Dossier Caritas 2004

 

Il Dossier Caritas 2004 in sintesi

 

Redattore Sociale, 28 ottobre 2004

 

Sono 2,6 milioni gli stranieri in Italia 

93 miliardi di dollari le rimesse nei paesi di origine

Lombardia prima per numero di immigrati

Emilia Romagna la regione con più bambini stranieri

A Roma e provincia oltre 322mila gli stranieri residenti

Lombardia: cresce il numero degli assunti a tempo indeterminato

Campania: per la prima volta presenti più di centomila immigrati

Toscana: il 57% di stranieri in più rispetto al 2003

Bologna: è tempo di lavorare sulla cittadinanza

Sono 2,6 milioni gli stranieri in Italia

 

È europea quasi la metà degli immigrati in Italia (47,9%, di cui solo il 7% costituito da cittadini comunitari), seguita dall’Africa (23,5%): si conferma, quindi, "la tendenza della politica migratoria italiana a coltivare una dimensione euro-mediterranea", anche se risulta consistente la presenza asiatica (16,8%) mentre è più ridotta quella americana (11,5%).

Sono alcuni dati emersi dal Dossier statistico Immigrazione 2004, realizzato con la Fondazione Migrantes, la Caritas italiana e la Caritas diocesana di Roma, presentato oggi al Teatro Orione. Si tratta del XIV Rapporto sull’immigrazione, composto da 500 pagine divise in 60 capitoli, stilati da 80 redattori.

Su 2 milioni e 600mila presenze regolari (cifra che comprende 400mila minori, in aumento al ritmo di 65mila l’anno: 35mila nuovi nati e 25mila ingressi), hanno rafforzato la loro consistenza i primi tre gruppi nazionali (Romania, Marocco, Albania), ciascuno con circa 230/240mila soggiornanti registrati. Al quarto posto balza l’Ucraina (113.000) e quinta è la Cina (100.000). Tra le 70mila e 60mila presenze oscillano Filippine, Polonia e Tunisia, mentre è folto il gruppo di paesi con 40mila presenze (Stati Uniti, Senegal, India, Perù, Ecuador, Serbia, Egitto, Sri Lanka).

"Il notevole aumento degli immigrati dell’Est Europa, in prevalenza ortodossi, ha portato i cristiani a sfiorare la metà del totale (49,5%), seguiti dai musulmani con un terzo delle presenze (33%)", riferisce il Dossier, osservando che "i fedeli di religioni orientali sono all’incirca il 5%, mentre gli altri gruppi hanno una rappresentanza molto ridotta (gli ebrei, ad esempio, sono lo 0,3%)". Nel Dossier "l’obiettivo della convivenza multireligiosa in un contesto a maggioranza cristiana viene affrontato anche in riferimento ad aspetti concreti, come ad esempio quello delle classi confessionali e dei simboli religiosi, verso i quali gli italiani si mostrano abbastanza aperti (il 70% si dichiara contrario ad una legge restrittiva come quella approvata in Francia)".

Se nel passato prevalevano i maschi, "con il risultato di un certo sbilanciamento familiare, destinato ad essere man mano riequilibrato con i successivi ricongiungimenti", oggi sono scesi al 51,6%, "anche grazie al protagonismo paritetico delle donne nella regolarizzazione del 2002 che ha consentito di arrivare a un sostanziale equilibrio tra i due sessi, anche se per determinati gruppi nazionali il rapporto è ancora sbilanciato". Le donne, infatti, rappresentano la maggioranza in diverse regioni (Campania, Molise, Umbria, Lazio, Liguria, Abruzzo e Sardegna) e in molte province.

I coniugati sono circa la metà degli immigrati (49,9%), con una flessione di due punti rispetto all’anno precedente; aumentano invece del 4% circa i celibi/nubili, passati al 46%. Osservando le fasce d’età, il Dossier stima che l’incidenza dei minori sia scesa al 15,6%; la classe di età 19-40 anni (1,5 milioni di persone) rappresenta il 58,5% del totale, quella di 41-60 anni è il 21,1% e gli ultra 60enni risultano il 4,8%, percentuale che a Roma sale al 10%).

