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La nuova legge sull’immigrazione (Osservazioni a cura di "Magistratura democratica") Le linee guida del disegno di legge n. 795/S ("Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo") di riforma del decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, cosiddetta legge Napolitano - Turco) e della legge n. 39 del 1990 (cosiddetta legge Martelli) risultano univocamente orientate a una politica di rifiuto dell’immigrazione e possono essere così sintetizzate:
Ingressi Muovendo dalla considerazione del "pericolo di una vera invasione dell’Europa da parte di popoli che sono alla fame, in preda ad un’inarrestabile disoccupazione o a condizioni di sottoccupazione", il disegno di legge si presenta come orientato a "affrontare il problema di fondo concernente l’immigrazione clandestina". Le norme in tema di ingressi segnalano il reale obiettivo dell’iniziativa governativa, che mira ad una drastica chiusura rispetto (non all’immigrazione irregolare, ma) all’immigrazione tout court: in questo senso, l’impostazione di fondo del disegno di legge sembra tendere all’immigrazione zero, così sancendo il superamento della logica binaria che ha caratterizzato le politiche europee nello scorso decennio; una logica incentrata - con le ambiguità e le contraddizioni interne più volte segnalate - sulla contrapposizione tra immigrazione regolare, da governare nella prospettiva dell’integrazione, e immigrazione irregolare, da contrastare con risolutezza. Queste le principali innovazioni del disegno di legge Con gli artt. 4, 5 e 15, viene introdotto un contratto di soggiorno, presupposto per il conseguimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Il meccanismo è imperniato sull’incontro a livello planetario tra domanda e offerta di lavoro e, in realtà, riproduce quello già previsto dall’art. 22 t.u. Rispetto a quest’ultima norma si registra, nel disegno di legge governativo, una maggiore responsabilizzazione (con probabili effetti disincentivanti) del datore di lavoro, che deve garantire "una adeguata sistemazione alloggiativa per il lavoratore" e assumere l’impegno di corrispondere le spese di viaggio per il rientro nel Paese di provenienza. Significativo, nella prospettiva delineata, è pure l’inasprimento della sanzione pecuniaria previsto dal comma 12 dell’art. 22 t.u. novellato. Nel complesso iter prodromico al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, viene introdotta (art. 22 co. 4) la verifica preventiva dell’indisponibilità di altri lavoratori iscritti nelle liste di collocamento, verifica - significativamente circoscritta ai soli lavoratori nazionali e comunitari, con esclusione di quelli extracomunitari - già prevista dalla normativa anteriore al t. u. (art. 8 co. 3 legge 943 del 1986) e superata per le disfunzioni che aveva prodotto. L’art. 17 del disegno di legge in tema di lavoro stagionale riproduce le innovazioni previste per il lavoro subordinato. Il nuovo istituto dei titoli di prelazione (art. 16 che modifica l’art. 23 del t.u.), del quale non è difficile preconizzare un infimo tasso di effettività, prende il posto della prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro (cosiddetto sponsor), ossia del principale canale di ingresso regolare svincolato dall’incontro a livello planetario tra domanda e offerta di lavoro; il disegno di legge, dunque, mira alla soppressione di un fondamentale strumento di flessibilità nella disciplina degli ingressi, uno strumento che faceva leva, per un verso, sul richiamo esercitato da stranieri già integrati nel nostro Paese (cosiddetta catena migratoria) e, per altro verso, sul ruolo del volontariato: è ragionevole attribuire al drastico irrigidimento dei canali di ingresso legale determinato dalla soppressione dell’istituto dello sponsor un effetto di forte incentivazione della immigrazione irregolare. L’art. 20 modifica l’art. 29 del t.u.: viene ristretta l’area del ricongiungimento familiare, escludendo i parenti entro il terzo grado e subordinando l’ingresso dei genitori alla condizione che essi non abbiano altri figli; la stretta sul ricongiungimento familiare, uno degli istituti più significativi nella prospettiva dell’integrazione dei migranti, rappresenta un sintomo in equivoco della ratio complessiva del disegno di legge. Soggiorno La modifiche previste dal disegno di legge in tema di soggiorno non investono profili essenziali della disciplina del t.u., risultando, tuttavia, ispirati a una medesima opzione di fondo: la spinta verso la - ulteriore - precarizzazione della condizione giuridica dei migranti, per i quali qualsiasi prospettiva di integrazione viene rigidamente subordinata ai bisogni di manodopera a basso costo delle imprese proiettate nella dimensione iper - concorrenziale del mercato globale. Rispetto alla normativa vigente, viene dimezzata la durata del permesso di soggiorno rinnovato ( art. 4 lettera e del disegno di legge) e viene portata da 5 a 6 anni la durata della permanenza regolare necessaria al conseguimento della carta di soggiorno ( art. 8 del disegno di legge ); la visione dell’immigrato nella sola dimensione imprenditorial - lavorativa viene esaltata dalla riduzione da un anno a sei mesi del periodo minimo di iscrizione nelle liste di collocamento concesso al lavoratore straniero che ha perso il posto di lavoro per trovarne uno nuovo (art. 22 co. Il t.u., come modificato art. 15 del disegno di legge). Allontanamenti La riscrittura complessiva della disciplina degli allontanamenti rappresenta il nucleo centrale del disegno di legge. A) L’art. Il riscrive l’art. 13 t.u. in tema di espulsione amministrativa. Per comodità di lettura, si farà riferimento al testo di quest’ultima norma così come risultante dalle modifiche proposte:
Come era stato rilevato nelle osservazioni sopra citate, per un verso, "l’introduzione dell’istituto del silenzio-assenso per il rilascio del nulla-osta è, in concreto, la consacrazione dell’ineffettività del controllo giudiziario:
Come hanno rilevato tutti i commentatori, la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 105/2001, ha ritenuto l’accompagnamento coatto alla frontiera una misura limitativa della libertà personale e, come tale, soggetta alla riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost.: se disposto insieme con la detenzione amministrativa, tale misura è conforme alla Costituzione in virtù dell’allargamento dell’area del sindacato giurisdizionale sancito, in via interpretativa, dalla Corte; nella disciplina di cui ai comma 4 e 5 della legge vigente e in quella di cui al comma 4 del disegno di legge - norme che non contemplano alcun intervento dell’autorità giudiziaria l’accompagnamento coatto alla frontiera deve invece ritenersi incostituzionale. Il silenzio sul punto della Corte costituzionale è stato imposto solo da ragioni processuali (il difetto di rilevanza della questione nei casi oggetto delle ordinanze di rimessione) ed è un silenzio destinato a perpetuarsi dal momento che la possibilità di ricorso giurisdizionale presentato all’estero da stranieri espulsi con accompagnamento alla frontiera è, di fatto, inesistente: assume, pertanto un carattere mistificatorio la disciplina più liberale - con l’elevazione da 30 a 60 giorni del termine per la presentazione del ricorso all’estero - prevista dal nuovo comma 8 dell’art. 13. In linea con l’impostazione di fondo del disegno di legge è, infine, il prolungamento della durata del divieto di rientro fino ad un minimo di cinque anni, restando sempre indefinito - così come nel t.u. n. 286 del 1998 - il termine