Fonte:
  Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Libro Bianco, Roma 1993; 
Gruppo
  Abele, 
  Annuario Sociale 2000, cit. 
  
Da una esigua percentuale di 
  tossicodipendenti e alcolisti di 25 anni fa si è passati al 30%, 
  ma questa percentuale sembra essersi stabilizzata negli ultimi anni. Norme 
  legislative e circolari dell'Amministrazione Penitenziaria seguono con 
  particolare attenzione la salute dei tossico e alcoldipendenti. 
  
Per gli stranieri, in gran parte extracomunitari 
  provenienti da Paesi poveri, l'incremento è rilevante. Analisi più 
  dettagliate mostrano la notevole diversità da istituto a istituto. Rispetto 
  alla percentuale del 25% a livello nazionale si ha il 32,8% in 
  Lombardia, il 34,6% in Piemonte fino a raggiungere il 47,9% nel Veneto. 
  
I mass media hanno riportato 
  recentemente le parole dell'ex procuratore di Palermo e da poco a capo 
  dell'Amministrazione Penitenziaria, Giancarlo Caselli: "Le carceri sono pieni 
  di poveracci, diventando così un contenitore di emarginazione e marginalità, 
  colme di tossicodipendenti e immigrati, anziché argine contro il crimine 
  organizzato: ci sono pochi mafiosi e nessun colletto bianco" [5]. 
   
  
  
  
3. Qualità della vita 
  
  
  
Ecco alcuni giudizi espressi da personalità 
  dell'Amministrazione Penitenziaria. 
Emilio Di Somma, 
  Capo della Segreteria, ha detto nel 1995: "E' una 
  contraddizione in termini parlare di qualità della vita in carcere. In 
  carcere non si vive, ma si sopravvive" [6]. 
  
Ancora più dure le parole di Luigi Pagano, in un'intervista 
  dello stesso anno, relativa al carcere di San Vittore (Milano), di cui era 
  direttore: "San Vittore venne costruito nel 1879, secondo i nuovi criteri dell'edilizia penitenziaria nordamericana, e in 
  particolare sulla scorta dell'esperienza della città di Filadelfia: un "panopticon"
  da cui si dipartono cinque raggi dove sono alloggiati i 
  detenuti. Quando venne progettato - nel centro della città e una capienza di 
  mille posti - molti contestarono il carattere faraonico del nuovo istituto. 
  Noi abbiamo qui ora circa 2.400 persone. 
"Definirei la situazione di San Vittore oscena e indecente. 
  Il sovraffollamento è la 
  causa prima di tutto ciò. Qui in celle di nove metri quadrati vivono la 
  maggior parte della giornata sei persone, che dormono su materassi per terra. 
  Convivono insieme l'imputato in attesa di giudizio e quindi presunto 
  innocente, con il condannato. Il sano con il sieropositivo. Non abbiamo la 
  possibilità di cambiare le coperte. In casi, frequenti, di piccole epidemie di 
  scabbia, le coperte dovrebbero essere bruciate, ma non possiamo permettercelo, 
  perché non ne abbiamo di nuove. [...] Quotidianamente si convive, nelle 
  minuscole celle, con crisi di astinenza, epatiti, possibilità di contagio. 
  Qualsiasi oggetto degrada immediatamente. C'è carenza di saponette e di carta 
  igienica. La pulizia non è possibile. Questo il risultato di una popolazione 
  carceraria che è almeno il doppio della capienza" [7]. 
"Le condizioni delle nostre carceri 
  - ha esordito Felice Bocchino, Provveditore della Amministrazione 
  Penitenziaria Lombarda, al Convegno "La dignità della persona al centro della
  legalità" (dicembre 1999) - non concedono di andare al di là della pura 
  gestione dei corpi dei reclusi". 
Nel capitolo intitolato:
  "Maltrattamenti, violenze, suicidi e atti di autolesionismo" del Primo Rapporto di Antigone (relativo al 1999), Osservatorio 
  nazionale sulle condizioni di detenzione, si rilevano una trentina di gravi o 
  quantomeno allarmanti episodi verificatisi o venuti alla luce nel corso del 
  1999. Il Rapporto si chiude con un lungo e triste elenco di eventi 
  critici: 6.342 atti di autolesionismo, 933 
  tentati suicidi, 51 suicidi, 78 decessi e 1.224 atti di 
  aggressione. 
   
