Newsletter n° 26 di Antigone

 

Newsletter numero 26 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’Editoriale di Patrizio Gonnella: Grazia, senza giustizia

L’Osservatorio Parlamentare a cura di Francesca D’Elia

Il Vaso di Pandora: l’Osservatorio regionale della Sardegna di Ursula Ruiu

Venti articoli per una truffa di Stefano Anastasia

Le iniziative di Antigone a cura della Redazione

L’Editoriale: Grazia, senza giustizia, di Patrizio Gonnella

 

Un tempo il Ministero di Via Arenula era il Ministero di grazia e giustizia. Oggi non c’è più grazia, e forse non c’è più neanche giustizia. Adriano Sofri è in sospensione della pena per motivi di salute. Non bisognava arrivare a questo punto. Mai visto tanto consenso (sarà vero?) intorno a una proposta di grazia, mai visto tanto accanimento giudiziario e politico contro una persona. Nei confronti di Adriano Sofri la pena non ha senso. Nessun educatore saprebbe come esercitare la funzione rieducativa che la Costituzione assegna alla sanzione carceraria.

A Sarajevo nelle verande dei bar c’erano adesivi con la scritta Sofri so free. In Italia si attende da molti mesi che la Consulta si esprima sul conflitto di attribuzioni tra Capo dello Stato e Ministro della Giustizia sulla natura del potere di grazia: presidenziale dice il primo, duale dice il secondo.

Ma il secondo, Roberto Castelli, non è persona nota per animo garantista e rispetto delle norme costituzionali. Lui è dello stesso partito di Boghezio che voleva disinfettare le carrozze dei treni dove viaggiavano gli immigrati, della Lussana che voleva rendere immune il monotorturatore, di Calderoli che contro Sofri ha detto volgarità indegne. In un conflitto di attribuzioni tra Castelli, ingegnere, e Ciampi darei per scontato che ad aver ragione sia quest’ultimo.

Il Presidente della Repubblica ha il potere e il dovere di esercitare la moral suasion in suo possesso per sollecitare una decisione della Corte il più presto possibile. Si dia a Sofri, una volta guarito, la possibilità di tornare uomo libero.

C’è chi in questi giorni ha riproposto la questione della chiusura politica della stagione terroristica. Questa è altra cosa rispetto alla vicenda di Sofri, Bompressi, Pietrostefani. Merita però che sia ugualmente affrontata. Gli anni ‘70 sono stati segnati da eccessi di trattamento penale in nome dell’emergenza. Quegli eccessi vanno cancellati con un provvedimento ad hoc di clemenza. Sarebbe un inequivocabile segnale di cesura, un ritorno all’ordinarietà del diritto penale.

La malattia di Sofri ha tolto dall’oblio anche la questione dell’amnistia. Le carceri sono oramai il contenitore stracolmo degli scarti sociali. In carceri ci sono 18 mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari. Nelle prigioni ci sono tossicodipendenti, immigrati, persone con problemi psichiatrici, malati gravi, donne con bambini piccoli, paraplegici, vecchi. Per loro l’amnistia sarebbe un atto di giustizia sostanziale, visto che la giustizia dei tribunali è stata inclemente. L’Italia è schiacciata dal permanente conflitto di interessi di Berlusconi con la giustizia. Quando dal 10 aprile prossimo avremo occasione di liberarci di Berlusconi forse potremo parlare più serenamente di giustizia, senza tema di dire che quella oggi esercitata nelle aule dei tribunali è una giustizia di classe.

 

Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

In data 29 novembre, il Senato (con 145 sì, 104 no e 1 astenuto) ha dato il sì definitivo alla Cirielli, recante "Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975,n.354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione". Un provvedimento che, sulla scia del modello americano - e, comunque, delle politiche della "tolleranza zero"- prevede, tra gli interventi, lo stravolgimento dell’istituto della recidiva, del sistema dei benefici, nonché la riduzione dei tempi di prescrizione per gravi reati (ad es. l’usura, la corruzione, la concussione, la frode fiscale), con conseguente aumento delle presenze in carcere e ulteriori disparità di trattamento tra imputati per reati di marginalità sociale e imputati cd. eccellenti. Effetti devastanti, quelli paventati, quindi, e ciò sia sulla giustizia in generale, sia sul carcere in particolare. Nell’iter del provvedimento erano state anche presentate dall’opposizione, sia alla Camera, sia al Senato, diverse pregiudiziali di costituzionalità per contrasto delle norme con gli artt. 3, 27 e 111 Cost., poi però bocciate.

