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Newsletter numero 25 dell'Associazione "Antigone" a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella
L’Editoriale: Caro Romano Prodi, di Stefano Anastasia
Caro Romano Prodi, lo straordinario successo delle primarie dell’Unione Le affidano, con molti onori, una grande responsabilità, quella di dare risposte efficaci alle domande di cambiamento di un Paese prostrato da cinque anni di involuzione politica e sociale. Tra le altre, non ultime, ci sono le domande che vengono dal nostro mondo. Cinque anni terribili abbiamo vissuto. Anni che hanno visto crescere a dismisura le persone in stato di detenzione o comunque private della libertà. Anni in cui le carceri sono tornate a essere meri contenitori della marginalità sociale. Anni in cui le politiche economiche hanno rinunciato a ogni idea di redistribuzione e di giustizia sociale. Anni in cui le politiche sociali sono state soffocate o privatizzate. Anni in cui il Governo e la maggioranza parlamentare hanno mostrato finanche una certa dose di crudeltà, nel voler perseguire quei fantasmi che agitano i sogni di una società per altre ragioni insicura e timorosa del confronto con l’altro. Basti pensare alla riforma della legge sull’immigrazione, ai propositi di revisione della legge sulla droga, ai tentativi di riaprire i manicomi e, da ultima, alla famigerata legge ex-Cirielli, le cui gravissime conseguenze sulla vita di migliaia di autori di piccoli reati e sull’intero sistema penitenziario non sono ancora state prese in considerazione dalla maggioranza, dal governo e, spesso, anche dalle forze di opposizione. Anni che si concluderanno con l’inutile parata della Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze, convocata in extremis per il prossimo mese di dicembre, alla quale la parte migliore degli operatori del settore non parteciperà. Urge un cambio di rotta. Non mancano le idee. C’è nel nostro Paese una ricchezza di pratiche e di sperimentazioni, sociali e istituzionali, che possono delineare un altro governo possibile. In alcuni casi ci sono già disegni normativi, messi nero su bianco da parlamentari di tutte le forze dell’opposizione, come nel caso della contro-proposta di riforma della legislazione sulla droga promossa dal cartello "dal penale al sociale", o elaborati e già discussi pubblicamente, come nel caso della proposta di riforma dell’ordinamento penitenziario pensata e redatta personalmente da Alessandro Margara, che fu direttore generale dell’Amministrazione penitenziaria proprio durante il Suo primo governo. Alcune proposte sono tutt’ora in discussione nella aule parlamentari, come la proposta di istituire un Garante delle persone private della libertà. Ma, al di là delle singole, specifiche questioni, il cui elenco potrebbe continuare troppo a lungo, la vera scelta che Le chiediamo di compiere è di cambiare il modo di guardare ai problemi della giustizia e dei diritti. Troppo facile sarebbe chiederLe di cancellare le leggi ad personam e troppo pretenzioso sarebbe chiederLe di prendere le parti dei carcerati, dei matti, dei consumatori di droghe vessati e repressi, dei migranti costretti a entrare illegalmente in Italia. Ci basterebbe piuttosto che a quel nome scelto per la coalizione da Lei guidata corrispondesse un impegno conseguente, l’impegno a non distinguere il nostro mondo in buoni e cattivi, cittadini e criminali. Come Totò e Aldo Fabrizi, guardie e ladri hanno in comune molto più di quanto non siano disposti a confessarsi reciprocamente. Contro il crudele manicheismo di questi ultimi anni, durante i quali il diritto alla sicurezza di alcuni è stato contrapposto alla vessazione di troppi altri, noi Le chiediamo semplicemente la sicurezza di tutti i diritti di tutte le persone. Non è questo che vuol dire Unione?
Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia
Resoconto parlamentare della discussione alla Camera della proposta di legge diretta alla Istituzione del Garante delle persone private della libertà. Discussione sulle linee generali - A.C. 411 ed abbinate: Istituzione del Garante delle persone private della libertà
Presidente. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-L’Ulivo ne ha chiesto l’ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell’articolo 83, comma 2, del regolamento. Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente. Il relatore, onorevole Palma, ha facoltà di svolgere la relazione.
Nitto Francesco Palma, Relatore. Signor Presidente, la Commissione affari costituzionali ha avviato, il 30 luglio 2003, l’esame delle proposte di legge A.C. 411 dell’onorevole Pisapia, A.C. 3229, dell’onorevole Mazzoni ed A.C. 3344 dell’onorevole Finocchiaro, concernenti l’istituzione del garante dei diritti delle persone detenute o privati della libertà personale ed ha svolto, tra il 30 ottobre ed il 19 novembre 2003, una rilevante attività conoscitiva in materia, procedendo a numerose audizioni. A seguito delle riunioni del Comitato ristretto, costituito l’11 dicembre 2003, è stata predisposta una proposta di testo unificato adottata dalla Commissione quale testo base nella seduta del 27 gennaio 2004, successivamente modificata solo marginalmente, a seguito dell’esame degli emendamenti. Per quanto riguarda il contenuto del provvedimento, l’articolo 1 prevede che il garante dei diritti è organo collegiale, composto dal presidente, nominato con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati e da quattro membri eletti con voto limitato, in numero di due dal Senato della Repubblica, ed in numero di due dalla Camera dei deputati. Il comma 3 dello stesso articolo dispone inoltre che il garante dei diritti rimane in carica per quattro anni, non rinnovabili, fatto salvo, evidentemente, il regime di prorogatio. L’articolo 2, dispone invece, che componenti del garante dei diritti sono scelti tra persone che abbiano un’esperienza ventennale nel campo dei diritti umani dei detenuti ovvero che abbiano una formazione culturale specifica e documentata nel campo giuridico dei diritti umani, precisando altresì che non possono ricoprire la carica di componente del garante dei diritti coloro che hanno riportato condanna definitiva per delitto. Le questioni connesse all’incompatibilità sono affrontate dall’articolo 3, ai sensi del quale ognuno dei componenti del garante dei diritti non può assumere cariche elettive, governative o istituzionali o ricoprire altri incarichi o uffici pubblici di qualsiasi natura e non può svolgere attività lavorativa subordinata o autonoma, imprenditoriale o libero professionale, né attività inerenti ad un’associazione o partito politico. L’articolo 4 elenca, in modo tassativo, i casi in cui occorre procedere all’immediata sostituzione di taluno dei componenti del garante, precisando che tale adempimento si rende necessario nell’ipotesi di dimissioni, morte, incompatibilità sopravvenuta, accertato impedimento fisico o psichico, grave violazione dei doveri inerenti l’incarico affidato, o nel caso in cui riporti condanna penale definitiva per delitto. L’articolo 5 dispone che alle dipendenze delle garante dei diritti è istituito un ufficio composto da dipendenti dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche in numero non superiore a 40, collocati fuori ruolo. Le norme concernenti l’organizzazione dell’ufficio, nonché quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese, sono adottate con regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge. L’articolo 6 prevede che il garante possa avvalersi dell’opera di consulenti remunerati in base alle vigenti tariffe professionali, mentre l’articolo 7 definisce le funzioni ed i poteri del garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale. Ai fini del compimento delle predette funzioni, il garante può visitare senza necessità di autorizzazione gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari e gli istituti penali per minori, prendere visione, previo consenso dell’interessato, degli atti e dei documenti contenuti nel fascicolo della persona privata della libertà personale, fatta eccezione per quelli coperti da segreto relativo alle indagini o al procedimento penale, richiedere alle amministrazioni responsabili degli istituti penitenziari, degli ospedali psichiatrici giudiziari e degli istituti penali per minori le informazioni ed i documenti che ritenga necessari, prevedendosi che, in caso di inottemperanza dell’amministrazione nel termine di trenta giorni a tale richiesta il garante informi il magistrato di sorveglianza territorialmente competente, al quale può richiedere di emettere ordine di esibizione dei documenti richiesti. Inoltre, il garante, al precipuo fine di verificare l’idoneità delle relative strutture edilizie a salvaguardare la dignità delle persone ivi ristrette, con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali, può, previo preavviso, ma senza autorizzazione, visitare i centri di permanenza temporanea ed assistenza nonché le camere di sicurezza eventualmente esistenti presso le caserme dell’Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza e dei commissariati di pubblica sicurezza. I componenti del garante dei diritti sono tenuti al segreto e nel caso in cui venga opposto il segreto di Stato, il garante dei diritti può informare il magistrato di sorveglianza territorialmente competente affinché questi valuti se richiedere l’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri per la conferma, entro sessanta giorni, dell’esistenza del segreto stesso. L’articolo 8 prevede che tutti i detenuti e i soggetti comunque privati della libertà personale possano rivolgersi al garante dei diritti senza vincolo di forma. L’articolo 9 dispone che, ove il garante dei diritti verifichi che le amministrazioni responsabili delle strutture indicate all’articolo 7, comma 2, lettera a), tengano comportamenti non conformi ovvero che le istanze e i reclami ad esso rivolti siano fondati, richiede alle amministrazioni interessate di agire in conformità, anche formulando specifiche raccomandazioni. In proposito, si prevede un procedimento amministrativo in forza del quale, ove le amministrazioni direttamente interessate non si conformino, il garante può rivolgersi anche agli uffici ad esse sovraordinati. Qualora si registri un’ulteriore inerzia, il garante può ricorrere al tribunale di sorveglianza, che procede i sensi dell’articolo 71- septies della legge 26 luglio 1975, n. 354, introdotto dall’articolo 10 della presente legge. L’articolo 11 prevede, poi, in capo al garante dei diritti, l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria competente dei fatti di cui venga a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni che possano costituire reato. Infine, l’articolo 12 stabilisce che il garante dei diritti presenti annualmente al Parlamento una relazione annuale sull’attività svolta. Sul testo predisposto in sede referente la Commissione giustizia ha espresso parere favorevole con osservazioni. La Commissione difesa ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni, mentre la Commissione affari sociali e la Commissione parlamentare per le questioni regionali hanno espresso parere favorevole. La Commissione lavoro ha, invece, espresso parere contrario. Quanto alla copertura degli oneri legati al provvedimento, la Commissione bilancio ha espresso un primo parere contrario l’8 febbraio 2005, un successivo parere favorevole con condizioni, ai sensi dell’articolo 81, comma 4, della Costituzione, il 25 maggio 2005 e, infine, un ulteriore parere contrario il 27 luglio 2005. A fronte di tali pareri, la I Commissione ha, di volta in volta, proceduto a modificare conformemente il testo, da ultimo con gli emendamenti approvati nella seduta del 18 ottobre 2005, volti, da un lato, a far decorrere gli effetti finanziari del provvedimento a partire dal 2006 e, dall’altro, a utilizzare per la relativa copertura, nell’ambito dei fondi speciali di parte corrente per il triennio 2006-2008, l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Presidente. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
Gianfranco Conte, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
Presidente. È iscritto a parlare l’onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.