  
 
4. La routine 
  quotidiana 
   
  
  
  
Le esigenze delle persone sono così disparate, 
  che è difficile dare un giudizio sulla qualità della vita nei diversi 
  ambienti. La questione è ancora più ardua se ci riferiamo al carcere. 
  
"La vita quotidiana dei detenuti viene 
  scandita da un reticolo di norme molto minute, le quali, a cascata, 
  sono principalmente: il regolamento di esecuzione [...], i regolamenti interni 
  dell'istituto, le circolari dell'amministrazione centrale, le disposizioni dei 
  direttori degli istituti, i programmi di trattamento redatti 
  dall'équipe di esperti e approvati dal magistrato di sorveglianza. I 
  regolamenti interni, diversi da istituto a istituto e talora anche per singole 
  sezioni, non possono essere in contrasto con la legge e il regolamento di 
  esecuzione. E le disposizioni di livello inferiore, a loro volta, non possono 
  essere in contrasto con quelle di livello superiore. Le regole del tutto 
  rigide sono poche. [..] ma si consentono deroghe verso l'alto [...] adottate 
  tenendo conto delle condizioni di fatto dell'istituto [...], della 
  disponibilità di personale [...], ma anche della condotta del detenuto" 
  [8]. 
La notevole disparità che esiste da istituto a istituto ha suggerito a 
  P. C. di mettere a frutto la sua lunga esperienza di carcerato in un'inedita 
  iniziativa editoriale: una sorta di Guida Michelin delle prigioni d'Italia, 
  con descrizioni di panorami, vitto, alloggio e accoglienza, completa di 
  giudizi espressi, anziché con le canoniche stelle e forchette, con chiavi, 
  gavette e grate. Il giornalista Saverio Lodato ha scritto un vademecum per il 
  futuro detenuto [9]. I nuovi entrati a San Vittore dispongono oggi del 
  testo Come faccio alla mia prima esperienza? E spero ultima, preparato 
  dagli scrivani del IV raggio in collaborazione con il gruppo Cuminetti e con 
  l'educatrice Barbara Campagna [10]. 
  
Cosa è cambiato nel carcere? 
La 
  prassi della domandina è rimasta inalterata. All'interno del 
  carcere qualunque operazione, anche la più modesta, diviene complessa. 
  Qualunque oggetto deve essere richiesto con uno scritto sul quale qualcuno è 
  chiamato a decidere; qualunque movimento, spostamento, atto giuridico e non 
  giuridico deve essere autorizzato; qualunque iniziativa deve essere 
  comunicata, valutata, discussa, e infine deliberata. Il detenuto interpreta 
  spesso l'esasperante rallentamento prodotto da una burocrazia kafkiana come 
  persecuzione, diniego, sadismo. 
Il  vitto è spesso mediocre. Alla fine dello scorso anno 
  sui giornali dei detenuti si è discusso ampiamente del problema, anche in 
  relazione alla rivelazione che il costo per l'Amministrazione Penitenziaria 
  per colazione, pranzo e cena varia dalle 3 alle 5 mila lire al giorno. Si 
  capisce l'impegno di mamme e mogli dei carcerati a portare cibi in occasione 
  delle visite settimanali. 
Per l'arrivo degli 
  stranieri, in gran parte di religione musulmana, negli ultimi anni sono stati 
  introdotti cambiamenti per soddisfare le loro, esigenze religiose. 
  
