Giudice di pace e immigrazione

 

Nuova competenza Giudice di pace in materia d'immigrazione

di Mario Pavone Avvocato in Brindisi, Patrocinante in Cassazione

 

Il Governo ha emanato il Decreto Legge 14 settembre 2004, n. 241 "Disposizioni urgenti in materia di immigrazione", pubblicato sulla GU n. 216 del 14 settembre 2004,per porre riparo alle recenti sentenze della Corte Costituzionale n.222 e n.223 del 15/7/2004 con le quali ha Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13,comma 5-bis, del D.lvo n. 286/1998, nella parte in cui la norma non prevedeva che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa e dell’art. 14, comma 5-quinquies, del D.lvo n. 286/1998, nella parte in cui essa stabiliva che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto.

Ad una prima lettura del provvedimento,la modifica più rilevante introdotta alla vecchia disciplina sarebbe costituita dalla attribuzione al Giudice di Pace della competenza in materia di convalida della espulsione amministrativa in luogo del Tribunale in composizione monocratica. Restano, infatti, immutati i tempi di trasmissione degli atti da parte del Questore (48 ore) e di convalida del provvedimento di espulsione (48 ore).

Manca, tuttavia, nel testo del provvedimento, laddove si prevede che l’interessato sia sentito alla presenza di un difensore, l’obbligo di assicurare la presenza di un interprete e la traduzione degli atti compiuti in sede di convalida al fine di garantite allo straniero espulso la conoscibilità del provvedimento nella lingua e garantirgli l’esercizio del diritto di difesa costituzionalmente protetto.

Suscita perplessità, inoltre, l nuovo comma 5-ter in base al quale "al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5, ed all’articolo 14, comma 1, le Questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo".

A parte la necessità di reperire in tempi brevi le disponibilità di spazi ed attrezzature necessari allo svolgimento della udienza di convalida,la scelta di un luogo diverso dalle aule di giustizia può fare ritenere che intento del Legislatore sia stato quello di procedere con una sorta di rito sommario alla espulsione dello straniero ed in forza di una mutua collaborazione con le Autorità di Polizia,rafforzata dalla scelta del luogo in cui svolgere un’udienza di verifica della legittimità degli atti posti in essere così delicata quanto complessa,con ciò privando il Giudice di Pace della necessaria terzietà.

Il comma 4 dell’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 come modificato dal Decreto Legge pone gli stessi interrogativi laddove enuncia che "La convalida può essere disposta anche in occasione della convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera, nonché in sede di esame del ricorso avverso il provvedimento di espulsione".

L’inciso "può" in luogo di "deve" lascerebbe adito ad una qualche discrezionalità da parte del Giudice procedente che la Corte Costituzionale aveva inteso censurare con le citate sentenze, ritenendo a buon diritto che il provvedimento di espulsione debba essere obbligatoriamente preceduto dalla verifica da parte del Tribunale in composizione monocratica (ora del Giudice di Pace).

La stessa Cassazione aveva più volte ribadito,prima della declaratoria di incostituzionalità degli articoli in questione,che In sede di convalida del provvedimento col quale il questore ordina il trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza temporanea, il giudice è tenuto ad operare un rigoroso controllo sull’esistenza (materiale e giuridica) del provvedimento espulsivo che rimane il primo dei presupposti la cui verifica è dovere ufficioso del giudice, in considerazione dell’incidenza che il trattenimento ha sulla libertà personale del suo destinatario, precisando che costituisce un obbligo del giudice del merito quello di verificare l’esistenza del provvedimento espulsivo e di indicarlo, non bastando la sola menzione dell’esistenza del provvedimento di trattenimento del Questore ed il rinvio che, necessariamente, esso deve fare all’espulsione prefettizia v. ( ex multis Cassazione, sez. I civile, sentenza 03.06.2004 n° 10559 )

