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Relazione del procuratore generale della corte di appello di Milano, Francesco Saverio Borrelli per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2002 12 gennaio 2002
nell'accingerci a celebrare la cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2002 è doveroso rivolgere anzitutto il nostro pensiero e il nostro ossequio al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, idealmente presente tra noi , instancabile cultore e animatore di una coscienza civica che dall'ambito nazionale si allarga alla patria europea e al mondo contro ogni particolarismo localistico; virtuale altissimo garante della unità talvolta problematica tra i poteri dello Stato tutti promananti e perciò legittimati, direttamente o mediatamente, dalla volontà del popolo italiano;tutore dei meccanismi e dei valori del progetto democratico tracciato nella Costituzione nata – lo si ricordi – dalla Resistenza contro il regime del ventennio e dunque anche presidio di resistenza contro ogni altro regime possibile o futuro; esprimo, come già nelle occasioni precedenti, la devota riconoscenza mia e del mondo giudiziario del Distretto a Sua Eminenza il Cardinale Carlo Maria Martini, da ventidue e vorremmo augurarci per molti anni ancora Arcivescovo di Milano, la cui costante presenza alle cerimonie inaugurali riflette su queste una luce che, al di là delle dimensioni tecnica e istituzionale, conferisce loro, o ne svela, una valenza di più ampio respiro comunitario e spirituale; ringrazio altresì per la loro presenza il Vice Presidente del Parlamento Europeo On.Guido Podestà, il Prefetto Dott.Bruno Ferrante, il Generale di Squadra Aerea Giulio Mainini, Comandante della 1^ Regione Aerea e del Presidio Militare di Milano, il Generale di Corpo d'Armata Mariano Ceniccola, Comandante Interregionale dei Carabinieri "Pastrengo" , il Tenente Generale Bruno Viva, Comandante del Corpo d'Armata di Reazione Rapida, il Generale di Corpo d'Armata Angelo Ferraro, Comandante Interregionale della Guardia di Finanza,l'avv.Giovanni Di Cagno, rappresentante del Consiglio Superiore della Magistratura, di cui è componente, il Presidente Giovanni Schiavon, Capo dell'Ispettorato, in rappresentanza del Ministero della Giustizia Presidente Schiavon, l'ultimo contatto della magistratura milanese con un Capo di Ispettorato risale all'infausta èra Mancuso: mi auguro vivamente che la Sua presenza oggi qui sia portatrice di un messaggio alquanto diverso porgo il mio saluto, ancora, alla Vice Presidente della Giunta Regionale On.Viviana Beccalossi, alla sempre deliziosamente gentile Presidente della Provincia On. Ombretta Colli,al Vice Sindaco di Milano Sen.Riccardo De Corato, al Questore Dott.Vincenzo Boncoraglio, al Presidente e all'intero Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, alle illustri Rappresentanze degli Ordini Forensi di altri Paesi, ai numerosi Parlamentari presenti, al Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale, al Presidente della Sezione Giurisdizionale e al Procuratore Regionale della Corte dei Conti, ai Magnifici Rettori delle Università, ai Dirigenti delle articolazioni locali delle Amministrazioni dello Stato, ai vertici delle Forze Armate e delle Polizie, ai rappresentanti della cultura, del giornalismo, del mondo dell'economia; porgo il mio saluto, infine, ai cittadini, anzi, "alle loro maestà i cittadini", come soleva dire il compianto Prefetto Carmelo Caruso, avvicinati oggi da un lodevole interesse a questa cerimonia, del resto non esoterica nonostante il paludamento, ma a loro destinata. Come molti dei presenti già sanno, il limite di tempo assegnato al discorso del procuratore generale non permette un consuntivo analitico degli eventi giudiziariamente rilevanti né del lavoro svolto dai vari uffici. Per una meno sommaria informazione rinvio i cortesi ascoltatori alla lettura delle relazioni pubblicate nella seconda parte del volumetto oggi distribuito. Quanto alle tabelle statistiche richiamo le consuete riserve e avvertenze circa le incongruità derivabili dal non ancora completato assestamento interno dei dati circa l'inevitabile divario tra i dati stessi, aventi carattere prettamente giudiziario, e la realtà esterna, ben lungi dall'essere tutta visibile, o ugualmente visibile, o tempestivamente visibile, nello specchio dell'attività della magistratura. Per il Tribunale di Milano, peraltro, un Ufficio delle Statistiche, recentemente costituito sotto la guida di un magistrato, sta operando con esemplare cura una integrale revisione critica dei dati e delle metodiche, che risulterà utilissima per i fini dell'organizzazione generale del Tribunale stesso. Per ciò cheriguarda in generale il livello di funzionalità degli uffici, l'osservazione rivela un ventaglio alquanto diversificato di situazioni locali. Ma anche dove la pressione dei carichi civili e penali è molto rilevante in rapporto alle risorse umane (Monza, afflitta da sempre da un forte squilibrio tra l'entità della popolazione e gli organici dei magistrati e degli amministrativi; Busto Arsizio, percossa dall'ondata di piena della criminalità collegata allo scalo intercontinentale di Malpensa; Milano, dove la Procura della Repubblica, anche a causa di scoperture di organico, è costretta agrossi sforziper conciliare la presenza dei pubblici ministeri alle udienze fissate dal Tribunale con le ordinarie attività di indagine), le situazioni vengono fronteggiate dappertutto onorevolmente. Il bilancio globale si attesta su valori di sostanziale equilibrio tra entrate e uscite, cioè tra nuove iscrizioni e definizioni, sebbene il recupero di velocità e il raggiungimento dell'obiettivo di una giustizia mediamente e non solo saltuariamente rapida, o almeno ragionevole nei suoi tempi, siano ancora abbastanza problematici. La lentezza dei processi