massimo del divieto stesso. B) L’art. 12 modifica il quinto comma dell’art. 14 del t.u., raddoppiando la durata della detenzione amministrativa nei centri di permanenza temporanea: viene qui al pettine un nodo che la Corte costituzionale con la sentenza n. 105/2001 non ha affrontato, quello dei parametri di legittimità/ragionevolezza del trattenimento. C) L’art. 13 introduce - nel corpo dell’art. 16 del t.u. - un’ulteriore figura di espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione: disposta dal magistrato di sorveglianza, essa sarà applicabile allo straniero che, per un verso, debba scontare una pena detentiva anche residua non superiore ai due anni e che, per altro verso, si trovi in una delle situazioni individuate dall’art. 13 comma 2 del t.u. quali presupposto dell’espulsione amministrativa. La nuova figura di espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione presta il fianco a numerosi rilevi critici, il primo dei quali si ricollega alla mancata previsione del consenso dello straniero quale presupposto dell’allontanamento: l’espulsione senza consenso è già stata censurata, seppur incidenter tantum, dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 62/1994, ha dichiarato infondata un’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 7 commi 12 bis e ter dl n. 416/1989 motivando proprio, tra l’altro, sul fatto che l’espulsione prevista da detto articolo era subordinata al consenso dell’imputato o del condannato. Questo il passaggio sul punto della sentenza: "La stessa subordinazione del rilascio del provvedimento di espulsione previsto dalla norma impugnata alla richiesta dell’interessato (o del suo difensore), per quanto atipica, non costituisce un arbitrario elemento di favore nei confronti dello straniero, ma rappresenta, come si deduce anche dai lavori preparatori, un requisito diretto, nella fattispecie, ad armonizzare la condizione dello straniero ai valori costituzionali cui il legislatore deve riferirsi nel prevedere una misura pur sempre incidente sulla libertà personale, cioè su un diritto inviolabile dell’uomo". D’altra parte, la mancata previsione, quale presupposto della misura, della richiesta del condannato e, dunque, il carattere officioso del provvedimento di allontanamento snaturano il carattere di pena alternativa dell’espulsione e il ruolo del magistrato di sorveglianza: nel nostro ordinamento, le misure alternative costituiscono un favor per il condannato e sono applicabili solo a richiesta dello stesso (salvo le ipotesi eccezionali di cui all’art. 57 ord. pen.). Più in generale, il nuovo istituto è destinato a riprodurre uno dei difetti più significativi del sistema anteriore alla legge Napolitano - Turco, la sovrapposizione/confusione di profili giudiziari e di profili amministrativi nella costruzione delle fattispecie di espulsione: peraltro, esso - anche alla luce della prevista semplificazione dei rapporti tra procedimento penale ed espulsione amministrativa - sembra rispondere assai più all’esigenza mediatica della proliferazione delle figure di allontanamento (dato costante del trattamento degli stranieri nel nostro Paese) che a bisogni reali. Letta nel suo complesso, la normativa prevista dal disegno di legge governativo in tema di allontanamenti rivela allarmanti profili di illegittimità costituzionale; mortifica il ruolo garantistico della giurisdizione, riducendo, in buona sostanza, l’intervento del giudice a quello di un passacarte dell’autorità di polizia, a sua volta destinata - attraverso l’ulteriore dilatazione dei poteri ampiamente discrezionali già oggi ad essa riconosciuti - ad assumere una posizione di assoluta centralità nel governo del fenomeno migratorio e nella definizione della condizione di regolarità/irregolarità dei migranti; consacra una visione dell’immigrazione come fenomeno in se pericoloso, esaltando quella prospettiva dell’ordine pubblico che, per un verso, si oppone ostinatamente all’adozione di strumenti mirati all’emersione dell’immigrazione irregolare (prevedendo, ad esempio, meccanismi di regolarizzazione permanente fondati sul decorso del tempo e su indici di integrazione, quali la mancata commissione di reati e il raggiungimento ex post delle condizioni che avrebbero giustificato l’ingresso) e, per altro verso, individua nell’espulsione la sola risposta a qualsiasi forma di irregolarità. Al riguardo, va ribadito quanto affermato più volte e, da ultimo, nel citato documento sul disegno di legge n. 4656: "il sistema delle espulsioni è uno degli strumenti per affrontare le patologie dell’immigrazione, ma esso può essere utile solo se ancorato a principi di razionalità e di equità. In concreto ciò significa contenere, anziché estendere, le ipotesi di espulsione, limitandole alle violazioni amministrative insanabili e protratte e alla commissione di reati di gravità medio-alta: in questi casi l’impegno degli apparati per dare effettività alle espulsioni disposte deve essere affinato e incrementato; nelle altre ipotesi è necessario, invece, un governo duttile della situazione con previsione di possibilità di sanatoria". È questa la strada da seguire per conciliare le esigenze di un effettivo governo del fenomeno migratorio con l’irrinunciabile salvaguardia dei diritti fondamentali dei migranti e del ruolo della giurisdizione, salvaguardia dalla quale non si può certo deflettere neppure di fronte alla più volte prospettata - o minacciata - introduzione del reato di immigrazione clandestina quale alternativa all’inadeguatezza, dal punto di vista garantistico, delle procedure amministrative di allontanamento: traducendosi nella criminalizzazione della condizione del migrante e, dunque, delle cause profonde che stanno alla base degli epocali fenomeni migratori della nostra epoca, la configurazione penalistica dell’ingresso irregolare si porrebbe in insanabile contrasto con la visione costituzionale dell’illecito penale e con i principi fondamentali che da tale visione discendono. Norme penali Nel disegno di legge non viene criminalizzato l’ingresso irregolare in quanto tale; come è emerso con chiarezza dal dibattito che ha preceduto l’iniziativa governativa, la scelta di non introdurre il reato di immigrazione clandestina è scaturita non dalle considerazioni sopra sintetizzate, ma dalla valutazione dei prevedibili effetti paralizzanti sulla macchina della giustizia penale derivanti dalla criminalizzazione di massa degli irregolari e, soprattutto, da preoccupazioni relative alla effettività e immediatezza degli allontanamenti: illuminanti sui contenuti di quel dibattito sono le parole di Giovanni Sartori ("Il Corriere della sera", 6 agosto 2001): "se l’immigrazione clandestina diventa reato, allora il clandestino entra ope legis negli ingranaggi infernali del nostro processo penale e del suo esasperato garantismo". Se, come si è visto, è la riscrittura complessiva della disciplina degli allontanamenti lo strumento sul quale il disegno di legge governativo fa leva per l’azione di contrasto all’immigrazione irregolare, sul terreno penalistico si registra, da una parte, un drastico irrigidimento delle fattispecie incriminatrici già previste dal t.u. del 1998 e, dall’altra, l’introduzione di nuove figure di reato non prive di profili di problematica legittimità costituzionale. A) L’art. 4 lettera g introduce nell’art. 5 t.u. il comma 8 bis, ai sensi del quale: "chiunque redige un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno falsi o ne altera di autentici, ovvero redige documenti falsi o ne altera di autentici al fine di determinare il rilascio di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno, è punito con le pene previste dall’articolo 476 codice penale. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale". La norma rappresenta un chiaro esempio di diritto penale speciale, assoggettando alla più severa pena prevista dall’art. 476 cp per il falso commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico condotte commesse da privati e/o relative a documenti non aventi natura giuridica di atto pubblico, ossia condotte punite, ad esempio, dagli artt. 477 e 482 cp con pene inferiori. B) L’art. 10 apporta significative modifiche all’art.12 del t.u., allargando, prima di tutto, l’area dell’incriminazione delineata dal primo comma alle condotte favoreggiatrici dell’"ingresso degli stranieri, presenti illegalmente in Italia, nel territorio di un altro Stato". Con i nuovi commi 3 e 3 bis, vengono trasformate in fattispecie autonome le ipotesi previste quali circostanze aggravanti dall’originaria formulazione del terzo comma. La ratio dell’innovazione è chiaramente funzionale a un inasprimento del regime sanzionatorio in concreto applicato, inasprimento conseguito attraverso la sottrazione dei fatti oggetto delle nuove e autonome fattispecie incriminatrici alla valutazione giurisdizionale sul possibile bilanciamento con circostanze attenuanti; tale ratio, che caratterizza anche la modifica del delitto di furto introdotta dal cosiddetto pacchetto sicurezza, dovrà, comunque, misurarsi con la complessa questione del rapporto tra elementi costitutivi ed elementi circostanziali della fattispecie, rapporto la cui configurazione caso per caso resta, infatti, affidata all’interpretazione giurisdizionale. C) L’art. 11 lettera G sostituisce il comma 13 dell’art. 13 del t.u. e introduce i commi 13 bis e 13 ter: si tratta di innovazioni ispirate al più drastico rigorismo sanzionatorio e foriere di evidenti eccezioni all’impianto garantistico del codice di procedura penale. La prima disposizione aumenta la pena edittale per il reato di rientro senza autorizzazione dello straniero espulso, portandola, nel minimo, da due mesi a sei mesi di arresto e, nel massimo, da sei mesi a un anno di arresto; il nuovo comma 13 bis prevede una fattispecie ad hoc per la trasgressione del divieto di reingresso dello straniero espulso sulla base di un provvedimento giudiziario, fattispecie punita con la reclusione da uno a quattro anni. La terza disposizione prevede che "per i reati di cui ai commi 13 e 13 bis è sempre consentito l’arresto in flagranza dell’autore del fatto e, nell’ipotesi del comma 13 bis è consentito il fermo. In ogni caso contro l’autore del fatto si procede con rito direttissimo". La prima parte della norma deroga alla disciplina contemplata dall’art. 381 cpp primo e secondo comma (individuazione dei reati che consentono l’arresto, individuazione estesa anche ad una fattispecie contravvenzionale quale quella prevista dal comma 13) e a quella di cui al quarto comma (requisiti della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto ); rimane fermo, invece, il presupposto dello stato di flagranza di cui all’art. 382 cp, presupposto, peraltro, svuotato - con riferimento alla fattispecie di cui al nuovo comma 13 bis - dalla possibilità di procedere comunque al fermo dell’indiziato. La seconda parte della norma allargala possibilità di procedere con il giudizio direttissimo a tutte le ipotesi contemplate dall’articolo in esame. D) L’art. 12 lettera b prevede un’articolata disciplina per il caso in cui "non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l’espulsione o il respingimento", disciplina incentrata, in prima battuta, sull’ordine rivolto dal questore allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni. Decorso tale termine, "lo straniero che senza giustificato motivo" si trattiene nel territorio dello Stato è punito - ai sensi del comma 5 ter del nuovo art. 14 t.u. - con l’arresto da sei mesi a un anno e viene espulso con accompagnamento coatto alla frontiera; lo straniero, nuovamente espulso in base al comma 5 ter, che si trattiene senza giustificato motivo nel territorio dello Stato è punito ai sensi del comma 5 quater dell’art. 14 t. u. novellato - con la reclusione da uno a quattro anni; per i reati indicati, "è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto e si procede con il rito direttissimo". L ‘applicazione delle figure di reato ora descritte richiederà grande rigore interpretativo, al fine di scongiurare il rischio che le ragioni per le quali - all’esito del periodo massimo di trattenimento dell’espellendo nei centri di permanenza - non è stato eseguito l’allontanamento (ad esempio, indisponibilità di documenti di identificazione) si traducano in elementi di per se soli integrativi delle fattispecie incriminatrici: una lettura di questo tipo, oltre a porsi in contrasto con il tenore letterale della disposizione ( che esige l’assenza di giustificati motivi), determinerebbe una sostanziale reviviscenza della fattispecie di cui all’art. 7 bis della legge Martelli (che puniva con la reclusione da sei mesi a tre anni lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione "che non si adopera per ottenere dalla competente autorità diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente"), fattispecie dichiarata incostituzionale per violazione del principio di tassatività dalla sentenza n. 34/1995 della Corte costituzionale. E) Gli artt. 15 e 17 aumentano la pena pecuniaria prevista dagli artt.22 comma 12 e 24 comma 5 per il datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze stranieri privi del permesso di soggiorno o il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato: l’ammenda da due a sei milioni è sostituita dalla pena proporzionale di 2.582,28 euro (pari a cinque milioni di lire) di ammenda per ogni lavoratore impiegato. Asilo Gli artt. 24 e seguenti del disegno di legge governativo innovano profondamente la disciplina in tema di asilo prevista dall’art. 1 della legge Martelli; in particolare:
La normativa in tema di asilo prevista dal disegno di legge governativo è criticabile da molteplici punti di vista e, prima di tutto, nella scelta di adottare una disciplina scarna e tranchant in luogo del complesso articolato che, ad esempio, caratterizzava il disegno di legge approvato nello scorso marzo dalla Camera dei deputati: si tratta di una scelta tanto meno comprensibile se si pone mente alla normativa europea in materia approvata o in corso di approvazione, normativa alla quale la legislazione italiana sarà chiamata ad adeguarsi. Nel merito, l’amplissimo ventaglio di ipotesi previste dall’art. 1 bis attribuirà al trattenimento del richiedente asilo caratteri di assoluta ordinarietà; d’altra parte, la natura sommaria della procedura semplificata, in uno con la immediata esecutività della decisione della commissione territoriale, determina gravi rischi di svuotamento, in termini di effettività, del diritto d’asilo e, dunque, alimenta seri dubbi di legittimità costituzionale della normativa. Se approvato, il disegno di legge governativo non condurrà a un governo giusto ed efficace dei fenomeni migratori, ma comporterà un’ampia e profonda compressione dei diritti fondamentali dei migranti; non raggiungerà gli scopi dichiarati e, in particolare, non ridurrà l’area dell’immigrazione irregolare, destinata anzi ad allargarsi a causa sia della mancata adozione di strumenti di assorbimento della clandestinità, sia della drastica chiusura dei canali di ingresso legale; non favorirà l’integrazione dell’immigrazione regolare, che, attraverso l’accentuazione dei processi di