 

93 miliardi di dollari le rimesse nei paesi di origine

 

L’immigrazione resta "la banca dei poveri": le rimesse nei paesi di origine, infatti, ammontano a 93 miliardi di dollari, cifra superiore agli investimenti delle aziende e agli aiuti governativi per lo sviluppo. Tuttavia gli stranieri sono poco tutelati sul posto di lavoro: un infortunio su 9 riguarda un immigrato (107mila in totale) e i contributi pensionistici vengono versati a singhiozzo. Tuttavia al giugno 2004 gli imprenditori stranieri erano 71.843, 1/4 in più rispetto all’anno precedente, mentre tra gli italiani la situazione è risultata quasi statica. È la fotografia sul rapporto tra immigrati e mondo del lavoro scattata dal XIV rapporto stilato da Caritas e Migrantes sul fenomeno dell’immigrazione in Italia.

"Anche se l’Italia ha bisogno di un forte apporto dei lavoratori stranieri, non da tutti vengono considerati una risorsa", commenta il Dossier statistico. Eppure lo scorso anno gli immigrati hanno avuto un grande impatto sui flussi occupazionali con 771.813 casi di assunzioni a tempo indeterminato (18,9% del totale) e con 214.888 assunzioni a tempo determinato (10,1% del totale).

Complessivamente, spetta a un immigrato 1 ogni 6 assunzioni (nel 2000 si trattava di una ogni 10), concentrate al Nord (70%), mentre al centro la percentuale scende al 20% e al Meridione arriva al 10%. Sempre lo scorso anno, l’incidenza delle donne sulle assunzioni è salita al 49,6%; gli uomini hanno continuato a prevalere nettamente nei contratti a tempo determinato (60%).

Il 7,4% delle assunzioni riguarda l’agricoltura, il 21,7% l’industria e il 27,2% i servizi; ma il 43,7% è costituito soprattutto da rapporti lavorativi nel settore domestico. "Si può dire – commenta il Rapporto - che attualmente il triangolo dell’immigrazione è costituito dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia Romagna, regioni che accolgono, per quasi tutti i rami occupazionali, il maggior numero di lavoratori immigrati (tra la metà e i due terzi degli assunti nel corso del 2003), con un’incidenza più alta sul totale delle assunzioni effettuate in loco".

Sono le imprese di piccole dimensioni (fino a 10 dipendenti) ad occupare il maggior numero di lavoratori immigrati, il 60% dei quali ha tra i 18 e i 35 anni, mentre i minori regolarmente occupati lo scorso anno sono stati circa 7mila. Il numero maggiore di assunzioni a tempo indeterminato riguarda la Romania (14,4%), seguita da Albania (9,4%), Ucraina (8,9%), Marocco (8,6%) e Polonia (4,5%); agli immigrati dell’Est Europa spetta il 45% di queste assunzioni, ai nordafricani il 15% e ai latinoamericani il 14%; "un andamento analogo si riscontra nei contratti a tempo determinato", riferisce il Dossier.

Tra gli aspetti più dinamici della realtà lavorativa, il settore imprenditoriale, con un’incidenza del 2% sul totale delle imprese (che a Prato sale al 13%). Gli immigrati sono attivi specialmente nel ramo commerciale e delle riparazioni (42%) e quello edilizio (28%); 1/4 delle imprese degli immigrati è a carattere artigiano.

"Mentre per gli italiani diminuisce il numero degli infortuni denunciati, per gli immigrati aumenta il rischio infortunistico", osserva il Rapporto: da 73.778 infortuni nel 2001 si è passati ai 106.930 nel 2003 (i casi mortali sono stati 129). Un quinto delle denunce di infortunio è concentrato nelle costruzioni, seguite dall’industria dei metalli, le attività immobiliari e professionali, i trasporti e le comunicazioni. Di tutti gli infortuni che avvengono in Italia 1 ogni 9 riguarda un lavoratore extracomunitario (1 ogni 6 nel Veneto): per essi si verifica un infortunio ogni 15 occupati, mentre per gli italiani il rapporto è di 1 ogni 25.