Il servizio sanitario è stato 
  ampiamente sviluppato. A San Vittore, per esempio, in ogni raggio 
  funzionano uno o più ambulatori, con la presenza del medico in determinate 
  ore; negli ambulatori possono essere eseguiti esami del sangue. Un pronto 
  soccorso centralizzato assicura un servizio nell'arco delle 24 ore. Esiste un 
  centro clinico con reparti di ricovero, medicina, chirurgia, urologia, 
  ortopedia, otorinolaringoiatra. Un reparto è riservato per malati 
  psichiatrici. Il detenuto, previa autorizzazione del Magistrato di 
  sorveglianza, può essere accolto per esami, cure e interventi presso ospedali 
  cittadini. 
  
  
  
5. Il trattamento 
  penitenziario 
  
  
  
Secondo l'ordinamento penitenziario il 
  trattamento sia all'interno degli istituti sia nell'ambiente esterno presenta 
  contenuti e modalità di approccio differenziati in relazione alla tipologia 
  dell'utenza. Esistono certamente molti il cui comportamento deviante è dovuto 
  più al disagio socio-economico che a una scelta consapevole di vita criminosa, 
  i quali realmente sono in grado di poter avvalersi del trattamento. Presentano 
  invece aspetti particolari i casi che manifestano disturbi più complessi di 
  tipo medico-psichiatrico (i tossicodipendenti, gli alcolisti, i malati di 
  mente) o sono sradicati dal proprio ambiente di vita (gli extracomunitari, i 
  nomadi) o quelli che hanno interiorizzato una scelta di vita delinquenziale o 
  di rifiuto (criminalità organizzata, "colletti bianchi"). 
Per il condannato e per il detenuto per misura di sicurezza è 
  stabilito un trattamento costituito da interventi volti a sostenere gli 
  interessi umani, culturali e professionali della persona, con lo scopo di 
  promuovere un processo capace di modificare gli atteggiamenti che 
  ostacolano una costruttiva partecipazione sociale.   
  
Si presuppone, 
  attraverso una osservazione scientifica, di riuscire a comprendere perché la 
  persona abbia compiuto, volontariamente o istigata da altri, azioni 
  delittuose. Identificate le motivazioni di questa scelta, non si può 
  prescindere dall'identificare e valutare pure le cause e le circostanze 
  prossime del delitto. Bisogna inoltre accertare come il soggetto abbia vissuto 
  questa sua scelta e come percepisca la propria posizione in rapporto alla 
  violazione della legge e alla sanzione che gli è stata inflitta. Si deve poi 
  decidere in qual modo intervenire perché l'individuo possa essere restituito 
  al suo ambiente in condizioni di normalità. 
L'istruzione, il lavoro e le attività 
  culturali, ricreative e sportive sono i mezzi previsti e tendono a conservare 
  o a fare acquisire attitudini sociali che rientrano fra le caratteristiche 
  delta persona "normale". 
L'istruzione è ampiamente 
  sviluppata in tutti gli istituti con corsi di livelli diversi. Daniele 
  Pinardi, lo scrittore che ha insegnato per anni a San Vittore, ricorda: "il 90%
  dei miei allievi detenuti era in continuo perenne 
  movimento: dentro-fuori, fuori-dentro, dall'avvocato, dall'assistente sociale, 
  dal magistrato di sorveglianza, di nuovo dall'avvocato, trasferiti, ritornati,
  ritrasferiti, ri-ritornati". Non si dimentichi che dei 51.947ristretti presenti alla fine del
  1999, ben 
  23.949 sono in attesa di sentenza definitiva. Di grande 
  rilievo, comunque, sono i corsi di carattere professionale, che vanno dalla 
  lavorazione del legno, della pelletteria, del vetro e del metallo 
  all'informatica, un tempo esistenti in pochissimi istituti e ora largamente 
  diffusi. A San Vittore è stato addirittura organizzato un corso di "Approccio 
  alle nozioni giornalistiche" per iniziativa dell'Ordine dei giornalisti e 
  dell'Associazione per la formazione al giornalismo (AFG) di Milano. 
Il  lavoro
  è certamente un elemento chiave del 
  trattamento. 
Secondo la legislazione vigente è 
  prevista per i condannati e gli internati una attività lavorativa avente le 
  seguenti caratteristiche: obbligatoria, non afflittiva, remunerata, equiparata 
  al lavoro del mondo libero, corrispondente ai desideri e alle attitudini del 
  soggetto, nonché alle condizioni economiche della famiglia. 
Ora i detenuti attualmente lavoranti sono circa un quarto del totale e 
  il loro numero è rimasto pressoché invariato negli ultimi 10 anni, pur essendo 
  la popolazione carceraria quasi duplicata. Ma la cosa più grave è che la 
  maggior parte svolge lavori "domestici", cioè da scrivani, scopini, cucinieri, 
  lavandai, ecc., le cui retribuzioni sono modeste e, quel che è peggio, la cui 
  natura non è certo tale da qualificare e rieducare socialmente i reclusi. Le 
  attività di carattere servile finiscono per accentuare ancora di più la 
  separazione fra poveri e ricchi, questi ultimi potendo usufruire di risorse 
  proprie. In questi ultimi anni il lavoro interno è diventato il triste 
  apparmaggio dei detenuti stranieri. 
La legge prevede 
  la possibilità di lavoro anche fuori del carcere: il numero di persone che ne 
  usufruiscono è però del tutto irrilevante. 
Un tempo 
  molte industrie facevano lavorare i carcerati, ora più raramente. In tempi 
  recenti sono sorte però dappertutto numerose cooperative: a San Vittore, per 
  esempio, ce ne sono cinque: "Nuova Spes", "Out & Sider", "Alicet", "Granserraglio" e
  "Pelletteria", che danno lavoro a 350 detenuti. 
  
