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Carcere e Lavoro - La Legislazione Intervento di Monica Vitali al convegno di AGESOL "Lavorare vale la pena"
La prima impressione per chi si avvicina al fenomeno del lavoro penitenziario è data dai numeri, e cioè il numero dei detenuti in Italia, che ha superato la soglia dei 55.000, ed il numero di quelli che lavorano all’interno del carcere, poco più di 10.000, che, tradotto in termini percentuali, significa il 20%. Il secondo elemento che colpisce è quello dell’assenza o quasi di interventi giurisdizionali sul tema del lavoro dei detenuti, come se il detenuto che lavora, all’interno o all’esterno del carcere, fosse difficilmente percepito dalla collettività come destinatario di diritti e obblighi, sul piano della sua doppia condizione di detenuto e lavoratore. Il terzo elemento, strettamente collegato al precedente, è dato dallo scarsissimo interesse della dottrina giuridica per questi argomenti. Al di là di alcuni interventi, tutti di giuslavoristi e tutti risalenti agli anni ’70, il problema del lavoro penitenziario è stato assolutamente trascurato. I pochi che se ne sono occupati lo hanno fatto in un’ottica di puro difensivismo, e ha agito e agisce su due piani. Il primo piano: i penalisti che hanno affrontato il tema ne hanno privilegiato la pretesa punitiva dello Stato rispetto ai diritti civili dei lavoratori detenuti. Il secondo piano: è stato attribuito al lavoro il carattere di presupposto necessario per il riesame della pretesa punitiva dello Stato, anche quando non è normativamente richiesto, e si è connotato il lavoro, presupposto essenziale per l’ammissione alle misure alternative, in una unica direzione quella del lavoro subordinato a tempo indeterminato. In realtà, ci sono molti motivi per riflettere su questi temi; ma è importante analizzare quali sono i problemi con cui ci si deve scontrare per l’inserimento lavorativo dei detenuti, che sono essenzialmente due. Il primo è quello dei tempi, sia del Carcere che della Magistratura di Sorveglianza, necessari perché si giunga ad una decisione sull’ammissione al lavoro all’interno o all’esterno dell’istituto. Il secondo è quello della formazione e dei titoli di studio degli aspiranti lavoratori, poco adeguati alle esigenze del mercato del lavoro, in quanto la formazione è molto generica e i titoli di studio poco significativi, sia in termini quantitativi che qualitativi. Per quanto riguarda il primo è indubbio che mondo giuridico, in generale. e mondo carcerario in particolare, abbiano una concezione diversa del tempo rispetto al mondo reale, in generale, e al mondo economico in particolare, diversa e difficilmente compatibile. Il nodo principale è dato dalla scarsa conoscenza che ciascuno di questi mondi ha dell’altro. Nella forma che gli è stata data nella legislazione successiva alla Legge Gozzini, il lavoro penitenziario è diventato assimilabile a quello svolto dalle persone libere, salvo i necessari adattamenti connessi alla condizione soggettiva di una delle parti del contratto, condizione soggettiva che non dovrebbe incidere sul piano dei rapporti contrattuali tra lavoratore detenuto e datore di lavoro imprenditore. La tendenza giurisprudenziale che si è venuta formando sulla Legge Gozzini ha, invece, attribuito al lavoro un carattere di presupposto necessario dell’ammissione alle misure alternative, connotandolo nella direzione del lavoro subordinato a tempo indeterminato, che non corrisponde più alla situazione dell’attuale mercato del lavoro. Lo sforzo legislativo è stato, quindi, quello di privatizzare il lavoro penitenziario, sia intramurario che extramurario, consentendo l’ingresso del mercato nel lavoro carcerario attraverso la gestione diretta delle attività lavorative da parte dell’imprenditore esterno, pubblico o privato che sia. La conseguenza è che viene a cadere completamente l’opzione di fondo contenuta nella Legge Gozzini volta a differenziare il lavoro intramurario e il lavoro all’esterno, assimilabile al lavoro libero. Infatti, l’imprenditore che gestisce le lavorazioni stipula con i detenuti lavoratori contratti di diritto privato, così che viene completamente superata la distinzione tra lavoro intramurario ed extramurario, relativamente all’applicabilità della disciplina standard. Per quanto riguarda il secondo aspetto, si tratta di attivare i concreti impegni che le parti coinvolte si sono assunti. Già la Legge regionale nr. 1 del 1999 affermava come obiettivo proclamato quello dell’integrazione dei sevizi per l’impiego resi sul territorio, delle politiche attive del lavoro e delle politiche formative per sviluppare un mercato del lavoro aperto e trasparente che incentivi l’incontro tra domanda e offerta. Già il protocollo d’intesa tra Regione Lombardia e Ministero di Giustizia segue queste linee di intervento, impegnandosi ad assicurare uno stretto raccordo tra i percorsi di formazione professionale delle persone detenute, a regime ordinario ed ammesse alle misure alternative, e delle persone dimesse, e le reali esigenze occupazionali del mercato del lavoro regionale. Le novità legislative, la c.d. Legge Smuraglia e il nuovo regolamento della legge sull’ordinamento penitenziario proseguono in questa impostazione: il regolamento porta a conclusione il processo di privatizzazione, dettaglia le norme che permetteranno al sistema di funzionare, prevedendo la duplice possibilità per le lavorazioni e i servizi di istituto di essere organizzate e gestite dalle direzioni degli istituti, ovvero da imprese pubbliche e private in regime di convenzione. La