"I rischi lavorativi sottolineano l’esigenza di una rete efficace di tutela contrattuale e previdenziale", commenta il Dossier. Lo scorso anno risultavano iscritti al sindacato 333.883 immigrati, con un incremento del 49% rispetto al 2000. Da una ricerca dell’Inps - di cui i primi risultati vengono pubblicati nel Dossier - risulta che nel 2002 i lavoratori extracomunitari per i quali è stato pagato almeno un contributo sono stati 1.225.000: cifra che non riguarda solo i titolari di permessi di soggiorno ma anche molti familiari "e mostra come la difficoltà per questi lavoratori non consista tanto nell’essere dichiarati all’inizio del rapporto quanto nel proseguimento della copertura contributiva". Incrociando questi dati con quelli della regolarizzazione, emerge che le collaboratrici e i collaboratori familiari hanno superato quota 500mila e costituiscono "una base strutturale del nostro sistema di assistenza".

 

Lombardia prima per numero di immigrati

 

Prima per numero di immigrati, diversa dal resto d’Italia per Paesi di provenienza degli immigrati, con Milano eccezione significativa per presenza numerosissima di asiatici. La Lombardia resta la regione trainante dei processi migratori. Lo rivela il Dossier statistico della Caritas, presentato oggi anche a Milano (dove gli interventi dei relatori si sono concentrati soprattutto sul tema del lavoro e della sanatoria) da cui emerge che vivono in Lombardia 502.610 stranieri, il 22,9 per cento del totale. Numeri significativi che si discostano dal panorama nazionale per quanto riguarda la provenienza: se a livello nazionale infatti il 47,9 per cento degli immigrati proviene dall’Europa (nella stragrande maggioranza dall’Est), in Lombardia, tale percentuale scende al 35,7 per cento, superiore rispetto al dato nazionale, invece, la presenza di stranieri provenienti dal continente africano: il 28 per cento della popolazione contro il 23,5 per cento del dato nazionale.

Un dato spiegabile, e spiegato questa mattina, con la presenza di numerose industrie che impiegano soprattutto lavoratori africani. Per quanto riguarda, poi, i Paesi d’origine, si conferma al primo posto il Marocco con il 10,8 per cento degli immigrati (a livello nazionale, risulta che dal Marocco i nuovi arrivati arrivano tramite il meccanismo dei ricongiungimenti africani), segue l’Albania (8,4 per cento), la Romania (6,9 per cento), l’Egitto (6,2 per cento), le Filippine (4,8 per cento). Una piccola lista: perché i Paesi di provenienza dell’oltre mezzo milione di immigrati in Lombardia sono ben 187.

"Una presenza autenticamente multietnica - ha spiegato Meri Salati, direttrice del Centro Studi di Caritas Ambrosiana che ha raccolto e presentato i dati lombardi -, su cui le istituzioni non devono smettere di riflettere per predisporre interventi adeguati". Particolarmente bilanciata, appare poi la presenza degli stranieri nelle varie province lombarde. In testa, naturalmente c’è Milano, dove vivono il 49 per cento degli immigrati lombardi (nel Lazio, Roma catalizza circa il 90 per cento delle presenze). Seguono, tra le province con più stranieri, Brescia (16 per cento7 e Bergamo (9,8 per cento).

