Newsletter n° 39 di "Antigone"

 

Newsletter numero 39 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella (maggio e giugno 2007)

 

Lettera al Ministro della Salute Livia Turco, di Patrizio Gonnella

Il giustiziere della notte televisiva, di Patrizio Gonnella

Il Vaso di Pandora, di Roberta Bartolozzi e Simona Filippi

L’Osservatorio parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

Iniziative, a cura della Redazione

Editoriale: "Lettera al Ministro della Salute Livia Turco", di Patrizio Gonnella

 

Gent.ma Min. Turco, ho avuto modo di leggere sui giornali la proposta - definita choc - di inviare i Nas nelle scuole per contrastare il consumo e lo spaccio di droghe. Non so fino a che punto vi sia stata una forzatura giornalistica. So per certo che di questo non vi era stata discussione all’interno della Consulta sulle Dipendenze da lei istituita e di cui faccio parte.

Si tratta di una proposta che nulla ha a che fare con la prevenzione e sposta l’asse culturale e operativo tutto sul piano della repressione. Chiunque oggi si occupa di tossicodipendenze sa perfettamente che non saranno i carabinieri né i cani anti-droga a dissuadere stili di vita giovanili. Si creerà un’ulteriore frattura sociale tra la vita reale e la vita politica. Inoltre si trasformerà la scuola in uno strano e ibrido luogo dove le ragazze e i ragazzi avranno paura ad andare. Per queste e altre motivazioni che richiedono una analisi ben più approfondita ritengo, qualora dovesse essere confermato quanto preannunciato dai media, di dover rinunciare alla mia partecipazione in qualità di membro al gruppo di lavoro ministeriale sulle dipendenze.

 

Il Giustiziere della notte televisiva, di Patrizio Gonnella

 

Il dibattito lanciato da Repubblica su sicurezza e legalità ha ricevuto il contributo determinante di Marco Travaglio e Michele Santoro. La puntata di Annozero di giovedì scorso su immigrati e indulto è stata un condensato di luoghi comuni, travisamenti di fatti, confusioni concettuali, qualunquismo mediatico. In quel salotto ben si trovava infatti Alessandra Mussolini. Travaglio ha dato il meglio di sé. Tutti d’accordo erano nel dire che la giustizia deve essere dura e inflessibile, che la clemenza è roba da democristiani, che l’Italia è un paese dove si rischia la vita ogni minuto e puoi essere stuprato a ogni angolo di strada, che la punizione deve essere sempre esemplare, che è assurdo assicurare diritti e garanzie alla difesa. Travaglio con un’ironia facile e senza una parvenza di contraddittorio ha sparato a zero contro l’indulto, ha mistificato i dati sulla criminalità e sulla recidiva degli indultati. Tutto questo è però secondario rispetto a una affermazione buttata là nel dibattito, stupefacente e che ha ripetuto per ben due volte. Una frase più o meno così riassumibile: "Si sapeva che coloro che usufruivano dell’indulto avrebbero commesso un nuovo reato.

Non avevano alternativa sociale. Per questo dovevano rimanere dentro." Se Travaglio si fosse limitato a dire, accedendo a tesi neo-lombrosiane, che i poveri e gli immigrati hanno un dna criminale, allora ne avremmo contestato il fondamento scientifico e tutto sarebbe finito lì. Ma lui, usando un contenitore televisivo che sa essere in particolare visto dal popolo della sinistra, fa un ragionamento alla Rudolph Giuliani: la società è una coperta troppo corta per coprire testa e piedi; coloro che per forza di cose ne restano fuori, piuttosto che vederli nelle strade li mettiamo in galera, così avremo fatto un servizio completo almeno a quelli sotto la coperta. Marco Travaglio è un giustiziere della notte televisiva, un sobillatore di allarmi sociali, taglia tutto con l’accetta, trasforma le vittime in colpevoli. E lo fa cercando di pescare consensi nel mondo anti-berlusconiano di sinistra. A quel mondo chiediamo di opporre una resistenza culturale all’ondata populista, illiberale e violenta della giustizia televisiva. Speriamo che a sinistra non si arrivi a rinunciare almeno all’orizzonte culturale di una società capace di includere tutte e tutti. Molti, anche a sinistra, ritengono oggi che chi sbaglia debba pagare scontando una pena affittiva e in odor di vendetta.