precarizzazione/amministrativizzazione della condizione giuridica degli stranieri indotta dalle nuove norme in tema di soggiorno e di allontanamento, sarà spinta verso una dimensione sempre più marcatamente servile. New Labour, Old Padania Le politiche sull’immigrazione viste dal Tamigi La legge sull’immigrazione varata dal governo laburista di Tony Blair piace anche a Bossi. In Gran Bretagna attualmente ci sono oltre millecinquecento stranieri richiedenti asilo detenuti. L’umiliante sistema dei voucher settimanali per l’acquisto di cibo. La stampa conservatrice ha avuto notevole influenza sulla politica del new Labour, incapace di reagire alla caccia alle streghe contro gli immigrati. LONDRA. È curioso che l’aspetto della nuova legge sull’immigrazione proposta dal governo in Italia che ha scandalizzato maggiormente i politici e gli opinionisti inglesi sia stato quello che riguarda la detenzione dei cosiddetti "immigrati clandestini". È curioso, non per lo scandalo suscitato da una misura che solo indignazione può effettivamente produrre, ma perché da anni l’Inghilterra rinchiude in carcere i cosiddetti "immigrati clandestini". Anzi, peggio, in carcere e nei centri di detenzione, ci finiscono soprattutto gli asylum seekers, cioè quei cittadini stranieri che, una volta arrivati in Gran Bretagna, chiedono asilo politico. Attualmente (gennaio 2002) gli asylum seekers detenuti sono oltre millecinquecento. E il governo laburista guidato da Tony Blair sta costruendo nuovi centri perché prevede di avere bisogno nei prossimi anni di almeno 4000 posti. Il sentimento di "indignazione" che si è impadronito degli inglesi - lo spiega un articolo del liberale quotidiano "The Guardian" - riguarda il fatto che la proposta di spedire in galera a tempo indeterminato gli "stranieri clandestini" era stata formulata da Umberto Bossi, leader della Lega Nord, e certamente non amato in Gran Bretagna. Xenofobo, razzista, secessionista, sono gli aggettivi comunemente usati per definire il leader della Lega, che quando ha fatto riferimento alle tensioni razziali inglesi paragonandole a quelle a cui l’Italia andrebbe incontro (se i clandestini non verranno rinchiusi in carcere e i flussi non verranno regolati una volta per tutte) ha evidentemente toccato un nervo scoperto degli inglesi. Tant’è che, subito e da più parti, ci sono stati tentativi più o meno goffi di "distanziamento" dal leader lombardo. Quello che evidentemente ai "liberali" e "democratici" inglesi non piace è veder affiancata la loro politica a quella della Lega. Ma tant’è. La legge sull’immigrazione varata dal governo laburista di Tony Blair piace anche a Bossi. Non è difficile capire perché. Approvata ne11999, infatti, la legge introduce alcune iniziative tra le più discriminatorie e umilianti degli ultimi anni. Non si è trattata tuttavia di una approvazione indolore per il governo, nonostante la maggioranza oceanica di cui il new Labour godeva dopo la vittoria del 1997. A ribellarsi contro una legge definita "iniqua e umiliante" sono stati molti deputati laburisti per i quali venire a patti con la politica del new Labour si sta rivelando impresa assai ardua. Le iniziative più contestate riguardano l’introduzione di voucher settimanali per l’acquisto di cibo per gli asylum seekers e la sistemazione in alloggi designati dalle autorità locali. Vengono eliminati dunque i sussidi (in contante) per la casa e per il sostentamento. Oltre a circa 25 sterline (circa 80 mila lire) settimanali in voucher i richiedenti asilo hanno diritto anche a dieci sterline (circa 33 mila lire, ma la cifra varia) settimanali in contante per le spese di trasporto e per le emergenze. Vale la pena sottolineare che un biglietto giornaliero per la metropolitana e l’autobus costa 4 sterline e 30 pence (circa 14 mila lire) e che un biglietto giornaliero per il solo autobus costa 2 sterline (circa seimilacinquecento lire). Il sistema dei voucher dalla sua introduzione lo scorso anno si è rivelato, come avevano previsto associazioni e deputati contrari all’iniziativa, fallimentare, umiliante e degradante (al punto che il governo sta pensando di rivederlo se non proprio eliminarlo). Tanto per cominciare non tutti i negozi e supermercati accettano i voucher (il governo ha addirittura cercato di conquistare i commercianti dicendo loro che possono tenere il resto, nel caso non venga spesa tutta la somma del voucher). E poi, cosa ancora più grave, infiniti sono i casi di persone (nuclei familiari interi con bambini anche molto piccoli) che per settimane non hanno ricevuto i voucher e quindi non hanno letteralmente avuto la possibilità di mangiare. "Disguidi tecnici" si difende il ministero. Ma che rivelano l’altro, e forse più inquietante aspetto di questa legge e cioè l’idea che la sottende. Il governo new Labour ha coniato un termine che spiega più di molte analisi come considera i cittadini stranieri che arrivano in Gran Bretagna. "Bogus". Che, riferito agli asylum seekers, significa "fasullo", "fraudolento" e ha una connotazione estremamente offensiva e denigrante. Bogus è come il governo laburista di Tony Blair considera molti degli stranieri che chiedono asilo. Bogus è come i dipendenti del ministero dell’immigrazione che interrogano i richiedenti asilo politico sono portati a considerare chi gli siede di fronte nella stanza asettica per le "interviste". Bogus è come una campagna di stampa pressante e quasi soffocante continua a dipingere chiunque arrivi in Gran Bretagna in cerca di una vita diversa. La stampa, specie quella conservatrice, ha avuto una influenza notevole anche nella politica del new Labour che è stato incapace (o non ha voluto) di reagire alla caccia alle streghe scatenata dai tabloid prima nei confronti dei cittadini kosovari (un numero molto limitato per la verità, ai quali il governo inglese, dopo aver bombardato le case e il Paese per liberarli dal "mostro Milosevic", aveva offerto alloggio temporaneo), poi dei Rom (il governo Blair può vantare anche una legge contro l’accattonaggio mirata proprio ai Rom), e la lista potrebbe continuare. C’è stato un altro aspetto fortemente osteggiato in parlamento dai deputati laburisti contrari alla proposta di legge Straw: quello dell’introduzione del cosiddetto sistema della dispersione. Secondo il ministro degli Esteri Jack Straw, gli immigrati che chiedono asilo politico non possono pensare di rimanere a Londra o nel Sud-Est del Paese. Con la nuova legge, se non potranno dimostrare di avere amici, parenti, in grado di ospitarli, verranno "deportati" in ogni angolo del Paese in alloggi gestiti spesso da privati, a volte dagli enti locali. Se rifiuteranno l’alloggio che verrà loro assegnato perderanno automaticamente diritto alla casa e a ricevere i voucher. I centri di detenzione (e le sezioni speciali di alcuni carceri) rimangono l’opzione privilegiata per il ministero degli interni, tanto che sta costruendone di nuovi. La politica della dispersione crea problemi evidenti per gli asylum seekers che si ritrovano spesso spediti in posti remoti del Paese, senza nessun sostegno legale e/o logistico e spesso senza nessuno che parli la loro lingua. Se la scelta di molti dei nuovi cittadini stranieri che arrivano in Inghilterra ricade su Londra e su alcuni altri centri del Sud-Est è principalmente perché lì si sono create comunità che forniscono una rete di solidarietà, assistenza e sostegno concreti ai nuovi arrivati. È evidente che chi arriva, magari dopo essere sfuggito alla persecuzione nel proprio Paese, cerchi il contatto con la sua gente anche nell’esilio. Per quanto concerne le nuove norme per la richiesta