Anche qui, come pure a Lecco, Mantova, Sondrio, la nazionalità più presente è quella marocchina. A Milano prevalgono gli egiziani; a Pavia e Varese, gli albanesi; a Lodi i rumeni; a Cremona gli indiani. Presenze diverse che rendono conto, evidentemente, del diverso tessuto economico di ciascuna provincia. Infine, per quanto riguarda la Lombardia, il dossier raccoglie i dati dell’Ufficio statistiche del Comune di Milano, sulla presenza degli immigrati nel capoluogo lombardo. A livello comunale emerge la prevalenza delle provenienze asiatiche (38,9 per cento) rispetto agli altri continenti. Al punto che l’Europa, quasi ovunque al primo posto per il massiccio afflusso da Paesi dell’Est, si ferma al 18,9 per cento delle presenze straniere, superata anche dall’Africa (22,7 per cento).

 

Emilia Romagna la regione con più bambini stranieri

 

Donne, in prevalenza dall’Est Europa, impegnate nell’ambito dei servizi alla persona. E uomini, soprattutto africani, impiegati nell’industria metalmeccanica. Moltissimi bambini stranieri nelle scuole: più che in qualunque altra fetta dello Stivale. La fotografia fatta dal Dossier statistico immigrazione 2004 Caritas Migrantes mostra, per l’anno passato, un panorama "polarizzato": nella quarta regione d’Italia – l’Emilia-Romagna – per presenza di cittadini stranieri (stime parlano di 263.414 persone con regolare permesso, pari al 6,46% dei residenti), sembrano consolidarsi due grandi gruppi.

Un fenomeno legato all’arrivo di moltissime donne dall’Est Europa, assunte come assistenti familiari e colf (i permessi di soggiorno rilasciati nel 2003 a straniere riguardano, per il 53,65%, donne europee, di cui 47,14% dall’Est). Questo ha fatto sì che, a livello di nazionalità, in Emilia Romagna il gruppo continentale più numeroso sia ora quello europeo (43,80% dei permessi di soggiorno in regione). Tra gli uomini, invece, continuano a prevalere le nazionalità africane (42,35%, a fronte del 35,11% degli europei).

Nazionalità africane che prediligono le province di Reggio Emilia, Modena e Bologna. Per quanto riguarda invece il numero delle presenze straniere in generale, al primo posto c’è la provincia di Bologna (48.635), seguita da Modena (38.638) e Reggio Emilia (80.838). "L’incremento, rispetto al 2002, del 44,6% dei permessi di soggiorno rilasciati - ha detto stamani Andrea Stuppini, dell’assessorato Politiche sociali della Regione Emilia-Romagna, che ha contribuito a elaborare i dati relativi al territorio - si spiega in gran parte con l’ultima regolarizzazione, che ha portato a una concessione di oltre 53.000 nuovi permessi di soggiorno. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, i dati dell’Inail dicono che le assunzioni di stranieri sono quasi il 20% del totale". Complessivamente si può stimare che la forza lavoro tra i soggiornanti sia di oltre 165.000 unità, ovvero il 76,1% dei permessi di soggiorno.

E se l’Emilia-Romagna è la quarta regione in Italia per presenza di stranieri, è invece la prima per incidenza percentuale dei bambini nelle scuole. Una presenza - "che è indice di stabilità", ha sottolineato Stuppini -, molto forte alle elementari, praticamente raddoppiata negli ultimi quattro anni: si è passati dai 15.000 alunni stranieri dell’anno scolastico 1999-2000 ai 32.000 del 2003-2004.

Infine, sempre a proposito di "piccoli", c’è il dato delle nascite, che fa ben sperare in un numero più alto di nuovi arrivi per i prossimi anni: quasi il 16% dei bebè nati in Emilia-Romagna nel 2003 hanno mamma straniera.

 

A Roma e provincia oltre 322mila gli stranieri residenti

 

A Roma e provincia gli stranieri residenti sono oltre 322mila (il 10% dei cittadini, di cui 31mila minori: 18mila bambini di 157 nazionalità frequentano le scuole); 4 imprese su 100 risultano costituite da cittadini stranieri.

Una presenza sempre più rilevante e in aumento, rispetto alla quale il sindaco capitolino Walter Veltroni afferma: "Non si possono lasciare soli i Comuni ad affrontare le emergenze relative agli stranieri, né usare gli enti locali come sportelli mentre gli altri tagliano le risorse".