davanti alle magistrature ordinarie, è, del resto, male comune a molti Paesi anche europei, e forse in alcuni – secondo indicazioni provenienti dal mondo dell'avvocatura – persino più grave che da noi. In qualche caso le statistiche ufficiali paiono delineare una diminuzione delle pendenze vuoi civili che penali, che, se rispondente al vero, è foriera di speranza nel progresso. Più di un capo di ufficio esprime valutazioni positive circa gli effetti dell'unificazione dei giudici e dei pubblici ministeri di prima istanza, dell'accresciuta area della competenza monocratica, dell'aggregazione di giudici onorari alle sezioni civili stralcio, del più frequente ricorso al rito penale abbreviato. Prosegue, per la Corte d'Appello, un andamento positivo di riduzione delle pendenze sia civili che penali, donde la legittima aspettativa di un miglioramento della situazione. Comune a tutti i capi degli uffici è la lamentela per le scoperture, in alcuni casi scandalose, negli organici del personale amministrativo, che vanificano in parte gli sforzi dei magistrati, confondono i profili professionali e generano disordine quando non autentici e gravi disservizi negli adempimenti che precedono e che seguono l'udienza. Il problema ha una delle sue concause nell'esiguità della componente settentrionale nelle leve degli amministrativi, e anche in una certa proclività del Ministero della Giustizia a favorire il ritorno di dipendenti nei luoghi d'origine dell'Italia centro-meridionale. Comunque possa valutarsi la situazione del Distretto in termini oggettivi, mi preme porre in evidenza come da nessun ufficio provengano manifestazioni di sconforto né opinioni di sconfitta, al contrario rilevandosi in tutti, a cominciare dai capi, la ferma volontà di risolvere ad ogni costo le difficoltà con l'impegno, il sacrificio, l'intelligenza nell'ottimizzazione delle risorse disponibili. E' questo un dato di carattere morale, ma con un suo riflesso pragmatico, che fa onore ai Colleghi e alla civiltà lombarda di cui tutti, per nascita o per adozione, ci sentiamo impregnati. Estremamente accurato è il controllo che il Consiglio Giudiziario, in base alle minuziose circolari del Consiglio Superiore della Magistratura, esercita sulle tabelle di composizione degli uffici , sulla distribuzione interna del lavoro e su tutti i provvedimenti organizzativi dei capi, nell'ottica di una continua rivisitazione dei criteri adottati per renderli sempre meglio rispondenti alle esigenze della razionalità e dell'efficienza. Particolare attenzione è stata dedicata negli ultimi tempi alla formazione professionale sotto un triplice aspetto: la creazione, presso sedi accademiche, delle scuole di specializzazione a partire da questo mese di gennaio per laureati che aspirano alla magistratura, all'avvocatura o al notariato, sotto la guida di docenti universitari, di professionisti e di magistrati; il tirocinio degli uditori giudiziari senza funzioni, nonché dei giudici di pace di nuova nomina; l'aggiornamento e l'arricchimento culturale, o formazione permanente, a vantaggio di tutti i magistrati togati e onorari, con iniziative tra l'altro di studio di tutte le più importanti leggi civili e penali di nuova emanazione. Di tutte, non solo di alcune, come con calunniosa malevolenza è stato insinuato da qualche parte. Analoghe, e molto ben concepite attività di formazione vengono svolte da funzionari esperti presso la Scuola per la pubblica amministrazione a vantaggio del personale amministrativo dei vari livelli. Per quanto riguarda in particolare la giustizia penale, vari procuratori della Repubblica del Distretto addebitano genericamente al vigente codice di procedura penale e alle recenti novelle (avviso della conclusione delle indagini preliminari, indagini difensive, giusto processo, difesa d'ufficio, informazioni sul diritto di difesa) la causa della lentezza dei procedimenti; mentre la riforma del giudice unico e l'ampliamento della competenza monocratica ricevono valutazioni negative per l'accresciuto numero di udienze che sottrae tempo alle indagini, positive invece per l'incremento di produttività in termini di sentenze. La posizione più ottimistica trova concordi vari presidenti di tribunale, alcuni dei quali sottolineano il notevole aumento della quota di definizioni con rito abbreviato e il deciso avvio di una fase di riduzione delle pendenze (con l'esposizione peraltro di numeri non coincidenti con quelli elaborati in sede ministeriale, ciò che ancora una volta consiglia cautela nella valutazione delle statistiche). Non condivido, se non per aspetti particolari, l'atteggiamento critico e sostanzialmente misoneista di chi indiscriminatamente deplora le novelle. Se alcuni appesantimenti potevano ragionevolmente evitarsi, il nucleo delle innovazioni, e principalmente il diritto alle investigazioni difensive, attua né più né meno che la parità delle parti e costituisce mero sviluppo della concezione accusatoria che ha informato il codice Pisapia Vassalli e alla quale personalmente ho plaudito fin dall'inizio. E' da dire, piuttosto, che ogni ampliamento di garanzie e/o di poteri deve essere utilizzato linearmente per gli scopi cui il legislatore l'ha destinato, non distorto a danno del processo, del giusto processo e del suo fine ultimo, e ciò non sarà possibile se non accettando una deontologia professionale e una conduzione processuale a tolleranza zero. Il codice civile conosce il divieto degli atti di emulazione. Un moderno codice deontologico dovrebbe sanzionare come oltraggio alla giustizia ogni esercizio di diritti all'interno del processo, che abbia come unico scopo quello di nuocere o recare ritardo al processo stesso e renderne irragionevole la durata: e mi astengo dal citare gli esempi, pur clamorosi, offerti da esperienze in corso. Che dire poi del recente, soccorrevole tentativo