Legge Smuraglia fa di più: non solo ridisegna ed amplia la nozione di soggetti svantaggiati, riferendoli anche alle persone recluse non ammesse a misure alternative, ma soprattutto introduce un sistema di agevolazioni differenziate e l’allargamento degli incentivi fiscali. Il problema resta quello delle occasioni concrete: gli spazi per incrementare le occasioni di lavoro, le occasioni di formazione professionale, per favorire l’incontro tra mondo del lavoro e mondo dei detenuti ci sono tutti a livello legislativo. Si tratta di attivarli, avendo ben presente che questa è una necessità per la collettività, una necessità in termini di sicurezza. Non può esserci sicurezza, se non si agisce per rendere effettivo il reinserimento dei detenuti ed il riconoscimento che sono lavoratori detenuti e non detenuti lavoratori. E' un passaggio fondamentale in questa direzione. Elementi d'evoluzione del quadro normativo del mercato del lavoro. Nella prassi della cultura operativa corrente (in realtà non giustificabile sul piano interpretativo) si modella il lavoro carcerario extramurario nei termini dei rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, oramai da tempo, il mercato del lavoro non è più questo, né nella realtà e neppure nella evoluzione normativa del contratto attuale, che introduce elementi di flessibilità, che si sono arricchiti notevolmente nell’esperienza legislativa e contrattuale di questi ultimi anni, semmai i dati negativi si ritrovano nella poca pratica di svolgere una politica realmente attiva sul mercato del lavoro. Almeno su una parte del mercato del lavoro, è sotto gli occhi di tutti una perdita del centralità del prototipo normativo del rapporto classico di lavoro subordinato a tempo pieno tendenzialmente con lo stesso datore, con pochi passaggi da una ad altra impresa nel corso di una vita lavorativa, almeno per una parte, perché poi all’interno d'ogni impresa vi è un nocciolo duro di lavoratori che ancora e sempre più risponde a questa caratteristica, e soprattutto è sotto gli occhi di tutti che l’accesso al mondo del lavoro per gli inoccupati, o per i disoccupati di lungo periodo, passa ormai in maniera significativa, quasi esclusiva, dagli strumenti d'impiego flessibili. Sul piano normativo questa possibilità è notevolmente cresciuta, negli anni si sono notevolmente allargate le possibilità d'impiego flessibile, in un quadro di ricerca di un difficile punto di mediazione tra flessibilità nell’interesse dell’impresa, nell’interesse del lavoratore (pensiamo al difficile equilibrio tra questi due aspetti, ad esempio nella normativa recente sul part-time) e anche regole di tutela dei diritti del lavoratore quale contraente debole. Si richiama molto rapidamente l’istituto del lavoro a termine, che è quello più significativo e oggetto in genere della maggiore attenzione, che si è molto sviluppato con l’allargamento delle ipotesi legali e soprattutto delle ipotesi contrattuali, a partire dagli anni ’80. La recente normativa del lavoro temporaneo, il cosiddetto lavoro interinale, le molteplici figure di contratti a contenuto formativo, il part-time e da ultimo ma non meno importante il massiccio sviluppo delle collaborazioni coordinate e continuative, ed anche altre forme, che oggi caratterizzano, soprattutto in realtà dinamiche come quella Lombarda, il mercato del lavoro, innanzi tutto il lavoro autonomo imprenditoriale vero, il passaggio del mondo del lavoro prestato verso altri, al lavoro autogestito, la cooperazione, o figure come contratti associativi. Questi brevi cenni dovrebbero dirci che la pretesa sopra richiamata di modellare cioè il lavoro carcerario sull’unico prototipo del lavoro subordinato classico pare infondata, e l’attuale quadro normativo del mercato del lavoro che per non limitare la parità di regole e diritti del lavoro dei detenuti impone di considerare sullo stesso piano ogni occasione di lavoro e quindi non solo quelle classiche ma anche quelle più recenti. L’Istituzione carceraria ed i suoi strumenti riabilitativi devono dunque rapportarsi al mondo del lavoro e della produzione per quello che è oggi. In questo quadro, ci si deve interrogare su quali possibilità d'adattamento vi siano, adattamento degli strumenti che si è richiamato alla specifica situazione dei detenuti e soprattutto quali strumenti di sostegno per reperire occasioni di lavoro, d'incentivazione alle imprese, etc. E’ evidente il ruolo centrale dell’Istituzione di governo del mercato del lavoro, delle previsioni normative che sono state richiamate, soprattutto quelle in termini d'incentivi fiscali, finanziari. Si tratta probabilmente di immaginare altri e più efficaci strumenti per individuare nuovi soggetti imprenditoriali nella funzione sociale rappresentata nel dare occasioni di lavoro e di reinserimento ai detenuti. Ultimo tema sul quale è necessaria una riflessione ed un completamento del quadro normativo, è il problema del lavoro per i detenuti extracomunitari. Per i detenuti stranieri non solo vi sono problemi ulteriori di sostegno all’inserimento lavorativo, di alfabetizzazione, di formazione specifica, ma può esserci anche un problema di coordinamento con la normativa esistente in materia di permessi a fini lavorativi che consenta all’imprenditore nel lavoro intramurario o extramurario di poter dare luogo, anche per questi cittadini che si trovano ristretti in carcere, la possibilità di reinserimento non solo sociale ma anche di inserimento in una società per essi completamente nuova, anche una volta che hanno espiato la pena.
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