Vincenzo Siniscalchi. Signor Presidente, con questo articolato si avvia un importante discorso legislativo, che mi auguro venga ulteriormente sviluppato nel corso del dibattito e che subisca ampliamenti e definizioni progressive che offrano la misura della importanza di un’iniziativa del genere. Fa parte di questo complesso di proposte una proposta già presentata il 4 novembre 2002 dai deputati del gruppo dei democratici di sinistra in Commissione giustizia, a prima firma dell’onorevole Finocchiaro e sottoscritta da tutti noi. Così come hanno fatto altri colleghi, non abbiamo proposto la definizione di garante (che è stata poi adottata), ma quella di un vero e proprio difensore civico, che svolgesse una attività di controllo e di tutela, con la possibilità di diventare soggetto che ricorra e non si limiti solamente ad una constatazione nei confronti delle persone detenute; non solo nei confronti delle persone detenute, come avete ascoltato dal relatore, negli istituti di pena, negli stabilimenti carcerari, ma anche nei confronti di tutte quelle persone che si trovano, anche per ragioni amministrative (si fa specifico riferimento ai centri di permanenza temporanea, ai centri di accoglienza, agli istituti manicomiali, alle case di detenzione per i minori o ai luoghi di compressione della libertà dei tossicodipendenti) in tutti quei luoghi nei quali la privazione della libertà personale, totale o parziale, deve subire una forma di maggiore garanzia. Essa deve essere presidiata da un controllo che, per quanto riguarda gli stabilimenti di pena, non può limitarsi soltanto a ciò che prevedono l’ordinamento e la provvida legge Gozzini; non può limitarsi solamente alle attività e all’intervento doveroso e necessario, ma enormemente difficile dal punto di vista della rapidità, del magistrato di sorveglianza. Essa deve avere, così come accade anche nei paesi anglosassoni, un’autorità di garanzia, che non sia un ente solamente ordinamentale e burocratico, ma che abbia poteri di accertamento che consentano di dare trasparenza ai momenti della detenzione e della libertà personale. Sono troppo note e ricorrono ad ogni finanziaria le gravi difficoltà nelle quali si dibatte il nostro sistema di detenzione e carcerario. Deputati e senatori di tutti gli schieramenti spesso formulano interrogazioni, interpellanze, ordini del giorno e mozioni per segnalare casi, quando non di vero abuso, di grave trascuratezza ed inosservanza delle forme elementari e - vorrei dire - del diritto naturale alla tutela sanitaria, fisica, intellettuale e del lavoro dei detenuti. Queste proteste, evidentemente, non potendo emergere nell’attività giurisdizionale vera e propria e nell’attività dei tribunali e dei magistrati di sorveglianza, meritano di ottenere la possibilità di un controllo diverso. È necessario, quindi, un difensore civico, ossia un organismo che non sia un’ authority in più, ma che sia direttamente collegato al principio costituzionale del diritto alla tutela della salute e all’integrità fisica. Sono troppo noti i casi, ricorrenti in questi ultimi tempi con lugubre insistenza, di suicidi nelle carceri, nei confronti dei quali non basta fare riferimento all’inchiesta o all’ispezione che certamente compie l’organismo amministrativo o ministeriale. Si avverte una sorta di separatezza eccessiva tra il luogo di detenzione e un controllo che renda trasparente il luogo di detenzione stesso. Anche per quanto riguarda i centri di permanenza temporanea, sono troppo recenti le illustrazioni di carattere televisivo o giornalistico dei giorni scorsi. Credo che tutti abbiano potuto rendersi conto delle gravi difficoltà in cui versano questi sistemi di costrizione della libertà personale, che producono una riduzione della soglia di sicurezza e anche del trattenimento in alcuni di questi luoghi, seppur necessari sotto altri profili. Credo che questa legge, quindi, debba nascere nel dibattito parlamentare - se vi riuscirà - con una condivisione un po’ più forte, non solo di grandi fondamenti filosofici o teleologici di carattere politico, ma delle sue fondamentali istanze e della sua essenziale necessità all’interno del nostro ordinamento. Certo, è necessario un garante, ma che sia - lo ripeto - difensore dei diritti, che non possono essere fatti valere soltanto nelle sedi del contenzioso penale o civile, ossia nelle sedi della denunzia dell’abuso o della violenza. Tali diritti - così come avete ascoltato dalla relazione e come emerge dalla nostra proposta e dalle altre che sono state fatte proprie, in parte, dall’articolato finale al nostro esame - debbono formare oggetto di una sorta di vigilanza continua, di presidio e di garanzia. Ciò per consentire anche all’autorità di sorveglianza ed al magistrato di sorveglianza di recepire tale funzione certamente non alternativa, ma rilevantemente aggiuntiva. Si tratta di una funzione di diritto pubblico esercitata attraverso un ufficio con un organico previsto di 40 persone. Abbiamo qualche riserva sul risultato finale del testo, che potrà essere migliorato, e sul quale vi sarà un lavoro emendativo. Siamo preoccupati per il parere drasticamente negativo della Commissione bilancio: ci auguriamo che non si tratti di una legge bandiera, di una legge simbolo che lasci il tempo che trova. Speriamo che la condivisione di tali rilievi e di tali riserve si traduca nella costruzione effettiva di una legge di garanzia, e non solamente nell’accettazione della scrittura di un principio. Dobbiamo ricordare che alla base della nostra proposta e delle altre proposte di legge presentate vi sono i lavori svolti nelle Commissioni giustizia che si sono succedute nel corso delle ultime legislature attraverso i Comitati carceri: questi hanno sempre realizzato tale servizio ispettivo che, tuttavia, non riusciva ad avere la forza di una rappresentazione in forma di denunzia nei confronti delle amministrazioni responsabili. L’articolo 2 prevede alcune questioni riguardanti lo status ed i requisiti per far parte di tale autorità di garanzia. Gradiremmo che venisse recepito il primo punto del parere della Commissione giustizia, che chiede di individuare una soglia più bassa di esperienza nel campo dei diritti umani. Viene, infatti, prevista una soglia di ventennale esperienza nell’esercizio della tutela dei diritti umani, che è questione anche un po’ generica dal punto di vista lessicale. La Commissione giustizia, all’unanimità, nella prima parte del suo parere, ha chiesto di abbassare tale soglia per evitare che si giunga a forme di professionalizzazione di tale funzione all’interno dell’autorità di garanzia. Dovremo lavorare certamente sul campo delle incompatibilità previste dall’articolo 3, dovremo completarle ed essere più avveduti per evitare qualsiasi forma di burocratizzazione di un organismo che di burocratico deve avere solamente la struttura, ma deve avere una profonda aspirazione costituzionale e sociale per rispondere alla finalità che abbiamo voluto attribuirgli con le nostre proposte. In merito alle funzioni ed ai poteri ci pare positivo sviluppare la possibilità della trasformazione del procedimento di semplice controllo e di carattere ispettivo (la presenza continua nelle carceri, nei luoghi di detenzione, nelle caserme in tante occasioni che, purtroppo, hanno suscitato grande sconcerto nell’opinione pubblica in relazione ad episodi a tutti perfettamente noti) in una presenza che consenta maggiore trasparenza e, soprattutto, l’immediatezza della constatazione che deve essere fatta da un organismo terzo e non può essere soltanto affidata a sanitari chiamati per l’occasione o a controlli che si risolvono in una sorta di verifica interna che non soddisfa le esigenze di chiarezza. Non si tratta solo delle violenze, ma anche - ripeto - delle condizioni oggettive e soggettive di detenzione degli uomini e delle donne, dei maggiorenni e dei minorenni sottoposti ad un trattamento di privazione della libertà personale. Noi pensiamo di poter lavorare partendo dall’attuale testo dell’articolo 9, che prevede l’apertura del procedimento da parte del garante, in funzione di promozione dell’azione contro le amministrazioni colpevoli, contro gli uffici colpevoli di forme di inerzia o di forme di abbandono, quando non di deplorevole tolleranza di forme di degrado interno all’edificio o di degrado anche nell’assistenza normale e quotidiana. Lavoreremo sull’articolo 9 e sull’articolo 10, del quale segnaliamo la trasformazione del procedimento da puramente ispettivo a contenzioso, che preveda la presenza e la partecipazione degli interessati. Si tratta di una norma molto importante, in quanto essa solleva il detenuto, o colui il quale si trova in una restrizione di libertà personale, dall’onere della denunzia, perché tale onere implica necessariamente l’accettazione di una rinunzia in luogo della denunzia, della rinunzia a denunziare. In questi luoghi vi sono molti più casi di lesione della libertà e della dignità delle persone di quanti non ne vengano denunziati. Le denunzie esplodono solamente in occasione di episodi clamorosi, che spesso si concretizzano nella morte del detenuto o nel suo suicidio; i