di asilo politico in Gran Bretagna vale la pena anche sottolineare che la procedura è diventata estremamente complessa. Nel tentativo di "snellire" l’iter e ridurre i tempi di analisi delle richieste il ministero ha di fatto privato i richiedenti asilo di diritti fondamentali. Dopo un eventuale primo rifiuto (attualmente solo il 21% dei richiedenti asilo riescono a ottenere il permesso di rimanere in Gran Bretagna, in media il 4% ottiene lo status di rifugiato politico e il 16% un "Exceptional Leave to Remain", ovvero un permesso di soggiorno straordinario, per motivi umanitari, di salute, ecc.) vengono sospesi i sussidi ma il richiedente asilo ha comunque la possibilità di presentare ricorso contro la decisione dell’Home Office (non sempre, nel senso che il ministro può rifiutare in circostanze speciali il ricorso all’appello). Se anche l’appello ha esito negativo la nuova legge prevede in genere il rimpatrio. I tempi di questa nuova procedura dovrebbero essere di due mesi per la risposta iniziale e quattro mesi per la risposta in appello. Attualmente né l’uno né l’altro vengono rispettati. Le richieste di asilo inevase che il governo di Tony Blair aveva ereditato dai precedenti governi ha convinto il new Labour, poco dopo aver vinto le elezioni del 1997, a promulgare una sorta di sanatoria per cui a tutti i richiedenti asilo che avevano cominciato la pratica almeno quattro anni prima (cioè nel 1993) è stato concesso un permesso di soggiorno indefinito. Che non è l’asilo politico così come riconosciuto dalla convenzione delle Nazioni unite de11951. Nonostante la sanatoria, le domande inevase rimangono tantissime: oltre centomila. E ogni mese se ne aggiungono di nuove. Ci sono poi altre misure che non riguardano solamente i richiedenti asilo politico ma tutti i cittadini stranieri che arrivano in Gran Bretagna. Oltre ad un ricorso massiccio e più costante alla detenzione nei centri di custodia e nelle carceri, il governo ha notevolmente aumentato il numero di rimpatri forzati di stranieri. Sono state anche varate misure repressive volte a colpire il traffico umano e i suoi responsabili; pene pecuniarie e detentive sono state introdotte per chi, per esempio, trasporta persone in container o camion e per le organizzazioni che gestiscono il traffico di stranieri. La legislazione introdotta dal new Labour ha fatto certamente rizzare i capelli a più di qualcuno nel mondo della sinistra britannica e delle associazioni che si occupano di diritti umani e di immigrazione. In particolare, viene contestato a Blair il fatto di aver assunto in qualche modo e fatto proprie alcune idee-chiave dei precedenti governi conservatori in materia di immigrazione. Nel 1996 la legge sull’immigrazione e l’asilo (Immigration and Asylum Act) crea un sistema "rapido" di analisi delle richieste per cui le richieste di asilo di molti profughi non vengono nemmeno considerate se viene stabilito che i richiedenti sono stati in un Paese terzo. Inoltre, viene introdotto il principio per cui chi non richiede asilo al porto di entrata non ha diritto a nessun tipo di sussidio o sostegno statale. La legge sull’immigrazione e l’asilo approvata dal parlamento nel 1999 rischia di essere modificata, in peggio, dalle legislazioni emergenziali che stanno per essere introdotte per contrastare il terrorismo internazionale. Le conseguenze che la "lotta al terrorismo" avrà per le comunità straniere che vivono in Gran Bretagna, per esempio, cominciano già ad essere evidenti. Il ministro degli Interni David Blunkett ha annunciato proprio in questi giorni la necessità di un dibattito ampio sulle questioni dell’integrazione, della creazione di una società multietnica realmente comprensiva e rispettosa delle tradizioni di tutti. Il dibattito, almeno a mio avviso, sembra partito con il piede sbagliato: il ministro Blunkett ha infatti cominciato parlando di un "obbligo della comunità straniera che vive in Gran Bretagna: quello di fare sì che i figli, i giovani sviluppino un senso di appartenenza e di identità inglesi". Non una rinuncia alla loro cultura e tradizioni, si è affrettato a dire il ministro, ma una "netta prevalenza della identità, cultura, costume, britannici su qualunque altra cosa". In tre rapporti differenti pubblicati nei giorni scorsi sulle tensioni razziali e sugli scontri che si sono verificati la scorsa estate in tre città del nord del Paese, si parla in toni estremamente stupiti di "vite parallele" condotte dalle comunità non bianca e bianca in Gran Bretagna. Si parla di segregazione delle minoranze etniche che vivono vite a se, con scuole, posti di ritrovo, luoghi di culto, posti di lavoro, quartieri interi assolutamente separati da quelli della comunità "inglese" (intesa come bianca). Lo stupore viene dal fatto che per decenni la Gran Bretagna si è vantata di essere la nazione dell’integrazione razziale, della multietnicità, del melting pot. Un sogno. Il risveglio ha riportato davanti agli occhi una realtà molto diversa. Il rischio è, complice questa legislazione estremamente repressiva, l’ulteriore polarizzazione, distinzione, separazione tra culture, mondi e modi diversi. Minorenni stranieri: possono restare, ma senza tutela 14.000 segnalazioni di minorenni stranieri non accompagnati presenti in Italia. Prima potevano fruire di una "tutela giuridica" che ne favoriva l’inserimento scolastico e lavorativo e la successiva regolarizzazione. Nell’aprile 2001 una circolare del governo di centro sinistra ha abolito la possibilità della tutela. Il Comitato minori stranieri del ministero si è così rivelato più una "fabbrica di clandestini" che uno strumento di garanzia e legalità. Il DDL Bossi-Fini sull’immigrazione non ne fa cenno, ma la situazione dei minori stranieri non accompagnati presenti in Italia inizia a essere preoccupante. Si tratta di quei ragazzi entrati clandestinamente nel nostro Paese e che non hanno nessun adulto di riferimento. Non è un fenomeno di poco conto, se si pensa che al Comitato minori stranieri, l’ente del ministero del Welfare che decide sul futuro di questi ragazzi, sono arrivate tra il luglio 2000 e il novembre 2001 più di 14.000 segnalazioni. Fino all’aprile dell’anno scorso gli enti locali e le associazioni del privato-sociale utilizzavano lo strumento della "tutela giuridica". Il minore che veniva in contatto con i servizi sociali, era preso in "tutela" da un adulto, da un’associazione o da funzionari degli stessi assessorati e così regolarizzava la sua presenza in Italia. Poteva frequentare la scuola, specializzarsi, lavorare e al compimento del 18° anno, se in possesso dei requisiti necessari, poteva ottenere un normale permesso di soggiorno per motivi di studio o lavoro. Con questo sistema, e con l’incentivo del permesso di soggiorno una volta maggiorenni, molti ragazzi hanno intrapreso percorsi di integrazione, spesso abbandonando il lavoro nero o, peggio, lo spaccio. Il 9 aprile del 2001, sotto il governo di centro-sinistra, il ministero degli Interni ha emesso una circolare in cui si specifica che ai minori non accompagnati, in virtù delle convenzioni internazionali, è sì permesso di restare in Italia, ma solo con un permesso di soggiorno per minore età, e non più con la formula tutela giuridica. Un cambiamento che non ha certo riguardato solo i documenti: infatti, con il permesso di soggiorno per minore età, il ragazzo entrato clandestinamente in Italia non può lavorare e inoltre la circolare specifica che tale permesso non è convertibile al raggiungimento del diciottesimo anno, quando scatta il provvedimento di espulsione. A decidere caso per caso sulla