Newsletter n° 38 di "Antigone"

 

Newsletter numero 38 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

La Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani

Riparte il lavoro dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione

Il Vaso di Pandora: l’Osservatorio regionale dell’Emilia Romagna

L’Osservatorio parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

Intervista a Mauro Palma, di Patrizio Gonnella

Segnaliamo, a cura della Redazione

Iniziative, a cura della Redazione

Editoriale: la Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani, di Patrizio Gonnella

 

È stata approvata dall’Aula di Montecitorio la proposta di legge che istituisce la Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che viene adesso trasmessa al Senato.

L’articolato ha subito alcune modifiche rispetto al testo unificato che era stato licenziato a gennaio dalla commissione Affari Costituzionali. Passa da nove a cinque il numero dei componenti la Commissione, che è un organo collegiale in carica per quattro anni ora costituito da un Presidente, nominato d’intesa dai Presidenti di Camera e Senato, e da altri quattro membri, metà nominati da una Camera e metà dall’altra, in numero di due uomini e due donne. All’interno della Commissione viene nominato un Vice Presidente. I componenti della Commissione verranno scelti tra persone "che possiedano una esperienza pluriennale nel campo della tutela e della promozione dei diritti umani ovvero che siano di riconosciuta competenza nelle discipline afferenti alla salvaguardia dei diritti umani".

La Commissione nazionale sui diritti umani, di cui l’Assemblea delle Nazioni Unite richiede l’istituzione fin dal 1993, ha lo scopo "di promuovere e di tutelare i diritti fondamentali della persona, riconosciuti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali di cui l’Italia è parte". La Commissione dovrà occuparsi di suggerire l’adozione di iniziative normative nelle materie di propria competenza, di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi concernenti i diritti umani e, soprattutto, di monitorarne il rispetto. Alle dipendenze della Commissione è istituito un ufficio di cento unità al massimo, composto da dipendenti fuori ruolo dello Stato e di altre Amministrazioni pubbliche e determinato tramite successivo decreto del Presidente del Consiglio.

Qualora trasformato in legge, il testo avrebbe valenza sopranazionale anche per quanto riguarda un altro fronte, quello relativo al Garante dei diritti dei detenuti. Il Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura infatti, firmato ma non ancora ratificato dall’Italia ed entrato in vigore la scorsa estate, prevede la creazione negli Stati parte di un meccanismo nazionale di controllo dei luoghi di detenzione, quale quello previsto dal testo di legge in oggetto. Nel testo passato alla Camera dei Deputati, il Garante dei diritti dei detenuti è una funzione specifica della Commissione che ha il dovere di cooperare con le figure sue simili già esistenti per opera di Regioni ed Enti Locali. Tutti i soggetti privati della libertà personale potranno rivolgersi al Garante senza vincoli di forma. I detenuti e gli internati potranno scegliere se indirizzare a lui ovvero al magistrato di sorveglianza i reclami e le istanze di cui all’art. 35 della legge penitenziaria.

Ora si tratta di ottenere una rapida approvazione in Senato. A Palazzo Madama pende anche il disegno di legge che introduce il crimine di tortura. Si tratta di due proposte a cui Antigone lavora da quasi un decennio. Speriamo che vedano la luce entro il 2007.

 

Riparte il lavoro dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione di Antigone, a cura della Redazione

 

Il prossimo venerdì 4 maggio, in occasione dell’apertura dei lavori della quinta edizione dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, saranno effettuate visite in contemporanea in sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani.

I tre decessi degli scorsi mesi nell’Opg campano di Aversa sono solo il segno più evidente della situazione tragica di queste strutture, che ospitano persone che hanno commesso un reato ma vengono prosciolte in quanto incapaci di intendere e di volere. La misura di sicurezza cui vengono sottoposte può venire prorogata di anno in anno all’infinito. Persone che hanno commesso reati risibili passano una vita all’interno dell’Opg in condizioni inaccettabili.

Con le nostre visite vogliamo attirare l’attenzione su queste istituzioni ancor più dimenticate di quanto lo sia il carcere, dove l’elemento custodiale continua drammaticamente a prevalere su quello terapeutico.

 

Il Vaso di Pandora, a cura del Coordinamento Osservatorio Nazionale

L’Osservatorio Regionale dell’Emilia Romagna, di Laura Astarita

 

È stata di recente presentata a Bologna una ricerca che abbiamo compiuto nel carcere e nel territorio bolognese a proposito dell’assistenza a coloro che soffrono di disagio psichico e che sono detenuti. Le due condizioni messe insieme, infatti, costituiscono da sempre un binomio complesso, ma allo stesso tempo, purtroppo, ovvio.