A loro chiedo di fare due gesti interiori: 1) di indignarsi per una società che sceglie di mandare al macero una parte di sé, non offrendole a monte altra opportunità che la delinquenza e sbattendola in galera non appena a valle. Può sbagliare solo chi aveva la possibilità di agire altrimenti. "Non avevano alternative", continuava ieri a dire Travaglio. Poveri, senza integrazione lavorativa, senza rete sociale, si sapeva che per sopravvivere avrebbero commesso un reato; 2) non rinunciare all’orizzonte culturale di una giustizia mite, fondata su garanzie liberali e rispettosa dei diritti umani. Spero che i miei interlocutori vogliano seguirmi su entrambi i punti.

Ma se sceglieranno di non farlo sul secondo - seguendo invece la deriva di questi tempi, segnati da campagne stampa di media "democratici" e da prediche di guru dell’informazione - non potranno non farlo sul primo, una volta lo abbiano riconosciuto nelle parole di Travaglio. Carlo Levi intitolava il suo duro libro di condanna della situazione italiana Le parole sono pietre. Le parole sono pietre, macigni, possono far male. Se recitate dall’altare televisivo, senza contraddittorio, fanno ancora più male. Speriamo che i grandi media italiani ridiventino luoghi di un pensiero articolato e non si riducano a scontati megafoni di battaglie law and order.

 

Il Vaso di Pandora, a cura del Coordinamento Osservatorio Nazionale

 

L’Osservatorio Regionale del Lazio, di Roberta Bartolozzi e Simona Filippi

Latina: il carcere delle irriducibili

 

Argano Gloria, Berardi Susanna, Cappello Maria, Fabrizi Barbara, Lupo Rossella, Vaccaro Vincenza. Nomi quasi dimenticati dalla memoria e anche dalla cronaca: sono le "irriducibili" detenute nella sezione ad elevato indice di vigilanza della casa circondariale di Latina. Tutte ergastolane, condannate tra il 1982 e il 1988, per la loro implicazione con il terrorismo di sinistra, nelle sue diverse fasi. Un carcere nel carcere, quello di questa sezione, come accade, in modo ancora più accentuato, per il regime di 41 bis, in questo caso però, ben accettato dalle loro ospiti che fino a poco tempo fa rifiutavano qualsiasi tipo di contatto con l’istituzione. Uniche eccezioni i colloqui con i familiari e la richiesta di libri. Da qualche tempo però hanno accettato di prendere parte ai corsi di inglese, informatica e fanno palestra. Escluso qualsiasi contatto con le detenute dell’Alta Sicurezza, del piano sottostante, usufruiscono per un’ora al giorno della socialità nell’apposita saletta e hanno lo spazio dedicato al passeggio. Per loro sono previsti quattro colloqui mensili con i familiari (sono invece sei per i detenuti comuni) che devono necessariamente avvenire con muro divisorio, e due telefonate al mese (anziché quattro).

Celle scarne, vuote, anonime, nulla attaccato alle pareti e nulla che possa personalizzarle. Un’eccezione per chi è abituato a notare nelle stanze di reclusione i colori dei poster, gli oggetti, i soprammobili. Alla domanda fatta agli educatori, se per queste detenute fossero previsti controlli e sostegni psichiatrici, visto il loro isolamento, è stato risposto con un sorriso. In realtà di ironico c’è ben poco se si pensa al caso noto di un’altra terrorista, Diana Blefari Melazzi, detenuta in regime di 41 bis a Rebibbia, le cui condizioni psico-fisiche destano grande preoccupazione.

Certo, il carcere di Latina non è tra i peggiori del Lazio ma nel visitarlo sono comunque evidenti gli effetti dei tagli ai fondi dell’Amministrazione penitenziaria e di un sovraffollamento qui sempre presente.

Costruita negli anni ‘30-’40, questa struttura, posta al centro della città, appare particolarmente trasandata, sporca e buia; nei corridoi e nelle celle non passa molta luce naturale e le luci sono accese anche di giorno; gli spazi per le attività trattamentali sono pochi e piccoli; c’è una sala teatro adibita anche a palestra; c’è un campo di calcetto su cui è posta una rete di copertura, messa per evitare i lanci di droga avvenuti più volte a causa dell’esigua altezza delle mura della cinta esterne.

