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Newsletter numero 16 dell'Associazione "Antigone" a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella
L’Editoriale di Patrizio Gonnella
Che sia un anno di grazia. Sulla facciata del Ministero di Via Arenula continua a leggersi la scritta "Grazia e Giustizia". La parola "grazia", ufficialmente cassata dalla definizione del Dicastero, è ancora lì a ricordare al Ministro Roberto Castelli che la clemenza non è un segno di debolezza. Si spera che il 2005 sia un anno di grazia per Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, per i quali la pena significa solo vendetta; per Carlo Pontrelli, affetto da gravissima insufficienza mentale ma ugualmente recluso a Turi per scontare una lunga pena inflittagli senza pietà; per Alessandro del Ceccato, la cui richiesta di grazia sta per essere presentata, che ha già scontato 12 anni di carcere per spaccio nelle terribili galere della Thailandia e che altri 18 dovrebbe scontarne in Italia. Che il 2005 non sia l’anno della Cirielli, o dell’ammazza Gozzini. In galera sono tutti più o meno recidivi. Sarebbe una iattura per le nostre prigioni che si andrebbero a riempire oltre ogni capacità di contenimento. Che finalmente il Parlamento si occupi di tortura e di diritti. Che nel nostro codice penale entri quello che Luigi Ferrajoli sostiene essere l’unico crimine la cui penalizzazione ha un fondamento costituzionale. E che finalmente, dopo il garante della privacy, delle telecomunicazioni, della concorrenza, dell’editoria, e di mille altre cose, sia approvata la legge che istituisce il garante delle persone private della libertà. Che il Parlamento, ad eccezione di queste due leggi, vada in vacanza e che non veda la luce il codice Nordio. Che nella prossima legislatura veda la luce il codice Ferrajoli. Che da Strasburgo arrivi un segnale per riaprire il processo per maltrattamenti ai danni di Marcello Lonzi, morto a Livorno in circostanze che lasciano quanto meno perplessi e preoccupati. Che nel prossimo anno e mezzo di campagna elettorale il centrosinistra parli di welfare, di diritti, di benessere, di sanità, di scuola, di sicurezza sociale per tutti. Che non si parli di sicurezza, di manette, di polizie pubbliche o private.
La proposta Margara, di Stefano Anastasia
Parafrasando un vecchio (e infausto) slogan, a proposito della ultima fatica di Alessandro Margara, si potrebbe dire "tutta la riforma in una proposta sola". Come altro sintetizzare il titanico sforzo di ricondurre a coerenza e unità il complesso delle idee di riforma dell’ordinamento penitenziario maturate nel corso dell’ultimo decennio? Con una punta di civettuola modestia, Margara ha posto una avvertenza in epigrafe alla sua proposta di modifica dell’ordinamento penitenziario: "il presente lavoro rappresenta una bozza provvisoria che ha la finalità di proporre una riflessione sui temi trattati e di offrire la base di una discussione sugli stessi". Ci abbiamo provato, a Firenze, il 4 dicembre scorso, a discuterne insieme con Marco Boato, Giuseppe Fanfani e Giovanni Russo Spena. Il primo e immediato risultato è stato il loro impegno a depositare la proposta in Parlamento, affinché la riflessione e la discussione volute da Margara investisse direttamente le sedi istituzionali competenti. Non sarà per oggi (non sembra che ve ne siano le condizioni politiche…), ma quando si vorrà riprendere un percorso riformatore in tema di esecuzione penale e ordinamento penitenziario da lì bisognerà partire, dai contenuti di quella proposta. Tanto per cominciare, secondo Margara, l’intero ordinamento andrebbe riscritto in modo che ne siano intelligibili le finalità e la struttura delle sue articolazioni interne. È così che l’attuale distribuzione dell’articolato in due titoli (trattamento penitenziario e disposizioni relative all’organizzazione penitenziaria) sarebbe modificata fino a ricomprenderne altri due (il nuovo titolo II, "misure alternative alla pena detentiva, esecuzione di altri trattamenti sanzionatori penali e magistratura di sorveglianza", e il titolo IV, "il reinserimento sociale"), che danno conto, sin dalla denominazione, delle modificazioni intervenute nell’ordinamento materiale dell’esecuzione penale negli ultimi vent’anni e della direzione in cui ci si vuole muovere. La direzione è poi esplicitata nei contenuti sin dal primo articolo in cui si fanno più stringenti il diritto al trattamento penitenziario e i confini tra trattamento e sicurezza. Ricompaiono poi modifiche lungamente attese, come quelle relative al diritto alla affettività in carcere, alla progressione nel trattamento in semilibertà, all’ammissione alle misure alternative alla libertà quando sia passato un sufficiente periodo dal reato commesso. Si torna sull’articolo 41bis e, pur prendendo atto del quasi unanime consenso del Parlamento alla riforma che lo ha reso definitivo nel nostro ordinamento, si cerca di determinarlo legalmente e di circoscriverlo nella portata e, soprattutto, sulla base delle indicazioni