Sembra scontato, infatti, nell’opinione pubblica, che in carcere vi siano persone che soffrano di patologie psichiche di varia entità. Così come sembra scontato che il carcere stesso produca sofferenza non solo fisica, ma anche psicologica e psichica. Le leggi in materia hanno negli anni portato alla legittimazione di tutto ciò e alla istituzionalizzazione di coloro che soffrono di disagio psichico all’interno degli istituti di pena.

Da anni esperti e addetti ai lavori si arrovellano per sciogliere i nodi che leggi e pregiudizi hanno stretto in proposito, e a loro ci siamo uniti nel tentare di districare le problematiche legate all’assistenza psichiatrica nel carcere di Bologna. Ci siamo posti alcune domande "chiave" all’inizio del lavoro e cioè: che tipo di disagio è quello che viene chiamato "psichico"? Si tratta realmente di persone con patologie psichiatriche oppure, o anche, di persone con un disagio cosiddetto "sociale"? E che rapporto c’è, se è vero che c’è, tra questo disagio e la tossicodipendenza? E come tutto ciò si modifica in un carcere? E infine, come viene vissuto dagli operatori?

Nell’andare a osservare tutto ciò, ci siamo resi conto prima di tutto di un aspetto drammatico di tutta la vicenda: non vi sono dati! Mancano del tutto indagini approfondite e monitoraggi sul tema, l’Amministrazione stessa non conosce i frutti quotidiani e a lungo termine del proprio lavoro, non ne conosce i risvolti, i cambiamenti nel tempo, non è in grado di assecondare tali cambiamenti e le esigenze di operatori e detenuti. Questo dato (non datoci) di partenza, alquanto sconfortante, ha segnato naturalmente il nostro lavoro di indagine, seppur a Bologna ci siamo trovati in una situazione "fortunata": è attivo qui infatti, un servizio di Cartella Clinica Informatizzata (grazie al sostegno della Regione e all’iniziativa del Prap locale) che ci ha potuto fornire dati all’avanguardia, seppur ancora non attendibili al 100% e non confrontabili con altre realtà sul territorio nazionale.

Grazie a questi dati abbiamo potuto rilevare, per esempio, che la percentuale di visite psichiatriche sul totale delle visite specialistiche interne è stata del 36% nel 2004 e del 18,32% nel 2005; nel periodo gennaio 2004-ottobre 2005 sono stati 2.382 i detenuti visti dallo psichiatra nel carcere di Bologna, di cui 454 donne e 1.881 uomini. Un primo dato che risulta evidente è che, rispetto al 7% di presenza femminile nell’istituto, quando si parla di visite psichiatriche si arriva al 19% di donne visitate, sbalzo che appare in linea con i dati nazionali e con l’esperienza degli operatori. Questi, infatti, sono per lo più d’accordo nel sostenere che le donne risultano più frequentemente soggette a disturbi d’ansia e di depressione e che, quindi, più frequentemente, richiedono sostegno psicologico e psichiatrico e fanno uso di antidepressivi e antipsicotici. Altro elemento importante è che, tra queste donne, il 36% è costituito da straniere e anche il numero degli stranieri uomini è alto (31%), dato che rispecchia ciò che gli operatori ci hanno detto in proposito: risulta, infatti, costantemente alto il numero di stranieri con problemi di disagio psichico, e anche di tossicodipendenza. Gli operatori affermano che in questi casi è ancora più difficile del solito riuscire a distinguere tra simulazione e disagio reale: le difficoltà materiali, la forte emarginazione, anche linguistica, l’assenza di una rete di supporto familiare e affettivo all’esterno, fa sì che tali persone cadano molto più facilmente in problemi di depressione e disagio psichico.

Per quanto riguarda le patologie di cui soffrono le persone detenute nel carcere di Bologna, quella a più alta incidenza è senz’altro la tossicodipendenza (34,8%), mentre l’incidenza delle patologie legate al disagio psichico essere del 10,95%. Tale dato, però, non trova conforto nelle opinioni degli operatori che lavorano in questo carcere, secondo i quali, invece, la percentuale che più si avvicina alla loro esperienza è quella del 20%. Inoltre, risulta che, tra le persone con disagio psichico, la patologia più riscontrata è la tossicodipendenza (34,3%).

