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L’espulsione come misura alternativa alla detenzione articolo di Mario Pavone (Avvocato)
Il T.U. dell’immigrazione, come modificato dalla Legge 189/2002 c.d. Bossi-Fini, prevede varie tipologie di espulsione oltre a quella prevista in via amministrativa.
L’espulsione come misura di sicurezza
Fuori dei casi previsti dal codice penale, il giudice può ordinare l'espulsione dello straniero che sia condannato per taluno dei delitti previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale (delitti che consentono l’arresto in flagranza), sempre che risulti socialmente pericoloso. Della emissione del provvedimento di custodia cautelare o della definitiva sentenza di condanna ad una pena detentiva nei confronti di uno straniero proveniente da Paesi extracomunitari viene data tempestiva comunicazione al Questore ed alla competente autorità consolare al fine di avviare la procedura di identificazione dello straniero e consentire, in presenza dei requisiti di legge, l’esecuzione della espulsione subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione (art. 15, comma 1 bis, D.lgs. 286/98, come modificato dalla L. 189/02).
L’espulsione come sanzione sostitutiva della pena
Viene disposta dal giudice penale, che sostituisce la pena detentiva con l'espulsione, accompagnata dal divieto di reingresso per un periodo non inferiore a 10 anni. La misura è immediata e viene adottata anche con la sentenza non definitiva. E’ disposta in occasione di una condanna per un reato non colposo oppure in occasione di una sentenza patteggiata, quando il giudice ritiene di applicare una pena detentiva entro il limite di due anni e non ci sono le condizioni per applicare la sospensione cautelare della pena. La sanzione sostitutiva della pena non può essere disposta se non è possibile eseguire immediatamente l'espulsione (per prestazioni di soccorso allo straniero, accertamenti supplementari sulla sua identità o nazionalità, mancanza dei documenti per il viaggio o mancanza di un vettore o altro mezzo di trasporto idoneo).
L’espulsione come misura alternativa alla detenzione
La Legge Bossi/Fini stabilisce che l’espulsione come misura alternativa alla detenzione venga disposta nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell’articolo 13, comma 2 (espulsione amministrativa), e che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni (art.16, comma 5). Essa non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (si tratta di delitti di particolare gravità), ovvero i delitti previsti dal Testo Unico. Competente a disporre l’espulsione è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull’identità e sulla nazionalità dello straniero. Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide nel termine di venti giorni. L’esecuzione del decreto di espulsione è sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione o della decisione del tribunale di sorveglianza e, comunque, lo stato di detenzione permane fino a quando non siano stati acquisiti i necessari documenti di viaggio. L’espulsione è eseguita dal Questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica In merito a quest’ultima tipologia di espulsione merita di essere segnalata la recente Ordinanza della Corte Costituzionale n. 226 del 15/07/2004(1) che ha affermato la natura amministrativa di tale provvedimento,anche se adottato dal Giudice di Sorveglianza. La Corte fonda il proprio convincimento sulla considerazione che l’espulsione di che trattasi è affidata per la sua esecuzione al Questore anziché al P.M. e che la misura risulta applicabile in presenza delle stesse condizioni che costituiscono il presupposto della espulsione amministrativa. Una volta stabilita la natura amministrativa della misura espulsiva,secondo la Corte,non possono trovare accoglimento i numerosi rilievi di incostituzionalità della norma sollevati da alcuni Giudici di Sorveglianza che,ritenendo tale espulsione una misura alternativa alla detenzione o comunque una sanzione penale,hanno invocato il rispetto delle garanzie stabilite per la pena. In particolare,secondo i Giudici remittenti, la misura si porrebbe in contrasto con la funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost. e con l'art. 3 Cost., sotto i profili della ragionevolezza e del principio di eguaglianza, posto che si tratterebbe dell'unica misura alternativa alla detenzione o comunque dell'unica sanzione afflittiva applicata dalla magistratura di sorveglianza, senza tenere conto degli effetti ai fini della rieducazione e della risocializzazione del condannato e delle sue condizioni personali (2). L’Ordinanza in commento ripropone ancora una volta il problema della natura della espulsione prevista dall’art.16, comma 5 del T.U. sull’immigrazione. L’orientamento della Corte di Cassazione appare, tuttavia, del tutto contrario ad una tale impostazione. (3) La Corte propende senza dubbio per la natura penale della misura poiché la dizione della norma "sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione", nonché il profilo sostanziale della disposizione che prevede l’effetto estintivo della pena, costituirebbero rilevanti elementi a sostegno della natura penalistica della sanzione. La norma in commento pone,tuttavia,numerosi interrogativi alla stessa Magistratura di Sorveglianza di cui sono espressione le numerose Ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale. Sotto altra ottica,di recente,la questione è stata affrontata autorevolmente dal Magistrato di