Fonte:
Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Libro Bianco, Roma 1993;
Gruppo
Abele,
Annuario Sociale 2000, cit.
Da una esigua percentuale di
tossicodipendenti e alcolisti di 25 anni fa si è passati al 30%,
ma questa percentuale sembra essersi stabilizzata negli ultimi anni. Norme
legislative e circolari dell'Amministrazione Penitenziaria seguono con
particolare attenzione la salute dei tossico e alcoldipendenti.
Per gli stranieri, in gran parte extracomunitari
provenienti da Paesi poveri, l'incremento è rilevante. Analisi più
dettagliate mostrano la notevole diversità da istituto a istituto. Rispetto
alla percentuale del 25% a livello nazionale si ha il 32,8% in
Lombardia, il 34,6% in Piemonte fino a raggiungere il 47,9% nel Veneto.
I mass media hanno riportato
recentemente le parole dell'ex procuratore di Palermo e da poco a capo
dell'Amministrazione Penitenziaria, Giancarlo Caselli: "Le carceri sono pieni
di poveracci, diventando così un contenitore di emarginazione e marginalità,
colme di tossicodipendenti e immigrati, anziché argine contro il crimine
organizzato: ci sono pochi mafiosi e nessun colletto bianco" [5].
3. Qualità della vita
Ecco alcuni giudizi espressi da personalità
dell'Amministrazione Penitenziaria.
Emilio Di Somma,
Capo della Segreteria, ha detto nel 1995: "E' una
contraddizione in termini parlare di qualità della vita in carcere. In
carcere non si vive, ma si sopravvive" [6].
Ancora più dure le parole di Luigi Pagano, in un'intervista
dello stesso anno, relativa al carcere di San Vittore (Milano), di cui era
direttore: "San Vittore venne costruito nel 1879, secondo i nuovi criteri dell'edilizia penitenziaria nordamericana, e in
particolare sulla scorta dell'esperienza della città di Filadelfia: un "panopticon"
da cui si dipartono cinque raggi dove sono alloggiati i
detenuti. Quando venne progettato - nel centro della città e una capienza di
mille posti - molti contestarono il carattere faraonico del nuovo istituto.
Noi abbiamo qui ora circa 2.400 persone.
"Definirei la situazione di San Vittore oscena e indecente.
Il sovraffollamento è la
causa prima di tutto ciò. Qui in celle di nove metri quadrati vivono la
maggior parte della giornata sei persone, che dormono su materassi per terra.
Convivono insieme l'imputato in attesa di giudizio e quindi presunto
innocente, con il condannato. Il sano con il sieropositivo. Non abbiamo la
possibilità di cambiare le coperte. In casi, frequenti, di piccole epidemie di
scabbia, le coperte dovrebbero essere bruciate, ma non possiamo permettercelo,
perché non ne abbiamo di nuove. [...] Quotidianamente si convive, nelle
minuscole celle, con crisi di astinenza, epatiti, possibilità di contagio.
Qualsiasi oggetto degrada immediatamente. C'è carenza di saponette e di carta
igienica. La pulizia non è possibile. Questo il risultato di una popolazione
carceraria che è almeno il doppio della capienza" [7].
"Le condizioni delle nostre carceri
- ha esordito Felice Bocchino, Provveditore della Amministrazione
Penitenziaria Lombarda, al Convegno "La dignità della persona al centro della
legalità" (dicembre 1999) - non concedono di andare al di là della pura
gestione dei corpi dei reclusi".
Nel capitolo intitolato:
"Maltrattamenti, violenze, suicidi e atti di autolesionismo" del Primo Rapporto di Antigone (relativo al 1999), Osservatorio
nazionale sulle condizioni di detenzione, si rilevano una trentina di gravi o
quantomeno allarmanti episodi verificatisi o venuti alla luce nel corso del
1999. Il Rapporto si chiude con un lungo e triste elenco di eventi
critici: 6.342 atti di autolesionismo, 933
tentati suicidi, 51 suicidi, 78 decessi e 1.224 atti di
aggressione.
4. La routine
quotidiana
Le esigenze delle persone sono così disparate,
che è difficile dare un giudizio sulla qualità della vita nei diversi
ambienti. La questione è ancora più ardua se ci riferiamo al carcere.