Ma il dato ancora più inquietante che abbiamo tratto dalla Cartella Clinica Informatizzata riguarda i farmaci: risulta infatti che un solo farmaco, il Lorans, rappresenta il 33,48% dell’intero consumo di farmaci del sistema nervoso e il 14,51% di tutti i farmaci usati durante il 2005. Si tratta di una benzodiazepina: ha quindi, principalmente effetto sedativo, dà dipendenza ed è prevalentemente somministrato ai detenuti tossicodipendenti. Inoltre, tra i venti farmaci più usati nel corso dell’anno, ben 5 sono benzodiazepine e da soli costituiscono il 50,38% di tutti i farmaci del sistema nervoso e il 21,8% dell’intero consumo annuale di farmaci nel carcere.

Si tratta di cifre allarmanti che trovano assoluta corrispondenza nelle testimonianze e nelle esperienze degli operatori e che ci pongono di fronte a un evidente fenomeno di farmacodipendenza, tipica dell’ambiente carcerario. Ma cosa suggeriamo di fare a uno psichiatra che si trova di fronte un detenuto che minaccia di uccidersi se non gli si danno delle benzodiazepine? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre. Forse il problema sta nella presenza stessa di quel detenuto in carcere.

Infatti, in estrema sintesi, il quadro che è emerso da questo lavoro di ricerca, è quello di un carcere che si fa carico di una mole di problematiche che non solo non sono propriamente "penali", ma che penalmente non possono trovare soluzione. Il carcere non possiede gli strumenti per far ciò e per rimediare a tale enorme mancanza, il lavoro di operatori e medici si approssima in un’emergenza quotidiana e davanti a questioni molto più grandi delle risorse, dei tempi e degli strumenti disponibili. Posto di fronte alla sofferenza fisica e psicologica dei detenuti tossicodipendenti, alla nuova emarginazione dei detenuti stranieri, alla diversità e intensità delle "patologie" psichiche femminili, alle difficoltà nel discernere tra simulazione e reale malessere, il carcere risponde come può: attraverso l’aumento delle visite psichiatriche, attraverso l’apertura di reparti di osservazione che funzionano solo sulla carta, attraverso l’enorme acquisto e consumo di farmaci psicotropi e, fondamentalmente, attraverso interventi sui sintomi che restano slegati totalmente dalla storia e dei percorsi che quella persona ha attraversato e che aveva fuori dal carcere. Emerge infatti, con forza, il problema della mancanza di integrazione tra i servizi: a maggior ragione in casi come quelli delle persone con disagio psichico, infatti, un intervento terapeutico, una cura farmaceutica, dovrebbero poter essere strutturate su un minimo di conoscenza della storia del malato e dovrebbero poter avere un minimo di continuità. Invece, anche nel territorio bolognese, il lavoro dei servizi territoriali è del tutto slegato da quello degli operatori carcerari, e il carcere si trova, ancora una volta, ad essere il luogo della rottura, il luogo in cui la persona con disagio psichico perde continuità di rapporti con il territorio, le cure e i percorsi che stava facendo; il luogo che viene sovraccaricato della responsabilità di far fronte, con le poche risorse a disposizione e le antiche modalità, a un disagio che non è più soltanto psichico e individuale, ma che si caratterizza sempre più come disagio sociale.

 

Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private delle libertà personali: la Camera approva il testo, presto all’esame del Senato

 

In data 4 aprile, la Camera dei deputati, con 267 sì, 145 astenuti e 35 voti contrari (Alleanza nazionale, Udc e Forza Italia astenute, Lega contraria), ha approvato il testo che istituisce la Commissione nazionale per la tutela dei diritti umani con una specifica sezione dedicata al Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private delle libertà personali (Atto camera 626 e abb.).

Le originarie proposte di legge sul tema del Garante sono confluite infatti in un provvedimento più generale, riguardante la suddetta Commissione a seguito delle indicazioni di una risoluzione approvata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1993, al fine di promuovere e tutelare i diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali.