La stessa Suprema Corte aveva di recente ribadito un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che vuole che, nel procedimento conseguente al ricorso avverso il decreto di espulsione dello straniero, il giudice senta in ogni caso l’interessato. (Cassazione Sez. I Civile, 13 aprile 2004, n. 6996)

Nell’ottica della Corte,tale necessità risulta imposta, sul piano normativo, dall’inciso presente nel comma 9 dell’art. 13 D.L.vo n. 286/98 e, dato l’indubbio carattere contenzioso del procedimento, trae giustificazione da quello stesso principio del contraddittorio che impone - art. 4 del D.L.vo 113/99, che ha introdotto l’art. 13 bis nel D.L.vo n. 286/98(modificato dal D.L. in argomento) - la notifica, a cura della cancelleria, del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio all’autorità emittente.

Sul punto la Corte aveva sottolineato come il decreto, peraltro, andava comunicato allo straniero, sia per ragioni di coerenza con il modello procedimentale richiamato - perché gli artt. 737 ss. c.p.c. impongono l’audizione degli interessati - sia perché l’art. 3, comma 1, del d.p.r. n. 394/99 dispone che: "Le comunicazioni dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria relative ai procedimenti giurisdizionali previsti dal testo unico e dal presente regolamento sono effettuate con avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato di ufficio".

Si deve, infatti, rilevare che, ai sensi dell’art. 13, comma 10, citato D.L.vo 286, il ricorso avverso il decreto d’espulsione può essere sottoscritto personalmente,ma nel procedimento camerale il ricorrente deve essere assistito da un difensore (o di propria nomina o nominato d’ufficio).

Ne consegue che l’obbligo di audizione non è soddisfatto se il ricorrente non viene convocato con il mezzo indicato dal regolamento, né sembra praticabile - di fronte al dettato normativo - l’ipotesi che ricada sul ricorrente o sul difensore l’onere di informarsi della data fissata dal tribunale per sentire l’interessato.

Inutile aggiungere che anche tale provvedimento,siccome notificato al cittadino straniero alloglotta, avrebbe bisogno della traduzione nella lingua dell’espellendo,così come previsto per il decreto di espulsione e che le attuali strutture del Giudice di Pace non dispongono di un elenco di interpreti-traduttori a cui fare ricorso in tali casi.

In tema di assistenza da parte del difensore, il D.L. 241/2004 non chiarisce, inoltre, se lo stesso possa essere nominato dallo straniero con il beneficio del gratuito patrocinio cui avrebbe diritto in base a numerose sentenze. È questa un’altra lacuna del provvedimento ma non l’unica.

Veramente singolare,quanto mortificante per l’impegno e professionalità richiesta al Giudice di Pace dalle nuove competenze delineate dal Governo,appare la "gratifica" da corrispondere per tali incombenze atteso che il D.L. stabilisce che, a modifica dell’art.11 della legge 21 novembre 1991, n. 374 "Nel numero delle 110 udienze non si computano quelle per i provvedimenti indicati al comma 3-quater, per ciascuna delle quali è dovuta una indennità di euro 20" e che "per i provvedimenti di cui agli articoli 13, commi 5-bis e 8, e 14, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 e successive modificazioni, è corrisposta una indennità di euro 10".

Restano, inoltre, le perplessità relative alla rapida cadenza assegnata dal D.L. all’udienza di convalida che, specie se posta in relazione ai fine settimana, renderebbe oltremodo impossibile garantire una attività in linea con i desiderata del Legislatore, come più volte ribadito dalla dottrina.

Analoghe perplessità derivano dalla lettura delle modifiche apportate al comma 5-quinquies dell’art.14 laddove viene disposto che "Per i reati previsti ai commi 5-ter e 5-quater si procede con rito direttissimo. Il questore, per assicurare l’esecuzione dell’espulsione, dispone i provvedimenti di cui al comma 1. Per il reato previsto dal comma 5-quater è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto.".