di sabotaggio di un processo, proveniente addirittura dall'esterno, da un elevato livello esterno, sotto l'ingannevole specie dello scrupolo legalitario? Deve aggiungersi che alcuni rallentamenti generati dalla riforma hanno riguardato i dibattimenti già pendenti, per intuibili problemi di diritto intertemporale, ma non dovrebbero condizionare più di tanto i tempi dei procedimenti, una volta che le innovazioni siano state assimilate dagli operatori e i nuovi meccanismi siano per così dire a regime. L'apparato della giustizia penale si è arricchito da pochi giorni di una nuova articolazione, grazie all'entrata in vigore della legge che ha attribuito un'area di competenza, appunto, penale al giudice di pace. A questo stuolo di magistrati onorari, le cui benemerenze nel settore della giustizia civile si rinnovano già da sei anni (un saluto specialmente grato voglio rivolgere a quelli che conosco meglio, i giudici di pace di Milano, e alla loro Coordinatrice), formulo gli auguri più fervidi per i loro nuovi compiti. La sperimentazione di istituti quali la mediazione, la permanenza domiciliare, il lavoro di pubblica utilità, l'esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità, l'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, proporrà, ne sono sicuro, orizzonti alternativi agli arcaismi sanzionatori di un diritto penale classico basato sulla retribuzione di un male commesso dal singolo con l'inflizione di un male corrispettivo,talvolta peggiore, da parte dello Stato. In ordine alla giustizia civile, le voci dei presidenti di tribunale sembrano accordarsi su una nota di relativo ottimismo, giustificato da un supero più o meno marcato del numero delle cause definite rispetto a quelle sopravvenute, sicché in quasi tutte le sedi le pendenze risulterebbero in diminuzione. Le relazioni dei capi degli uffici giudicanti, per vero, sono alquanto parche di considerazioni sui temi della giustizia civile, anche per quegli aspetti che nel divenire, nell'evolversi della legislazione dovrebbero destare più vivo interesse negli operatori e curiosità negli osservatori. Fa eccezione la relazione del Presidente del Tribunale di Monza, che, esaminando il processo civile riformato, rileva come questo si caratterizzi per una più ordinata sequenza delle varie fasi, con un risultato di accelerazione delle decisioni, talvolta però ottenuto impropriamente con la "cautelarizzazione" del processo. Il ricorso a strumenti anticipatori interni al processo sembra a quel Presidente inadeguato a scopi deflattivi, e in generale ad abbreviare apprezzabilmente i tempi di gestione delle cause civili. Le sezioni stralcio esauriranno ovunque i propri ruoli entro il quinquennio previsto. Il funzionamento dei giudici di pace – peraltro non dappertutto a ranghi completi – è valutato positivamente. Sul piano dell'effettività, le esecuzioni civili lasciano molto a desiderare; ma non può non porsi in evidenza, con alta lode, la riorganizzazione delle esecuzioni immobiliari studiata e attuata dal Tribunale di Monza secondo un modello che è stato pubblicamente illustrato in un convegno della scorsa primavera e al quale si ispireranno altri tribunali del Paese. Una menzione particolare spetta al funzionamento della giustizia nel campo minorile. Preme a questa Procura Generale segnalare l'impegno qualitativamente e quantitativamente cospicuo, secondo una tradizione consolidata da parecchi decenni, del Tribunale e della Procura della Repubblica per i Minorenni nei compiti di estrema delicatezza e formidabile rilevanza umana e civica attribuiti loro dall'ordinamento. Tale impegno è rispecchiato non soltanto dall'oggettività del lavoro svolto, che, si badi, possiede una valenza virtuale oltrepassante i confini del settore specifico con la sperimentazione di alcuni istituti suscettibili di transitare utilmente dal laboratorio minorile al mondo della giustizia per gli adulti. E' rispecchiato anche dalla pregevole completezza delle relazioni che i capi dei due uffici hanno elaborato, dall'accorata, generosa partecipazione etica ed emotiva che gli autori hanno posto in tali documenti nell'affrontare le vaste problematiche della loro attività quotidiana, dall'ampiezza degli orizzonti strategici delineati, in definitiva dalla fortissima vocazione professionale che ne traspare. Le difficoltà che la giustizia minorile incontra provengono dalle caratteristiche di un contesto sociale, di estensione distrettuale, in cui l'attenzione alla condizione dell'infanzia e in genere dell'età evolutiva deve abbracciare uno spettro che va dalla povertà avventurosa e spaesata delle famiglie degli immigrati alle isole esclusive dei clan nomadi, dalle aree anarcoidi e violente delle periferie urbane agli ambienti delle famiglie più o meno, ma neppure sempre in crisi, appartenenti alle fasce piccolo-medio-borghesi della società, e talvolta alto-borghesi. Il denominatore comune – generatore del disagio donde nascono devianze, sofferenze, conflitti – è rappresentato dalla carenza di un'autentica cultura dell'infanzia, a volte necessitata dalle circostanze, a volte frutto di disattenzione, spesso causata dall'incapacità negli adulti di trasmettere valori che si discostino dall'ideologia di un'identità cercata, secondo la nota espressione di Erich Fromm, nell'avere piuttosto che nell'essere. Nel settore minorile penale il rito attuale consente un più utile approccio al minore deviante, con il grave limite delle barriere culturali e linguistiche che rendono ardua la comunicazione verso i numerosissimi minorenni stranieri ; occorrerebbe tuttavia snellire la fase davanti al giudice dell'udienza preliminare e consentire a questo di pronunziare proscioglimenti per irrilevanza dei fatti o condanne fino a un tetto di pena da stabilirsi. In ordine alle strutture di custodia e di riabilitazione sono da rimarcarsi