Nell’ambito della Commissione è istituita una sezione specializzata dedicata alla tutela dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, il Garante, composto dal presidente della Commissione e da altri quattro componenti scelti da lui. Il Garante esercita una vigilanza diretta ad assicurare che la custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o altre forme di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alla Costituzione e alle convenzioni internazionali e a che le carceri e il trattamento dei carcerati salvaguardino la loro dignità; adotta le proprie determinazioni in ordine alle istanze e ai reclami che sono ad essa rivolti dai detenuti e dagli internati ai sensi dell’articolo 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (puntualmente modificato dal testo); verifica che le strutture edilizie pubbliche adibite alla restrizione della libertà delle persone siano idonee a salvaguardarne la dignità con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali.

Non ultimo un aspetto che è stato oggetto di numerose battaglie parlamentari - anche nelle scorse legislature - e che è finalmente stato inserito nella regolamentazione del Garante, a questi è anche attribuita la possibilità di verifica delle procedure seguite nei confronti dei trattenuti e le condizioni di trattenimento dei medesimi presso le camere di sicurezza esistenti presso le caserme dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza e presso i Commissariati di pubblica sicurezza, nonché del rispetto degli adempimenti e delle procedure previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 presso i centri di permanenza temporanea e assistenza. Si badi bene, potrà visitare, senza necessità di autorizzazione o di preavviso e in condizioni di sicurezza, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari, gli istituti penali, le comunità per minori e gli enti convenzionati con il Ministero della giustizia per l’esecuzione di misure privative della libertà personale che ospitano condannati che usufruiscono di misure alternative alla detenzione, accedendo, senza restrizione alcuna, a qualunque locale e incontrando liberamente chiunque vi sia privato della libertà, garantendo comunque la riservatezza del colloquio.

Stessa libertà riguardo le visite presso i centri di permanenza temporanea e assistenza e, senza che da ciò possa derivare danno per le attività investigative in corso, presso le camere di sicurezza eventualmente esistenti presso le caserme dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, nonché presso i Commissariati di pubblica sicurezza. Il Garante, una volta verificata la fondatezza dei reclami, dovrà rivolgersi all’amministrazione del carcere, anche con una eventuale raccomandazione che, se non osservata, potrà far scattare una richiesta al magistrato di sorveglianza.

Un testo decisamente condivisibile, che scaturisce da anni di battaglie in Parlamento, e non solo, e su cui già nei prossimi giorni il Senato potrebbe pronunciarsi.

 

Intervista a Mauro Palma, Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa, di Patrizio Gonnella

 

Mauro Palma è stato eletto a Strasburgo Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti. Una carica che all’inizio degli anni novanta è stata ricoperta da Antonio Cassese, poi divenuto presidente della Corte dell’Aja sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Il Comitato è un organo del Consiglio di Europa che effettua visite programmate o a sorpresa nei luoghi di detenzione di tutti e 46 gli Stati del Consiglio di Europa. In due casi è giunto a una sanzione formale: il primo riguarda la Turchia per le violenze nelle stazioni di polizia e il secondo la Russia per le torture perpetrate in Cecenia. Il Comitato è nato nel 1989. L’Italia, oltre a Cassese, è stata rappresentata da Vitaliano Esposito e Nicolò Amato, che però non ha mai di fatto partecipato ai lavori dell’organismo. Il ruolo rinnovato dell’Italia negli organismi multinazionali - a partire dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu - ha sicuramente favorito la conquista della presidenza. Palma fu nominato membro del Comitato nel 2000. La sua specificità sta nel provenire dal mondo non-governativo e nella sua formazione atipica di matematico.

 

La sua nomina consente all’Italia di avere un ruolo di primo piano in seno agli organismi sovra-nazionale che si occupano di diritti umani. È questa una inversione di tendenza dopo anni di assenza dell’Italia dai ruoli di vertice di Onu e Consiglio di Europa ?

I diritti umani devono essere la cartina di tornasole della nostra politica estera. Il recupero del multi-lateralismo aiuta l’Italia a riacquistare un ruolo di primo piano negli organismi internazionali. Mi auguro che in futuro possa avere una sua ulteriore espansione. La nostra cultura giuridica e democratica merita una rappresentanza ben più forte.

 

Esiste la tortura in Europa?

