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Gli stranieri detenuti e le misure alternative alla detenzione a cura dell’Avv. Marco Paggi
Progetto Melting Pot, marzo 2004
Come è noto, fino a poco tempo fa, si considerava che gli stranieri detenuti anche se arrestati quando privi di pds, dovessero essere equiparati ai cittadini italiani dal punto di vista della possibilità di beneficiare delle cosiddette misure alternative alla detenzione. In altre parole (nell’interpretazione della magistratura di sorveglianza) non faceva differenza se al momento dell’arresto, si trattasse di detenuto regolare - munito di pds - o di detenuto cosiddetto irregolare, clandestino. In ogni caso la persona condannata, così come previsto per i cittadini italiani, ha diritto di beneficiare, se ricorrono le condizioni previste dalla legge, delle cosiddette misure alternative alla detenzione che permettono di espiare la pena in base ad un trattamento fuori dalle mura del carcere, in tutto o in parte come nel caso della cosiddetta semilibertà. Su
questo non vi erano particolari dubbi e la magistratura ammetteva alle
cosiddette misure alternative anche i detenuti extracomunitari privi di un
valido pds in Italia, , sia pure con criteri di fatto più restrittivi di quelli
applicati nei confronti dei cittadini italiani o degli stranieri regolarmente
soggiornanti, ciò in quanto l’essere in condizioni irregolari spesso veniva
considerato come una sorta di elemento indicatore della mancanza di effettivi e
praticabili riferimenti di sostegno sul territorio. Abbiamo
però un’inversione di tendenza anche nella prassi quotidiana dei tribunali di
sorveglianza, in base ad una recente sentenza, la n. 30130 della Corte di
Cassazione Penale sezione I^ del 17 luglio 2003. Con questa sentenza viene
ribaltato un orientamento interpretativo di fatto consolidato da lungo tempo. In
essa si sostiene che l’affidamento in prova al servizio sociale e in genere
tutte le misure di trattamento al di fuori del penitenziario alternative alla
detenzione non possono essere applicate allo straniero extracomunitario che si
trovi in Italia in condizioni di clandestinità, poiché tale condizione
renderebbe illegale la permanenza del medesimo straniero nel territorio dello
Stato e non si potrebbe ammettere che l’esecuzione della pena abbia luogo con
modalità tali da comportare la violazione o l’elusione delle norme che
rendono configurabile detta illegalità. In altre parole, la misura alternativa alla detenzione è pacificamente una forma di espiazione della pena, una forma alternativa che però viene computata - non a caso - ai fini dell’espiazione della pena. Quindi anche il periodo di semilibertà o di affidamento in prova al servizio sociale è a tutti gli effetti per legge un periodo di espiazione della pena. Conseguentemente, poiché l’espiazione della pena è obbligatoria e non si potrebbe ammettere una disparità di trattamento tra cittadini stranieri regolarmente soggiornanti e stranieri irregolarmente soggiornanti, le stesse misure devono (quantomeno in linea teorica) essere ammesse per i cittadini extracomunitari privi di un regolare pds. Questo in effetti era l’orientamento consolidato della magistratura ma la Corte di Cassazione, con questo provvedimento, ritiene invece che non sia ammissibile perché non vi è compatibilità con le norme che disciplinano l’ingresso e il soggiorno nel territorio italiano. In altre parole, la Corte di Cassazione afferma una ontologica incompatibilità tra misure alternative fuori dal carcere ed esecuzione della pena nei confronti dello straniero clandestino. Questo, tra l’altro, troverebbe conferma - sempre secondo la Corte di Cassazione - in quella norma introdotta dalla legge Bossi Fini che prevede all’art.16 del T.U. la sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione per i c.d. "clandestini", ovvero l’espulsione con l’allontanamento obbligatorio del condannato dal territorio italiano nel caso in cui abbia subito una condanna a una pena inferiore a due anni di reclusione o abbia una pena residua da scontare inferiore ai due anni. In altre parole, questa previsione sulla misura alternativa o sostitutiva alla detenzione sotto forma di espulsione, confermerebbe l’incompatibilità tra la fruizione delle misure alternative e la condizione di irregolarità del soggiorno. Per la verità questa sentenza (che tra l’altro consta di una motivazione assolutamente sintetica) lascia pensare e suscita quantomeno perplessità. Suscita perplessità specialmente l’ultima affermazione laddove si sostiene che la conclusione a cui è pervenuta la Corte di Cassazione non si presterebbe a dubbi di legittimità costituzionale poiché la disparità del trattamento riservato ai cittadini e agli stranieri regolarmente presenti nel territorio dello Stato rispetto ai clandestini troverebbe giustificazione nella differenza delle situazioni giuridiche che fanno capo a queste diverse categorie. In altre parole, esiste sì una disparità di trattamento ma ci sarebbero anche diverse condizioni che giustificherebbero questa disparità di trattamento. Ad avviso del sottoscritto, la sicurezza ostentata dalla Corte di Cassazione nell’escludere i difetti o rilievi di legittimità costituzionale rispetto alla soluzione prospettata, non sembra così pacificamente condivisibile perché esistono dei principi generali rispetto ai quali non sembra che le argomentazioni della Corte risultino convincenti. Innanzitutto,
come aveva giustamente affermato sia il Tribunale di Sorveglianza di Taranto e
più in generale praticamente tutti i Tribunali di Sorveglianza, l’esecuzione
della pena è obbligatoria. Non ci può essere da questo punto di vista nessuna
disparità di trattamento tra soggetti regolarmente soggiornanti o soggetti
irregolarmente soggiornanti e cittadini, perché la legge è uguale per tutti. Questo anche indipendentemente dal fatto che poi, a pena espiata, debba eventualmente essere eseguito un provvedimento di espulsione per mancanza di un valido pds in Italia. In altre parole, se una persona si è per così dire rieducata, poi può mettere a frutto la sua rieducazione anche nel suo paese d’origine, dopo l’espulsione. Questo non sarebbe impedito dall’attuale normativa, tuttavia la medesima funzione rieducativa dovrebbe valere per tutti i soggetti che in Italia sono detenuti o ammessi alle misure alternative. Un
altro principio pacifico è che per legge e non per opinione del sottoscritto,
le misure alternative alla detenzione sono a tutti gli effetti forme di
espiazione della pena e, non a caso, si contano come se fossero anni, mesi,
settimane o giorni di detenzione ai fini del computo della pena residua. Di
conseguenza non si vede perché non vi dovrebbe essere anche sotto questo
profilo una parità di trattamento. In buona sostanza, i dubbi sulla disparità di trattamento tra stranieri cosiddetti clandestini o stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini italiani per quanto riguarda l’assoggettamento alla legge - che è uguale per tutti – e quindi i dubbi di legittimità costituzionale permangono. L’unica possibilità a questo punto (visto che la Corte di Cassazione ha affermato questo orientamento) per i magistrati di sorveglianza che dovessero avere delle perplessità sulla correttezza di questo ragionamento giuridico è sollevare la questione della legittimità costituzionale quindi chiedere direttamente alla Corte di pronunciarsi a riguardo con particolare riferimento alla parità di trattamento dei soggetti di fronte alla legge penale. Non mancheremo naturalmente di dare informazione sulla eventuale proposizione di ricorsi di questo genere, chiedendo anche a chi è interessato alla materia di fornirci informazioni che dovessero essere raccolte sul territorio.
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