Sorveglianza di Potenza (4) secondo cui la norma avrebbe introdotto nel nostro ordinamento una terza misura alternativa alla detenzione, accanto all’affidamento in prova al servizio sociale e alla semilibertà. Si tratterebbe, tuttavia, di una misura"anomala" posto che le misure alternative presuppongono, comunque, l’espiazione della pena inflitta, sia pure con modalità diverse dalla detenzione in carcere; la formulazione di una prognosi positiva sulla effettiva volontà di reinserimento sociale ed un percorso riabilitativo,già avviato in carcere,all’esterno della struttura. Tutto ciò sarebbe estraneo alla misura in questione laddove più che di una misura alternativa sembrerebbe trattarsi di una sorta di condono di cui beneficerebbe solo l’extracomunitario, oppure si tratterebbe di una vera e propria sospensione della pena con chiari effetti favorevoli (l’uscita dal carcere) cui farebbe da contraltare l’introduzione di un aspetto sanzionatorio costituito dalla espulsione dal territorio dello Stato. L’aspetto sanzionatorio della misura sarebbe ancora più evidente posto che,a differenza delle misure alternative ordinarie, la misura non sarebbe rinunziabile. Vi sarebbe,tuttavia, altre censure alla norma specie in ordine ai presupposti di applicazione della misura. Il primo di essi sarebbe quello dello stato di detenzione del cittadino straniero in base al quale la portata della norma sarebbe limitata ai soli detenuti in carcere mentre la norma sembrerebbe ricomprendere nella disciplina anche i semiliberi e i detenuti domiciliari che sono pur sempre detenuti, seppure con una modalità diversa dalla restrizione in carcere. Tale estensione non sarebbe,tuttavia,in linea con il dettato ordinamentale e costituzionale posto che,espellendo i semiliberi,verrebbe interrotto un percorso rieducativo e di reinserimento sociale già avviato e già positivamente valutato da un organo giurisdizionale. Il secondo presupposto sarebbe costituito dalla pena residua non superiore a due anni. Anche qui sorgerebbero altri problemi derivanti dalla esistenza di un’altra condanna sospesa ex art. 156 CP,come novellato dalla legge Simeone, che, sommato alla sentenza oggetto di esecuzione, potrebbe portare la pena oltre i due anni e così impedire l’applicazione della misura. Il terzo presupposto sarebbe costituito dalla esatta identificazione del cittadino straniero espellendo (5) che costituirebbe il maggior ostacolo alla applicazione della legge, atteso che, nella maggior parte dei casi, l’extracomunitario è privo di documenti e che, spesso, la procedura di identificazione si rivelerebbe lunga e complessa. L’ultimo presupposto riguarderebbe i condannati esclusi dall’applicazione della misura. L’espulsione, infatti, non troverebbe applicazione per i condannati per i delitti previsti dall’articolo 407 II° comma lettera A) CPP e per i delitti previsti dal testo unico 286/98 sulla immigrazione. Il legislatore, privilegiando la tutela della sicurezza pubblica, avrebbe escluso dal beneficio i condannati per gravi delitti con la conseguenza che tale esclusione finirebbe col produrre in concreto effetti aberranti posto che gli stessi detenuti possono essere ammessi alle misure alternative ordinarie secondo le regole vigenti senza subire la espulsione. Infatti,ove gli stessi detenuti per gravi reati fossero ammessi all’affidamento in prova,con esito positivo, per effetto della declaratoria di estinzione della pena e di ogni altro effetto penale, verrebbe meno anche l’eventuale misura di sicurezza dell’espulsione eventualmente disposta nella sentenza di condanna. In conseguenza ed anche alla luce di tali valutazioni ,la normativa,nella attuale formulazione, presenterebbe notevoli rilievo di incostituzionalità specie per quanto concerne il contrasto con l’art.27,2 comma della Costituzione che sancisce il principio di rieducazione della pena: Inoltre la stessa disciplina sarebbe in palese contrasto con l’articolo 24 e 111 Cost. per violazione del diritto di difesa poiché mancherebbe il necessario contraddittorio davanti al Magistrato di Sorveglianza,che decide con decreto,sebbene lo stesso decreto sia reclamabile al Tribunale di Sorveglianza con piena attuazione del contraddittorio e che non divenga esecutivo siano alla decisione del Tribunale di Sorveglianza sul reclamo proposto dall’interessato. A tanto si aggiunga che la Cassazione (6) ha escluso dal beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale e, in genere, da tutte le misure extramurarie alternative alla detenzione, lo straniero extracomunitario che si trovi in Italia in condizioni di clandestinità, atteso che tale condizione rende illegale la permanenza del medesimo straniero nel territorio dello Stato e non può, d’altra parte, ammettersi che l’esecuzione della pena abbia luogo con modalità tali da comportare la violazione o l’elusione delle norme che rendono configurabile detta illegalità. In definitiva,se l’obiettivo non dichiarato della Legge era quello della deflazione carceraria, si può affermare che il bilancio appare del tutto negativo. In circa due anni di applicazione il numero dei provvedimenti espulsivi è estremamente esiguo rispetto all’elevato numero di provvedimenti di inammissibilità o di non luogo a provvedere non solo per gli aspetti poco chiari della legge ma anche per un sostanziale disinteresse da parte degli stessi detenuti stranieri interessati alla applicazione di una misura che, nella sostanza appare solo penalizzante.
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