È la fine della legge Gozzini per tutti i recidivi, a prescindere dal reato commesso. A questi, in quanto tali, nel caso di nuovo delitto non colposo, potrà essere aumentata la pena di un terzo (ora: fino a un sesto), e fino alla metà (ora: fino a un terzo) nel caso in cui il nuovo delitto sia dello stesso tipo del precedente, o sia commesso nei cinque anni successivi alla prima condanna, o se compiuto durante /dopo l’esecuzione della pena (art. 4 del testo che modifica l’art. 99 c.p.). Se solo si considera che in alcuni casi gli aumenti di pena diventano obbligatori, ben si capisce quali saranno gli effetti nefasti sul già malmesso sistema penale e penitenziario. In base agli ultimi dati ministeriali (risalenti al 30 giugno 2005), sono poco meno di 20 mila i detenuti (dei circa 60.000 mila presenti nelle nostre carceri) condannati a meno di sei anni di carcere; a loro, quasi tutti pluri-recidivi, verrà negata in tutto o in parte l’applicazione della Gozzini. È plausibile poi che un 80% dei 19 mila condannati in via definitiva, sia anch’esso composto da recidivi: gli aumenti di pena, dovuti all’applicazione della recidiva, si potranno sostanziare nei termini, più o meno, di un terzo rispetto agli anni di galera ad oggi inflitti, generando una crescita di presenze carcerarie pari a circa 20 mila unità in un anno.

Una vera e propria "bomba legislativa", dunque, anche a prescindere dalle norme pure contenute nel testo che intervengono sulla prescrizione (che, a seguito dell’approvazione di un emendamento dell’UDC, non saranno applicate ai processi già avviati e ai processi già pendenti in appello o innanzi alla Corte di Cassazione), destinata a segnare drammaticamente la già allarmante condizione di sovraffollamento in cui versano le carceri del nostro Paese.

 

L’Osservatorio Regionale della Sardegna, di Ursula Raiu

 

Nella Casa circondariale di Badu’e carros a Nuoro, il 10 novembre scorso si è svolta la festa annuale del corpo di Polizia penitenziaria. Tra le diverse autorità politiche, civili e militari presenti c’era anche Francesco Massidda, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, il quale ha colto l’occasione per fare il punto sulla situazione esistente nel carcere nuorese, i cui nodi problematici richiedono interventi non solo di ordine strutturale ma seri programmi di reinserimento dei detenuti. Il provveditore ha inoltre annunciato una serie di interventi atti a rendere più vivibili le sezioni del carcere, a partire da quella femminile e quella di alta sicurezza.

La speranza per i 237 detenuti è che arrivino tempi sereni e con meno problemi. Un segno importante, dopo anni di alternanze e instabilità, è stato la nomina di direttore stabile, del dr Paolo Sanna, che ora vive all’interno della casa circondariale, e si appresta a diventare punto di riferimento fisso per i detenuti del carcere nuorese.

Segue un’intervista telefonica rilasciata dal dr Sanna il 28 novembre u.s.. Direttore, il provveditore Massidda ha annunciato che entro il mese di gennaio saranno terminati i lavori di rifacimento del muro di cinta e di adeguamento delle celle che saranno dotate del bagno e della doccia. A che punto sono i lavori? I lavori sarebbero già dovuti iniziare, ma ci sono stati dei ritardi che speriamo siano brevi. Ma è una questione di poco tempo e presto i lavori partiranno.

La sezione femminile è ancora chiusa? Nella sezione femminile purtroppo la situazione è invariata, attualmente le detenute sono state divise tra le carceri di Oristano, Sassari e Cagliari.

In occasione della festa del corpo di Polizia penitenziaria è stato conferito il premio all’assistente capo del penitenziario di Badu’e carros Beniamino Brenna, per aver sventato un tentativo di suicidio qualche mese fa. Questo è dall’anno scorso il sesto tentativo di suicidio che viene sventato.

In quelle statistiche rientrano episodi di atti che sostanzialmente servono ad attirare l’attenzione da parte dei detenuti e non un tentato suicidio vero e proprio. Quest’ultimo episodio è diverso perché il detenuto ha minacciato di buttarsi dal ballatoio del secondo piano e ha richiesto una lucidità e prontezza immediate da parte dell’agente. Ma per fortuna i suicidi in carcere non rientrano nelle emergenze di Badu’e carros.