Il primo cittadino della capitale ha concluso oggi al Teatro Orione la presentazione del Dossier statistico curato da Caritas e Migrantes, giunto ormai alla XIV edizione. Inoltre, in occasione del XXV anniversario della Caritas diocesana, a partire da quest’anno il Dossier dedicherà un capitolo speciale all’immigrazione nella capitale. Ed è nato anche, nell’ambito della Caritas romana, un "Osservatorio romano socio-statistico sull’immigrazione", che opererà in collaborazione con gli enti locali e le strutture pubbliche.

"A Roma non esistono ghetti perché la popolazione immigrata non risulta concentrata in zone particolari, anche se si tratta di una comunità ampia", ha sottolineato Veltroni, ricordando che la città rientra in quel 3% di Comuni che ha Consiglieri aggiunti. Il sindaco sostiene la necessità di far accedere anche gli immigrati al voto amministrativo e di ridurre la quota di 10 anni per chiedere la cittadinanza italiana.

"Nelle scuole romane una nuova generazione sta crescendo senza steccati, con le sue meravigliose differenze e i suoi colori, in un cammino di educazione alla diversità. La risposta non sta nella tolleranza né nell’assimilazione, che cancellerebbe le differenze, ma nel cammino d’integrazione, nella via della conoscenza e dello scambio", per confermare che Roma è "una comunità inclusiva e solidale.

La nostra è una città sicura perché si è aperta, non ha diviso né ghettizzato". Alla fine del 2003 il Dossier ha stimato che la presenza dei soggiornanti nell’area romana è di 322.824 persone, numero ottenuto aggiungendo 31.812 minori ai 291.012 cittadini stranieri registrati. Il 53,8% è costituito da donne; rispetto ai dati nazionali, prevalgono i celibi (56,3%) rispetto agli sposati (41%): 1 ogni 71 persone è vedovo (4.107).

"Nell’ultimo quinquennio l’area romana è apparsa sonnacchiosa, con un aumento annuale minimo. La regolarizzazione, arrivata a più di 100.000 domande, ha mostrato invece che la difficoltà stava solo nelle vie legali d’ingresso e che il bisogno degli immigrati era notevole e continua ad essere tale – riferisce il Rapporto -.

La prova la si è avuta quando sono state aperte le prenotazioni per le poche centinaia di chiamate nominative dall’estero. In città, nel secondo giorno utile per prenotarsi, si era raccolto un numero di prenotazioni 4 volte superiore alle quote assegnate". I romeni soggiornanti sono arrivati a quota 60mila (1/5 di tutti gli immigrati), seguiti dai filippini (22.892) e da diversi gruppi nazionali con più di 5mila unità: Albania, Perù, Stati Uniti, Spagna, India, Cina, Egitto, Ecuador, Regno Unito, Sri Lanka, Moldavia, Germania. Gli europei sono il 52,8% (3 su 4 vengono dall’Est), gli asiatici sono il 21,4%, gli americani il 14,9% e gli africani solo il 10,5%, rappresentati però da un associazionismo vivace.

L’88% dei soggiornanti nel Lazio si trova in provincia di Roma; maggiormente concentrati nell’area della capitale tutti i paesi dell’Ue, quelli a sviluppo avanzato (Svizzera, Usa Canada e altri) ed Egitto, Bangladesh, Sri Lanka, Cina, Brasile, Colombia, Ecuador e Perù. Ben il 98,2% dei filippini presenti nel Lazio - - "complice la collaborazione familiare, i servizi di pulizia e le attività commerciali" - soggiorna nella provincia di Roma.

"Attualmente si può ipotizzare che gli immigrati incidano per il 10% sulla popolazione residente nel Comune di Roma, un valore già raggiunto da alcuni anni in diverse zone urbanistiche (Parioli, Eur, Pisana, Tomba di Nerone, Farnesina, Giustiniana e la Storta) e superato in altre, segnatamente nel Centro Storico e nell’Esquilino", riferisce il Dossier.