sorte dei ragazzi resta il Comitato minori stranieri, presieduto dal dott. Angelo Achilli. Questa situazione nuova ha gettato i servizi territoriali nella più completa confusione. "Non è più possibile fare progetti di lungo periodo - spiega Laura Marzin, responsabile dell’ufficio minori stranieri del Comune di Torino, una delle città che offre più servizi in questo campo - : ai ragazzi possiamo offrire vitto e alloggio, ma nessuna prospettiva. Prima si proponeva a loro una specie di patto. Se seguivano una scuola o se erano inseriti nel mondo del lavoro, potevano ottenere il permesso di soggiorno a 18 anni. Questo significava per loro abbandonare percorsi illegali molto più remunerativi, quali lo spaccio o il lavoro nero, in cambio di garanzie per il futuro. Oggi non è più possibile. Anche l’inserimento a scuola, che è garantito per i minorenni, non ha molto senso perché molti di loro compiono 18 anni quando non hanno ancora terminato un percorso formativo. Non è un caso che, soprattutto tra gli albanesi, abbiamo notato un netto calo di presenze presso i nostri uffici, e questo non perché vi siano meno ragazzini che lasciano il loro Paese per venire qui". L’ultima decisione sul rimpatrio spetta però al Comitato. Ma anche in questo caso i criteri sono assai vaghi, i tempi poco certi e molte domande restano addirittura senza risposta. Continua Laura Morzin: "Gli enti locali avevano chiesto che almeno per i ragazzi presenti in Italia prima dell’entrata in vigore della circolare, con i quali avevamo già stretto il nostro patto educativo, fosse permessa una deroga per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Così non è stato. Ad alcuni è stato permesso di restare, altri sono diventati clandestini, perdendo in alcuni casi il lavoro regolare che avevano. Anche per le nuove richieste, quelle dopo l’aprile, non c’è affatto omogeneità di giudizio, per non dire dei casi ai quali non è data risposta, per i quali si crea una sorta di limbo dove 18enni stanno in attesa senza sapere se hanno o no diritto a stare in Italia o devono ritenersi a tutti gli effetti clandestini". Bisogna poi aggiungere che i ragazzi ai quali viene intimata l’espulsione ben difficilmente abbandonano l’Italia, ma vanno piuttosto a ingrossare le file degli irregolari, obbligati a lavorare in nero o in circuiti microcriminali. Il Comitato si è rivelato così più una "fabbrica di clandestini" che uno strumento di garanzia e legalità. Se nel nuovo DDL Bossi-Fini a tutto questo non si fa cenno, evidentemente significa che all’attuale governo le cose stanno bene così come sono. Una legge senza sponsor. Più difficile il soggiorno legale Parla Sergio Briguglio, collaboratore della Caritas Secondo il DDL Bossi-Fini sull’immigrazione, falsificare un permesso di soggiorno è due volte più grave che falsificare qualsiasi altro documento, e pertanto la pena prevista va raddoppiata. Un esempio certo marginale, ma simbolico e indicativo di quanto il disegno di legge sull’immigrazione sia pensato come uno strumento fortemente restrittivo e punitivo. Rapporto tra permesso di soggiorno e lavoro, minori, diritto d’asilo solo forse le questioni che paiono più intricate e che con il nuovo DDL rischiano di portare a sviluppi sociali pesanti. Abbiamo provato ad approfondire con Sergio Briguglio, che da anni si occupa di diritti degli immigrati e che collabora con la Caritas romana, alcuni di questi aspetti. Il nuovo DDL sull’immigrazione abolisce la figura dello sponsor per chi vuole entrare a lavorare in Italia. Ti risulta che questo fosse uno strumento usato sovente ed efficace? Che cosa succederà, a tuo avviso, con l’eliminazione di questa possibilità? La sponsorizzazione è stata limitata, nei due primi anni di effettiva applicazione della legge n. 40, la cosiddetta Turco-Napolitano attualmente in vigore, dalle quote imposte dal governo in sede di programmazione dei flussi (15.000 sponsorizzazioni per il 2000, altre 15.000 per il 2001). Se non fossero state imposte quote così basse, questo meccanismo sarebbe stato usato in modo molto più ampio: nel 2001 le domande di sponsorizzazione sono state quasi dieci volte più numerose delle 15.000 accettate in base al decreto. Si può dire, perciò, che lo strumento ha o potrebbe avere un enorme successo. Quanto alla sua efficacia, è presto per dirlo (nessuno dei ministeri competenti ha fornito cifre sull’effettivo inserimento lavorativo di chi è entrato con la sponsorizzazione). Tuttavia, uno studio effettuato in Veneto ha mostrato come, in quella sola regione, nel 2000 oltre 1200 lavoratori sponsorizzati hanno trovato occupazione. È verosimile che sia una percentuale molto vicina alI 00% di coloro che avevano fatto ingresso attraverso questa via. Dire oggi, come fa il governo, che la sponsorizzazione si è trasformata in un meccanismo di clandestinizzazione è cosa priva di qualunque fondamento. I permessi di soggiorno, secondo il DDL, sono ancor più strettamente legati al lavoro. Se un immigrato perde il suo posto prima della scadenza del permesso di soggiorno, ha pochi mesi (al massimo 6) per trovarsi un altra occupazione, se no sarà espulso, mentre oggi può restare in Italia iscritto al collocamento fino a 12 mesi dopo la scadenza del vecchio permesso. Che cosa comporterà questa restrizione? Comporterà, come è ovvio, una maggior difficoltà nel mantenimento della condizione legale del soggiorno. Una difficoltà ancora più grande, però, deriva già oggi dal non accettare di fatto autocertificazioni nella dimostrazione delle fonti di reddito. Questo rende arduo mantenere la condizione di soggiorno legale per quanti abbiano occupazioni saltuarie, che non si configurano come rapporti di lavoro subordinati (oltre che, naturalmente, per quanti abbiano rapporti di lavoro in nero). Il requisito per il rinnovo dovrebbe essere modificato: dovrebbe essere sufficiente il non aver fatto ricorso per periodi eccessivamente lunghi all’assistenza pubblica. Questo concetto è contenuto, peraltro, in una proposta della Commissione europea. Il rinnovo del permesso di soggiorno subordinato in modo così forte al lavoro non finirà per dare ampi poteri ricattatori a eventuali datori di lavoro poco corretti? La Questura di Milano (i dati riguardanti il 2000 sono aggiornati solo fino a ottobre, però, quindi quelli definitivi saranno ancora più alti) ha intimato l’espulsione alla frontiera di 5800 persone, nell’anno passato, mentre ben 800 sono state le espulsioni immediatamente eseguite dalle forze dell’ordine. Seimila circa, in totale. Nel 1998 erano state 2300 le espulsioni per via amministrativa, schizzate a 5000 nel 1999, mentre le espulsioni con accompagnamento alla frontiera erano 263 nel 1998 e sono diventate 1300 nel 1999. Perché? Perché, improvvisamente, nel 1999 in Italia scoppiò la "questione sicurezza", sulla quale il Polo di centro destra costruì la propria offensiva politica ed elettorale, ma che venne usata e avallata anche dall’allora governo e maggioranza di centro-sinistra. Con la Turco-Napolitano, l’Ulivo si mise a inseguire le destre sul loro terreno e il risultato furono i centri di detenzione temporanea come via Corelli. La mobilitazione contro via Corelli e la manifestazione di protesta organizzata a suo tempo a Milano fu un vero successo. Oggi, l’Ulivo e i DS ci stanno ripensando e aderiscono alla manifestazione de119. Dunque, andare all’opposizione fa bene, fa rinsavire, ma se il loro scendere in piazza rimane un atto sporadico serve e servirà a poco. Ci sarebbe bisogno di un ripensarnento generale delle loro politiche e delle loro filosofie di società, ripensamento del quale