casi, tuttavia, sono molti di più, e non possono essere denunziati tutti. Ecco dunque qual è l’importanza di queste norme illustrate dall’onorevole relatore: quella di sollevare il soggetto, che vede compresso il suo diritto alla salute e il suo diritto al rispetto della dignità personale, così com’è scritto in tutte le Convenzioni sui diritti umani, da questa impossibile, formale e spesso pretestuosa richiesta di denunzia, che rischia di esporlo alle reazioni, alle punizioni e alle forme di intervento vendicativo da parte di coloro i quali sono preposti alla vigilanza nei loro confronti. L’articolo 10, attraverso la trasformazione del procedimento da meramente ispettivo in procedimento contenzioso - con gli ampi poteri, riconosciuti ai funzionari del garante, di ingresso, previo avviso, in tutti i luoghi, seppur nel rispetto del segreto, delle regole e dei limiti di un’invadenza, che non può avere evidentemente l’effetto invasivo nei confronti della delicatezza delle indagini che si svolgono o dei motivi per i quali è stata decisa la forma di privazione della libertà personale - contiene una profonda innovazione, sulla quale potremo lavorare. Si tratta di un grande passo avanti, di un inizio forse in tono minore, con la speranza che le esigenze così pressanti poste sempre davanti ad ogni iniziativa di carattere parlamentare non facciano naufragare una proposta ed un testo che a nostro avviso rappresentano un buon avvio, che deve essere però ulteriormente integrato, ma soprattutto deve essere condiviso, creduto ed accettato, in una sua cultura che non è cultura di carattere ideologico, bensì cultura che nasce da profondi valori costituzionali e da profondi valori sociali. Ecco perché i Democratici di sinistra sperano di poter continuare a collaborare nella realizzazione di questa importante legge, sperando che non vengano frapposti ostacoli ad un suo iter concreto e realistico, che superi qualsiasi forma di ostruzione, che possa rappresentare un motivo di arretramento dei principi da cui stasera questa legge può partire (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L’Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni).
Presidente. È iscritto a parlare l’onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
Roberto Zaccaria. Signor Presidente, vorrei svolgere alcune considerazioni generali sul provvedimento in esame a nome del gruppo della Margherita; mi permetto anche di riportare alcune delle considerazioni che l’onorevole Boato ha ripetutamente sviluppato in Commissione (sono stati assunti dei toni largamente convergenti). Già nell’ottobre del 2003, quindi due anni fa, qualche quotidiano aveva sottolineato che il primo accordo bipartisan sull’istituzione del difensore civico per i detenuti si ebbe in Commissione affari costituzionali; è, quindi, una questione posta non tanto tempo fa, in ordine alla quale si sono effettuati alcuni approfondimenti, come ha ricordato molto compiutamente nella sua introduzione il relatore Nitto Palma, e si svolte ripetute audizioni, con apporti di varia natura. Quindi, il testo è arricchito di tutti questi contributi. In fondo, la strada maestra per arrivare a questo testo (si ringraziano i primi firmatari delle proposte di legge presentate in merito, gli onorevoli Pisapia, Finocchiaro e Mazzoni) è in qualche modo tracciata da documenti internazionali; nella relazione dell’onorevole Pisapia si ricorda come il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, delle pene e trattamenti inumani o degradanti abbia costantemente sollecitato i Governi a dotarsi di organi interni di controllo delle condizioni di detenzione. Si ricorda anche come l’Italia si presenti carente, in quanto non è stata ancora istituita la figura del difensore civico e non è previsto nell’ordinamento penitenziario un organo indipendente dall’amministrazione della giustizia avente poteri ispettivi. In questa materia, vi è una pluralità di fonti internazionali: vorrei ricordare la Convenzione dell’Onu contro la tortura, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d’Europa. La figura del difensore civico viene in qualche modo assimilata a quella delle authority che sono largamente diffuse nel nostro paese, in alcuni casi anche in misura sovrabbondante. Non vi è dubbio che, in questo caso, la sua finalità è essenziale, perché si tratta non solo di garantire il pieno rispetto dei principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, funzioni generali dell’amministrazione, ma di tutelare - è la funzione più specifica - i diritti fondamentali delle persone detenute o, comunque, private della libertà personale. Ci troviamo in qualche modo nel filone dell’attuazione di quelle garanzie che l’articolo 3, secondo comma, richiede, perché nei fatti e nei luoghi che configurano situazioni di detenzione questi diritti, seppure compressi e limitati, richiedono interventi di particolare tutela. Si è detto che il giudice di sorveglianza non possa per sua natura adempiere a queste funzioni e, quindi, in questo contesto nasce la struttura, il disegno di questa norma. Non ho molto da aggiungere alle considerazioni che sono state svolte e che riguardano la composizione, la struttura di questo organo. Si tratta di un modello a quattro membri, che assomiglia a quello dell’Autorità per la privacy, eletti dal Parlamento, con un voto limitato ed un meccanismo abbastanza snello. Mi pare sia anche snella la struttura di tale organo che, evidentemente, non riproduce le dimensioni molto più rilevanti di altre autorità indipendenti. Probabilmente la strada con la quale alcuni problemi sollevati dalla Commissione bilancio sono stati bypassati può essere considerata proprio sotto questo particolare profilo. In ordine ai poteri, occorre che alcuni di essi restino in capo a tale autorità, altrimenti la funzione finisce per essere soltanto teorica ed astratta e, quindi, ininfluente. Ricordo che il punto centrale è che il difensore civico concorre con il magistrato di sorveglianza alla vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati nonché dei soggetti sottoposti a custodia cautelare sia attuata in conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle Convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti. Per ragioni di tempo e di maggiore conoscenza da parte di coloro che hanno partecipato alla predisposizione di tale testo, non mi soffermo sui numerosi esempi - citati oltre che nella proposta di legge a prima firma Pisapia anche in quella presentata dall’onorevole Finocchiaro - di organismi paralleli - già funzionanti in Austria, in Danimarca, in Finlandia, in Ungheria, in Olanda, in Norvegia e in Portogallo - che hanno la precisa caratteristica di consentire al difensore civico di effettuare sopralluoghi periodici, con la previsione dell’accesso nei luoghi di detenzione. Tutto ciò può avvenire, naturalmente, senza preavviso, con la possibilità di ispezionare qualunque luogo e di incontrare chiunque senza restrizioni e senza accompagnamento. Inoltre, il difensore civico, ai sensi dell’articolo 7, può prendere visione, previo consenso dell’interessato, degli atti e dei documenti contenuti nel fascicolo e può richiedere all’amministrazione responsabile e alle strutture indicate informazioni e comunicazioni. Si tratta, in fondo, di una attività ispettiva particolarmente rilevante in relazione alla natura di tali luoghi. La funzione è di natura persuasoria, di raccomandazione che, in alcuni casi, può anche estendersi ad altro, come nel caso di denuncia di fatti di rilievo penale, di dichiarazioni pubbliche di biasimo e di attivazione di procedimenti disciplinari. Se ciò si considera a fronte di una massima informalità consentita ai detenuti nel rivolgersi a tale autorità, questo istituto di garanzia potrebbe risolvere molti problemi. Naturalmente, è prevista anche la possibilità di presentare una relazione annuale al Parlamento, comprensiva di tutte le attività che possono essere svolte da tale organismo. Ho voluto soltanto fare un accenno a questo percorso, non solo sollecitato a livello internazionale, ma che mi pare sia anche moderno nella nostra legislazione e, quindi, ho ricordato quanto sommessamente è stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto, ovvero che la Costituzione prevede restrizioni particolari per coloro che si trovano in condizioni di detenzione. Tuttavia, l’articolo 13, laddove recita che "è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte alla restrizione della libertà" e in particolare l’articolo 27, laddove recita che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" sono le linee guida di un intervento di questo tipo. Quindi, il senso e la filosofia sono quelli di assicurare effettività (per questo motivo ho richiamato il secondo comma dell’articolo 3) ad alcuni diritti fondamentali, la quale in realtà, non sempre è garantita. Mi auguro pertanto che il dibattito possa contribuire ad apportare ulteriore miglioramenti al testo e che le perplessità espresse da qualche gruppo in Commissione non siano determinanti nel dibattito in aula, perché il percorso prefigurato mi appare estremamente concreto e positivo.