Le attività culturali, ricreative e sportive - un 
  tempo inesistenti - hanno avuto un ampio sviluppo quasi dappertutto. Esse sono 
  collegate alle nuove possibilità di contatto con l'esterno (si ricorda l'art. 
  17 già menzionato e l'art. 18 che abolisce generalmente la censura su 
  documenti in ingresso e in uscita). 
Il trattamento 
  era il cuore della riforma, ma il ristretto numero del personale addetto 
  (educatori e assistenti sociali) impedisce di fatto un esame dello stato 
  individuale (l'osservazione scientifica del soggetto e l'acquisizione dei dati 
  strutturali di base di riferimento), l'elaborazione di un "programma di
  trattamento" e una azione continua di sostegno e di appoggio individualizzato. 
  Si pensi che a San Vittore, per esempio, gli educatori sono sei per una 
  popolazione molto vicina alle 1.700 unità; non dispongono di alcun servizio di 
  segretariato o altro, per cui sono costretti a scrivere materialmente ogni 
  rapporto, a batterlo a macchina o al computer. 
  
  
  
6. L'assistenza religiosa 
  
  
  
L'ordinamento penitenziario riconosce a ogni 
  detenuto il diritto di professare la propria fede religiosa, di istruirsi 
  in essa e di praticarne il culto. In ogni istituto di pena viene 
  assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico, per la quale è 
  prevista la presenza di almeno un cappellano. Gli appartenenti a religioni 
  diverse dalla cattolica hanno facoltà di chiedere e ricevere l'assistenza dei 
  ministri del proprio culto e di celebrarne i riti. 
La 
  presenza di numerosi islamici ha spinto molti direttori a istituire piccoli 
  locali per le preghiere periodiche e a predisporre orari e cibi (privi di 
  carne suina) perché i musulmani potessero adempiere ai propri riti e 
  obbligazioni. Per esempio a San Vittore sono state allestite due "salette
  islamiche". "Da quando c'è questo luogo di culto, si nota molto l'influenza 
  della religione sul comportamento dei musulmani: prima, in reparto, si sentiva 
  un. continuo, fortissimo vociare, e i nostri compagni stranieri scaricavano le 
  loro tensioni in liti verbali; adesso c'è un silenzio contemplativo, come se 
  tutto fosse diventato un posto di preghiera, avvolto totalmente dal rispetto". 
  