l'incapienza ormai conclamata dell'istituto Cesare Beccaria, l'insufficienza degli addetti alla rieducazione e, nonostante l'apporto ausiliario notevolissimo di un volontariato caratterizzato da impegno e abnegazione, ma con frequenti disomogeneità nei moduli operativi, la carenza di strutture comunitarie di accoglienza che siano attrezzate per efficaci percorsi di riabilitazione e rieducazione. Giudizi positivi sono da formularsi in ordine all'istituto della messa alla prova del giudicando, in ordine alla pratica della mediazione penale (già commentata favorevolmente nella relazione dell'anno scorso) e al funzionamento della struttura di pronto intervento minorile, interamente affidata a laici. I problemi dell'adozione e dell'affidamento sono spesso sollevati dai media, ma per lo più con distorsioni finalizzate a mozioni affettive di dubbia lega, che talvolta privilegiano una sorta di diritto proprietario sul minore legato al sangue, talaltra l'aspirazione genitoriale delle coppie sterili, talaltra ancora gli investimenti affettivi dell'adulto: ben raramente valutandosi le situazioni con il criterio, enunciato a parole, della centralità dell'interesse del minore. La pendenza di procedimenti per dichiarazioni di adottabilità è notevolmente calata, sia per un aumento di produttività dell'Ufficio, sia perché è in generale migliorata l'assistenza alle famiglie in difficoltà e perché, al di fuori dei casi di pregiudizio irreversibile, si preferisce ricorrere all'istituto dell'affidamento, del quale tuttavia non sarà mai abbastanza sottolineata la temporaneità legata alla congiuntura familiare. La carrellata sul funzionamento degli uffici del Distretto non potrebbe chiudersi senza la menzione più che lodevole dell'attività del Tribunale di Sorveglianza, intorno a cui nella primavera scorsa erano state suscitate polemiche abbastanza pretestuose e non del tutto limpide, paradossalmente in coincidenza con il pressoché totale riassorbimento dell'arretrato. Il Tribunale di Sorveglianza, nonostante l'inadeguatezza del suo organico anche in paragone con altri uffici omologhi, con un poderoso sforzo lavorativo ha definito tra l'ottobre 1999 e il giugno 2001 ben 31.501 procedimenti, riducendo la pendenza a 5390 numeri, pari a un terzo circa delle sopravvenienze annuali. E non vi è chi non comprenda quanto la messa a regime giovi agli interessi stessi dei detenuti sotto il profilo della sollecitudine nell'esame dei loro ricorsi. Sulla situazione delle carceri la relazione del Provveditore Regionale, ricca di interessanti spunti, segnala problemi vecchi e nuovi, aggravatisi recentemente, di sovraffollamento e di continue urgenze di smistamento; difficoltà conseguenti nelle attività trattamentali, tra l'altro non sempre coordinate progettualmente; ombre e più rare luci sul piano della medicina penitenziaria; obsolescenze e rifacimenti delle strutture edilizie, nonché progetti di nuove costruzioni; carenze di personale civile e di Polizia penitenziaria; condizioni di disagio della popolazione detenuta, con un numero non indifferente di gesti suicidari e di decessi per malattia. Al quale proposito non mi stancherò di stigmatizzare come medievali la realtà e la sottostante, latente ideologia di un sistema custodiale che alla privazione della libertà personale aggiunge quote indebite di sofferenza psichica e fisica talvolta degradanti per i reclusi; a maggior ragione, la drammatica, assoluta intollerabilità di una siffatta condizione per i ristretti in custodia cautelare. La Casa ex mandamentale di Tirano è tuttora chiusa, mentre potrebbe utilmente adibirsi a sezione femminile della Casa Circondariale di Sondrio, e troppo prolungate paiono le chiusure per ristrutturazione della Casa Circondariale di Lecco e del terzo reparto della Casa Circondariale di Milano. Ispirata a modernissimi criteri è la nuova struttura di Bollate, finalmente entrata in funzione, dotata di una capienza ottimale di oltre ottocento posti e utilizzata al momento per circa cinquecento detenuti. Altissime a Milano le percentuali dei detenuti stranieri (oltre il 50%) e dei detenuti per violazione della disciplina degli stupefacenti (oltre il 40%). Per quanto riguarda le tipologie della casistica transitata attraverso i meccanismi giudiziari, nel campo civile viene riscontrato in tutto il Distretto un aumento del contenzioso lavoristico e previdenziale, in parte dovuto all'affluenza di cause attinenti al rapporto di pubblico impiego passate in tempi recenti alla competenza del giudice ordinario. Pesante è tuttora il contenzioso in materia di locazioni, sebbene mostri varianti legate a situazioni particolari di disponibilità di alloggi sul mercato e a fattori socio-economici non uniformi nelle province. Un complessivo incremento si registra nei numeri delle cause di separazione e di divorzio. Stabile nell'insieme, nonostante un picco occasionale nel Circondario di Lecco e un aumento del 10% in quello di Monza, è il panorama delle dichiarazioni di fallimento. Nei restanti settori non vengono segnalate variazioni che caratterizzino il periodo in esame rispetto agli anni precedenti. Con riferimento al campo penale mi limito a toccare alcuni argomenti (criminalità minorile, delitti politici, mafia, reati contro la pubblica amministrazione, reati sessuali), rinviando per il resto alla lettura della seconda parte del volumetto. La criminalità minorile appare preoccupante non tanto per il numero dei procedimenti, che è diminuito, quanto per la natura e la qualità dei reati – spaccio di stupefacenti, rapina, offesa alla persona, violenza sessuale – con apporto non trascurabile alle statistiche da parte di rampolli di classi abbienti, totalmente insensibili verso il problema della legalità; né ciò stupisce, considerando l'inclinazione, diffusa con diverse connotazioni in diversi strati sociali e