del Comitato europeo contro la tortura, se ne chiede la effettiva temporaneità nell’applicazione. È inoltre rivista l’intera materia dell’assistenza sanitaria ai detenuti, a partire dalla indubbia competenza che il nuovo titolo V della Costituzione affida alle Regioni in materia di organizzazione dei servizi. Questi sono solo alcuni dei temi trattati, ma a questo punto è necessario soffermarsi sulla parte più innovativa del testo, quella relativa al reinserimento sociale. Una prima parte di essa definisce il percorso, i soggetti da attivare e le rispettive competenze nella esecuzione degli "interventi individualizzati" per il reinserimento sociale. La seconda parte prende di petto quella che Margara chiama la "detenzione sociale", cioè quella gran parte della privazione della libertà che trae origine da note problematiche sociali (dipendenza da sostanze stupefacenti o alcoliche, disabilità, sofferenza psichica, immigrazione) e che da qualche anno ci induce a parlare del carcere come di una "discarica sociale". A queste aree di detenzione, Margara ritiene che debba essere rivolta una progettazione collettiva, proposta dagli enti locali con la collaborazione delle regioni, che dovrebbero istituire uffici ad hoc per reperire risorse e coordinarne la esecuzione. Questi "progetti collettivi di inserimento all’esterno" si attuerebbero "attraverso lo svolgimento, da parte degli interessati, di attività lavorativa o di altre attività comunque utili al reinserimento sociale". Complessivamente, la proposta è ambiziosa e puntuale, pragmaticamente riformista e giustamente radicale. L’unica obiezione che si può muovere - non a Margara, che ne è ben consapevole e ce ne ha detto a Firenze -, ma allo stolto che dovesse soffermarsi a guardare il dito e non la luna indicata, è che - nonostante le più acute intuizioni - i problemi del carcere e dell’esecuzione penale non potranno essere risolti con la legge, né con una legge sola, ma affrontando in radice la domanda sociale e i pretesti del grande internamento cui stiamo assistendo. È un problema, se ancora si può dire, di riforma sociale, del nostro modo di stare insieme. Qui Margara giustamente si ferma, e attende risposte da quanti si propongono in alternativa non solo al ministro della giustizia pro tempore, ma anche al governo in carica e alla sua idea di società.
L’ammazza-Gozzini, di Patrizio Gonnella
A meno di due anni dall’approvazione dell’indultino e a circa quattro dal giubileo dei carcerati, sotto il velo della salva-Previti è passata l’ammazza-Gozzini. Grandi discussioni in aula, indignazione a sinistra, sconcerto tra i magistrati, girotondi per strada. Il grande quesito era ed è: riusciranno Cesare Previti, i suoi illustri avvocati, e i loro infiniti magheggi a scongiurare condanna e galera? Distratti dall’articolo 6 della proposta Cirielli-Vitali, ossia dalla norma che riduce i tempi di prescrizione, ben pochi si sono accorti che i precedenti cinque articoli e i successivi tre articoli, qualora la Cirielli-Vitali dovesse malauguratamente divenire legge, determineranno ondate di affollamento penitenziario. La legge Cirielli non è paragonabile alla Cirami o alla legge sulle rogatorie, non si occupa solo di norme di procedura, non intende soltanto favorire tecniche dilatorie di difesa processuale attraverso la riduzione dei tempi di prescrizione del reato, vuole, invece, imitando il modello americano e le politiche di zero tolerance, aprire una nuova stagione repressiva, questa volta nei confronti di quella miriade di piccoli criminali che abitano comunemente le nostre prigioni. Il Ministro della Giustizia con orgoglio ha rivendicato gli effetti futuri della legge Cirielli, ossia il raggiungimento di quote record di detenuti. In effetti il Ministro ha ragione, i detenuti cresceranno a dismisura. Non si tratta di proclami o di propaganda padana, la Cirielli è la peggiore delle leggi possibili: aumenta le pene per piccoli e grandi criminali, toglie discrezionalità ai giudici, toglie di mezzo le misure alternative. È la vera controriforma dell’ordinamento penitenziario. Ancora più incisiva del pacchetto antimafia del 1990-1991, ossia quello che introdusse i famigerati 4 bis e 41 bis nella legge penitenziaria, la Cirielli mira a colpire tutti i recidivi, qualunque sia il reato commesso. Da una fotografia delle carceri italiane si evince quale sia la composizione socio-penale delle nostre prigioni: il 30% è composto da migranti, un altrettanto 30% da tossicodipendenti e sempre un 30% è dentro per reati contro il patrimonio. Non ci sono dati statistici attendibili sulla recidiva, né l’Istat né l’Amministrazione penitenziaria li raccolgono e diffondono. Chiunque però conosce il mondo penale e quello penitenziario, e frequenti per ragioni professionali tribunali e carceri, sa perfettamente che una grandissima parte della popolazione reclusa è in galera non per un solo fatto bensì per un cumulo di piccoli reati che, tra loro sommati, producono pene medio-lunghe. Si tratta di quella criminalità diffusa