  
  
7. La voce del detenuto 
  
  
  
Prima della riforma del 1975, l'informazione 
  nelle carceri era molto carente, i giornali che si acquistavano in carcere 
  venivano sottoposti a censura, con il taglio sistematico degli articoli di 
  cronaca nera o inerenti a processi in corso. Il livello sociale di provenienza 
  della stragrande maggioranza dei detenuti era molto basso: il tasso di 
  analfabetismo era 
ancora altissimo, erano molti a non 
  sapere neppure leggere. 
L'avvento del televisore in carcere risale ad alcuni 
  anni prima della riforma: si trattava spesso di grossi apparecchi situati 
  nelle sale di ricreazione. Successivamente, tutte le celle sono state in breve 
  tempo munite di televisori, accolti come una grande conquista. Le notizie 
  incominciarono a circolare più liberamente e i giornali che venivano dall'esterno 
  non erano più mutilati dalle notizie; fu consentita anche una radiolina. Le 
  notizie arrivavano ora da fonti diverse, ma quello che più stava a cuore a chi 
  era detenuto e non aveva esperienza di leggi, di diritti carcerari e di 
  opportunità nessuno lo spiegava. 
C'era già La grande promessa, il
  giornale carcerario di Porto 
  Azzurro, che ha oggi più di 40 anni di vita, ma arrivava 
  solo in biblioteca. Per trovare le prime esperienze di giornali carcerari 
  di una certa rilevanza bisogna giungere verso la metà degli anni Ottanta. 
  In molti istituti si proponevano iniziative per un "giornalino carcerario", 
  che però sopravviveva per l'arco di pochi numeri. Poi giunse L'ora d'aria, dove le notizie non erano filtrate: un giornale considerato fra i più seri 
  insieme a Liberarsi dalla necessità del carcere, altro giornale storico 
  attraverso il quale migliaia di detenuti hanno potuto dare voce alle loro 
  proteste e alle loro spesso inascoltate "urla del silenzio". 
A questi se ne sono aggiunti successivamente molti altri: ricordiamo
  Contro senso, Badù e Carros oltre il 2000, Gutenberg, Magazine 2, Mayday, 
  01tre il Muro, Ristretti. Anche dagli ospedali psichiatrici giudiziari 
  arriva la voce del detenuto: Effatà da Castiglione delle Stiviere e Spiragli da Montelupo Fiorentino. 
Ci sono oggi servizi di radio private quali
  TG Galeotto della Casa 
  di reclusione di Gorgona, TG due 
  palazzi e Radio Sherwood di 
  Padova. 
Con Internet si sono aperte nuove 
  prospettive. 
Numerosi sono gli spettacoli teatrali 
  e si pensa di organizzare il prossimo autunno una sfilata di moda. 
  Detenuti del Carcere di San Vittore hanno recentemente prodotto un film di 32 minuti girato nell'interno dell'istituto, con detenuti registi, 
  sceneggiatori e protagonisti: Campo corto. Il film 
  racconta una partita di calcio infinita giocata con le squadre che si 
  affrontano nel piccolo cortile di cemento dell'ora d'aria. 
In piazza San Pietro a Roma, per il Giubileo nelle Carceri (9 luglio
  2000), è approdata un'Arca di legno (24 metri cubi di legno, lunga 20 metri e alta 
  2),realizzata dai detenuti della Cooperativa del Granserraglio 
  del carcere San Vittore di Milano: rappresenta i sogni e le paure del 
  carcerato. 
  
  
  
8. L'intervento del 
  volontariato 
  
  
  