mi permetto di dubitare. In ogni caso, il governo ha superato anche il limite del buon gusto, sull’argomento: dopo Ponte Galera e via Corelli, ora vuole aprire un altro centro di detenzione a Genova, dentro la caserma Bolzaneto, diventata tristemente famosa nel luglio 2001. Dunque, una grande manifestazione, quella che si prospetta. Soprattutto di italiani, o anche di immigrati? Credo che sarà anche e soprattutto una manifestazione fatta e colorata dagli immigrati stessi. E non solo perché le loro delegazioni apriranno il corteo, dato nient’affatto rituale, ma anche e soprattutto perché, in particolare sul tema della "manodopera di colore" e dei "collaboratori domestici", non si sono svegliati solo gli italiani, dai "padroncini" del Nord-Est alle "signore per bene" delle grandi città, ma anche gli immigrati stessi. Che sono già scesi in piazza a protestare - e con forza - a Caserta come a Brescia, mesi fa, e che sabato, a Roma, saranno migliaia. Forse anche più degli stessi italiani, come ci dicono le prenotazioni dei treni. Almeno 50 mila. Passando alle tematiche più generali del movimento e guardando a Porto Alegre, dove anche tu andrai. Sei reduce da una "due giorni" bolognese ricca di appuntamenti importanti. Penso all’assemblea nazionale di Attac, ma soprattutto alla nascita del primo movimento antiproibizionista di massa. Dunque la battaglia sulle droghe è no global? Sono molto contento che tu mi chieda questo. È curioso come la politica della proibizione, una delle più antiche e classiche politiche della globalizzazione liberista, e dunque la lotta a questa da parte del fronte antiproibizionista, sia rimasta fin troppo a lungo estranea alle dinamiche del movimento anti-globalizzazione, atto politico necessario che abbiamo appena sollecitato con una lettera aperta al GSF da parte di questo nascente e importante Movimento antiproibizionista di massa, il quale la sua entrata in scena l’ha fatta però già da un anno, quando contestò duramente le scelte governative sulle droghe alla conferenza nazionale di Genova. Tanto per cambiare, allora al Governo c’era l’Ulivo e anche su questo punto oggi - con l’ascesa al potere delle destre - il quadro repressivo e punitivo non può che peggiorare. Credo che sul punto scontiamo un vecchio e consolidato retaggio ideologico della sinistra: ovvero che queste tematiche facciano parte del campo delle libertà e non di quello dei diritti, e quindi che siano questioni attinenti a quella che una volta sarebbe stata detta "una sovrastruttura". Una sinistra, dunque, che guarda con sospetto tutto quanto produce piacere. Al Forum Sociale mondiale di Porto Alegre porterò anche queste tematiche. Leggi sull’immigrazione: da male in peggio Intervista a Daniele Farina Con la legge Turco - Napolitano, l’Ulivo si mise a inseguire le destre sul loro terreno. Il risultato furono i centri di detenzione temporanea come via Corelli. Il governo Berlusconi ha superato anche il limite del buon gusto: vuole aprire un altro centro di detenzione a Genova, dentro la caserma Bolzaneto, diventata tristemente famosa nel luglio 2001. I DS hanno aderito alla manifestazione del 19. Dunque, andare all’opposizione fa bene. Le tematiche e le lotte antiproibizioniste sulle droghe sono rimaste troppo a lungo estranee al movimento anti-globalizzazione. Anche di questo bisognerà discutere a Porto Alegre Daniele Farina, noto come "il" portavoce del Leoncavallo, dalla scorsa primavera è diventato consigliere comunale indipendente, eletto nelle liste di Rifondazione, a Milano. Dopo aver passato anni a discutere con Questure e Procure di mezz’Italia, oggi, dunque, si trova di fronte forzisti, ciellini, padani e nazional - alleati, dall’altra parte dei banchi. Gli esami non finiscono mai. Dalla sua, Farina ha le virtù della pazienza e dell’intelligenza, che ne fanno un rivoluzionario di professione in versione pacata. Ma se si tratta di entrare nel merito delle questioni, non le manda certo adire. Il 19 gennaio, a Roma, si svolgerà una grande e importante manifestazione indetta dal Migrant Social Fornm contro la cosiddetta legge sull’immigrazione "Bossi-Fini". Come ci si arriva, a questo appuntamento, e perché? La mobilitazione è cresciuta man mano che sono state chiare, nella pratica e nel quadro politico, le dichiarazioni egli indirizzi dell’attuale governo sull’immigrazione. Il testo del disegno di legge, che modifica in senso peggiorativo la precedente legge sull’immigrazione, la cosiddetta Turco - Napolitano, che pure conteneva già parecchi punti critici e di debolezza, come avevamo denunciato a suo tempo, s’innesta su un quadro sociale del problema immigrazione che, in questo Paese, sta diventando drammatica. I punti più scandalosi di questo nuovo disegno di legge varato dal governo Berlusconi riguardano il contratto di lavoro degli immigrati, che diventa a tempo determinato e legato solo al permesso di soggiorno, riducendo drasticamente la possibilità di mettere piede in Italia, e il controllo dei flussi migratori, che viene esclusivamente assoggettato a ragioni di ordine pubblico. Il divieto di reingresso passa dai 5 ai 10 anni, lo straniero colto in flagranza di immigrazione clandestina può essere rispedito nel suo Paese d’origine scardinando il principio della presunzione d’innocenza e, su richiesta delle forze di sicurezza, persino il parere del magistrato, che è obbligato a concedere il nullaosta all’espulsione su richiesta della Questura. Sono procedure di espulsione incivili e agghiaccianti, che vanno contro qualunque principio elementare del diritto e che fanno dei decreti di espulsione dei provvedimenti immediatamente eseguibili, con il relativo accompagnamento forzato alla frontiera, secondo la pratica del silenzio/assenso entro i 15 giorni dalla data di emissione. Senza dire dei tempi di permanenza degli immigrati clandestini nei centri di detenzione temporanea, che passano dai 30 ai 60 giorni. Centri - introdotti dalla Turco - Napoletano - contro i quali ci battiamo con forza da anni, come testimonia tutta la nostra lotta e mobilitazione dalla battaglia contro "il lager di via Corelli" in poi. Ecco, appunto, i centri di detenzione temporanea e via Corelli. Parliamone un po’... Certamente. La proposta che ho appena fatto avrebbe il senso di separare i due problemi: un conto è la lotta contro il lavoro nero, altro è l’accertamento che il lavoratore straniero abbia un sufficiente inserimento nel tessuto economico. Nel DDL ci sono novità rispetto ai minori? No. Ma in questi giorni un cartello costituito dai principali organismi che si occupano, a livello nazionale o internazionale, di minori stranieri (Save the Children, Caritas, Migrantes, Chiese Evangeliche, ARCI, ACLI, ICS, Comunità di Sant’Egidio, Terre des hommes, ASGI) ha proposto ai membri della Commissione Affari costituzionali del Senato un emendamento alla legge Turco - Napolitano che consentirebbe di tutelare i minori non accompagnati per i quali non si proceda al rimpatrio, equiparandoli ai minori stranieri titolari di un permesso per motivi familiari. Potrebbero così intraprendere attività lavorative (indispensabili per il loro pieno inserimento) e stabilizzare il proprio soggiorno una volta raggiunta la maggiore età. Come giudichi le nuove norme sul diritto d’asilo? Le novità principali sono tre: il decentramento a livello provinciale della Commissione per il riconoscimento del diritto d’asilo; il trattenimento obbligatorio degli stranieri che abbiano chiesto asilo trovandosi in condizioni, rispetto al soggiorno, che avrebbero altrimenti portato alla loro espulsione; la cancellazione