Il carcere di Badu’e carros ritorna sempre al centro dell’attenzione per le polemiche suscitate dai detenuti che si lamentano del cibo che arriva freddo nelle celle, dell’acqua calda che scarseggia. Il problema dei pasti freddi l’abbiamo risolto definitivamente. L’attrezzatura che avevamo prima non era idonea per la distribuzione dei pasti, ma ora è stata sostituita completamente.

Da due anni la biblioteca è chiusa per lavori di ristrutturazione dei locali. Quando verrà riaperta? Stiamo ultimando i lavori di ordine organizzativo. Manca solo l’etichettamento dei libri. Presto potremo garantire una buona offerta in sede.

Quali dovrebbero essere secondo Lei i lavori di pronto intervento nel carcere di Badu ‘e Carros? Purtroppo sull’ordine degli interventi la periferia non sceglie. Dobbiamo garantire un buon livello di efficienza strutturale di tutti gli impianti, che purtroppo sono vecchi e pericolosi. Dobbiamo investire in operazioni di sostanza reale e non di facciata. I tempi non sono brevissimi, ma noi non ci arrenderemo.

 

Per contattare l’Osservatorio Regionale della Sardegna:

osservatoriosardegna@associazioneantigone.it

 

Sullo stralcio del ddl Fini sulle droghe, di Stefano Anastasia

 

C’era una volta il Governo Berlusconi. C’era una volta il temibile vice premier Fini, un giorno in questura, a Genova, a garantire i protagonisti della mattanza e l’altro in comunità, a lanciare la nuova war on drugs all’italiana. C’era una volta lo zar abruzzese, Nicola Carlesi, per cui fu creato il pomposo Dipartimento anti-droga. Fulmini e saette minacciavano, fino a produrre un roboante disegno di legge di revisione dell’intero testo unico sulle droghe, firmato da mezzo Governo e dai suoi capi.

È passato un anno e mezzo ormai da quei fulmini di guerra. Tra i firmatari, Sirchia non è più Ministro della salute; Buttiglione non è più alle politiche comunitarie dopo l’"incidente" europeo; Tremonti ha fatto a tempo a dimettersi e a tornare al Ministero dell’economia. Intanto il ddl 2953 è sempre lì, alle Commissioni riunite giustizia e sanità del Senato della Repubblica. Di quella gioiosa macchina da guerra non è rimasto che il Ministro Giovanardi, al quale Fini ha passato la patata bollente dopo l’uscita di scena del suo zar di fiducia. Ma Giovanardi no, non è tipo da passare il cerino. Se lo tiene e ci si brucia, indomito e fermissimo nelle sue pessime opinioni.

Nasce così la buffonata palermitana, una Conferenza nazionale sulle droghe che si tiene con due anni di ritardo sui tempi fissati da una legge dello Stato (a proposito di fermezza e di legalità …) e a due mesi dallo scioglimento del Parlamento, a campagna elettorale sostanzialmente aperta. Esce così dal cappello ministeriale la proposta di uno stralcio del ciclopico disegno di legge Fini, da discutersi a Palermo e da approvarsi – magari a colpi di fiducia – tra Natale e Capodanno. Venti articoli per salvarsi la faccia e fare un po’ di propaganda sulla pelle dei consumatori di sostanze stupefacenti. Venti articoli per una truffa.

Partiamo dai contenuti. Il disegno di legge è ancora tutto lì. Manca qualche orpello, ma la sostanza non è cambiata. Basti sapere che i tre punti sui quali Giovanardi chiede di andare avanti sono quisquilie tipo il trattamento penale e penitenziario dei consumatori e l’adeguamento del privato-sociale alle strutture pubbliche nella certificazione degli stati di dipendenza e nella predisposizione dei programmi terapeutici. I «nodi più controversi» (quali altri? oltre questi?) sarebbero invece stati magnanimamente stralciati dal Governo. E così, diversamente da quanto scritto nelle note di propaganda ministeriale, se è vero che gli articoli collazionati nel taglia e incolla di Palazzo Chigi sono solo venti, in realtà in essi sono trasfusi ben 46 degli originari 106 articoli del ddl, a cui se ne aggiungerebbe peraltro uno, secondo una idea un po’ bizzarra dello ‘stralcio’ su cui torneremo più avanti.