Il volontariato è sempre 
  stato, presente nel carcere (anche se con diverso nome), ma è con la riforma 
  penitenziaria che esso acquisisce una nuova dignità insieme con la 
  consapevolezza di poter giocare un ruolo importante nel processo che 
  dovrebbe condurre al pieno reinserimento nella vita sociale di chi, per 
  ragioni diverse, è stato privato della propria libertà: è recente la 
  costituzione della Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia, un 
  tavolo di lavoro comune promosso dal Coordinamento Enti e Associazioni di 
  Volontariato Penitenziario, (SEAC), ARCI-Ora d'aria, Caritas Italiana, con la collaborazione della 
  Fondazione Italiana per il Volontariato [11]. 
Richiamiamo alcune esperienze fatte nel carcere San Vittore, dove, in 
  questi ultimi anni, c'è stata una presenza di 60 volontari ai sensi 
  dell'art. 78 e di 200 in forza dell'art. 17. 
Le 
  persone autorizzate con l'art. 78, che appartengono a gruppi fortemente 
  connotati in senso religioso (Sesta Opera San Fedele, Incontro e Presenza), orientano il loro intervento prevalentemente a un 
  sostegno materiale e spirituale: ogni giorno entrano per incontrare 
  individualmente persone bisognose per soddisfare richieste varie, quali 
  fornitura di vestiti, assistenza morale, sostegno alle famiglie, pratiche 
  burocratiche, minimi contributi economici ecc. E'una presenza capillare che 
  non appare in superficie, ma riveste un'importanza fondamentale nell'economia 
  dell'istituto. 
Diversa è invece la modalità di 
  intervento di quei volontari i cui ingressi sono regolamentati dall'art. 
  17. Si tratta di gruppi di persone che operano, attorno a un progetto 
  mirato. Si è assistito a un fenomeno in continua espansione a partire , in 
  particolare, dal Convegno "Carcere e lavoro" del 1992. Dal Convegno 
  nasce il "Progetto Ekotonos", per 
  individuare strategie di intervento nell'area delle tossicodipendenze. Si 
  struttura fin dall'inizio sul principio che è indispensabile agire dentro e 
  fuori l'istituzione e che ci si deve avvalere di diverse risorse: detenuti, 
  operatori, istituzioni pubbliche, organizzazioni di privato sociale e 
  associazioni di volontariato. Troviamo ancora associazioni, come la Corsia 
  dei Servi, che opera nella sezione maschile in particolari attività di 
  promozione umana e culturale e come il Progetto Casina che presso la 
  sezione femminile s'impegna a coltivare gli interessi artistici delle donne. 
  Altre esperienze sono quelle de Il Bivacco e del Centro Zoè. 
  
  
  
9. La riforma del 19 
  75  
  e stata mai 
  pienamente applicata? 
  
I destinatari delta riforma, i detenuti, 
  avevano capito subito e tutto. Ne fanno fede i testi di partecipazione ad un 
  concorso a premi indetto da La grande promessa nel marzo 1981 sul tema: "Cinque anni di riforma carceraria 
  in Italia". La maggior parte avevano espresso il parere che fosse "impossibile 
  attuare i contenuti della riforma a causa delle condizioni inadeguate di 
  ambiente e struttura del carcere. "La riforma carceraria è come una ruota di 
  scorta nuova applicata ad una macchina vecchia e inefficiente"" [12], 
  riferendosi in particolare agli artt. 5 e 6(che fissano 
  le caratteristiche degli edifici penitenziari), all'art. 13 (sull'osservazione scientifica della personalità) e all'art. 20 
  (sul lavoro). 
Alfredo Carlo Moro ebbe a dire, qualche anno dopo:
  "La legge 
  penitenziaria è un triste esempio di quelle "leggi manifesto" da cui è 
  afflitta la nostra vita istituzionale, di quelle buone intenzioni elaborate 
  dal legislatore (sempre più "uomo dei fini" e sempre meno "uomo dei mezzi") di 
  cui è lastricata la via dell'inferno della nostra realtà comunitaria" 
  [13]. 
Occorre riconoscere 
  che i cambiamenti che si sono verificati nel nostro Paese in questi 
  ultimi decenni sono stati sconvolgenti e l'adeguamento ad essi è certamente 
  arduo sul piano morale, culturale e giuridico. 
Si 
  pensi, ad esempio, al problema degli stranieri. In linea di principio 
  lo straniero in carcere ha un trattamento uguale a quello del cittadino 
  italiano. Ma l'istituzione totale tende a ignorare le diversità, il rigore 
  della norma non conosce i bisogni e le esigenze dell'uomo straniero, anche se 
  la legge privilegia il rispetto della dignità della persona. Il disagio dello 
  straniero dietro le sbarre non nasce soltanto dalla privazione della libertà, 
  ma dalla incapacità e dalla impossibilità di farsi prendere in considerazione 
  e di esercitare i propri diritti personali. E' un detenuto che non ha voce, 
  che spesso vive la spersonalizzazione da isolamento e solitudine. 
  