"La vita quotidiana dei detenuti viene
scandita da un reticolo di norme molto minute, le quali, a cascata,
sono principalmente: il regolamento di esecuzione [...], i regolamenti interni
dell'istituto, le circolari dell'amministrazione centrale, le disposizioni dei
direttori degli istituti, i programmi di trattamento redatti
dall'équipe di esperti e approvati dal magistrato di sorveglianza. I
regolamenti interni, diversi da istituto a istituto e talora anche per singole
sezioni, non possono essere in contrasto con la legge e il regolamento di
esecuzione. E le disposizioni di livello inferiore, a loro volta, non possono
essere in contrasto con quelle di livello superiore. Le regole del tutto
rigide sono poche. [..] ma si consentono deroghe verso l'alto [...] adottate
tenendo conto delle condizioni di fatto dell'istituto [...], della
disponibilità di personale [...], ma anche della condotta del detenuto"
[8].
La notevole disparità che esiste da istituto a istituto ha suggerito a
P. C. di mettere a frutto la sua lunga esperienza di carcerato in un'inedita
iniziativa editoriale: una sorta di Guida Michelin delle prigioni d'Italia,
con descrizioni di panorami, vitto, alloggio e accoglienza, completa di
giudizi espressi, anziché con le canoniche stelle e forchette, con chiavi,
gavette e grate. Il giornalista Saverio Lodato ha scritto un vademecum per il
futuro detenuto [9]. I nuovi entrati a San Vittore dispongono oggi del
testo Come faccio alla mia prima esperienza? E spero ultima, preparato
dagli scrivani del IV raggio in collaborazione con il gruppo Cuminetti e con
l'educatrice Barbara Campagna [10].
Cosa è cambiato nel carcere?
La
prassi della domandina è rimasta inalterata. All'interno del
carcere qualunque operazione, anche la più modesta, diviene complessa.
Qualunque oggetto deve essere richiesto con uno scritto sul quale qualcuno è
chiamato a decidere; qualunque movimento, spostamento, atto giuridico e non
giuridico deve essere autorizzato; qualunque iniziativa deve essere
comunicata, valutata, discussa, e infine deliberata. Il detenuto interpreta
spesso l'esasperante rallentamento prodotto da una burocrazia kafkiana come
persecuzione, diniego, sadismo.
Il vitto è spesso mediocre. Alla fine dello scorso anno
sui giornali dei detenuti si è discusso ampiamente del problema, anche in
relazione alla rivelazione che il costo per l'Amministrazione Penitenziaria
per colazione, pranzo e cena varia dalle 3 alle 5 mila lire al giorno. Si
capisce l'impegno di mamme e mogli dei carcerati a portare cibi in occasione
delle visite settimanali.
Per l'arrivo degli
stranieri, in gran parte di religione musulmana, negli ultimi anni sono stati
introdotti cambiamenti per soddisfare le loro, esigenze religiose.
Il servizio sanitario è stato
ampiamente sviluppato. A San Vittore, per esempio, in ogni raggio
funzionano uno o più ambulatori, con la presenza del medico in determinate
ore; negli ambulatori possono essere eseguiti esami del sangue. Un pronto
soccorso centralizzato assicura un servizio nell'arco delle 24 ore. Esiste un
centro clinico con reparti di ricovero, medicina, chirurgia, urologia,
ortopedia, otorinolaringoiatra. Un reparto è riservato per malati
psichiatrici. Il detenuto, previa autorizzazione del Magistrato di
sorveglianza, può essere accolto per esami, cure e interventi presso ospedali
cittadini.
5. Il trattamento
penitenziario
Secondo l'ordinamento penitenziario il
trattamento sia all'interno degli istituti sia nell'ambiente esterno presenta
contenuti e modalità di approccio differenziati in relazione alla tipologia
dell'utenza. Esistono certamente molti il cui comportamento deviante è dovuto
più al disagio socio-economico che a una scelta consapevole di vita criminosa,
i quali realmente sono in grado di poter avvalersi del trattamento. Presentano
invece aspetti particolari i casi che manifestano disturbi più complessi di
tipo medico-psichiatrico (i tossicodipendenti, gli alcolisti, i malati di
mente) o sono sradicati dal proprio ambiente di vita (gli extracomunitari, i
nomadi) o quelli che hanno interiorizzato una scelta di vita delinquenziale o
di rifiuto (criminalità organizzata, "colletti bianchi").