che vive di piccoli espedienti, dimenticata dalle politiche sociali, marginalizzata nelle città, e contro cui si sono indirizzate le campagne stampa e elettorali degli ultimi anni. "Sicurezza è libertà": è questo il nuovo slogan elettorale dei Ds coniato per mettere in difficoltà Berlusconi e la Cdl su un terreno congeniale alla destra, ossia l’ordine pubblico e le politiche repressive. La Cirielli risponde perfettamente a questo slogan, agisce proprio su questo terreno, e farà presumibilmente crescere, in pochi mesi, di decine di migliaia, i detenuti nelle carceri italiane: aumentano le pene e diminuiscono le possibilità di accesso ai benefici premiali per tutti i recidivi. A questi, in quanto tali, potrà essere aumentata la pena sino a un terzo (prima era sino a un sesto) nel caso di nuovo delitto non colposo e sino alla metà (prima era sino a un terzo) nel caso di nuovo delitto non colposo dello stesso tipo del precedente, e comunque se commesso nei cinque anni successivi alla prima condanna. È sufficiente una norma di questo genere per determinare una crescita esponenziale degli anni di galera da scontare in carcere. Lo scippatore, il borseggiatore, il ladro, il piccolo spacciatore, il truffatore, in particolare se stranieri: saranno loro a cadere sotto la mannaia dell’aumento di pena più congruo. Così potrà accadere che un giovane tossicodipendente condannato la prima volta per rapina e ri-condannato una seconda per lo stesso reato, al posto dei previsti otto anni di carcere ne sconterebbe sino a dodici. Lo stesso rapinatore, mentre prima avrebbe potuto andare in permesso premio dopo due anni e mezzo, ora invece ci potrà andare solo dopo tre anni e tre mesi; non potrà più chiedere la detenzione domiciliare prevista all’articolo 47 ter dell’ordinamento penitenziario; gli sarà consentito l’accesso alla semilibertà dopo sette anni anziché cinque; ma soprattutto mai potrà fruire di una misura alternativa (affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare, lavoro all’esterno) più di una volta. È la fine della Gozzini per una lunga serie di piccoli crimini e piccoli criminali. Se a ciò si aggiunge che al terzo reato gli aumenti di pena diventano obbligatori e che il reato di evasione – anche dagli arresti domiciliari – esclude ogni beneficio ai recidivi per tutta la vita, ben si capisce quali saranno gli effetti nefasti sul già malmesso sistema penale e penitenziario. La capienza regolamentare delle carceri italiane è di 41.324 detenuti. Oggi ce ne sono 56 mila. Sono circa 16 mila quelli condannati a meno di cinque anni di carcere. Questi sono quasi tutti pluri-recidivi. A loro verrà negata del tutto o in parte la Gozzini. Inoltre è plausibile che un 80% degli attuali 32 mila condannati in via definitiva, sia anch’esso composto da recidivi. Gli aumenti di pena, dovuti all’applicazione della recidiva, si potranno sostanziare nei termini, più o meno, di un terzo rispetto agli anni di galera ad oggi inflitti. Ossia una crescita di presenze carcerarie pari a 10 mila unità. Ciò significa 20 mila persone in più in carcere in un breve lasso di tempo. A seguire, non appena la legge andrà a regime, i numeri si moltiplicheranno ulteriormente. Un vero disastro, a cui si potrà porre rimedio solo abrogando la legge Cirielli, sempre che sia approvata anche in Senato. Il programma del centrosinistra per il 2006 deve contenerne l’eliminazione, al pari di altre leggi criminogene. Altrimenti per gestire la nuova ondata di detenuti il passo successivo non potrà essere che il fare ricorso ai privati, alle multinazionali della sicurezza. Negli Usa tutto questo è già successo. In Europa i primi a sperimentare politiche repressive pubblico-private di tolleranza zero sono stati gli inglesi. Ora, buoni terzi ma primi nel continente, arrivano i nostri.
Le iniziative di Antigone, a cura della Redazione
Venerdì 21 gennaio alle ore 17, presentazione del rapporto di Medici senza Frontiere sui Centri di Permanenza e Assistenza per Stranieri in Italia (Cpt). Presso la Sala Blu dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale, il Lavoro del Comune di Roma, Lungotevere Dè Cenci, 5 II° piano. Interviene, tra gli altri, Mauro Palma, presidente onorario di Antigone.
Venerdì 21 gennaio alle ore 21, presentazione del Terzo Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione Antigone in carcere, a cura di B. Mosconi e C. Sarzotti, Carocci 2004. L’appuntamento è a Bologna, nella Sala del Baraccano, Via Santo Stefano 121. Partecipano: Patrizio Gonnella, coordinatore nazionale Antigone; Katia Canotti, deputato; Valerio Guizzardi, Associazione Papillon Rebibbia; Massimo Pavarini, docente universitario; Giuseppe Mosconi, docente universitario; Titti De Simone, deputato. Moderatore: Vincenzo Scalia, coordinatore Antigone Emilia-Romagna.
Lunedì 7 e martedì 8 febbraio alla Fiera di Bologna, Conferenza nazionale delle regioni e delle associazioni sulle droghe. Ulteriori dettagli nella prossima newsletter.
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