Presidente. È iscritto a parlare l’onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.
Giuliano Pisapia. Signor Presidente, negli ultimi anni la situazione degli istituti penitenziari e degli altri luoghi ove vengono trattenute persone private o limitate, per le ragioni più diverse, della libertà personale è esplosa nel nostro paese in tutta la sua drammaticità: sovraffollamento; carenza di operatori; esiguità dei fondi; incremento di eventi critici quali suicidi, tentativi di suicidio, mancati suicidi; atti di autolesionismo o più in generale episodi di violenza. Quindi, si imponeva da tempo la necessità di intervenire non solo sulle condizioni di detenzione, sempre più disumane, ma anche e prima ancora per garantire forme di controllo della legalità nei luoghi di privazione della libertà personale, nonché per creare meccanismi di tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute, spesso nei fatti non sufficientemente tutelati e non raramente calpestati. L’eccessivo cumulo di funzioni poste a carico di magistrati di sorveglianza, sempre più giudici delle misure alternative e sempre meno della possibilità di esercitare funzioni di controllo sull’esecuzione della custodia dei detenuti e degli internati nonché dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere, la carenza di organico della magistratura di sorveglianza nonché di altre figure che hanno un ruolo fondamentale all’interno degli istituti carcerari e la presenza massiccia negli istituti penali di soggetti socialmente deboli, quali tossicodipendenti ed extracomunitari, pari a più del 50 per cento della popolazione detenuta e maggiormente esposti al rischio di abusi, rendono attuale ed urgente la necessità di interventi per un carcere più trasparente. Non era quindi più procrastinabile l’individuazione di nuove forme e di nuovi strumenti di controllo della legalità nei luoghi di detenzione, senza ovviamente mettere in discussione quelli già esistenti. Proprio a questa esigenza risponde il provvedimento oggi al nostro esame, teso all’istituzione di un nuovo soggetto di controllo e di verifica delle condizioni di detenzione, che operi a livello nazionale, che abbia un’effettiva autonomia ed indipendenza. E oggi finalmente, dopo anni da quando questa proposta è nata all’interno del dibattito tra coloro i quali si sono sempre battuti per la tutela dei diritti e delle garanzie, anche di chi è detenuto e privato della libertà personale, non posso non ringraziare, oltre ai firmatari delle diverse proposte di legge, il relatore, onorevole Nitto Francesco Palma, e l’onorevole Marco Boato, che tanto si è battuto, sia in sede di Commissione che in Conferenza dei capigruppo affinché il provvedimento pervenisse finalmente all’esame dell’Assemblea. Sin dalla scorsa legislatura, del resto, il gruppo di Rifondazione comunista, riprendendo una proposta avanzata dall’associazione Antigone e sostenuta anche da altre associazioni che a vario titolo si occupano di carcere, aveva presentato proposte di legge tese all’istituzione di una figura già presente in molti paesi europei - basti ricordare il Portogallo e la Spagna -, ovvero quella del difensore civico delle persone private o limitate nelle libertà personale. Oggi, nel nostro paese, il garante delle condizioni di detenzione nelle carceri è, a livello ordinamentale, il magistrato di sorveglianza. I parlamentari dispongono, invece, di un potere di visita in generale sulle condizioni degli istituti penitenziari, ma hanno limitate possibilità di intervento rispetto a casi singoli, se non attraverso gli strumenti del sindacato ispettivo che risultano spesso inefficaci. La legge, infine, indica altri soggetti, quasi tutti interni all’amministrazione penitenziaria a cui i detenuti possono rivolgere reclamo. Ma non esistono forme di ispezione, da parte di soggetti autonomi e indipendenti, nei commissariati di polizia o nelle caserme dei carabinieri. In un carcere, come in ogni altro luogo in cui le persone vengono private della libertà personale, gli equilibri sono estremamente precari e, talvolta, si creano situazioni di tensione, anche per problemi ai quali non sarebbe difficile trovare adeguate soluzioni. Ogni intervento deve tener conto della fragilità e della difficoltà dei rapporti tra la popolazione detenuta e il personale di polizia penitenziaria. Il difensore civico penitenziario avrebbe diverse finalità: l’allentamento delle tensioni; la mediazione; la raccolta e l’elaborazione di un utile patrimonio informativo. Avrebbe inoltre - ne siamo convinti - un’importante funzione di deterrenza rispetto al rischio di abusi, siano essi lievi o gravi, che, purtroppo, non sono infrequenti e che raramente vengono denunciati, per motivi facilmente intuibili, fra cui il rischio di inammissibili, ma possibili ritorsioni o addirittura di atti vendicativi. Ciò chiaramente non significa generalizzare in maniera facile e assolutamente ingenerosa nei confronti dell’abnegazione della gran parte degli operatori e degli ufficiali ed agenti di polizia penitenziari che svolgono, con fatica e difficoltà, oltre che con encomiabile impegno, il loro difficile, delicato e faticoso compito. Il garante dei diritti dovrebbe avere anche il ruolo di cassa di risonanza dell’inadeguatezza dell’organico degli operatori penitenziari, che drammaticamente si ripercuote sulla realizzazione in concreto del diritto a quel trattamento teso al reinserimento previsto dall’ordinamento penitenziario e dalla nostra Costituzione. Snellire le procedure, ridimensionare la litigiosità, informare correttamente l’opinione pubblica sulla situazione esistente nei luoghi ove vengono trattenute le persone private della libertà personale, fra cui ben possono esservi tanti innocenti, in modo da superare le emergenze legislative: anche questi saranno, o dovranno essere, i compiti del garante nazionale dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale, che il provvedimento al nostro esame intende istituire. Può essere utile ricorrere ad alcuni esempi che quotidianamente si presentano nelle realtà detentive: abbreviare i tempi per un ricovero ospedaliero; fornire le informazioni per l’accesso al patrocinio gratuito per i non abbienti; sollecitare l’effettuazione dei lavori necessari per migliorare le condizioni igienico-sanitarie dell’istituto; garantire, tramite visite ispettive, una continua verifica del rispetto di standard minimi di trattamento; verificare la congruità e la compatibilità con i nostri principi costituzionali, con le convenzioni internazionali sui diritti umani sottoscritte e ratificate dall’Italia e fatte proprie dal nostro paese; monitorare i regolamenti interni, la loro compatibilità con condizioni dignitose di detenzione e con gli standard europei e la loro fruibilità anche da parte degli extracomunitari. Per assicurare queste, come altre funzioni di controllo della legalità nelle carceri e negli altri luoghi di privazione della libertà personale, è assolutamente necessario che il garante sia dotato di un potere effettivo. Questo è il motivo per il quale, insieme agli altri gruppi dell’opposizione, Rifondazione comunista ha presentato alcuni emendamenti, sia in Commissione sia in Assemblea, tesi a rendere maggiormente incisivo il ruolo di tale figura, rendendo possibile per il garante la visita nei Cpt senza preavviso. Occorre