Le espulsioni dei detenuti stranieri

 

 Le espulsioni disposte nei confronti dei detenuti stranieri

Commento a cura dell’Avv. Marco Paggi (ASGI)

 

Il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria ha pubblicato i dati sull’andamento delle espulsioni disposte nei confronti dei detenuti stranieri, scarcerati per essere allontanati dal territorio nazionale, per effetto della legge Bossi-Fini.

l dato è stato reso noto durante l’incontro svoltosi a Roma tra il Ministro Castelli e il Presidente del Tribunale di Sorveglianza. Alla riunione sono intervenuti: Giovanni Tinebra, Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; Emilio Di Somma, Vice Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; Giovanni Tamburino, Direttore dell’Ufficio Studi del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Era presente anche Pierluigi Vigna, responsabile della Direzione Nazionale Antimafia.

Ebbene, secondo i dati pubblicati, nel periodo gennaio 2002 - dicembre 2003 ci sono stati ben 1611 detenuti stranieri scarcerati per essere espulsi dal territorio nazionale.
In un quadro sinottico messo a disposizione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria si nota la differenza vistosa tra il flusso di espulsioni degli stranieri scarcerati prima e dopo l’entrata in vigore della legge Bossi-Fini (settembre 2002).

 

Esempio pratico

 

Se nel gennaio 2002 gli stranieri scarcerati per essere espulsi sono stati 29, nel gennaio 2003 sono stati ben 91. Più in generale, abbiamo quote mensili che fino all’entrata in vigore della Bossi-Fini si aggirano intorno alle 21-25, massimo 32 unità. Diversamente dall’ottobre 2002 in poi abbiamo una stabilizzazione del flusso di stranieri scarcerati per essere espulsi che va da un minimo di 59 ad un massimo di 123 (marzo 2003), con una larga frequenza di quote intermedie.
Questi dati, che come sempre non sono facilmente leggibili, si riferiscono alla totalità degli stranieri scarcerati dagli Istituti penitenziari per essere espulsi e, come si puntualizza nel quadro sinottico, si possono verificare i seguenti casi:
a) l’espulsione viene eseguita dopo la pena detentiva, come misura di sicurezza. Si tratta se vogliamo, dell’ipotesi più rarefatta cioè dei casi in cui, contestualmente alla condanna, il giudice dispone a seguito dell’espiazione della pena, la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello stato;
b) l’espulsione è disposta dal Magistrato di sorveglianza nei confronti di detenuti con pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni;
c) l’espulsione è disposta dall’Autorità Giudiziaria come sanzione sostitutiva a condanne inferiori a due anni;
d) l’espulsione viene eseguita come sanzione amministrativa, per infrazione alle leggi sull’immigrazione;
e) l’espulsione è disposta in seguito a condanne per alcune tipoologie di delitti.

Si precisa che le ipotesi sub b) e c) sono previste dall’art. 16 del T.U. sull’Immigrazione, come sostituito dall’art. 15, L. 30 luglio 2002, n. 189 (Legge Bossi-Fini) a seguito della modifica della legge Bossi-Fini.
Questi dati complessivi non permettono di disaggregare le singole causali del provvedimento di espulsione. Sarebbe interessante capire esattamente qual è la quota specificamente riferibile all’art. 16 del T.U., quindi alle nuove ipotesi di espulsione previste dalla legge, a titolo di misura alternativa alla detenzione o di sanzione sostitutiva della pena detentiva.

Già in una precedente puntata di questo sportello radiofonico avevamo dato notizia di una sentenza della Corte di Cassazione che afferma il principio – confidiamo che questo orientamento interpretativo non si consolidi – per cui le misure alternative alla detenzione non sarebbero applicabili nei confronti dei cosiddetti clandestini in quanto secondo questa sentenza – che rappresenta un precedente assoluto da questo punto vista - sarebbe concettualmente incompatibile la condizione di straniero in condizioni di soggiorno irregolare con la fruizione delle cosiddette misure alternative alla detenzione. Questa sentenza ci lascia un po’ perplessi, e staremo a vedere se le prossime pronunce della Magistratura si allineeranno a questo orientamento interpretativo e soprattutto se da parte della Magistratura di Sorveglianza (preposta all’applicazione delle misure alternative) non si riterrà invece di sollevare l’obiezione della legittimità costituzionale sotto il profilo della disparità di trattamento per quanto riguarda l’espiazione della pena e la funzione rieducativa della stessa tra cittadini italiani, comunitari e stranieri legalmente soggiornanti e cittadini stranieri non più legalmente soggiornanti.

 

Il favoreggiamento dell’immigrazione illegale verso un altro Stato


Si vuole dare conto di un recente provvedimento del 17 marzo scorso del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Torino, dott.ssa Silvia Bersano Belger, che ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’art 12, comma 1, del T.U sull’immigrazione ("Disposizioni contro le immigrazioni clandestine") così come modificato dall’art. 11, comma 1 della L. 30 luglio 2002 n. 189 (c.d. legge Bossi-Fini).