Negli scorsi anni era stato fatto un progetto per la costruzione di una nuova sede, fuori città. Era stato anche individuato il terreno, gli ex-stabilimenti della Miralanza sulla via Appia. Favorito e auspicato dal personale interno, che lamenta la fatiscenza dei luoghi in cui sono costretti a lavorare, il progetto è del tutto sfumato.

Oltre alle due sezioni femminili, Alta Sicurezza ed Eiv, ospita una sezione maschile, anche questa dislocata su due piani. L’indulto, che ha fatto uscire 42 persone tra uomini e donne, qui si è sentito molto poco. Sono 111 gli uomini ospitati a fronte di una capienza di 58. La notizia però positiva è che nessuno degli usciti è rientrato. Per contattare l’Osservatorio Regionale del Lazio: osservatoriolazio@associazioneantigone.it

 

Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

Riforma del Codice Penale, finiti i lavori preparatori della parte generale

 

L’elaborazione della parte generale è finita. La bozza del progetto di riforma del Codice Penale, relativa alla parte generale, elaborata dalla Commissione presieduta da Giuliano Pisapia, è stata presentata al Ministro Mastella.

L’auspicio è che il progetto - a differenza degli elaborati stesi dalle 11 Commissioni precedenti - arrivi alla discussione parlamentare, e che quindi si riveda profondamente il nostro Codice Penale, risalente all’epoca fascista. Numerose le novità dei 57 articoli della bozza, tra le quali la fine della distinzione tra delitti e contravvenzioni (si parlerebbe solo di ‘reati’); forte ridimensionamento dei casi che prefigurano la responsabilità oggettiva; rigorosa attenzione al principio di offensività, inteso come non punibilità di un fatto se dalla sua commissione non sia derivata una effettiva lesione del bene o dell’interesse protetto dalla norma.

Dalla bozza messa a punto dai 19 esperti della Commissione di Pisapia, si evince poi una definizione più precisa del dolo, con ciò segnando una demarcazione più netta tra reati dolosi e colposi. Anche la responsabilità penale viene meglio delineata, ad es. rispetto al concorso di persone. Una definizione più precisa dell’apporto causale del singolo al delitto che può eliminare discrezionalità interpretative da parte del giudice.

Cambierebbe inoltre il sistema sanzionatorio: per i reati di particolare gravità è prevista "una detenzione di massima durata" (da 28 a 32 anni) che potrà essere aumentata, in caso di concorso di reati (reclusione non inferiore a 34 anni e non superiore a 38). Periodicamente vi saranno verifiche, anche per "valutare il venir meno di qualsiasi pericolosità sociale" del condannato. Vi sarebbe poi un maggiore ricorso a sanzioni interdittive, riparatorie e pecuniarie. Una revisione che andrebbe nella direzione anche auspicata dal Presidente Napolitano, nel corso della sua visita a Rebibbia: il carcere come extrema ratio.

Nella sentenza di condanna, inoltre, il giudice potrà direttamente disporre pene alternative al carcere (a differenza del sistema attuale, nel quale la decisione spetta al Tribunale di sorveglianza).

"La previsione di un maggiore ricorso alle sanzioni alternative al carcere dovrebbe avere come effetto una riduzione del sovraffollamento negli istituti penitenziari, dove assistenti sociali e agenti penitenziari potranno lavorare con l’ obiettivo di più sicurezza e più reinserimento sociale" afferma il Presidente Pisapia. La sospensione condizionale della pena, inoltre, non sarà più automatica ma, quando ve ne sono i presupposti, sarà accompagnata da una serie di prescrizioni, come ad esempio le condotte risarcitorie e riparatorie, i lavori socialmente utili etc.. Infine, si rimette mano alla legittima difesa (art. 52 CP), cancellando quella norma approvata nella scorsa legislatura, sull’ uso legittimo delle armi. Attendiamo quindi che il disegno di legge arrivi in Parlamento.