inoltre affiancare al generico potere di visita alle camere di sicurezza presso le caserme dei carabinieri e della Guardia di finanza e presso i commissariati di pubblica sicurezza quello di una verifica effettiva delle condizioni in cui si trovano le persone ivi trattenute e di come siano effettivamente trattate. Non si può ignorare, a tale proposito, che nei suoi rapporti il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti ha costantemente sollecitato i Governi a dotarsi di organi interni di controllo delle condizioni di detenzione ed ha spesso utilmente attinto, in vari paesi europei, informazioni attendibili dalle relazioni del difensore civico nazionale. Tale Comitato, come emerge testualmente dai suoi rapporti, ha invitato ripetutamente i vari Stati a prevedere ispezioni da parte di specifici organismi indipendenti e autonomi, a garanzia di un dignitoso trattamento di tutte le persone private della libertà personale. Né si può ignorare che il nostro paese, fin dall’agosto 2003, ha sottoscritto il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, firmato a New York il 10 dicembre 1984 e che l’ONU ha adottato il 18 dicembre 2002, confermando così il proprio impegno nella protezione dei diritti umani. Tale Protocollo prevede, tra l’altro, l’istituzione di un sottocomitato di prevenzione facente capo al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti disumani e degradanti e l’introduzione, in ogni Stato, in ogni paese, di un meccanismo di prevenzione consistente in un organo indipendente di controllo dei luoghi in cui le persone sono private della libertà. Oltre al previsto comitato internazionale di esperti indipendenti, con facoltà di verifica ispettiva degli istituti di detenzione e dei posti di polizia dei paesi membri, nel Protocollo è stabilito - testualmente - che ogni Stato debba istituire un sistema interno di controllo affidato ad una autorità indipendente che abbia accesso a qualsiasi luogo di privazione della libertà personale: carceri, commissariati, ospedali psichiatrici, e quant’altro. Mi preme anche sottolineare, a supporto della proposta di istituire anche nel nostro paese il garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, alcune esperienze di altri paesi, dove simili organismi hanno avuto un ruolo estremamente positivo. In Austria, un simile organismo ha il compito di verificare le condizioni di trattamento dei detenuti, con l’obbligo di effettuare, almeno una volta all’anno, una visita, senza preavviso, in ciascuno degli stabilimenti penitenziari. Vi è inoltre il mediatore, istituito con legge del 1 o luglio 1981, che ha il potere di visionare i fascicoli personali dei detenuti. Tutti i responsabili di istituzioni pubbliche hanno l’obbligo di fornire al mediatore le informazioni richieste. La relazione annuale del mediatore (è sempre il caso dell’Austria), nella parte riguardante le carceri, è stata la più utile fonte di informazioni per il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti disumani e degradanti. Durante le sue visite ispettive, è stato lo stesso mediatore ad evidenziare, nella sua relazione al Parlamento, il rischio di maltrattamenti a cui i detenuti vanno incontro durante la detenzione nelle stazioni di polizia. In Danimarca, vi è un organo indipendente, composto da due membri eletti per quattro anni in ciascuna regione, il quale può effettuare ispezioni, anche non preannunciate, nei luoghi dove sono reclusi detenuti in attesa di giudizio definitivo. Ogni abuso riscontrato è riferito al ministro della giustizia, che dovrà esaminare il caso e successivamente predisporre una relazione. Il comitato parlamentare che si occupa della riforma del codice penale, nel 1994, ha proposto di affidare ad un difensore civico parlamentare questo compito ispettivo. In Finlandia, gli stabilimenti penitenziari sono regolarmente ispezionati dal difensore civico parlamentare, un esperto eletto dal Parlamento per quattro anni. Il Parlamento elegge, inoltre, un assistente parlamentare al difensore civico, che ha il compito della supervisione del sistema penitenziario, con poteri di visita sia nelle carceri sia negli altri luoghi di detenzione ove vi sia il rischio di maltrattamenti. Nel 1995, è stato istituito in Ungheria l’ufficio dell’ombudsman parlamentare, che può ricevere i reclami di detenuti ed effettuare visite ispettive di controllo nelle carceri. Un sistema diversificato di controlli è presente in Olanda. Un supervisory board (organo indipendente composto da membri con differenti professionalità) è istituito in ogni carcere. Ha compiti di supervisione del trattamento dei detenuti e di garanzia del rispetto della legge. Mensilmente, i membri di questo organismo incontrano il direttore del carcere, relazionando sulla situazione nell’istituto, ed hanno libero accesso nello stabilimento. Uno dei membri dell’ufficio ha il dovere di sentire i detenuti almeno una volta al mese. In Norvegia, il difensore civico può ricevere reclami da detenuti e fra i suoi poteri vi è anche quello ispettivo, esercitato di propria iniziativa. Nelle relazioni annuali viene segnalata l’estrema importanza di tali ispezioni, in particolar modo negli istituti dove i reclusi hanno difficoltà a tutelare i loro diritti e la loro integrità personale. In Portogallo, dal 1996 opera l’ Igai, che dispone di penetranti poteri ispettivi diretti a verificare la legalità dell’operato delle Forze di polizia. La legislazione italiana, per concludere, si presenta doppiamente carente, sia perché non è stata ancora istituita la figura del difensore civico, sia perché non è previsto nell’ordinamento penitenziario un organo indipendente dall’amministrazione della giustizia avente poteri ispettivi. Il provvedimento al nostro esame tende, quindi, a porre rimedio a tale lacuna, denunciata anche dalle più recenti relazioni sui diritti fondamentali dell’Unione europea, nelle quali è stata altresì evidenziata una valutazione di tendenziale peggioramento della situazione carceraria in diversi paesi europei, tra cui purtroppo anche l’Italia. Inoltre, viene rivolto a tutti gli Stati membri un esplicito invito ad istituire un organismo indipendente ed imparziale e a ratificare in tempi brevi il protocollo Onu del 2002. È utile anche ricordare, da ultimo, che recenti direttive europee hanno sottolineato il peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti e la carenza di sorveglianza e di controlli all’interno delle carceri, affermando la necessità di verificare il rispetto dei diritti che vengono proclamati. Alla luce di tali considerazioni, non posso non ribadire l’importanza che l’attività del garante sia estesa anche ai centri di permanenza temporanea e assistenza per stranieri senza alcun tipo di preavviso, nonché ai commissariati di pubblica sicurezza e alle caserme della Guardia di Finanza e dei carabinieri. Nell’auspicio, pertanto, che si arrivi al più presto all’approvazione del provvedimento al nostro esame, non posso non ricordare come, sull’istituzione del garante nazionale dei diritti delle persone private o limitate della libertà personale, vi sia stato, almeno a parole, fin dall’inizio di questa legislatura un ampio consenso. Il gruppo di Rifondazione comunista, mio tramite, farà di tutto affinché finalmente, dopo tanti anni, il Parlamento passi dalle parole ai fatti.