facilmente penetrabile nella mente dei giovani, ad interpretare la libertà come franchigia personale da ogni regola. Sulla criminalità politica, risparmiando all'uditorio ogni riflessione tragicamente ovvia sui fatti che hanno sconvolto il mondo nel settembre scorso, segnalo una indagine, sviluppatasi a Milano e in parte a Busto Arsizio tra il 2000 e il 2001 sul terrorismo internazionale di matrice islamica, che ha comportato diciassette provvedimenti di cattura, ha svelato l'esistenza di un'organizzazione per procurare supporti (reclutamento, ospitalità, documenti falsi, armi) ad attività terroristiche da compiersi non in Italia, ma fuori, più recentemente si è indirizzata sulla ricerca dei probabili flussi di finanziamento. Una seconda indagine riguarda gesta di matrice eversiva anarchica (ordigni esplosivi contro la Stazione Carabinieri di Milano Musocco, contro l'Ente Ellenico per il Turismo, contro la Basilica di Sant'Ambrogio, contro il Duomo di Milano) da attribuirsi a un movimento con obiettivi transnazionali greco-italo-spagnoli. Una terza indagine punta su un gruppo che si denomina NIPR (Nuclei Iniziativa Proletaria Rivoluzionaria), forse è collegato con gli autori dell'omicidio D'Antona, produce molto materiale ideologico ed è indiziato di attentati incendiari. Su tutt'altro piano si colloca il procedimento instaurato contro promotori e componenti della Guardia Nazionale Padana per violazione del divieto di associazioni a carattere militare, conclusosi a Busto Arsizio con un'assoluzione piena recentissimamente confermata dalla Corte d'Appello. La Direzione Distrettuale Antimafia fa notare una drastica contrazione delle iscrizioni di procedimenti per associazione di stampo mafioso (soltanto quattro nel periodo), che trionfalisticamente potrebbe interpretarsi come frutto dell'intenso lavoro degli anni scorsi, più realisticamente come diminuita percezione di un fenomeno in ripresa (e indizi ve ne sarebbero) conseguenza della parallela, drastica contrazione nel numero dei collaboratori di giustizia, disincentivati da convergenti fattori: le reazioni violente anche trasversali delle organizzazioni criminali, l'atteggiamento genericamente sfavorevole di ampi settori della classe politica, la delusione provata dai collaboratori, e quindi lo scoraggiamento di altri, per le difficoltà e i ritardi nell'approvazione dei programmi di protezione, quanto dire per il mancato adempimento degli impegni da parte dello Stato, infine il varo della nuova normativa sull'argomento.Donde grossi problemi nelle indagini venendo meno la possibilità di conoscere le associazioni dal loro interno e i canali del riciclaggio, per non parlare dei problemi derivanti dai progressi della tecnologia al servizio del crimine non sempre neutralizzabili con prontezza, dai tempi impiegati perché le segnalazioni di operazioni bancarie sospette giungano alle procure, infine di quelli derivabili da malintese applicazioni della nuova legge sulle rogatorie. Nell'area di competenza della Direzione Antimafia, com'è noto, rientrano anche le associazioni comunque dedite al traffico di stupefacenti, e le iscrizioni dei relativi procedimenti nel periodo considerato sono aumentate ben dell'80% rispetto all'anno precedente. Numerose le associazioni composte da stranieri (slavi, albanesi, maghrebini, colombiani, europei dell'est e del nord-est) che non solo importano la droga, ma spesso la distribuiscono anche, soppiantando in qualche luogo le organizzazioni facenti capo alle famiglie mafiose storiche italiane; le quali,tutt'altro che in ritirata, gestiscono a loro volta – specie gruppi pugliesi e campani – percorsi di introduzione congiunta e di distribuzione di tabacchi di contrabbando, droghe e armi, con manodopera anche straniera (bulgari, ungheresi, cechi, slovacchi). Gruppi calabresi, poi, e latitanti rifugiatisi in Spagna, controllano gli stupefacenti provenienti dai paesi arabi e dall'America Latina, nonché le droghe tipo exstasy in arrivo da Belgio, Olanda e nord-Europa. Frequente è il ritorno di ex-carcerati ai loro traffici di elezione, non di rado, peraltro, gestiti addirittura da detenuti. I sequestri di persona a scopo di estorsione sono scomparsi dal nostro territorio, salvo episodi marginali verificatisi entro l'ambito della comunità cinese in connessione con il fenomeno dell'immigrazione clandestina. Numerosi giudizi sono stati celebrati a conclusione di indagini promosse dalla Direzione Antimafia in anni passati e l'esito ne è stato costantemente positivo, con condanne della grande maggioranza degli imputati e confische di beni per svariati miliardi di lire. In tema di criminalità organizzata non propriamente mafiosa, sebbene facente capo a personaggi di clan calabresi o siciliani legati a mafie storiche, ovvero a gruppi albanesi, giungono preoccupate segnalazioni dai circondari di Busto Arsizio, di Monza, di Como: estorsioni, traffico di stupefacenti e di armi, immigrazione clandestina, traffico di esseri umani, induzione alla prostituzione, contrabbando, riciclaggio, recupero di crediti, esportazione di autoveicoli rubati. Passando ai reati contro la pubblica amministrazione, è ormai la terza o quarta occasione annuale in cui le procure della Repubblica osservano come la modificazione della norma sull'abuso d'ufficio, restringendo notevolmente l'area concettuale di tale reato – che consentiva l'innesco di indagini spesso evolventi nell'accertamento di corruzioni o concussioni – abbia sottratto un valido strumento per portare alla luce i casi di malamministrazione, donde una flessione nelle iscrizioni, ma certamente non nella perpetrazione (per gli indizi che se ne colgono) di delitti di mercimonio delle funzioni pubbliche. Si tratta di reati ben raramente o quasi mai rapportati dalle polizie, scarsamente attrezzate per agire d'iniziativa e comprensibilmente guardinghe