Anche per tali giudizi,peraltro più complessi,al Giudice di Pace viene assegnato lo stesso "trattamento" economico nonostante l’introduzione del rito direttissimo ma la vera perplessità sorge dalla lettura dell’art.15, comma 3 della Legge delega 24/11/1999 n. 468 che, a prescindere dai reati contemplati dai delitti e contravvenzioni indicati nei due commi precedenti, attribuisce al Giudice di Pace penale, come criterio generale ed alternativo, la competenza per tutti i reati "puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a quattro mesi ovvero con la pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena (…) (comma 3 lettera a) ovvero, in subordine, per i reati (non meglio specificati!!) per i quali non sussistano particolari difficoltà interpretative o non ricorre, di regola, la necessità di procedere ad indagini o valutazioni complesse in fatto o in diritto".

Inutile aggiungere che la modifica introdotta avrebbe disatteso completamente le censure in relazione all’arresto obbligatorio in flagranza mosse dalla Corte Costituzionale nella pregevole sentenza n. 223/2004.

Va ricordato, inoltre, che sino al D.L. in argomento,la competenza (per materia) del Giudice di pace era prevista per reati minori specificatamente elencati dall’art.4 del D Lgs 28/8/2000 n° 274, ferma restando la competenza del Tribunale per i minorenni per i reati commessi da soggetti minorenni.

La competenza per materia determinata dalla connessione era disciplinata dall’art. 6 laddove tra reati di competenza del Giudice di pace e i reati di competenza di altro Giudice si ha connessione solo nel caso di concorso formale di reati (art. 81 c. 1 CP: più reati commessi da un’unica persona con una sola azione od omissione. In tali casi la Legge prevedeva la competenza del giudice superiore.

La competenza per territorio determinata dalla connessione risultava disciplinata dall’art. 7, laddove la norma prevedeva che per i reati appartenenti (tutti) alla competenza per materia del Giudice di pace si hanno, invece, due casi di connessione: a) reato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro (artt. 110 e 113 cp), b) concorso formale di reati commessi da un solo soggetto con un’unica azione od omissione.

In entrambi i casi, per i reati stati commessi in luoghi diversi, la competenza per territorio apparteneva, per tutti i reati, al Giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il primo reato. Se non è possibile determinare in tal modo la competenza, questa appartiene al giudice di pace del luogo in cui è iniziato il primo dei procedimenti connessi (art. 8). Pertanto, i reati appartenenti alla competenza per territorio o per materia di giudici diversi, pur se uniti dal vincolo della continuazione, dovevano essere oggetto di giudizi separati e diversi con conseguente duplicazione o moltiplicazione dei procedimenti e grave lesione del principio dell’economia processuale e questo aveva già suscitato notevoli perplessità nei commentatori,come pure la stessa disciplina transitoria nella parte in cui affidava ai "vecchi" Tribunali in composizione monocratica i giudizi in corso alla data di entrata in vigore della Legge pur assoggettandoli alle nuove regole del rito.

A tanto aggiungasi l’onere delle indagini affidato alle varie Polizie nel termine di quattro mesi (largamente inosservato) ed oggetto di controllo a posteriori da parte del PM in sede di rinvio a giudizio o di archiviazione.

Appare evidente così come il DL stravolge il vecchio quadro normativo introducendo una nuova competenza,della quale è lecito dubitare della costituzionalità, che finisce con l’affliggere ulteriormente sia gli operatori giudiziari, sia le stesse garanzie difensive che la Corte Costituzionale aveva ritenuto necessarie nell’abrogare le disposizioni precedenti.

Prescindendo quindi dai numerosi rilievi già mossi al provvedimento, si rende necessario da parte del Legislatore un ripensamento complessivo della materia disciplinata dal nuovo DL al fine di garantirne una piena attuazione in linea con il dettato costituzionale.

 

Ostuni, settembre 2004

 

 

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