Per il condannato e per il detenuto per misura di sicurezza è
stabilito un trattamento costituito da interventi volti a sostenere gli
interessi umani, culturali e professionali della persona, con lo scopo di
promuovere un processo capace di modificare gli atteggiamenti che
ostacolano una costruttiva partecipazione sociale.
Si presuppone,
attraverso una osservazione scientifica, di riuscire a comprendere perché la
persona abbia compiuto, volontariamente o istigata da altri, azioni
delittuose. Identificate le motivazioni di questa scelta, non si può
prescindere dall'identificare e valutare pure le cause e le circostanze
prossime del delitto. Bisogna inoltre accertare come il soggetto abbia vissuto
questa sua scelta e come percepisca la propria posizione in rapporto alla
violazione della legge e alla sanzione che gli è stata inflitta. Si deve poi
decidere in qual modo intervenire perché l'individuo possa essere restituito
al suo ambiente in condizioni di normalità.
L'istruzione, il lavoro e le attività
culturali, ricreative e sportive sono i mezzi previsti e tendono a conservare
o a fare acquisire attitudini sociali che rientrano fra le caratteristiche
delta persona "normale".
L'istruzione è ampiamente
sviluppata in tutti gli istituti con corsi di livelli diversi. Daniele
Pinardi, lo scrittore che ha insegnato per anni a San Vittore, ricorda: "il 90%
dei miei allievi detenuti era in continuo perenne
movimento: dentro-fuori, fuori-dentro, dall'avvocato, dall'assistente sociale,
dal magistrato di sorveglianza, di nuovo dall'avvocato, trasferiti, ritornati,
ritrasferiti, ri-ritornati". Non si dimentichi che dei 51.947ristretti presenti alla fine del
1999, ben
23.949 sono in attesa di sentenza definitiva. Di grande
rilievo, comunque, sono i corsi di carattere professionale, che vanno dalla
lavorazione del legno, della pelletteria, del vetro e del metallo
all'informatica, un tempo esistenti in pochissimi istituti e ora largamente
diffusi. A San Vittore è stato addirittura organizzato un corso di "Approccio
alle nozioni giornalistiche" per iniziativa dell'Ordine dei giornalisti e
dell'Associazione per la formazione al giornalismo (AFG) di Milano.
Il lavoro
è certamente un elemento chiave del
trattamento.
Secondo la legislazione vigente è
prevista per i condannati e gli internati una attività lavorativa avente le
seguenti caratteristiche: obbligatoria, non afflittiva, remunerata, equiparata
al lavoro del mondo libero, corrispondente ai desideri e alle attitudini del
soggetto, nonché alle condizioni economiche della famiglia.
Ora i detenuti attualmente lavoranti sono circa un quarto del totale e
il loro numero è rimasto pressoché invariato negli ultimi 10 anni, pur essendo
la popolazione carceraria quasi duplicata. Ma la cosa più grave è che la
maggior parte svolge lavori "domestici", cioè da scrivani, scopini, cucinieri,
lavandai, ecc., le cui retribuzioni sono modeste e, quel che è peggio, la cui
natura non è certo tale da qualificare e rieducare socialmente i reclusi. Le
attività di carattere servile finiscono per accentuare ancora di più la
separazione fra poveri e ricchi, questi ultimi potendo usufruire di risorse
proprie. In questi ultimi anni il lavoro interno è diventato il triste
apparmaggio dei detenuti stranieri.
La legge prevede
la possibilità di lavoro anche fuori del carcere: il numero di persone che ne
usufruiscono è però del tutto irrilevante.
Un tempo
molte industrie facevano lavorare i carcerati, ora più raramente. In tempi
recenti sono sorte però dappertutto numerose cooperative: a San Vittore, per
esempio, ce ne sono cinque: "Nuova Spes", "Out & Sider", "Alicet", "Granserraglio" e
"Pelletteria", che danno lavoro a 350 detenuti.
Le attività culturali, ricreative e sportive - un
tempo inesistenti - hanno avuto un ampio sviluppo quasi dappertutto. Esse sono
collegate alle nuove possibilità di contatto con l'esterno (si ricorda l'art.