Viene privilegiata, in particolare, l’area che taglia trasversalmente la città da nord-ovest a sud-est, lungo la Casilina e la Prenestina come pure lungo la Cassia. "Questo però non significa che sia facile trovare alloggio e il problema spesso si risolve in maniera tutt’altro che adeguata: coabitazioni, abitazioni improprie, sistemazione temporanea nelle località balneari: vi sono immigrati accampati sulla riva sinistra del Tevere, vicino a Ponte Garibaldi, di fronte all’Isola Tiberina", osserva il Rapporto.

Tuttavia il problema è più attenuato nei comuni della Provincia, verso i quali è in atto un deflusso. I punti attrattivi principali sono i comuni del Litorale (Ladispoli, Fiumicino, Anzio e Nettuno) e quelli del bacino produttivo di Pomezia/Castelli Romani, con una gravitazione del tutto particolare sul polo industriale di Pomezia e su quello agricolo della pianura Pontina.

 

Lombardia: cresce il numero degli assunti a tempo indeterminato

 

Sempre più necessario e sfaccettato. Il lavoro degli immigrati e la condizione lavorativa degli stranieri in Italia finisce sotto la lente del Dossier statistico di Caritas presentato questa mattina e da cui emergono alcuni aspetti contrastanti: cresce il numero degli assunti a tempo indeterminato (soprattutto nell’industria), si allarga lo sfruttamento degli stranieri in alcuni settori (come quello edile), aumentano le cause di lavoro che riguardano gli immigrati e che spesso contrappongono datori di lavoro e lavoratori entrambi stranieri.In particolare, nella presentazione del Dossier svoltasi a Milano, l’attenzione al diritto al lavoro e alle tutele degli immigrati ha rappresentato uno dei punti centrali del dibattito.

Se infatti in Italia, il numero di immigrati extracomunitari assunti nel 2003 è stato di 986.701 (di cui 771.813 a tempo indeterminato e 214.888 a tempo determinato), la Lombardia e il Nord Italia in genere si collocano tra le aree dove più elevato è stato l’ingresso di nuovi lavoratori stranieri (tra Nord Ovest e Nord Est sono stati assunti il 48,9 per cento sul totale degli immigrati che hanno trovato un lavoro a tempo indeterminato). Per quanto riguarda la Lombardia, il dato 115.399 assunzioni a tempo indeterminato: il 17,9 per cento sul totale di quelle registrate complessivamente nel 2003. "È un dato di fatto che le assunzioni a tempo indeterminato crescano - ha commentato Monica Vitali, giudice del Lavoro presso il Tribunale di Milano -, soprattutto in alcuni settori specifici sempre più appannaggio degli immigrati: in primo luogo l’industria, ma anche il lavoro domestico e quello di pulizie, fino ai servizi in genere; ristorazione e alberghiero su tutti".

L’altro aspetto del lavoro straniero in Lombardia è rappresentato dalla crescente presenza di micro imprenditori: la Camera di Commercio ha registrato che al 31 marzo 2004, erano presenti a Milano ben 8.600 imprese con titolari stranieri. "Per quanto riguarda ad esempio le cause di lavoro - spiega Vitali -, sono in aumento quelle tra datori di lavoro stranieri e lavoratori stranieri. Un fenomeno nuovo e significativo che ci dice anche come l’illegalità e il rischio di sfruttamento si annidi anche nel rapporto tra connazionali".

Altro aspetto rilevante messo in luce dal Dossier è l’elevato turnover del lavoro immigrato, in alcuni settori specifici, come quello edile, dove il saldo tra assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro nel 2003 fa registrare un saldo negativo (- 1360). E proprio quello delle costruzioni è uno dei settori dove più critici appaiono i rapporti di lavoro. "Sono aumentati esponenzialmente gli stranieri, soprattutto rumeni, che lavorano nelle costruzioni - dice Vitali -; così come il numero di infortuni sul lavoro che toccano agli immigrati".