  
  
10. Il futuro 
  prossimo 
  
  
  
Ritorniamo ad analizzare i dati statistici e 
  osserviamone l'andamento. 
Secondo i dati forniti dal 
  Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria nello scorso mese di aprile, i
  51 .862 carcerati vivono in edifici la cui capienza 
  regolamentare è di 37.402 (e quella tollerabile di 42.830). Il numero globale dei detenuti non potrà variare in modo significativo 
  nei prossimi anni. 
Potrebbe invece variare 
  considerevolmente la composizione della popolazione carceraria. Massimo De 
  Pascalis (funzionario dell'Amministrazione Penitenziaria), esaminando la 
  situazione degli stranieri, afferma: "La presenza dei detenuti stranieri nelle 
  carceri italiane sta evolvendo in maniera esponenziale, tanto da poter 
  presumere che nei prossimi anni il rapporto attuale 1 a 3 
  (stranieri/autoctoni) sarà rovesciato" [14]. 
Si può 
  pensare a un miglioramento della situazione? Da parte nostra lo 
  riteniamo molto difficile, perché il carcere è il  terzo anello di 
  una catena costituita da codice penale, codice di procedura penale e 
  ordinamento penitenziario. 
Il codice penale è del 1931. Ha subito nel corso del tempo tali e 
  tante modifiche che il suo impianto originario è stato trasformato 
  radicalmente, ma al di fuori di una coerente impostazione globale. Tesi per un 
  nuovo ordinamento sono state recentemente esposte da Luciano Eusebi al 
  convegno "Per una nuova cultura della giustizia" [15]. 
Il codice di procedura penale 
  è stato, rinnovato ed è entrato in vigore nel 1992. Ma sono subentrate 
  ancora modifiche, spesso contraddittorie a detta dei competenti. La lentezza 
  nell'approntare qualche modifica è esasperante: per esempio, la 
  predisposizione di alcuni provvedimenti dichiarati urgenti - che rientrano in 
  un "pacchetto sicurezza" proposto dalla maggioranza - è in corso da oltre un 
  anno. 
L'ordinamento penitenziario potrà essere 
  certo modificato. Proposte sono state avanzate per istituire tre diversi 
  percorsi: l'introduzione di un difensore civico, (che rilevi gli eventuali 
  abusi che possono accadere negli istituti); l'estensione dell'impiego di 
  mediatori culturali per gli stranieri; l'allargamento dell'applicazione di 
  misure alternative. 
Giovanni Tamburino, direttore 
  dell'Ufficio studi e ricerche del Dipartimento dell'Amministrazione 
  Penitenziaria, presentando recentemente una lucida analisi sui "paradossi e le
  mancanze" del nostro sistema carcerario, sostiene che "la pena detentiva è 
  difficile da gestire e un certo numero di paradossi sono destinati a rimanere
  insoluti", ma suggerisce alcuni interventi. Conclude osservando che "serve una 
  vera riflessione sulla necessità e i limiti della pena, sull'ordine dei 
  fattori che la governano, su ciò che la società può volere e ciò che non può
  volere". 
"Il sogno di un futuro 
  più giusto passa anche attraverso la riabilitazione dei carcerati": così apre 
  il dossier "Uomini dietro le sbarre" del mensile Popoli 
  [16]. Il fatto è che il 
  carcere è uno spaccato della società. Vi 
  troviamo quindi la tossicodipendenza, la diffusione del virus dell'AIDS, la 
  povertà del Sud del mondo che si accalca alle porte di quello del benessere 
  vero o presunto, 1'espulsione dal contesto economico di figure fragili, la 
  difficoltà di recepire valori da parte dei giovani, ecc. 
Non si può quindi non accogliere l'invito del card. Carlo Maria 
  Martini, arcivescovo di Milano: 
"Tutti i 
  cittadini sono chiamati ad assumersi gli oneri necessari per ridurre i fattori 
  che favoriscono le scelte criminali e le zone d'ombra, economiche e sociali, 
  dove la criminalità cresce e si propaga. 
"Non bastano le nuove leggi, le riforme strutturali, i rinnovati 
  programmi politici, gli interventi giudiziari, pur importanti e necessari. 
  Bisogna anzitutto agire sulle persone, dall'interno delle persone, 
  contrastando quel processo di massificazione che spersonalizza e aliena. 
  Bisogna appellarsi all'individualità e alla libera volontà di ciascuno: ognuno 
  deve essere trattato e spinto ad agire come "persona umana responsabile", 
  membro vivo e utile dell'intera comunità. Per uscire dal nostro malessere 
  generale, è dunque necessario riscoprire insieme il senso dell'essere popolo, 
  società, comunità umana, fraternità" [17]. 
   