Nessun Paese è mai esente dal rischio della tortura e dei trattamenti crudeli o degradanti. Con le immagini di Abu Ghraib la tortura è entrata massicciamente nelle case del cittadino qualsiasi e, grazie alla diffusione planetaria dei mezzi di informazione, si è resa visibile alle diverse latitudini del globo. Non si potrà più dire di non sapere; non si potrà più chiedere se la tortura esista ancora o se la pratichino soltanto regimi non democratici, chiusi all’occhiuta vigilanza degli organismi internazionali e delle organizzazioni non governative. Che maltrattamenti e torture siano ben vive anche nel nostro mondo ‘democratico’ non è del resto cosa nuova per chi ha compiti di indagine e ispezione nei luoghi opachi della privazione della libertà: nelle celle delle polizie, nei primi interrogatori dopo l’arresto, nelle carceri, nei luoghi di detenzione degli immigrati irregolari. Ovviamente non si tratta di un comportamento ordinario - sarebbe un errore non vedere l’evoluzione che, per esempio, ha avuto in Europa la cultura delle forze dell’ordine - ma di un comportamento pronto a manifestarsi quando la situazione evolve verso quel rapporto totalizzante di inimicizia verso singoli, gruppi, minoranze.

 

La tortura è presente solo nei contesti di guerra?

Il contesto bellico è certamente il fattore decisivo della sua persistenza. Ma il contesto non è solo quello degli eventi bellici. No, il contesto è piuttosto quello dell’aver stabilito una irriducibile negazione dell’altro; e ciò avviene anche in situazioni non formalmente conflittuali. Avviene quando non si è in grado di leggere in colui della cui libertà si è, seppur temporaneamente, responsabili e custodi, caratteristiche di somiglianza, o almeno di appartenenza allo stesso consorzio umano, ma si è portati a leggere soltanto un’irriducibile differenza.

 

In cosa consiste il lavoro del suo Comitato?

È un lavoro duro ed entusiasmante. Visitiamo carceri, commissariati, caserme, ospedali, luoghi di internamento di immigrati. Facciamo raccomandazioni ai governi, chiediamo spiegazioni. Riceviamo risposte. Non siamo un tribunale. Siamo un organismo ispettivo con funzioni preventive. Un esempio. Dopo l’ultima visita in Italia del Comitato le autorità italiane hanno chiuso il centro per immigrati di Agrigento.

 

Veniamo all’Italia.

Distinguerei gli aspetti normativi da quelli pratici. Manca ancora il reato di tortura nel nostro ordinamento. Questa è una lacuna che spero il Parlamento colmi al più presto. Così come è importante che istituisca un organismo indipendente di controllo delle condizioni di vita nei luoghi di detenzione. Sarebbe un organismo che potrebbe lavorare in sinergia con il nostro Comitato. Per quanto riguarda la vita nelle carceri, ora che il sovraffollamento, seppur provvisoriamente, non c’è più, c’è invece l’opportunità concreta di mettere mano al sistema e di migliorarlo in conformità anche alle indicazioni del Comitato europeo.

 

Segnaliamo, a cura della Redazione

 

Sembrano proprio come noi, Frammenti di vita prigioniera di Daniela de Robert, Bollati Boringhieri Editore.

 

Un libro importante quello di Daniela de Robert. Un libro che parte da una esperienza personale di volontariato in carcere con il Vic di Don Sandro Spriano. Un volume che riesce a ricomporre la frammentata vita carceraria all’interno di un chiaro giudizio sulla sua ambivalenza, che a volte si trasforma in drammatica crudeltà.

Daniela de Robert è una giornalista del Tg2 che racconta la cosiddetta esistenza prigioniera con una fluidità che porta il lettore a voler entrare in galera con grande circospezione, ma a volerne uscire in tutta fretta. Un libro essenziale per chi non conosce il mondo penitenziario, utile per chi già lo conosce.

 

Iniziative, a cura della Redazione

 

Venerdì 11 maggio 2007, ore 9.00-13.00, Sala Polivalente del Comune di Padova, in Via Diego Valeri (zona stazione): "Per un nuovo codice penale"

Introduce: Giuliano Pisapia. Ne discutono: Annamaria Alborghetti, Stefano Anastasia, Luciano Eusebi, Francesco Maisto, Enrico Marzaduri, Sergio Moccia, Giuseppe Mosconi, Elisabetta Palermo Fabris, Mauro Palma, Massimo Pavarini, Arturo Salerni. Conclusioni: Patrizio Gonnella.

Per informazioni rivolgersi a: Associazione Antigone,Via Principe Eugenio 31, 00185 Roma, tel/fax: 0644363191; associazione.antigone@tin.it. Maggiori dettagli e il programma completo dell’iniziativa saranno disponibili nei prossimi giorni sul sito dell’associazione: www.associazioneantigone.it

 

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