verso settori della pubblica amministrazione che potrebbero trovarsi sotto il patronato di parti politiche, mentre ben diverso è il modo in cui può muoversi la magistratura, almeno finora, e diversi e più sofisticati sono i canali attraverso cui gli episodi possono emergere agli occhi dei pubblici ministeri. Sempre alta, peraltro, è la domanda di giustizia che nel settore si leva dai destinatari passivi dell'azione amministrativa, come documentato dal profluvio di esposti concepiti per lo più sul solo fondamento emotivo della scontentezza del cittadino per questo o quel provvedimento o comportamento del pubblico funzionario, ma senza basi giuridicamente apprezzabili per ipotizzare reati, sicché vi è un gran numero di archiviazioni immediate. E sempre alta, checché scrivano i giornali da anni a questa parte sulla "fine di mani pulite", è l'attenzione delle procure sui fatti di corruzione, nonostante l'insofferenza degli ambienti volta a volta toccati dalle indagini. Meritoriamente sollecita, davanti al Tribunale di Milano che ha destinato due sezioni penali a tale materia, è divenuta la fissazione dei dibattimenti, con una favorevole ripercussione nell'aumento delle definizioni con riti alternativi e nella prevenzione dei troppo brevi termini di prescrizione. Sull'innovazione riguardante la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti per i reati commessi dai loro rappresentanti – che ha allineato la legislazione italiana a quella di altri Paesi e che, di fronte a fatti oggettivamente tangibili, avrà almeno il merito di restringere il margine elusivo dei palleggiamenti di riferibilità tra amministratori e funzionari degli enti coinvolti – mancano, allo stato, dati di esperienza che permettano di formularne una valutazione realistica. Nella maggior parte dei circondari le iscrizioni per reati di violenza sessuale risultano in aumento, con qualche sottolineatura per quelli che si verificano in ambiente familiare; ma non è facile stabilire se ciò sia dovuto a un incremento reale, peraltro tutto da spiegare, del fenomeno criminoso, o non piuttosto a un'acuita sensibilità verso lo stesso e alla caduta di remore culturali che in passato si frapponevano alle denunzie. Il campo è delicatissimo, e un'irruzione rozza e incontrollata nelle singole vicende rischia di compromettere irrimediabilmente il risultato di verità che ci si attende dalle indagini. Per i fini di un'efficace prevenzione, ma anche di un'investigazione seria, sagace e sensibile sulle notizie di reato o sulle situazioni sospette, occorrono una raffinata preparazione professionale degli addetti ai servizi sociali, una formazione possibilmente specifica dei referenti di polizia giudiziaria, una particolare organizzazione del primo intervento sulle vittime sotto il profilo psicologico e sotto quello medico-legale, un'attenzione instancabile volta a neutralizzare durante le indagini e nel giudizio tutti i fattori possibili di turbamento e distorsione delle fonti d'informazione, e quando negli episodi sono coinvolti minorenni un coordinamento incondizionato con l'autorità giudiziaria minorile. Alla Procura della Repubblica di Milano, e specificamente al magistrato che in essa da più lungo tempo si occupa della materia, spetta il merito di aver messo a fuoco questi problemi e di essersi prodigata da anni per migliorare culturalmente – contribuendo anche a incontri di studio promossi dal Consiglio Superiore – e organizzativamente gli strumenti di intervento. Il fenomeno della pedofilia è estremamente insidioso perché, a parte gli aspetti brutali di certo disgustoso turismo geografico o elettronico, talvolta germoglia in contesti ambigui dove la vocazione socialmente apprezzata a curarsi di fanciulli e giovinetti si mescola con inclinazioni meno confessabili, o magari se ne nutre. E la sua si manifesta anche nelle velenose polemiche giornalisticamente sostenute che in determinate occasioni si sono sviluppate attorno a iniziative giudiziarie; quasi che, di fronte a un conclamato allarme su scala mondiale, la morbosità viziosa stia dalla parte degli inquirenti e mai dalla parte degli inquisiti. E' appena il caso di ricordare che le azioni penali, esercitate dalla Procura milanese per reati sessuali, in percentuale altissima (intorno al 90%) si sono tradotte in condanne in sede di giudizio. Ma a proposito degli inquisiti per pedofilia si è acutamente osservato che l'inoppugnabilità di certe identificazioni documentate informaticamente provoca in loro una crisi di vergogna assai più violenta e destabilizzante di quel che non accada quando solo la parola di un bambino si opponga alla parola dell'adulto. Crisi che in qualche caso è sfociata in suicidio: di qui la necessità di provvedere a interventi di sostegno psico-terapeutico anche sugli autori dei reati. Mi consentirà il Presidente di spingermi un po' oltre il limite prefissato. Un discorso sull'amministrazione della Giustizia non può oggi, non potrebbe mai, senza rinunziare a una dimensione civica, a una dimensione etica, attestarsi dietro la barriera tecnica dell'esistente e ignorare gli scenari, le negatività, le possibilità, le probabilità, le doverosità che sull'oggi incombono e che evocano le alternative del domani. Non c'è dubbio che la giustizia, come servizio che il cittadino si attende, sia tuttora in crisi, quantunque l'individuazione delle reali cause prime in un dominio della realtà così complicato e complesso sia difficile e opinabile, per la non linearità dei processi di interazione che può far interpretare come causali nessi che sono soltanto di correlazione, o farne fraintendere la freccia di direzione. L'operatore del diritto, d'altronde, può indicare all'interno del sottosistema questo o quell'elemento negativo, ma le vere cause delle modalità di funzionamento, o di disfunzionamento, della macchina risiedono