dell’effetto sospensivo automatico del ricorso contro una decisione negativa della Commissione, nei casi in cui si applichi il trattenimento obbligatorio. Di queste novità, la prima è senz’altro positiva, garantendo tempi di esame molto più brevi. La seconda è discutibile, ma non è priva di logica: quella di uno Stato che vuole proteggersi dal rischio che la richiesta di asilo costituisca garanzia di elusione delle norme sull’immigrazione. La terza è assolutamente e insopportabilmente inaccettabile, dato che rischia di far rinviare, in seguito a una decisione sbagliata della Commissione, un vero rifugiato nel Paese che lo perseguita. Su questo mi auguro che si faccia sentire con forza l’ACNUR. Legislazione europea in materia di immigrazione e asilo A partire dagli anni Ottanta, le politiche europee in materia di immigrazione sono state orientate verso l’arresto o per lo meno il rallentamento del flusso migratorio. Durante l’ultimo decennio, però, alcuni cambiamenti sociali, economici e soprattutto demografici hanno posto gli Stati membri di fronte a nuove realtà: il rallentamento della crescita demografica, l’aumento dell’età media della popolazione, la carenza di manodopera in alcuni settori professionali. Tali nuovi fenomeni hanno favorito l’introduzione di nuove normative e interventi in tutti i Paesi dell’Europa occidentale. La situazione attuale presenta due tendenze principali: da un lato vengono promosse limitazioni restrittive a nuovi arrivi, secondo caratteristiche comuni: programmazione dei flussi, regolamenti e procedure per l’ingresso, incoraggiamento al rientro volontario nei Paesi di origine, ecc. Dall’altro, con profonde differenze che variano da stato a stato, si adotta un orientamento più liberale rispetto alle leggi che riguardano la naturalizzazione degli immigrati di lunga permanenza o di seconda generazione, la concessione di status di residenza semi-permanenti, la concessione dei diritti di partecipazione politica e sociale, compreso il diritto di voto nelle consultazioni amministrative. Sin dal principio, i cittadini degli Stati terzi sono stati esclusi dall’integrazione comunitaria. La preferenza accordata in un primo momento ai lavoratori non comunitari era giustificata dalla circostanza che, all’epoca, solo un quarto dei lavoratori migranti presenti nel territorio della Comunità proveniva da Stati terzi. La situazione è andata gradualmente modificandosi facendo registrare una partecipazione sempre più rilevante di cittadini stranieri extra-comunitari allo sviluppo economico e sociale dell’Europa. Un primo passo verso la cooperazione intergovernativa, orientata all’abolizione dei controlli di polizia sulle persone e sulle merci alle frontiere interne, al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne e all’intensificazione dei controlli di sicurezza all’interno dello spazio di libera circolazione, è stato fatto con la Convenzione di Schengen, dello settembre 1993. La Convenzione delineava un’ampia base normativa che definiva obiettivi e modalità della cooperazione. In pratica si concretizzava il primo tentativo di integrazione europea che riguardava, pur se solo in un’ottica di sicurezza interna e di controlli, anche le politiche migratorie. Il Comitato esecutivo e i vari organi da esso delegati produssero una serie di norme e regole che modificarono sensibilmente l’organizzazione dei controlli alle frontiere, della politica migratoria e della cooperazione tra le polizie degli Stati coinvolti. L’insieme delle norme, dei trattati e degli atti di adesione costituisce attualmente l’acquis di Schengen: tutto "ciò che è acquisito". A) Il Trattato sull’Unione Europea (UE), firmato ad Amsterdam il2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il1 ° maggio 1999, è allegato il Protocollo sull’integrazione del’acquis di Schengen; di recente sono state introdotte importanti novità in materia di immigrazione e di asilo politico (Titolo IV, artt. 61-69, Trattato CE "Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone"). Questi nuovi e importanti propositi di legislazione, riguardanti l’attraversamento delle frontiere esterne e interne dell’Unione, l’asilo, l’immigrazione, la politica nei confronti dei cittadini degli Stati terzi, la cooperazione giudiziaria in materia civile, rimangono però sulla carta e dovrebbero essere istituiti progressivamente, entro un periodo di cinque anni. Il Trattato di Amsterdam stabilisce, in pratica, una "comunitarizzazione" progressiva della politica migratoria e un termine, cinque anni, necessario agli Stati membri per costruire una comune politica sull’immigrazione. Con questa tappa le materie riguardanti l’immigrazione entrano a far parte dell’UE e determinano il passaggio dal metodo intergovernativo all’applicazione del diritto comunitario sovranazionale. Si auspica la realizz~710ne di uno "spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia", senza controlli sulle persone alle frontiere interne e indipendentemente dalla loro nazionalità. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) ha redatto, nel luglio de11999, un’importante raccomandazione per il Consiglio europeo straordinario di Tampere, svoltosi nell’ottobre dello stesso anno. Nel documento, l’ACNUR, considerando il vertice come un momento fondamentale per la "comunitarizzazione" delle politiche europee sull’asilo e l’immigrazione, sottolinea come le scelte dell’UE non saranno solo importanti "per lo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia", ma anche per l’influenza che queste avranno su tutti i Paesi non europei, dal momento che le politiche degli Stati europei in questo campo sono sempre state all’avanguardia. Inoltre, l’ACNUR si augura che il vertice di Tampere segni l’inizio di una strategia europea esauriente, concertata e aperta sulle materie dell’immigrazione e dell’asilo e in grado di mettere al primo posto la protezione e la salvaguardia dei diritti delle persone. Una normativa, quindi, che non sia subordinata a interessi politici, economici o amministrativi. L’ACNUR sottolinea che in materia di asilo le politiche europee dovrebbero puntare ad un’armonizzazione intorno a cinque elementi chiave:
È sottolineato infatti che ogni futura procedura dovrà rispettare i principi della protezione delle persone, come la garanzia del diritto all’unità familiare dei rifugiati e che la politica europea sull’asilo e l’immigrazione non sia applicabile unicamente all’interno dell’UE. Gli Stati europei dovrebbero quindi sviluppare un indirizzo politico di approccio generale verso i Paesi e le regioni di origine dei migranti, che prenda in esame l’intera questione delle migrazioni, dalle loro cause alle possibili soluzioni. E, comunque, le misure orientate al rafforzamento del livello di protezione nei Paesi d’origine dei migranti non assolvono gli Stati membri dalle loro responsabilità di protezione delle persone che cercano asilo sul loro territorio. Il 3 ottobre 2001 il Parlamento europeo ha proposto in una relazione, a seguito di una comunicazione della Commissione e del Consiglio dei ministri, che in futuro la gestione del fenomeno migratorio a livello nazionale si basi su una comune normativa europea. Diventa primario il bisogno di una nuova politica comunitaria in materia, da studiare e applicare. E sarebbe quindi opportuno, secondo la recente presa di posizione del Parlamento europeo, iniziare a promuovere una distinzione giuridica tra diversi gruppi di immigrati, Paesi di provenienza emotivi dell’immigrazione: lavoratori migranti, richiedenti asilo e profughi.
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