  
 Studioso di questioni 
  dell'emarginazione. 
 Assistente 
  volontario nel carcere San Vittore di Milano. 
  
[1] CARITAS ITALIANA,
  Carcere e 
  dignità della Pena, Roma 1999. 
  
[2] GRUPPO
  ABELE,  Annuario 
  Sociale 2000, Feltrinelli, Milano 2000. 
  
[3]
  ANTIGONE, Rapporto nazionale sulle 
  condizioni di detenzione, Castelvecchi, Roma 2000. 
  
[4] Cfr 
  Gazzetta Ufficiale, 22 agosto 2000, n. 195. 
  
[5] G. CASELLI,
  "Solo i poveracci vanno 
  in carcere", in La Stampa, 2 aprile 2000. 
  
[6] E. DI SOMMA,
  "La qualità della vita in carcere", in Atti Convegno SEAC, Roma 1995. 
  
[7] L. PAGANO,
  Rapporto degli ispettori europei sullo stalo delle 
  carceri in Italia,   Sellerio, Palermo 1995, 15 s. 
  
[8] G. TAMBURINO,
  "Conoscere il carcere", 
  in MicroMega, n. 1 (2000), 176. 
  
[9] Cfr S. LODATO,
  Vademecum per 
  l'aspirante detenuto, Garzanti, Milano 1993. 
  
[10] Cfr AA.
  VV., "San Vittore", in
  Magazine 2, n. 1 (2000). 
  
[11] Cfr C. COPPOLA,
  Volontariato e 
  giustizia, Fondazione ltaliana del Volontariato, Roma 1996; L. FERRARI, "Il volontariato impegnato nel penitenziario e nei percorsi di
  giustizia", in
  Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Roma 1998; AA. VV., "Il 
  volontariato e il carcere", in Fogli Informazione e Coordinamento, MO.V.I.,
  nn. 1-2 (2000). 
  
[12]
  A. LOVATI - M. PANETTI  LOVATI, "Cinque anni di 
  riforma carceraria nell'opinione dei detenuti", in Aggiornamenti Sociali, 12 (1981), 790,
  rubr. 134. 
  
[13] A. C. MORO,
  "Il rispetto della 
  dignità della persona nelle leggi penali e nell'ordinamento penitenziario", in
  Atti del Convegno dei Cappellani, Roma 1983. 
  
[14]
  M. DE PASCALIS, "La detenzione dello straniero: esperienze 
  e proposte su alcuni temi", in Stranieri, n. 1 (1999). 
  
[15] Cfr AA,
  VV.,  "Colpa e pena. Per una nuova cultura della giustizia", in Convegno di Bergamo, 13 maggio 2000. 
   
  
[16]  Cfr AA.
  VV., "Uornini dietro 
  le sbarre", in Popoli, n. 6-7 (2000), 6-11. 
  
[17]
  C. A MARTINI, Sulla giustizia, Mondadori, Milano 1999, 
  54.