17 già menzionato e l'art. 18 che abolisce generalmente la censura su
documenti in ingresso e in uscita).
Il trattamento
era il cuore della riforma, ma il ristretto numero del personale addetto
(educatori e assistenti sociali) impedisce di fatto un esame dello stato
individuale (l'osservazione scientifica del soggetto e l'acquisizione dei dati
strutturali di base di riferimento), l'elaborazione di un "programma di
trattamento" e una azione continua di sostegno e di appoggio individualizzato.
Si pensi che a San Vittore, per esempio, gli educatori sono sei per una
popolazione molto vicina alle 1.700 unità; non dispongono di alcun servizio di
segretariato o altro, per cui sono costretti a scrivere materialmente ogni
rapporto, a batterlo a macchina o al computer.
6. L'assistenza religiosa
L'ordinamento penitenziario riconosce a ogni
detenuto il diritto di professare la propria fede religiosa, di istruirsi
in essa e di praticarne il culto. In ogni istituto di pena viene
assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico, per la quale è
prevista la presenza di almeno un cappellano. Gli appartenenti a religioni
diverse dalla cattolica hanno facoltà di chiedere e ricevere l'assistenza dei
ministri del proprio culto e di celebrarne i riti.
La
presenza di numerosi islamici ha spinto molti direttori a istituire piccoli
locali per le preghiere periodiche e a predisporre orari e cibi (privi di
carne suina) perché i musulmani potessero adempiere ai propri riti e
obbligazioni. Per esempio a San Vittore sono state allestite due "salette
islamiche". "Da quando c'è questo luogo di culto, si nota molto l'influenza
della religione sul comportamento dei musulmani: prima, in reparto, si sentiva
un. continuo, fortissimo vociare, e i nostri compagni stranieri scaricavano le
loro tensioni in liti verbali; adesso c'è un silenzio contemplativo, come se
tutto fosse diventato un posto di preghiera, avvolto totalmente dal rispetto".
7. La voce del detenuto
Prima della riforma del 1975, l'informazione
nelle carceri era molto carente, i giornali che si acquistavano in carcere
venivano sottoposti a censura, con il taglio sistematico degli articoli di
cronaca nera o inerenti a processi in corso. Il livello sociale di provenienza
della stragrande maggioranza dei detenuti era molto basso: il tasso di
analfabetismo era
ancora altissimo, erano molti a non
sapere neppure leggere.
L'avvento del televisore in carcere risale ad alcuni
anni prima della riforma: si trattava spesso di grossi apparecchi situati
nelle sale di ricreazione. Successivamente, tutte le celle sono state in breve
tempo munite di televisori, accolti come una grande conquista. Le notizie
incominciarono a circolare più liberamente e i giornali che venivano dall'esterno
non erano più mutilati dalle notizie; fu consentita anche una radiolina. Le
notizie arrivavano ora da fonti diverse, ma quello che più stava a cuore a chi
era detenuto e non aveva esperienza di leggi, di diritti carcerari e di
opportunità nessuno lo spiegava.
C'era già La grande promessa, il
giornale carcerario di Porto
Azzurro, che ha oggi più di 40 anni di vita, ma arrivava
solo in biblioteca. Per trovare le prime esperienze di giornali carcerari
di una certa rilevanza bisogna giungere verso la metà degli anni Ottanta.
In molti istituti si proponevano iniziative per un "giornalino carcerario",
che però sopravviveva per l'arco di pochi numeri. Poi giunse L'ora d'aria, dove le notizie non erano filtrate: un giornale considerato fra i più seri
insieme a Liberarsi dalla necessità del carcere, altro giornale storico
attraverso il quale migliaia di detenuti hanno potuto dare voce alle loro
proteste e alle loro spesso inascoltate "urla del silenzio".
A questi se ne sono aggiunti successivamente molti altri: ricordiamo
Contro senso, Badù e Carros oltre il 2000, Gutenberg, Magazine 2, Mayday,
01tre il Muro, Ristretti. Anche dagli ospedali psichiatrici giudiziari
arriva la voce del detenuto: Effatà da Castiglione delle Stiviere e Spiragli da Montelupo Fiorentino.