Presidente. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(A.C. 411 - Sezione 1) Questione pregiudiziale per motivi di merito
La Camera, premesso che: il provvedimento in esame, nel testo unificato approvato dalla I Commissione, recante l’istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, prevede la creazione di una nuova Autorità, autonoma e indipendente dall’amministrazione della giustizia, consistente in un collegio composto di cinque membri con poteri di ispezione e controllo della legalità all’interno dei luoghi di detenzione e di garanzia nei confronti di chiunque sia privato della libertà personale, allo scopo di esercitare una verifica del rispetto dei diritti dei detenuti; oggi nel nostro Paese il garante della legalità negli istituti carcerari è il magistrato di sorveglianza, mentre i membri del Parlamento hanno un potere di visita; esistono soggetti all’interno dell’amministrazione carceraria cui i detenuti possono rivolgere le loro istanze e che tali soggetti appaiono già dotati di poteri sufficienti a garantire adeguata autonomia ed indipendenza: si considerino infatti le attuali competenze del magistrato di sorveglianza, le funzioni ispettive del direttore generale delle carceri, gli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale, nonché i poteri disciplinari che possono essere esercitati dai superiori gerarchici dei soggetti che quotidianamente operano a contatto con le persone soggette a restrizione della libertà personale; sotto quest’ultimo profilo si potrebbe determinare il rischio di una sovrapposizione di poteri disciplinari fra i responsabili delle diverse amministrazioni coinvolte e l’istituendo Garante dei diritti; occorre dunque valutare l’opportunità stessa dell’istituzione di questo nuovo organo, atteso che esso, intervenendo per uno scopo per il quale già sussistono nel nostro ordinamento strumenti idonei, di fatto crea una duplicazione di organi ed istituti; in ogni caso la competenza del Garante dei diritti dovrebbe essere prevista come aggiuntiva a quella del magistrato di sorveglianza, anziché sostitutiva di essa, come invece propone l’attuale testo unificato; per la dotazione organica ed il personale dell’ufficio dell’istituendo nuovo organo il testo del provvedimento fa inoltre riferimento all’utilizzo del personale fuori ruolo delle amministrazioni pubbliche, senza che siano considerati i connessi profili problematici per le relative amministrazioni di provenienza e soprattutto gli indubbi aspetti negativi per la finanza pubblica; occorre infatti considerare che la proposta in esame, anche con le ulteriori modifiche approvate in Commissione, è senz’altro suscettibile di determinare nuovi oneri a carico del bilancio statale per fronteggiare i quali, anche a parere della V Commissione bilancio, sembra impossibile reperire un’idonea copertura, atteso soprattutto che lo stesso Governo ha indicato la propria intenzione, contenuta nel disegno di legge finanziaria per il 2006, di modificare le modalità di finanziamento delle autorità amministrative indipendenti, le quali sono ora chiamate a ricorrere all’autofinanziamento; nonostante si sia inteso far slittare la decorrenza del nuovo istituto al 1o gennaio 2006 per un onere complessivo stabilito nella misura di 3.600.000 curo nello stesso anno, le perplessità del Governo, espresse nella seduta della I Commissione del 4 ottobre scorso, rimangono motivate dalle questioni connesse alle difficoltà di reperimento delle necessarie risorse finanziarie; appare impossibile reperire un’idonea copertura degli oneri recati dal provvedimento in titolo, in considerazione anche dell’intenzione del Governo, contenuta nel disegno di legge finanziaria per il 2006, di modificare le modalità di finanziamento delle autorità amministrative indipendenti, categoria cui è riconducibile l’istituendo Garante, e considerato che sussistono già nel nostro ordinamento strumenti sufficienti a garantire il controllo di legalità negli istituti penali e adeguate forme di tutela delle persone private della libertà personale, in condizioni di autonomia ed indipendenza, di modo che si determinerebbe il rischio di una inutile sovrapposizione di poteri disciplinari fra i responsabili delle diverse amministrazioni coinvolte; nel merito del provvedimento, appare inoltre discutibile l’attribuzione del potere di nomina del presidente dell’istituendo Garante dei diritti in capo ai Presidenti di Camera e Senato, considerato che da tempo sono soggetti a critica questi poteri esterni dei Presidenti delle Assemblee parlamentari, poiché ritenuti poco consoni alle loro funzioni e alla loro stessa posizione di imparzialità e di ampia rappresentatività; nella sostanza il provvedimento pone questioni di particolare rilevanza e delicatezza quanto a costituzione, composizione e dotazione dell’istituendo organo che richiederebbero maggiori e più approfondite valutazioni di opportunità, delibera di non procedere all’esame del testo unificato delle proposte di legge A.C. 411-A e abbinate.
n. 1. Luciano Dussin, Fontanini.
Questione sospensiva
La Camera, premesso che: il provvedimento in esame, nel testo unificato approvato dalla I Commissione, recante l’istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, prevede la creazione di una nuova Autorità, autonoma e indipendente dall’amministrazione della giustizia, consistente in un collegio composto di cinque membri con poteri di ispezione e controllo della legalità all’interno dei luoghi di detenzione e di garanzia nei confronti di chiunque sia privato della libertà personale, allo scopo di esercitare una verifica del rispetto dei diritti dei detenuti; già oggi nel nostro ordinamento, in ragione delle attuali competenze del magistrato di sorveglianza, delle funzioni ispettive del direttore generale delle carceri, degli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale, dei poteri di visita e vigilanza dei parlamentari, nonché dei poteri disciplinari che possono essere esercitati dai superiori gerarchici dei soggetti che quotidianamente operano a contatto con le persone soggette a restrizione della libertà personale, esistono soggetti e strumenti all’interno dell’amministrazione carceraria e presso i luoghi in cui si svolge la detenzione che sembrano sufficienti a garantire, in condizioni di autonomia ed indipendenza, adeguata tutela dei diritti dei detenuti; è in fase di elaborazione in Parlamento il disegno di legge finanziaria per il 2006 che presenta un’estrema delicatezza, tenuto conto dell’esigenza di omogeneizzare la distribuzione delle risorse disponibili nell’ottica di un necessario contenimento della spesa pubblica; sotto quest’ultimo profilo, dunque, il presente testo unificato potrebbe determinare il rischio di una sovrapposizione inutile di organi oltre che di poteri disciplinari fra i responsabili delle diverse amministrazioni coinvolte e l’istituendo Garante dei diritti, con un aggravio per la finanza pubblica che in questo momento appare inopportuno ed ingiustificato; sembra, infatti, impossibile reperire un’idonea copertura degli oneri recati dal provvedimento in titolo, peraltro non suscettibili di facile quantificazione anche in considerazione del fatto che per l’organizzazione ed il funzionamento dell’ufficio del Garante il testo in esame rinvia all’approvazione di un regolamento attuativo,
delibera:
di sospendere l’esame della presente proposta di legge in attesa che siano esattamente individuate le risorse economiche necessarie a costituire idonea copertura degli oneri che il provvedimento pone a carico della finanza pubblica e comunque dopo l’approvazione della legge finanziaria per il 2006.
n. 1. Luciano Dussin, Fontanini.