 

L’ambiguo atteggiamento delle autorità italiane nei confronti del regime speciale

previsto dall’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, di Giovanni Torrente

 

È noto come la normativa che ha introdotto il regime speciale regolato dall’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario costituisca un terreno di dibattito aperto che vede contrapposte, da un lato, le istanze garantiste di coloro che vedono nell’Ordinamento Penitenziario uno strumento necessariamente volto alla tutela dei diritti delle persone detenute e, dall’altro, le argomentazioni di stampo sicuritario in base alle quali si ritiene che il regime speciale in questione costituisca uno strumento indispensabile per garantire che i soggetti condannati per gravi reati non continuino a mantenere i contatti con le associazioni criminali di appartenenza. Al fine di fornire un contributo a tale dibattito si intende testimoniare l’evoluzione di un caso giudiziario attualmente ancora in corso nel quale è stata coinvolta l’associazione Antigone.

Ci si riferisce al procedimento di estradizione richiesta dall’Italia al Regno Unito nei confronti di Tiberio La Torre, un detenuto italiano accusato per gravi reati connessi all’associazione di stampo camorristico. La persona, attualmente detenuta nel Regno Unito, ha subito un periodo di custodia cautelare trascorso in parte nel carcere di Secondigliano ed in parte, a partire dal 1992, all’Asinara in 41 bis. In quest’ultimo istituto, secondo quanto denunciato dal detenuto, avrebbe subito pesanti maltrattamenti da parte degli agenti di polizia penitenziaria, da cui sarebbe derivata una permanente invalidità di natura fisica e psichica. Scaduti i termini di custodia cautelare, nel gennaio del 1996, egli viene scarcerato e dopo pochi giorni ripara nel Regno Unito dove viene nuovamente arrestato, in seguito a mandato di estradizione, nel luglio del 1999. A partire da quel momento La Torre inizia una battaglia legale al fine di evitare l’estradizione nel nostro paese. Uno degli argomenti su cui si fonda l’opposizione all’estradizione è il timore di essere nuovamente sottoposto al regime speciale previsto dall’art. 41 bis, e quindi di subire nuovamente i maltrattamenti patiti durante il periodo di custodia cautelare.

Trovandosi di fronte alla necessità di far comprendere alla Corte britannica la natura del regime del 41 bis, l’avvocato inglese che difende il cittadino italiano nel procedimento di estradizione contatta l’associazione Antigone tramite un legale italiano di comune conoscenza. Chi scrive è incaricato di redigere un report sul regime del 41 bis e sulle motivazioni che portano l’associazione Antigone, Amnesty International, insieme ad organi istituzionali come il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ed il Commissario Europeo per i Diritti Umani, ad esprimere riserve sulla legittimità di tale regime detentivo speciale. A seguito di tale richiesta redigo un rapporto raccogliendo tali motivazioni critiche e narrando le vicende più drammatiche, oramai di dominio pubblico, relative a casi di maltrattamenti avvenuti nelle sezioni di 41 bis che, come noto, hanno rischiato di portare l’Italia ad una condanna per il reato di tortura di fronte alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Tale report è stato utilizzato come elemento di prova nel primo grado del procedimento di estradizione.

In questa sede si intende tralasciare i dettagli legati all’esito del procedimento che, come detto, non è ancora concluso, per proporre alcuni temi di discussione legati all’atteggiamento assunto dalle autorità italiane di fronte alle critiche avanzate nei confronti del regime detentivo. La risposta alle osservazioni formulate non ha infatti riguardato il merito delle critiche, essendosi le autorità italiane limitate a sottolineare come la L. 23 dicembre 2002 abbia provveduto a rendere meno rigido il regime detentivo regolato dall’art. 41 bis. L’argomentazione utilizzata è stata per molti versi più sorprendente: è pervenuta alla Corte londinese un’assicurazione, rilasciata prima dalla Procura di Napoli e poi dall’attuale Ministro della Giustizia, che, una volta estradato, al soggetto non verrà nuovamente applicato il regime previsto dall’art. 41 bis.