Stiamo dunque al merito: resta l’unificazione delle sostanze in un’unica tabella e dunque l’innalzamento delle pene non solo per il traffico e lo spaccio, ma anche per la semplice detenzione dei derivati della cannabis quando non sia destinata al consumo individuale; resta la predeterminazione legale del reato di spaccio, desumibile sempre dal quantitativo di sostanza detenuta o, in difetto, dalle circostanze del fatto; resta l’aggravamento delle sanzioni amministrative, rese ancor più dure, per i consumatori di cannabis, dall’uguale trattamento con le altre sostanze; ad accompagnare le sanzioni amministrative, resta la possibilità che siano affiancate da misure di sicurezza la cui violazione porta dritto dritto in galera; resta ovviamente anche la pelosa carota delle alternative al carcere, offerta per redimere i naufraghi e risollevare le imprese comunitarie filogovernative, tutte solerti nel chiedere il bastone, sennò la carota non la mangia nessuno; resta quindi, come tiene a far sapere Giovanardi, la parificazione di pubblico e privato non solo nei servizi e nell’assistenza, ma anche nelle certificazioni e nei controlli. Resta tutto, insomma. Perché allora questo stralcio dovrebbe interessarci? Perché dovrebbe cambiare le carte in tavola e come potrebbe consentire a un disegno di legge immobile da due anni di compiere in due mesi il suo percorso parlamentare tra commissioni e assemblea, Senato e Camera?

L’insidia è tutta nell’ambiguità del ricorso allo stralcio e nelle modalità con cui esso si viene delineando. Possiamo sorvolare sul discredito gettato sull’istituzione parlamentare da un’anomala procedura attraverso la quale un Ministro rende noto ciò che il Parlamento si appresterebbe a fare e, per scrupolo di documentazione, mette nero su bianco, su carta intestata della Presidenza del Consiglio, la proposta di stralcio che sarebbe stata avanzata dal (viceversa taciturno) relatore del disegno di legge. Non possiamo però sorvolare sul fatto che una proposta di stralcio si dovrebbe limitare a indicare le parti dell’originario disegno di legge che non si intende portare all’esame dell’aula parlamentare e non dovrebbe, come invece fa il testo che il Ministro Giovanardi ha messo in bocca al relatore Tredese, riformularne l’ordine e finanche qualche articolo. Non è un’obiezione formale, si badi bene (anche se formalmente andrà valutata nel prosieguo dell’iter parlamentare). Il timore è piuttosto che vi si nasconda la tentazione del colpo di mano. Sintomatico è quel bizzarro articolo 20 della proposta di stralcio che in ventotto commi riprende metà del disegno di legge sotto una fantasiosa rubrica denominata "modifiche di coordinamento". Coordinando coordinando ci scappa pure la equiparazione delle sostanze stupefacenti in un’unica tabella, punto chiave della proposta governativa. La forma, ripetiamo, sarà valutata. Dovrà essere valutato cioè se ci si trova davanti a una proposta di stralcio o a un nuovo disegno di legge governativo (che allora dovrebbe essere formalmente approvato dal Consiglio dei ministri, depositato in Parlamento e assegnato alle Commissioni, e che quindi riaprirebbe, lungi dal chiuderlo, l’esame parlamentare). La sostanza è invece che quell’articolo 20 sembra un maxi-emendamento alla finanziaria, di quelli su cui chiedere la fiducia e impedire al Parlamento di discutere. Non è che questi a Palermo andranno alla ricerca di una claque che li autorizzi a tentare il colpo di mano e a chiudere in due voti una contesa durata più di due anni?

Noi, per parte nostra, terremo alta la guardia e diremo la nostra da Roma, il 7 dicembre, in un appuntamento nazionale di opposizione alla messa in scena palermitana e di progettazione di una nuova politica sulle droghe, che inverta la rotta e ci riporti dal penale al sociale, in nome dei diritti e delle libertà.

 

Le Iniziative di Antigone, a cura della Redazione

 

Mercoledì 7 dicembre 2005 ore 9.30, Roma, Aula Magna Università "La Sapienza", Piazza Aldo Moro. Conferenza dibattito a cura del cartello "Non incarcerate il nostro crescere": Per una politica dei diritti e delle responsabilità.

7-10 dicembre 2005, Roma "Pace e Diritti Umani: un’utopia concreta"

A cura di: Presidenza del Consiglio Provincia di Roma ; Forum provinciale per i diritti umani; Lunaria

 

 

 

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