Il Vaso di Pandora, a cura del Coordinamento Osservatorio Nazionale L’Osservatorio Regionale, di Dario Stefano Dell’Aquila
Onorevole Ministro le faccio implorandola in ginocchio che lei umanamente mi faccia tutte le grazie che le elenco e mi osi perdonare se sono franco. Onorevole Ministro le elenco prono prono le mie richieste di grazia: la prima di farmi uscire da codesto Opg e che venga mia moglie che solo lei caro Onorevole può farmi codeste grazie. Io ho finito la mia detenzione nel 1988 ma da qui sa benissimo che non si esce senza la firma di affidamento…
(Lettera di un internato dell’OPG di Aversa)
Il 2 novembre di un anno fa, nel 2004, il responsabile della direzione generale dei detenuti del Dap, Sebastiano Ardita dichiarava "Attenzione a non abbandonare a se stessi gli Ospedali psichiatrici giudiziari", durante un convegno realizzato a Castiglione delle Stiviere. Era severo il giudizio di Ardita, "È necessario avviare uno stretto rapporto di collaborazione con le strutture sanitarie esterne che si devono far carico di prendere in cura queste persone una volta uscite dagli Opg. Altrimenti i sei Opg rischiano di svolgere le funzioni dei vecchi manicomi. E questo è inammissibile: le istituzioni possono e devono dare una risposta ai diritti di chi è stato in un Opg". Il riferimento, a caso di Vito De Rosa, con oltre 50 anni di ospedale psichiatrico giudiziario, sino alla grazia del Presidente della Repubblica, è apparso a molti evidente. Sia come sia, è trascorso un anno, ci sono stati altri convegni, ma gli OPG sono ben lungi dall’essere superati, né tanto meno, sembra essere avviato quel dialogo auspicato tra istituzioni e strutture territoriali. Ad oggi gli Opg, in Italia, sono sei (Aversa, Napoli, Reggio Emilia, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino), ed ospitano circa 700 detenuti. Anzi, scusate, si dicono internati. Perché la detenzione è qui una misura di sicurezza, di almeno due anni che possono divenire così tanti da formare un ergastolo. La Campania offre una buona visuale. Due dei sei OPG sono qui, uno a Napoli, quello di Sant’Eframo, l’altro, il Filippo Saporito, ad Aversa. Il primo, è ricavato da una vecchia struttura conventuale all’interno della città, l’altro, di ampie dimensioni, è stato pensato come grande struttura manicomiale, accanto ad una struttura di ospedali psichiatrici. Insieme "ospitano"quasi la metà degli internati in Italia, 378 persone al giugno di questo anno (2005) così divise: 238 a Napoli, 140 ad Aversa. Più o meno estranei al dibattito sulla questione carcere, gli Opg pagano la loro ambiguità, venendo esclusi dal dibattito suo carcere perché ospedali psichiatrici, da quello della sanità perché ospedali "giudiziari". La casistica che si presenta è quasi sempre la stessa. Persone che da una situazione di disagio mentale precipitano in una condizione di detenzione da cui difficilmente usciranno, non per pericolosità sociale, ma per assenza di strutture di accoglienza. Non sembri esagerata l’affermazione che almeno il 60% delle persone internate potrebbe uscire se solo ci fosse una struttura di accoglienza. A mente, il caso di Rosario L., dopo quello di Vito de Rosa, appare significativo. Rosario, oggi trentanovenne, ha scontato sette anni di Opg per avere tentato di rubare una pacchetto si sigarette. Genovese, non lasciava l’Opg, perché la propria Asl di appartenenza non aveva posti convenzionati disponibili. Solo quando il suo caso è divenuto pubblico, a febbraio del 205, Rosario è finalmente tornato alla libertà. Al quadro giuridico che determina situazioni giuridiche paradossali, con pene sproporzionate rispetto al reato, si aggiunge una difficile condizione strutturale degli Opg. In primo luogo, almeno in Campania, gli Opg assorbono molte risorse. Per l’Opg di Napoli si spende per la voce "sanità" il doppio o il triplo di quanto non si spenda in altri Istituti: 3.495 euro pro capite per l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario e, rispettivamente, 1.888 euro e 1.277 per Secondigliano e Poggioreale. Sono soldi ben spesi? È difficile dirlo, certo sono risorse che non mutano l’identità di strutture che somigliano più a manicomi che ad ospedali. In secondo luogo, le risorse investite non sembrano raggiungere i principali beneficiari, gli internati. Il modello detentivo vanifica interventi di recupero. Questa tabella, che fa riferimento ai dati del 2003 ( ma che non differiscono da quelli attuali), mostra in sintesi il livello di cui disponeva un internato dell’OPG di Aversa. Non esistono medici dipendenti dell’amministrazione. Persino gli psichiatri sono a convenzione, per un totale mensile di 390 ore di assistenza. Oltre queste ore non vi è alcun tipo di assistenza terapeutica. Fatti i conti sono circa 13 ore al giorno (due turni di 6 ore e ½) per 180 reclusi che hanno diritto a 20 minuti a testa di assistenza terapeutica al giorno. L’assistenza è concentrata la mattina, per cui dalle ore 14.00 in poi non c’è assistenza psichiatrica ma solo la guardia medica per l’emergenze. Stesso discorso va fatto per gli psicologi. Gli educatori di ruolo sono due, gli agenti di polizia penitenziaria circa 100. Non è un problema di qualità del personale, degli operatori, della direzione. Sono condizioni quelle degli Opg in cui ottime professionalità possono solo tamponare le continue emergenze. La struttura di Sant’Eframo, ad esempio, sconta una collocazione in una struttura di antica costruzione, palesemente indagata. È stato questo il giudizio di una commissione della Asl Na 1, della commissione parlamentare che ha visitato, lo scorso anno l’Opg, ne auspicava la chiusura. Non è un problema di qualità del personale o degli operatori, comunque sottodimensionati rispetto al fabbisogno, quindi ma di una fisica incapacità della struttura. "Questo carcere va chiuso immediatamente garantendo che non subiscano nessuna deportazione in istituti lontani dai luoghi dove risiedono i loro familiari", ha sostenuto Giovanni Russo Spena (Prc), durante una visita parlamentare in compagnia di Samuele Ciambriello (DS) il 22 ottobre del 2004. Naturalmente, purtroppo, poco si è mosso, ed in compenso dal Ministero della Giustizia si era manifestata l’ipotesi di aprire nuovi Opg in Sicilia e in Sardegna. Forse, al di là dei desideri di ciascuno, si dovrebbe prendere atto che gli OPG costituiscono un violento anacronismo, che alla tristezza dei manicomi accompagnano le miserie del carcere e che il loro superamento passa attraverso una profonda e radicale misura del codice penale e uno sforzo, nell’attesa, di non perdere la capacità di indignazione di fronte ai tanti Vito, Rosario, che, in nome di non sia sa quel colpa, scontano pene lunghe come ergastoli.
Nel paese dell’habeas corpus, di Mauro Palma
La Camera dei Comuni inglese esamina i provvedimenti che il governo ha annunciato all’indomani del tragico 7 luglio. Li dibatte dopo che il loro valore simbolico è stato in larga parte già speso e si registrano giorno dopo giorno i primi effetti. Poiché il valore simbolico di un provvedimento è nell’enfasi del suo annuncio, nel messaggio che esso indirettamente veicola, capace di modificare comportamenti, prima ancora della sua stessa adozione. Drastici quanto eclatanti sono stati gli annunci del governo inglese. E i comportamenti si sono immediatamente adeguati: quasi un’eco sinistra a quanto la stampa andava riportando. L’omicidio a freddo del giovane Jean Charles de Menezes, da parte di forze dell’ordine la cui definizione di "forze speciali" dovrebbe discendere da una maggiore professionalità e non certo dalla imperizia o dalla disinvoltura nell’aggiungere morte a morti. Ma non solo. Anche rapidi e inverificabili rimpatri di stranieri a cui nulla viene penalmente contestato, senza offrire quell’effettiva possibilità di ricorso che da sempre tutela nei confronti dell’arbitrio. Soprattutto l’apertura di un dibattito sulla possibilità di non interpretare "troppo alla lettera" gli obblighi di tutela dei diritti fondamentali delle persone, un tempo sottoscritti e ratificati e oggi considerati inutili lacci e laccioli rispetto a una più efficace azione di prevenzione e repressione. Ma, mentre il ministro degli interni Clarke avanza le sue ipotesi per ricondurre a maggiore ragionevolezza - e, quindi, a minore controllo - l’occhiuta vigilanza degli organismi che le Convenzioni pongono a tutela dei diritti sanciti, prima fra tutti la Corte per i diritti umani di Strasburgo, le voci europee attorno non si levano dissenzienti o sconcertate. Al contrario gli occhi di tutti sembrano rivolgersi altrove, forse all’interno del proprio paese, dove analoghi provvedimenti si vanno progettando o adottando. L’Italia, del resto esce da un dibattito parlamentare in cui l’estensione della custodia di persone più o meno sospette, nelle mani della polizia, senza presenza di avvocato o altri, è stata presentata come un impulso di efficacia nella lotta al terrorismo. Non si comprende quale sia il contenuto di tale "efficacia" e perché la prolungata permanenza all’oscuro di tutti dia un ausilio a indagini e prevenzione, a meno di non voler supporre ciò che tutti negano: che in tale periodo la persona possa essere sottoposta a pressioni fisiche o psicologiche per ottenerne informazioni. Questo il clima culturale in cui il silenzio europeo rispetto alle proposte inglesi va estendendosi. Così il governo Blair torna a occuparsi di provvedimenti antiterrorismo per la terza volta negli ultimi quattro anni e rischia di fare da apripista per i provvedimenti di altri paesi europei. Se ne era occupato la prima volta all’indomani dell’11 settembre, con un provvedimento in linea con il Patriot Act americano, l’Anti-Terrorism and Crime Security Act (Atcsa) che prevedeva la possibilità di arrestare persone senza formulare per esse alcun capo di imputazione; di detenerle per ragioni di sicurezza a tempo indeterminato e senza alcuna conferma dell’autorità giudiziaria. Il provvedimento richiedeva una deroga rispetto agli obblighi sanciti dalla Convenzione europea per i diritti umani, ma, poiché la Convenzione stessa prevede che "in caso di guerra o di altra emergenza che metta a rischio la vita della nazione" si possa temporaneamente derogare da essi, il governo inglese era appunto ricorso a una temporanea deroga. Così alcune persone sono state detenute in base all’Atcsa, senza sapere perché e per quanto tempo lo sarebbero state. Il Comitato per la prevenzione della tortura le ha visitate e nel suo rapporto, ormai pubblico, ha scritto che era evidente un chiaro deterioramento delle loro condizioni psico-fisiche, aggravato dal carattere indefinito della detenzione, dalla difficoltà di difesa e dall’impossibilità di conoscere le prove usate contro di loro. Questo insieme di condizioni ha indotto il Comitato a scrivere che "il trattamento da esse ricevuto può essere considerato inumano e degradante". Il governo inglese ha confutato tale valutazione. Ma, intanto, la Camera dei Lord, nel dicembre 2004 ha ritenuto illegittima la richiesta di deroga dagli obblighi della Convenzione, a suo tempo avanzata e il provvedimento ha chiusa la sua storia. Da qui un nuovo intervento legislativo, nel marzo di quest’anno che, pur limitando fortemente la libertà delle persone, formalmente non faceva più riferimento ad alcuna deroga, se non per situazioni specifiche, valutate caso per caso. Un’apertura ora rimangiata dai nuovi provvedimenti estivi. Questi si muovono lungo tre linee: criminalizzare comportamenti finora consentiti, ampliare le possibilità di espulsione degli stranieri e al contempo restringere le possibilità di ingresso nel paese; allungare i tempi di detenzione dei sospetti, prima di formulare imputazioni contro di essi. In questo aspetto propone, estendendola fortemente, la stessa logica del provvedimento italiano sul prolungamento del fermo di polizia. Ma, soprattutto i nuovi provvedimenti aprono un fronte ulteriore. La possibilità di rinviare una persona in un paese non firmatario di alcuna convenzione contro la tortura - e dove peraltro anche si sa tale pratica è frequente – sulla base della "garanzia diplomatica" che non sarà sottoposto a tali trattamenti. Chi, come, con quali poteri vigilerà sull’effettività di questo debole - e già in passato dimostratosi inefficace – strumento non è detto. Né come sarà risarcita, personalmente, psicologicamente, una persona rispedita in uno di questi paesi e là torturata; come sarà sanato il danno nel frattempo inflittogli nella carne e nella psiche. Ci si accontenta di un mero atto formale, burocratico, quando invece i diritti fondamentali o li si tutela nei fatti, nella concretezza oppure li si degrada a mere enunciazioni, fatte per salvarsi l’anima.