Tale assicurazione appare per molti versi inquietante in quanto non tende a confutare i dubbi sulla compatibilità del regime con le norme europee poste a tutela dei diritti umani, ma tende piuttosto a scavalcare il problema promettendo che nel caso in questione non verrà nuovamente applicato il 41 bis. Come testimoniato da Maurizio Turco e Sergio D’Elia nel libro intitolato Tortura democratica, questo non è il primo caso in cui, nei rapporti con il sistema giudiziario internazionale, le autorità italiane decidono di evitare il pronunciamento sulla legittimità dell’art. 41 bis fornendo assicurazioni di immunità per il caso concreto. Tale atteggiamento pare mostrare come vi siano due piani di discussione relativi al dibattito sull’art. 41 bis: un primo, di natura politica, all’interno del quale la quasi unanimità delle forze politiche ribadisce che per combattere gravi fenomeni criminali quali la mafia e la camorra sono necessari strumenti speciali, anche in ambito penitenziario, e propone anzi un inasprimento degli stessi; un secondo, di natura giudiziaria internazionale, dove i vertici del sistema politico evitano di confrontarsi sulla legittimità del regime speciale assicurando immunità relative al caso specifico.

Ora, è evidente che tale atteggiamento ambivalente non è accettabile. O il regime del 41 bis è legittimo in ogni suo aspetto, ed in questo caso non vi è motivo per il quale l’Italia debba garantirne l’immunità ad un soggetto accusato di essere a capo di un’associazione camorristica. Oppure il sistema fondato sull’art. 41 bis presenta ancora oggi degli aspetti di problematicità in relazione alla tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute, ed in questo caso un’immunità nei confronti del singolo si rivela ancora più inopportuna in quanto costituisce una violazione dei diritti di tutti coloro che non hanno potuto godere di assicurazioni di questo tipo.

 

Sanità, formazione professionale e trattamento.

Il Lazio approva le legge per i diritti dei detenuti, di Marco Incagnola

 

Nel Lazio ora le competenze in materia di sanità passeranno dall’Amministrazione penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale. È questa una delle novità più significative introdotte dalla legge regionale denominata ‘Interventi a sostegno della popolazione detenuta’, presentata dal gruppo regionale del Prc e approvata dal Consiglio regionale del Lazio nella seduta del 23 maggio scorso. Una proposta di riforma organica volta a modificare anche altri aspetti della detenzione, come quelli riguardanti la formazione professionale e il trattamento dei detenuti. A un anno dall’approvazione dell’indulto, il Lazio è la prima regione ad occuparsi del miglioramento della vita nella carceri e del reinserimento sociale dei detenuti. In realtà l’occasione si era presentata nel 1999 con il decreto legislativo n. 230 quando l’allora Ministro della Salute Rosy Bindi aveva individuato il Lazio come una delle Regioni dove avviare le prime sperimentazioni in materia di sanità penitenziaria. Occasioni persa dalla Giunta Storace, eccezion fatta per il solo settore delle tossicodipendenze. Ora le Asl del Lazio dovranno attrezzarsi per assicurare ai detenuti la prevenzione, la cura, la diagnosi, la terapia. La Giunta regionale del Lazio dovrà inoltre approvare un progetto-obiettivo triennale per la salute dei detenuti con mappe di rischio, obiettivi di salute da raggiungere, modalità organizzative del servizio sanitario presso gli istituti, criteri e modalità per l’assistenza di base, specialistica e ospedaliera, programmi di formazione e di aggiornamento specifico degli operatori e di assistenza medico-specialistica. Per quanto riguarda il lavoro e la formazione professionale, invece, la legge intende favorire l’accesso al lavoro di persone in esecuzione penale. Saranno garantiti sgravi fiscali per coloro che intenderanno proporre contratti di lavoro a detenuti. La legge promuove anche la partecipazione di persone in esecuzione penale a programmi e iniziative, in particolare sotto forma di cooperazione, di imprenditorialità e autopromozione sociale. Ogni anno la Giunta redigerà il piano annuale per la formazione professionale negli istituti. Il piano sarà preceduto da una ricognizione dei bisogni formativi della popolazione detenuta e terrà conto dell’offerta formativa pubblica e privata esistente e delle esigenze specifiche del mercato del lavoro.

Sono previsti anche una serie di interventi per favorire la concessione di misure alternative alla detenzione. A tal fine sarà potenziato il sistema delle reti sociali e saranno finanziate attività socio-culturali in coordinamento con l’Amministrazione penitenziaria. All’interno degli istituti sorgeranno anche poli universitari che consentiranno ai detenuti di conseguire anche un titolo si studio riconosciuto.

