salute va vista come un diritto, anzi è uno dei diritti fondamentali
dell'individuo tutelati dalla nostra Carta Costituzionale (art. 32 Cost.).
Ecco allora che uno dei primi ostacoli da abbattere è la diffidenza degli
operatori verso i detenuti e viceversa, al fine di stabilire un continuo
rapporto di cooperazione; da qui una richiesta di coerenza dei sanitari con la
propria scelta professionale, di stare comunque e sempre dalla parte di chi
soffre. E' evidente che, se la salute psicofisica in carcere è un bene ancor più
importante di quanto non lo sia per chi è in libertà, essa non può essere il
prodotto dell'attuale sistema carcerario, ed è questa una delle principali
ragioni per cui il servizio sanitario nazionale deve interferire con
l'istituzione penitenziaria.
Conquistare un diverso approccio al problema della salute in carcere è la
condizione di base per tentare di risolvere quelle questioni concrete che tante
volte sono state denunciate:
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L'organizzazione di una assistenza sanitaria di base nel carcere e i rapporti
con i presidi territoriali assegnati a personale competente; |
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L'effettivo riconoscimento per le U.S.L. del loro ruolo anche verso il
carcere; |
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Il riconoscimento della responsabilità dei sanitari, interni ed esterni, nel
giudizio sullo stato di salute; |
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Il superamento dell'obbligo di piantonamento per i detenuti ricoverati
esternamente già in misure alternative; |
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Il superamento degli intralci per ottenere le visite specialistiche o le
operazioni esterne; |
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Un piano ospedaliero che programmi presidi territoriali per i bisogni dei
detenuti in tema di ricovero; |
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Il conseguimento della pensione di invalidità e dei sussidi H.I.V. in tempi
rapidi anche per chi li richiede dall'interno del carcere. |
Sono questi alcuni dei provvedimenti da approntare se veramente si vuole
iniziare a rispondere seriamente alla questione del diritto alla salute in
carcere. Ragioniamo, infine, su alcuni dati più recenti di cui disponiamo riguardanti i
tossicodipendenti e i sieropositivi detenuti:
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Questi erano il 28,5 % sui 30.000 detenuti complessivi nel 1990; |
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Al 30 giugno 1995 erano 15.336 su 51.530 detenuti; |
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Al 31 dicembre 1994 i sieropositivi presenti nelle carceri erano 2.772, sul
totale dei detenuti (oggi certamente sono molti di più, grazie anche alla Corte
Costituzionale) mentre quelli di loro ancora dipendenti dalla droga erano 2.583.
Quindi i sieropositivi detenuti non più tossicodipendenti erano solo 183.
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I dati suddetti rafforzano le seguenti deduzioni:
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che la legge 162/90 ha riconosciuto il diritto alla riabilitazione. Non avendo
però fatto seguito l'emanazione di suoi regolamenti attuativi, nel carcere non
entra il servizio territoriale e nel carcere non si esce dallo stato di
dipendenza; |
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che il ministero e il dipartimento penitenziario non hanno realizzato gli
strumenti per incentivare il riconoscimento delle competenze in materia di
U.S.L. e Regioni; |
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che lo Stato non ha destinato le necessarie risorse finanziarie e un adeguato
personale; |
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che molte regioni non hanno voluto stipulare protocolli d'intesa con il D.A.P.
e pochissime hanno potuto farlo. |
E si badi bene,
le nostre non sono delle strumentali esagerazioni. Chiunque operi nell'assistenza ai detenuti sieropositivi sa quanti e quali siano
gli impegni e gli oneri, le urgenze e le situazioni di emergenza che vanno
affrontate. E non stiamo parlando soltanto di situazioni di pericolo imminente
di vita, ma anche di quelle situazioni di grave depressione o di particolare
sintomatologia da monitorare che richiedono un urgente intervento esterno.
Infine, è per noi
indispensabile sottolineare che ancora oggi prevale un concetto di punibilità
piuttosto che di riabilitazione, e che in Italia è rimasto sostanzialmente
invariato un impianto legislativo di carattere prettamente repressivo. E dato
che non siamo disposti a concedere credibilità "a scatola chiusa" ai vari
partiti politici, attendiamo di vedere concretamente all'opera il nuovo Governo
nelle risoluzione di questi gravi problemi.
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