spesso all'esterno, e forse occorrerebbe chiedere a economisti e sociologi se la miastenia della giustizia, in quanto persistente, non sia per avventura funzionale a determinati interessi, e a quali.Ma è crisi solo quantitativa, di tempi e di produttività, oanche qualitativa? E' pura e semplice insufficienza di risorse? E' inadeguatezza culturale degli operatori? Si è per avventura generato un contesto che ha gradualmente marginalizzato la giustizia, quale fino ad oggi l'abbiamo intesa? Il prestigio della magistratura, diciamolo, è scaduto agli occhi dell'utente, l'imparzialità viene più sovente posta in dubbio, le competenze in campi specialistici a volte difettano, le oscillazioni giurisprudenziali sottraggono certezza e quindi valenza al diritto, i gradi di giudizio si moltiplicano anche per effetto di frequenti irruzioni della Corte di Cassazione nel merito fattuale delle vicende, il rapporto tra operatori e utenti è deteriorato, talvolta, per difetti di comunicazione e perciò di comprensione tra il mondo della giustizia e il mondo esterno. A monte di ciò, abbiamo una iper-normazione all'inseguimento spasmodico del mito della completezza dell'ordinamento, laddove sarebbe saggio arretrare su una legislazione per principi piuttosto che per regole e regolette; una distribuzione e organizzazione delle risorse umane e strumentali sul territorio e talvolta negli uffici che qualche volta accontenta campanilismi o clientele, ma non risponde a criteri di razionalità ed economicità; la deresponsabilizzazione dei capi, peraltro raramente preparati al loro compito quantunque valorosi come giuristi, per la frammentazione delle filiere di acquisizione dei mezzi operativi, forniti da una pluralità di centri di potere esterni, e per la minuziosità – lo dico ancora una volta – con cui il Consiglio Superiore tende a imbrigliare le loro scelte; la persistente tentazione nei giudici di trasformare il senso dell'indipendenza in monadica autoreferenzialità e la venerazione del diritto come valore assoluto nel momento dell' applicazione al caso concreto a prescindere da fattori di tempo e di contesto suscettibili di mutare, nell'effettività, il diritto nel suo contrario; il carattere antiquato delle procedure di reclutamento dei magistrati; la scarsa sensibilità manageriale non solo di capi e semi-capi, ma anche di singoli giudici nella gestione del proprio carico di lavoro; l'ipertrofia delle motivazioni che allunga i tempi di confezione e poi di lettura dei documenti decisori e ne aumenta la vulnerabilità. Di tali aspetti negativi, e della non riducibilità della crisi a un fatto di insufficienza numerica degli organici (ben difficilmente dilatabili nella magistratura, coeteris paribus, fino a sanarla), si va prendendo coscienza nell'ambito dell'ordine giudiziario. L'impegno per la modernizzazione della cultura del giudice – sotto il profilo di un management degli uffici, dei flussi, dei singoli casi, che sia basato sulla prestazione (performance-based) – nonché per una fruttuosa utilizzazione dei mezzi telematici e informatici e per un arricchimento continuo della formazione professionale va ormai profilandosi almeno nelle enunciazioni programmatiche, e qualche timido segno di miglioramento, come si è accennato, comincia a cogliersi nelle statistiche della giustizia civile: purché la spinta alla modernizzazione, per le mani di chierici di recente ordinazione, non scivoli verso concezioni aziendalistiche e produttivistiche che con la giustizia, come con l'insegnamento, come con la sanità pubblica, ben poco hanno da spartire. Ma basterà? La qualità del servizio giustizia reso ai cittadini dipende certo dal livello intellettuale, professionale, morale degli appartenenti all'ordine giudiziario, tuttavia dipende in pari misura dalla capacità e volontà negli altri poteri di fornire alla magistratura gli strumenti necessari per garantirne l'indipendenza e l'efficacia di azione, e dal clima di fiducia e di rispetto che il contesto crea attorno ad essa nella comunità nazionale, oggi anche in quella internazionale. Non sembra che gli scenari attuali giustifichino, in linea generale, valutazioni ottimistiche, non foss'altro per il continuo parlare e scrivere di riforme della giustizia, quando in realtà il nostro mondo, dopo aver attraversato una stagione di incisivi cambiamenti ordinamentali e processuali, avrebbe bisogno semmai di una fase di assestamento ermeneutico e non del preannunzio di ulteriori scosse telluriche, con il senso di precarietà, di disimpegno, di protratta incertezza che ne può derivare. Ma c'è dell'altro. Le riforme annunciate, meglio minacciate ad ogni pie' sospinto con trasparenti intenti punitivi verso una magistratura certamente non al massimo dell'efficienza ma altrettanto certamente indipendente, ben poco hanno a che fare con l'efficienza. Si parla di separazione delle carriere –più blandamente, ma ingannevolmente, delle funzioni – tra requirenti e giudicanti, proprio mentre con le scuole postuniversitarie di specializzazione si punta su una formazione culturale comune tra varie categorie di operatori del diritto e con l'ampliamento della giurisdizione onoraria si aprono occasioni di osmosi tra il mondo forense e quello giudiziario. Una scelta, la separazione, che , se motivata dalla temuta arrendevolezza dei giudici ai pubblici ministeri (ma non si citano, a disdoro di questi ultimi, proprio le alte percentuali delle assoluzioni?) dovrebbe almeno essere supportata da studi sul campo e da monitoraggi; ma che, per ferrea analogia, dovrebbe portare a maggior ragione verso la separazione delle carriere tra giudici di primo grado, giudici del riesame, giudici di appello, giudici di legittimità. Se motivata invece dall'intenzione di vincolare il pubblico ministero all'esecutivo, come con ingenua imprudenza si è fatto capire in Parlamento, vulnererebbe