Un dato che va accompagnato a una lettura dei problemi, gravi, che molti stranieri incontrano quando intraprendono cause di lavoro. "Le tutele, in linea di principio non mancano. Ma l’effettività di questi diritti è spesso messa in discussione da diversi problemi - spiega Monica Vitali -: dalla mancanza di conoscenza e informazione sui propri diritti; alle difficoltà di comprensione che sorgono nel corso di numerose cause di lavoro che sempre più spesso coinvolgono gli immigrati. Un problema tale, quello della lingua, da pregiudicare in molti casi l’esito stesso dei processi anche quando il lavoratore straniero è dalla parte della ragione".

 

Campania: per la prima volta presenti più di centomila immigrati

 

Superano per la prima volta le centomila presenze gli immigrati in Campania: è questa una delle novità nella regione meridionale segnalate dal Dossier Statistico Immigrazione curato da Caritas e Migrantes e presentato oggi anche a Napoli.

Sono infatti 111.596 i cittadini stranieri registrati nel 2003 sul territorio campano, il 48% delle presenze di tutto il Sud Italia e il 5,1% di quelle sul territorio nazionale, appartenenti a 160 nazioni diverse e per la maggior parte donne (il rapporto è 58% contro 42% di maschi). Napoli resta una delle città chiave del fenomeno migratorio, con 61.557 immigrati, il 55,2% di tutta la regione; seguono Caserta (22.334 presenze, il 20% della regione), Salerno (18.294, il 16,4%), Avellino (6.620, il 5,9%), Benevento (2.791, il 2,6%).

"Si tratta di dati da mettere in stretta relazione con la sanatoria, che ha agevolato i meccanismi di emersione, che confermano come la Campania non sia più una regione solo di transito per gli immigrati ma di presenza stabile", spiega Giancamillo Trani, curatore della sezione della Campania nel Rapporto 2004 e responsabile del settore immigrati per la Caritas Diocesana di Napoli.

Trani segnala anche il boom della comunità ucraina che supera ormai le 30mila presenze (31.042, il 27,8% degli stranieri in Campania) ed è la prima comunità in tutte le province, mentre nel 2001 gli ucraini in Campania non arrivavano alle duemila unità.

In crescita anche le presenze di cittadini provenienti da Polonia, Marocco, Albania, Cina, Algeria, Romania, Moldavia, Bangladesh, Russia e India, mentre c’è un decremento nella rappresentatività di nazioni che avevano dominato il panorama dell’immigrazione fino agli anni ‘90, come Filippine, Nigeria, Repubblica Domenicana, Serbia-Montenegro, Somalia e Capoverde.

Il 69% degli immigrati in Campania è nella regione per un contratto di lavoro subordinato, il 21% per ricongiungimento familiare il 3,6% per lavoro autonomo. Nel dettaglio, a Benevento ci sono state 312,7 pratiche di regolarizzazione ogni 100 lavoratori soggiornanti; a Salerno 300,5, ad Avellino 275,5, a Caserta 236 e a Napoli 192,7. In questa classifica, Benevento è prima in Italia e Salerno seconda.

"Non si può pensare però - spiega Trani - che il problema dell’immigrazione regolare sia stato risolto. Sono molte le persone che entrano con passaporti falsi, soprattutto dalla Lituania e dagli altri Paesi baltici, mentre in un territorio come quello campano un lavoratore immigrato è a rischio di irregolarità perché può essere facilmente reclutato dalla malavita".

La Campania è diventata, secondo Giancamillo Trani, una delle principali centrali di falsificazione dei documenti ma anche di euro, che gli immigrati contribuiscono a spacciare per conto della criminalità organizzata.