Ci sono oggi servizi di radio private quali
TG Galeotto della Casa
di reclusione di Gorgona, TG due
palazzi e Radio Sherwood di
Padova.
Con Internet si sono aperte nuove
prospettive.
Numerosi sono gli spettacoli teatrali
e si pensa di organizzare il prossimo autunno una sfilata di moda.
Detenuti del Carcere di San Vittore hanno recentemente prodotto un film di 32 minuti girato nell'interno dell'istituto, con detenuti registi,
sceneggiatori e protagonisti: Campo corto. Il film
racconta una partita di calcio infinita giocata con le squadre che si
affrontano nel piccolo cortile di cemento dell'ora d'aria.
In piazza San Pietro a Roma, per il Giubileo nelle Carceri (9 luglio
2000), è approdata un'Arca di legno (24 metri cubi di legno, lunga 20 metri e alta
2),realizzata dai detenuti della Cooperativa del Granserraglio
del carcere San Vittore di Milano: rappresenta i sogni e le paure del
carcerato.
8. L'intervento del
volontariato
Il volontariato è sempre
stato, presente nel carcere (anche se con diverso nome), ma è con la riforma
penitenziaria che esso acquisisce una nuova dignità insieme con la
consapevolezza di poter giocare un ruolo importante nel processo che
dovrebbe condurre al pieno reinserimento nella vita sociale di chi, per
ragioni diverse, è stato privato della propria libertà: è recente la
costituzione della Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia, un
tavolo di lavoro comune promosso dal Coordinamento Enti e Associazioni di
Volontariato Penitenziario, (SEAC), ARCI-Ora d'aria, Caritas Italiana, con la collaborazione della
Fondazione Italiana per il Volontariato [11].
Richiamiamo alcune esperienze fatte nel carcere San Vittore, dove, in
questi ultimi anni, c'è stata una presenza di 60 volontari ai sensi
dell'art. 78 e di 200 in forza dell'art. 17.
Le
persone autorizzate con l'art. 78, che appartengono a gruppi fortemente
connotati in senso religioso (Sesta Opera San Fedele, Incontro e Presenza), orientano il loro intervento prevalentemente a un
sostegno materiale e spirituale: ogni giorno entrano per incontrare
individualmente persone bisognose per soddisfare richieste varie, quali
fornitura di vestiti, assistenza morale, sostegno alle famiglie, pratiche
burocratiche, minimi contributi economici ecc. E'una presenza capillare che
non appare in superficie, ma riveste un'importanza fondamentale nell'economia
dell'istituto.
Diversa è invece la modalità di
intervento di quei volontari i cui ingressi sono regolamentati dall'art.
17. Si tratta di gruppi di persone che operano, attorno a un progetto
mirato. Si è assistito a un fenomeno in continua espansione a partire , in
particolare, dal Convegno "Carcere e lavoro" del 1992. Dal Convegno
nasce il "Progetto Ekotonos", per
individuare strategie di intervento nell'area delle tossicodipendenze. Si
struttura fin dall'inizio sul principio che è indispensabile agire dentro e
fuori l'istituzione e che ci si deve avvalere di diverse risorse: detenuti,
operatori, istituzioni pubbliche, organizzazioni di privato sociale e
associazioni di volontariato. Troviamo ancora associazioni, come la Corsia
dei Servi, che opera nella sezione maschile in particolari attività di
promozione umana e culturale e come il Progetto Casina che presso la
sezione femminile s'impegna a coltivare gli interessi artistici delle donne.
Altre esperienze sono quelle de Il Bivacco e del Centro Zoè.
9. La riforma del 19
75
e stata mai
pienamente applicata?
I destinatari delta riforma, i detenuti,
avevano capito subito e tutto. Ne fanno fede i testi di partecipazione ad un
concorso a premi indetto da La grande promessa nel marzo 1981 sul tema: "Cinque anni di riforma carceraria
in Italia". La maggior parte avevano espresso il parere che fosse "impossibile
attuare i contenuti della riforma a causa delle condizioni inadeguate di
ambiente e struttura del carcere. "La riforma carceraria è come una ruota di
scorta nuova applicata ad una macchina vecchia e inefficiente"" [12],
riferendosi in particolare agli artt. 5 e 6(che fissano
le caratteristiche degli edifici penitenziari), all'art. 13 (sull'osservazione scientifica della personalità) e all'art. 20
(sul lavoro).