indirettamente la stessa indipendenza del giudice penale e la signoria della legge, tanto più quando si realizzassero anche la ventilata distinzione organizzativa e funzionale della polizia giudiziaria dal pubblico ministero, e la formulazione di direttive di priorità nell'esercizio dell'azione penale: direttive che non potrebbero non essere politicamente connotate, peggio, demagogicamente ispirate ed enfatizzate, come già sembra di percepire in dichiarazioni d'intenti e dibattiti artatamente centrati su temi quali la prostituzione, la criminalità degli extracomunitari, i furti in appartamenti, mentre gradualmente escono dal fuoco dell'attenzione la trasparenza nelle attività economiche (vedasi la rapidità con cui, a vantaggio di interessi ben individuabili, si va smantellando il presidio penale della veridicità dei bilanci), la criminalità mafiosa, gl'intrecci tra affarismo e politica, il riciclaggio, quei temi cioè che meno visibilmente ma più intrinsecamente qualificano il livello di legalità proprio di un paese. Si afferma, ancora, la necessità di combattere il crimine transnazionale senza l'impaccio delle frontiere, ma di fatto allo spazio giuridico europeo si è tentato, per fortuna con mezzi tecnicamente inidonei, di frapporre ostacoli, con la legge sulle rogatorie, e con le riserve unilaterali all'estradizione semplificata – alias mandato di arresto europeo – e l'orchestrazione dicampagne di rabbiosa disinformazione. Si parla di riforma del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura, spacciando la soppressione delle liste concorrenti come beneficostrumento per emarginare le formazioni interne all'Associazione Nazionale Magistrati, e si ignorano i ricchi fermenti di riflessione che tutte questehanno immesso nella vita della magistratura, soprattutto si apre la strada a pratiche occulte di intesa per il coagulo di voti su candidature di fatto. Di altri fenomeni di questa sconcertata fase della nostra civiltà giuridica deve pur farsi menzione. Le accuse generiche di parzialità preconcette, formulate contro i giudici, con l'insistenza martellante degli imbonimenti televisivi, da rappresentanti anche elevati della classe politica; l'analfabetismo storiografico che ha indotto qualcuno a lanciare come anatema contro i magistrati la parola "giustizialismo", che nel secolo XX ha indicato una certa ideologia di destra basata sull'interclassismo e su un populismo demagogico dominato dal ruolo carismatico del capo; la manipolazione della pubblica opinione italiana e straniera, cui uffici giudiziari vengono indicati con il pronto e prono ausilio di media come centrali rivoluzionarie promotrici di complotti internazionali o come falsificatori di documenti (qualcuno ha rievocato recentemente il calunniato "pretore rosso" di fascistica memoria, del quale parlava il mio maestro Piero Calamandrei nell'Elogio dei giudici; ma già Adamo Smith, centocinquant'anni prima, osservava che chi contrasta gli affaristi legati al potere politico si espone ad accuse infamanti, ingiurie, minacce); la reinvenzione della storia giudiziaria, quando pacchi interi di sentenze di condanna, spesso patteggiate a séguito di confessione, vengono attribuiti a una guerra civile condotta da magistrati contro élites politiche della prima Repubblica affossatesi in realtà da sole, tra l'esecrazione anche di molti odierni convertiti, nelle sabbie mobili della corruzione più sfacciata (ma forse la sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Craxi è già stata dimenticata); la minaccia di provvedimenti disciplinari contro magistrati che esprimono su problemi generali e tecnici il proprio libero pensiero di cittadini e di esperti; la volgarizzazione di questioni giuridiche – costituzionali e procedurali – per slogan gridati, con voluta ignoranza dei reali contenuti di testi normativi, sentenze, ordinanze, anche da parte di firme autorevoli del giornalismo, per poter demonizzare questo o quel magistrato o collegio giudicante magari poi attaccandolo con esposti o denunzie; la riduzione infine delle protezioni a magistrati esposti a rischi di incolumità personale per vendette mafiose e/o per rancori politici sapientemente attizzati, conseguente, come è accaduto a Milano, a irremovibili determinazioni che da un vertice, o dal vertice, sono discese per li rami dell'obbediente burocrazia. (Alludo, sì, alludo alla riduzione o soppressione della protezione nei confronti di alcuni pubblici ministeri, che per caso, per puro caso, sono gli stessi che sostengono l'accusa contro il Capo del Governo). Bene, tutto ciò procede in direzione esattamente opposta alla valorizzazione del ruolo del magistrato come scudo della legalità, opposta alla cultura della fiducia nei meccanismi talora laboriosi e complicati per la ricerca della verità, opposta al mantenimento di un clima di serenità che permetta al giudice di operare senza timori e senza aspettative personali, opposta alla solidale unità delle istituzioni cui tanto spesso esortava il mio illustre predecessore Adolfo Beria di Argentine. Questo non è un discorso di conservazione. Nessuna istituzione, lo so bene, nessun principio, nessuna regola sfugge ai condizionamenti storici e dunque all'obsolescenza, nessun cambiamento deve suscitare scandalo. Purché sia assistito dalla razionalità e purché il diritto, inteso come categoria del pensiero e dell'azione, non subisca sopraffazione dagli interessi. Ma ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività "resistere, resistere, resistere" come su una irrinunciabile linea del Piave. Ringrazio il Signor Presidente e l'inclito uditorio per avermi prestato così prolungata attenzione e chiedo, con una personalissima nota di profonda commozione, che venga dichiarato aperto per il Distretto di Milano l'anno giudiziario 2002.
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