"La sicurezza - ha commentato Luigi Nieri, Assessore al Bilancio della Regione Lazio nonché primo firmatario della legge - si costruisce assicurando legalità e diritti, dando fiducia. In questo modo avremo una comunità più coesa e meno rischi di fratture sociali. I diritti alla salute, al lavoro, alla formazione professionale, all’istruzione sono diritti costituzionali e universali. Valgono per tutti, a prescindere dalla condizione reclusa o libera. Questo abbiamo voluto ribadire nella legge, prevedendo azioni e iniziative concrete, supportate da dichiarazioni di principio. Il tutto nel pieno rispetto delle prerogative statali." Anche il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi ha espresso apprezzamento per una legge che a suo avviso mostra sensibilità nell’assunzione di responsabilità in materia di sanità penitenziaria, ma anche per ciò che riguarda la previsione di misure a favore del personale e per quanto riguarda il lavoro, la formazione professionale e il trattamento della popolazione detenuta. Positivo anche il commento di Antigone. Il presidente dell’associazione, Patrizio Gonnella, definisce il provvedimento "di straordinaria importanza, per due motivi: l’assunzione di responsabilità della Regione Lazio per ciò che riguarda la sanità penitenziaria e la previsione di assunzione di nuovi educatori che andranno ad affiancare lo scarso numero oggi presente all’interno degli istituti. Speriamo che questo sia di auspicio per analoghe iniziative di altre Regioni".

 

Iniziative, a cura della Redazione

 

Lunedì 18 giugno alle ore 12.30 presso la Sala Santi della Cgil nazionale, Corso d’Italia 25 a Roma si terrà la conferenza stampa di presentazione del Rapporto sui diritti globali 2007 (Ed. Ediesse), rapporto annuale sulla globalizzazione e sui diritti nel mondo.

Un progetto promosso da Cgil, Arci, ActionAid, Antigone, Cnca, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Forum Ambientalista, Gruppo Abele, Legambiente, a cura della SocietàINformazione.

Giunto alla sua quinta edizione, un volume unico a livello internazionale per l’ampiezza e la sistematicità dei temi affrontati: l’economia, le politiche sui redditi, il mercato del lavoro e la precarietà, la sicurezza sul lavoro, il welfare e altro ancora. Il rapporto fotografa e analizza la globalizzazione per quello che è attualmente inquadrando chiaramente criticità e punti deboli del sistema-mondo e delinea al contempo i tratti di una globalizzazione diversa, quella che vorremmo, centrata sui diritti umani e sociali, attenta alla costruzione di eguaglianza, democrazia e ricchezza per tutti. Uno strumento fondamentale di informazione e formazione per quanti operano nella scuola, nei media, nella politica, nelle amministrazioni pubbliche, nel mondo del lavoro, delle professioni sociali e delle associazioni.

In ognuno dei 13 capitoli si analizza la situazione attuale e si delineano le prospettive per l’anno in corso. Schede tematiche, glossari, dati statistici e riferimenti bibliografici e web arricchiscono la pubblicazione. Da quest’anno una sintesi introduce ogni capitolo, fornendo un quadro generale e sintetico per ogni tema trattato. Ma il Rapporto sui diritti globali ci parla anche dell’Italia, di un sistema politico in difficoltà e di un paese che ha bisogno di crescere. La sfida che si pone è scommettere sulla ripresa investendo sui processi di riforma presenti nel programma dell’Unione, i soli in grado di far recuperare consenso e di avviare uno sviluppo dell’economia duraturo essenziale per favorire l’ampliamento dei diritti sociali e garantire il raggiungimento degli obiettivi dell’"agenda di Lisbona".

Ne discutono:

Paolo Beni, presidente nazionale ARCI

Mariano Bottaccio, CNCA

Maurizio Gubbiotti, coordinatore nazionale Legambiente

Patrizio Gonnella, presidente nazionale Antigone

Claudio Messina, presidente nazionale Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Ciro Pesacane, presidente nazionale Forum Ambientalista

Daniele Scaglione, direttore ActionAid

Sergio Segio, curatore del Rapporto

Interviene:

Guglielmo Epifani, segretario generale CGIL

 

Lunedì 18 giugno alle ore 17.00 presso l’Ex hotel Bologna - Senato della Repubblica, Via di Santa Chiara 5 a Roma si terrà il convegno Per l’abolizione dell’ergastolo.