Per una critica della legalità, di Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella
Legalità e sicurezza; devianza e criminalità: troppa confusione in questo maldestro dibattito alimentato dalle discutibili (e quindi discusse) iniziative del Sindaco di Bologna. Fare pulizia delle parole, dunque, per cercare di capirsi ed evitare di cadere in vecchi (e già fatali) luoghi comuni. Dopo cinque anni di governo Berlusconi, davvero non si può sminuire il principio di legalità, principio di predeterminazione dell’azione dei pubblici poteri, prima ancora che di regolazione dei comportamenti dei cittadini. Piuttosto, il problema semmai è non farne un totem, di questa legalità. Dopo cinque anni di governo Berlusconi, cinque anni di leggi ad personam e di leggi deliberatamente incostituzionali si dovrebbe sapere che il principio di legalità può nascondere anche l’arbitrio di una maggioranza e del suo capo. Quindi, affermazione del principio di legalità e critica della sua realtà dovrebbero marciare di pari passo. E veniamo alla sicurezza. Qui il politically correct ha prodotto uno scivolamento semantico, fino all’associazione della insicurezza con la criminalità. Ma non è insicurezza anche la precarietà lavorativa, di vita, di alloggio, in cui versano parte consistenti di vecchi e nuovi poveri del nostro paese, immigrati o autoctoni che siano? Dunque, anche noi siamo per la sicurezza, a condizione che essa torni a riabbracciare l’intero suo campo semantico. Torni cioè a significare garanzia dei diritti, di tutti i diritti fondamentali, per tutti coloro che ne siano titolari, dal commerciante al migrante, dallo studente fuorisede al lavoratore precario, dalla vittima all’autore di reato. Infine, devianza e criminalità. Qui il cerchio si chiude e la confusione può produrre danni gravi, politici e culturali. Confondere la devianza dalla norma, singoli atti o condizioni di illegalità con condotte criminali, lesive di beni e diritti fondamentali che interessano l’intera collettività rischia davvero di fare della legalità un totem repressore. Non entriamo ancora nel merito della giustizia delle leggi, se cioè sia condivisibile o meno una data disposizione di legge che qualifica o no un certo comportamento come "criminale". Restiamo un passo più indietro di quello che ogni volta, con Antigone, ci piace fare. Stiamo al punto della differenza tra illegalità e criminalità. Una persona che sia entrata nel nostro Paese senza permesso di soggiorno è certamente in Italia illegalmente, ma non per questo ha compiuto un crimine né, tanto meno, può essere qualificato come un criminale. E lo stesso vale per chi costruisca una propria, precarissima, dimora abusiva sul greto di un fiume, a Bologna come a Roma. E lo stesso vale per ognuno di noi che mille volte, ogni giorno, camminiamo sul filo della illegalità, non sempre rispettando tutte le prescrizioni che le leggi impongono. Dalla devianza dalle norme, dagli stili di vita non conformi, dalle eccezioni alle regole nascono spesso le nuove regole, nuove forme della legalità. Sopprimiamo tutto, in nome della legalità che c’è? No, non si può. Anche volendolo, non ci riusciremmo. È questo il limite invalicabile (limite di efficacia, non ideologico) delle ottuse politiche di law and order. Tutto bene, allora? Naturalmente no. Intanto perché confondere illegali e criminali fa sì che gli uni siano trattati come gli altri: con una pena e non con misure di accompagnamento nella legalità desiderata. Ed è questo che finanche le autorità eccelesiali bolognesi hanno paventato nei giorni scorsi. E poi perché nella associazione tra illegalità e criminalità, nella enfatizzazione della insicurezza e nella sua identificazione col rischio di esposizione ad atti criminali, nella confusione tra principio di legalità e realtà delle leggi vigenti, la sinistra scivola sul terreno della destra, su un terreno autoritario e conservatore nel quale la legge è legge, non si viola e non si discute, qualunque cosa essa dica. Non sono cose nuove. Su queste confusioni tra insicurezza e criminalità il centro-sinistra italiano è già scivolato negli ultimi anni della legislatura in cui era maggioranza, anche su questo facendo vincere Berlusconi. Anche su queste confusioni Jospin ha consegnato la Francia a un ballottaggio tra destra estrema e destra moderata. Tra la copia e l’originale, vince l’originale. Ricordiamocene.
Parole in libertà, a cura di Nunzia Bossa
Il consueto attacco "Hanno detto..." in questo numero di "Parole in libertà" diventa "Ha detto...’. Si compone di un’unica voce, perché vale da sola la rubrica.
"Questa sinistra sta consegnando l’Italia ai barbari. Lo dico non in termini dispregiativi. Anche io sono un barbaro di origine celtica. Però l’analogia con quel che accadde fra il terzo e il quinto secolo è forte. La civiltà romana si afflosciò su se stessa e fu travolta. Qui sta accadendo la stessa cosa. Rischiamo di fare la stessa fine. La civiltà occidentale è già in crisi per i fatti suoi. Pensi solo al fatto che non si fanno più figli. La sinistra ci dà il colpo di grazia: la sinistra è per la globalizzazione, per lo scardinamento della famiglia tradizionale, per gli omosessuali. E poi come dimostra questa storia della Regione Toscana che si ostina a dire no ai Centri di permanenza dei clandestini, la sinistra vuole aprire le porte agli immigrati in modo selvaggio. Così i barbari ci conquisteranno. (...) Io sono contro al meticciato etnico che, peraltro, va di pari passo con quello culturale. (...) Nei giorni scorsi mi è capitato tra le mani un giornale della Caritas. Ho cercato invano sulla carta il crocifisso, o qualche altro segno della nostra storia di cattolici. (...) Non ho trovato nulla. In compenso questo giornale era pieno di riferimenti a Mohamed, e via elencando nomi arabi. Mi pare che orami essere italiani sia una colpa. Per la sinistra, di sicuro, é così".
Roberto Castelli, Ministro della Giustizia
Le Iniziative di Antigone, a cura della Redazione
Giovedì 17 novembre ore 17.00 si terrà presso la Sala Blu dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale, il Lavoro del Comune di Roma, Lungotevere dè Cenci, 5, secondo piano, un seminario di Mauro Palma sulle leggi antiterrorismo ed emergenze internazionali. Martedì 23 novembre a Viterbo, ci sarà la presentazione del volume Patrie galere, di Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella, Carocci Editore.Per maggiori informazioni sull’iniziativa, consultate nei prossimi giorni il sito dell’Associazione Antigone.
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