Questo articolo prevede il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e si riferisce non solo a chi compie atti diretti a procurare l’ingresso di uno straniero nel territorio italiano, ma anche atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona interessata non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. Nell’ambito della nozione di atti diretti a procurare l’ingresso possiamo considerare tutta una serie di condotte, non meglio definite, che comunque possono assolvere a questo scopo. Teoricamente anche il pagamento del biglietto di viaggio potrebbe essere considerato come un atto di favoreggiamento perché permette all’interessato di transitare in uno Stato terzo, cosa che altrimenti non avrebbe potuto fare perché senza soldi propri. Ne discende che non si vogliono punire solo i cosiddetti passeur – cioè coloro che a scopo di lucro organizzando traffici irregolari - perché la condotta sanzionata dall’art. 12 comma 1 del T.U. è riferita ad una attività che potrebbe essere svolta anche senza scopo di lucro.
Si precisa che per tale reato è prevista la reclusione fino a tre anni e con multa fino a 15 mila euro per ogni persona, salvo naturalmente che il fatto non costituisca più grave reato.

La nuova tipologia di reato appena delineata ha fatto molto discutere perché, oltretutto, è difficilissimo stabilire se l’ingresso verso uno Stato terzo è legale o illegale perché ciò richiede necessariamente un esame della normativa del Paese (o Paesi) di volta in volta interessati. Effettivamente la grossa questione che si pone nell’applicazione della normativa in oggetto è che non si può pretendere di sapere con assoluta certezza se eventuali atti e comportamenti finalizzati a preparare la fuoriuscita dall’Italia di uno straniero, siano realmente destinati all’ingresso dello stesso verso un determinato Stato terzo ed, eventualmente, di quale Stato si tratti.

Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Torino si è occupato di uno dei tanti casi di persone coinvolte in processi per traffico di cosiddetti clandestini. Nel caso esaminato si trattava di un signore che avrebbe messo in contatto alcuni suoi connazionali (già presenti in Italia irregolarmente) con dei passatori. Sembra si sia trattato di un contatto puramente occasionale per favorire - senza scopo di lucro - il viaggio di questi suoi connazionali. Il Giudice si chiede giustamente se la normativa in oggetto sia compatibile con i principi del nostro ordinamento ed in particolare con la Costituzione, dal momento che si tratterebbe di una norma penale "in bianco", vale a dire una norma che prevede la possibilità di punire una condotta che non è esattamente definita, quindi in violazione del principio di tassatività della legge penale come stabilito dall’art. 25 della Costituzione: "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia esplicitamente e tassativamente previsto per la legge come reato".
Il Giudice di Torino ha sottolineato che prevedere delle pene per fatti che non sono specificamente definiti o definibili, è contrario alla Costituzione. La questione di difficile soluzione è quella che, qualora si prospettassero situazioni che rientrassero nella fattispecie prevista dal legislatore, sarebbe effettivamente necessario riferirsi alla normativa di paesi stranieri che non sempre è facilmente individuabile.

Ma si vogliono evidenziare in questa sede anche ulteriori aspetti problematici.

Veniamo all’aspetto più pratico e frequente per il quale può essere ritenuta importante l’interpretazione sopra evidenziata proposta dal Giudice di Torino.
La normativa in oggetto consentirebbe di sanzionare - quindi punire con una pena detentiva - chiunque dia una qualsiasi forma di assistenza ad un immigrato in condizioni irregolari in Italia perché possa tornare a casa nel proprio paese.

In buona sostanza stiamo attualmente assistendo alla denuncia (per reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso uno Stato terzo) nei confronti di chi, per esempio, sta accompagnando un proprio connazionale o parente verso lo Stato di origine, necessariamente attraversando uno Stato terzo.

 

Esempio pratico

 

Una persona che deve tornare in Moldova o Romania necessariamente deve transitare per Austria, Ungheria, ecc. In questo caso la condotta di favoreggiamento in Italia viene sanzionata. Abbiamo già segnalazioni di denunce e procedimenti penali che si sono avviati a questo riguardo e questo si traduce nel fatto che chi viene fermato in autostrada, in direzione del valico di Tarvisio e sta accompagnando un proprio connazionale (magari un parente) verso la Moldova, può essere fermato dalla polizia con la conseguenza che, semplicemente a fronte della verifica del fatto che il passeggero non è in possesso di un regolare pds, può scattare nei confronti del conducente una denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare con il rischio della reclusione fino a tre anni e la multa fino a 15 mila euro per ogni persona (art. 12, comma 1, sopra riportato).
Teoricamente dovremmo immaginare che questo sia il rischio che corre anche chi raccoglie un autostoppista.
Resta sempre da domandarsi cosa succeda nel caso in cui una persona volesse lasciare l’Italia anziché con un mezzo di trasporto terrestre con un mezzo di trasporto marittimo; quando questi è diretto verso acque internazionali e ancora non si sappia quale sia la sua destinazione finale, potremmo immaginare un’analoga denuncia pur non sapendo verso quale Stato sia diretta la persona.

L’interpretazione proposta dal Giudice di Torino - che sottolinea la potenziale violazione dei principi sanciti dalla Costituzione - può costituire uno spunto difensivo valido. Confidiamo pertanto che la Corte Costituzionale raccolga questo rilievo di illegittimità della norma in oggetto.
D’altra parte, gli antichi romani dicevano "ponti d’oro al nemico che fugge", mentre nella realtà pratica chi sta tentando di ritornare a casa propria (magari con in tasca l’autorizzazione rilasciata dalla DPL all’assunzione presso un’impresa italiana in base alle quote dei flussi migratori) rischia invece l’espulsione non solo dall’Italia, ma anche da parte delle autorità di polizia degli Stati terzi in cui dovesse necessariamente transitare per recarsi nel paese d’origine. A questo si aggiunge il rischio del procedimento penale anche nei confronti di chi accompagnasse la persona.

 

 

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