Alfredo Carlo Moro ebbe a dire, qualche anno dopo:
"La legge
penitenziaria è un triste esempio di quelle "leggi manifesto" da cui è
afflitta la nostra vita istituzionale, di quelle buone intenzioni elaborate
dal legislatore (sempre più "uomo dei fini" e sempre meno "uomo dei mezzi") di
cui è lastricata la via dell'inferno della nostra realtà comunitaria"
[13].
Occorre riconoscere
che i cambiamenti che si sono verificati nel nostro Paese in questi
ultimi decenni sono stati sconvolgenti e l'adeguamento ad essi è certamente
arduo sul piano morale, culturale e giuridico.
Si
pensi, ad esempio, al problema degli stranieri. In linea di principio
lo straniero in carcere ha un trattamento uguale a quello del cittadino
italiano. Ma l'istituzione totale tende a ignorare le diversità, il rigore
della norma non conosce i bisogni e le esigenze dell'uomo straniero, anche se
la legge privilegia il rispetto della dignità della persona. Il disagio dello
straniero dietro le sbarre non nasce soltanto dalla privazione della libertà,
ma dalla incapacità e dalla impossibilità di farsi prendere in considerazione
e di esercitare i propri diritti personali. E' un detenuto che non ha voce,
che spesso vive la spersonalizzazione da isolamento e solitudine.
10. Il futuro
prossimo
Ritorniamo ad analizzare i dati statistici e
osserviamone l'andamento.
Secondo i dati forniti dal
Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria nello scorso mese di aprile, i
51 .862 carcerati vivono in edifici la cui capienza
regolamentare è di 37.402 (e quella tollerabile di 42.830). Il numero globale dei detenuti non potrà variare in modo significativo
nei prossimi anni.
Potrebbe invece variare
considerevolmente la composizione della popolazione carceraria. Massimo De
Pascalis (funzionario dell'Amministrazione Penitenziaria), esaminando la
situazione degli stranieri, afferma: "La presenza dei detenuti stranieri nelle
carceri italiane sta evolvendo in maniera esponenziale, tanto da poter
presumere che nei prossimi anni il rapporto attuale 1 a 3
(stranieri/autoctoni) sarà rovesciato" [14].
Si può
pensare a un miglioramento della situazione? Da parte nostra lo
riteniamo molto difficile, perché il carcere è il terzo anello di
una catena costituita da codice penale, codice di procedura penale e
ordinamento penitenziario.
Il codice penale è del 1931. Ha subito nel corso del tempo tali e
tante modifiche che il suo impianto originario è stato trasformato
radicalmente, ma al di fuori di una coerente impostazione globale. Tesi per un
nuovo ordinamento sono state recentemente esposte da Luciano Eusebi al
convegno "Per una nuova cultura della giustizia" [15].
Il codice di procedura penale
è stato, rinnovato ed è entrato in vigore nel 1992. Ma sono subentrate
ancora modifiche, spesso contraddittorie a detta dei competenti. La lentezza
nell'approntare qualche modifica è esasperante: per esempio, la
predisposizione di alcuni provvedimenti dichiarati urgenti - che rientrano in
un "pacchetto sicurezza" proposto dalla maggioranza - è in corso da oltre un
anno.
L'ordinamento penitenziario potrà essere
certo modificato. Proposte sono state avanzate per istituire tre diversi
percorsi: l'introduzione di un difensore civico, (che rilevi gli eventuali
abusi che possono accadere negli istituti); l'estensione dell'impiego di
mediatori culturali per gli stranieri; l'allargamento dell'applicazione di
misure alternative.
Giovanni Tamburino, direttore
dell'Ufficio studi e ricerche del Dipartimento dell'Amministrazione
Penitenziaria, presentando recentemente una lucida analisi sui "paradossi e le
mancanze" del nostro sistema carcerario, sostiene che "la pena detentiva è
difficile da gestire e un certo numero di paradossi sono destinati a rimanere
insoluti", ma suggerisce alcuni interventi. Conclude osservando che "serve una
vera riflessione sulla necessità e i limiti della pena, sull'ordine dei
fattori che la governano, su ciò che la società può volere e ciò che non può
volere".