Coordina: Imma Barbarossa, segreteria nazionale PRC, Responsabile Area Nuovi Diritti e Poteri Istituzionali

Introduce: Arturo Salerni, responsabile carceri PRC

Interventi:

Paolo Cento, deputato Verdi, Sottosegretario all’economia e finanze

Domenico Gallo, giurista

Patrizio Gonnella, Presidente Associazione Antigone

Don Andrea La Regina, Caritas italiana

Giorgio Mele, senatore Sinistra Democratica

Don Sandro Spriano, cappellano Rebibbia, Presidente VIC Caritas

Partecipano:

Gennaro Migliore, capogruppo PRC-SE alla Camera dei deputati

Giovanni Russo Spena, capogruppo PRC-SE al Senato

 

Appello al mondo della cultura e dello spettacolo: aboliamo l’ergastolo!

Prime adesioni:

Giorgio Arlorio, Mimmo Calopresti, Ascanio Celestini, Simonetta Cossu, Sandro Curzi, Erri De Luca, Ugo Gregoretti, Leo Gullotta, Wilma Labate, Carlo Lizzani, Citto Maselli, Mario Monicelli, Ponentino Trio, Massimo Ranieri, Piero Sansonetti, Furio Scarpelli, Ettore Scola, Pasquale Scimeca, Barbara Valmorin, Daniele Vicari.

 

Martedì 26 giugno a partire dalle ore 9.30 presso la Camera dei Deputati - Sala delle Colonne, Palazzo Marini, Via Poli, 19 a Roma, in occasione della Giornata mondiale delle Nazioni Unite contro la tortura, si terrà il convegno internazionale Diritti umani in Europa Diritti umani in America Latina.

Programma:

Ore 9.30 Apertura dei lavori

Donato Di Santo, Sottosegretario al Ministero Affari Esteri

Luigi Manconi, Sottosegretario al Ministero della Giustizia

Ore 10.30 Presiede Alberto Filippi, Università di Camerino e membro del Comitato scientifico dell’Associazione Antigone:

La situazione internazionale dei diritti umani: sfide e soluzioni

Paolo Pobbiati, Presidente Amnesty International Italia

La situazione dei diritti umani in Europa: sfide e soluzioni

Mauro Palma, Presidente Comitato europeo per la prevenzione della tortura

Problemi e forme dell’integrazione dei diritti umani nel Mercosur

Remo Carlotto, Presidente Commissione diritti umani del Parlamento Argentino

Dibattito

Conclusioni di Patrizio Gonnella, Presidente Associazione Antigone

Pausa pranzo

Ore 15.00

La tutela dei diritti delle persone private della libertà in Italia e in America Latina

Presiede Mariza Bafile, Deputata per il Sud America nel Parlamento italiano

L’esperienza argentina

Federico Ramos, Subsecretario de Asuntos Penitenciarios, Ministero Justicia y derechos humanos

L’esperienza boliviana

Roberto Alvaro Guzmán Duran, Presidente Serivicio Nacional de Defensa Publica/ oppure Renato Pardo Angles, Vice Ministro della Giustizia

L’esperienza brasiliana

Attendiamo le decisioni del Ministro della giustizia Tarso Genro

L’esperienza italiana

Stefano Anastasia, Ministero della Giustizia

Conclusioni: I diritti umani e la lotta contro la tortura oggi

Luigi Ferrajoli, Università Roma Tre e membro del Comitato scientifico dell’Associazione Antigone

Coffee Break

Ore 16.30 Presiede Patrizio Gonnella, Presidente Associazione Antigone

Il Progetto Eurosocial Settore Giustizia, patrocinato dall’Unione europea, coordinato dalla FIAPP, gestito dall’Associazione Antigone: "La tutela dei diritti in carcere"

Il contributo argentino

Alejandro Marambio, Ministero de Justicia y derechos humanos, Argentina / o Silvia Martinez, Defensoria General de la Nacion

Il contributo boliviano

Roberto Alvaro Guzmán Duran, Presidente Serivicio Nacional de Defensa Publica, Bolivia / oppure Renato Pardo Angles, Vice Ministro della Giustizia, Bolivia

Il contributo brasiliano

Attendiamo le decisioni del Ministro della giustizia Tarso Genro

 

Home Su Successiva