 

Toscana: il 57% di stranieri in più rispetto al 2003

 

"Un dato più degli altri vorrei sottolineare: l’aumento, nelle nostre scuole, dei bambini figli di immigrati. Erano poco meno di 15 mila nel 2001-2002, sono stati oltre 20 mila l’anno scorso: quasi cinque ogni cento studenti, a Prato addirittura otto ogni cento. È il frutto dei ricongiungimenti familiari, di un’immigrazione sempre più stabile e pone dunque l’esigenza di politiche sociali anche diverse".

È il commento del vice presidente ed assessore alle politiche sociali Angelo Passaleva, che stamani ha partecipato a Prato alla presentazione del Dossier Caritas 2004 sull’immigrazione in Toscana e in Italia.

Duecentoseimila, secondo il rapporto, sarebbero gli stranieri che soggiornavano in Toscana all’inizio di quest’anno (175 mila quelli regolari), il 57% in più rispetto al 2003. Ogni cento cittadini toscani ci sono dunque cinque immigrati (4,9 ad essere precisi): media perfettamente europea, un po’ più alta rispetto a quella italiana che è 3,2. Romania ed Ucraina in grande ascesa: albanesi, cinesi, rumeni, marocchini e polacchi che costituiscono oltre la metà delle oltre 140 nazionalità presenti. Gli albanesi sono infatti 31 mila - il 17,7%, ma il 29,9% nelle scuole - i cinesi 23 mila: il 13,3%, il 52,5% a Prato.

"L’immigrazione - ha affermato il vice presidente Passaleva - non si governa certo con la repressione, ma con l’integrazione e con le politiche di accoglienza, realizzando una società aperta. Su questi temi torneremo a ragionare alla fine di novembre: il 22, 23 e 24 a Firenze, nel corso della seconda conferenza regionale sull’immigrazione che chiamerà a riflettere proprio sul futuro dei diritti di cittadinanza".

 

Bologna: è tempo di lavorare sulla cittadinanza

 

Vengono qui al Centro e ci dicono: "Dobbiamo rinnovare il permesso di soggiorno, e il nostro contratto di lavoro non è di un anno, ma di tre mesi!" Per Paola Vitiello, coordinatrice del Centro d’ascolto stranieri della Caritas di Bologna, "il rischio è che si torni indietro: gente che, dopo aver superato mille ostacoli, è riuscita ad avere il permesso, ora, a causa di questo lavoro così spezzettato, e di quanto richiede la normativa, non riesce a rinnovare proprio nulla".

L’incubo della Bossi-Fini non abbandona gli stranieri, " e i difetti della legge - aggiunge don Giovanni Nicolini, responsabile della Caritas diocesana - si sono resi subito evidenti, anche nelle sue applicazioni. È tempo di lavorare sulla ‘cittadinanzà: queste persone devono diventare a tutti gli effetti cittadini". In merito agli ostacoli - oltre alle mille fatiche per il rinnovo dei permessi - la Caritas ha lunga esperienza: "C’è gente - racconta Paola Vitiello - che viene al Centro, dice di aver bisogno di una badante per la nonna, ma, per favore, che non sia nera.... Oppure ci chiedono: ma dobbiamo proprio dare alla badante il giorno di libertà?

Per chi è "clandestino", l’incubo è il Cpt: come per la mamma (di nazionalità rumena) di Tommaso, bimbo di otto mesi: vivono in Piemonte, lei (non in regola) lo affida a un’amica per uscire a fare una commissione, in strada viene fermata e portata al Cpt. Dal Piemonte passa a quello di Bologna, rischia di essere rimpatriata: a stento riesce a raccontare a un operatore Caritas che presta servizio al punto d’ascolto nel centro di via Mattei - su progetto finanziato dalla Regione Emilia-Romagna - la sua drammatica situazione.

Tramite l’intervento della Caritas, il bimbo viene trasferito a Bologna e accolto da un istituto di suore. "Anche se al momento abbiamo bloccato il rimpatrio della mamma - conclude don Nicolini - il rischio c’è sempre. Lei riesce a parlare con il suo bimbo una volta al giorno per telefono. Ecco un esempio di quanta sofferenza si è creata in Italia..."

 

 

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