"Il sogno di un futuro
più giusto passa anche attraverso la riabilitazione dei carcerati": così apre
il dossier "Uomini dietro le sbarre" del mensile Popoli
[16]. Il fatto è che il
carcere è uno spaccato della società. Vi
troviamo quindi la tossicodipendenza, la diffusione del virus dell'AIDS, la
povertà del Sud del mondo che si accalca alle porte di quello del benessere
vero o presunto, 1'espulsione dal contesto economico di figure fragili, la
difficoltà di recepire valori da parte dei giovani, ecc.
Non si può quindi non accogliere l'invito del card. Carlo Maria
Martini, arcivescovo di Milano:
"Tutti i
cittadini sono chiamati ad assumersi gli oneri necessari per ridurre i fattori
che favoriscono le scelte criminali e le zone d'ombra, economiche e sociali,
dove la criminalità cresce e si propaga.
"Non bastano le nuove leggi, le riforme strutturali, i rinnovati
programmi politici, gli interventi giudiziari, pur importanti e necessari.
Bisogna anzitutto agire sulle persone, dall'interno delle persone,
contrastando quel processo di massificazione che spersonalizza e aliena.
Bisogna appellarsi all'individualità e alla libera volontà di ciascuno: ognuno
deve essere trattato e spinto ad agire come "persona umana responsabile",
membro vivo e utile dell'intera comunità. Per uscire dal nostro malessere
generale, è dunque necessario riscoprire insieme il senso dell'essere popolo,
società, comunità umana, fraternità" [17].
Studioso di questioni
dell'emarginazione.
Assistente
volontario nel carcere San Vittore di Milano.
[1] CARITAS ITALIANA,
Carcere e
dignità della Pena, Roma 1999.
[2] GRUPPO
ABELE, Annuario
Sociale 2000, Feltrinelli, Milano 2000.
[3]
ANTIGONE, Rapporto nazionale sulle
condizioni di detenzione, Castelvecchi, Roma 2000.
[4] Cfr
Gazzetta Ufficiale, 22 agosto 2000, n. 195.
[5] G. CASELLI,
"Solo i poveracci vanno
in carcere", in La Stampa, 2 aprile 2000.
[6] E. DI SOMMA,
"La qualità della vita in carcere", in Atti Convegno SEAC, Roma 1995.
[7] L. PAGANO,
Rapporto degli ispettori europei sullo stalo delle
carceri in Italia, Sellerio, Palermo 1995, 15 s.
[8] G. TAMBURINO,
"Conoscere il carcere",
in MicroMega, n. 1 (2000), 176.
[9] Cfr S. LODATO,
Vademecum per
l'aspirante detenuto, Garzanti, Milano 1993.
[10] Cfr AA.
VV., "San Vittore", in
Magazine 2, n. 1 (2000).
[11] Cfr C. COPPOLA,
Volontariato e
giustizia, Fondazione ltaliana del Volontariato, Roma 1996; L. FERRARI, "Il volontariato impegnato nel penitenziario e nei percorsi di
giustizia", in
Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Roma 1998; AA. VV., "Il
volontariato e il carcere", in Fogli Informazione e Coordinamento, MO.V.I.,
nn. 1-2 (2000).
[12]
A. LOVATI - M. PANETTI LOVATI, "Cinque anni di
riforma carceraria nell'opinione dei detenuti", in Aggiornamenti Sociali, 12 (1981), 790,
rubr. 134.
[13] A. C. MORO,
"Il rispetto della
dignità della persona nelle leggi penali e nell'ordinamento penitenziario", in
Atti del Convegno dei Cappellani, Roma 1983.
[14]
M. DE PASCALIS, "La detenzione dello straniero: esperienze
e proposte su alcuni temi", in Stranieri, n. 1 (1999).
[15] Cfr AA,
VV., "Colpa e pena. Per una nuova cultura della giustizia", in Convegno di Bergamo, 13 maggio 2000.
[16] Cfr AA.
VV., "Uornini dietro
le sbarre", in Popoli, n. 6-7 (2000), 6-11.
[17]
C. A MARTINI, Sulla giustizia, Mondadori, Milano 1999,
54.